Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nel XVI secolo la parola “Spagna” definisce una realtà geografica ma non un’unità politica. La penisola iberica è infatti occupata da una serie di regni (Portogallo, Castiglia e corona di Aragona) che per tutto il Medioevo sono stati in duro contrasto fra loro. Solo con il matrimonio dei sovrani di Castiglia e Aragona nella seconda metà del Quattrocento nasce l’unione dinastica che porterà le due corone a confluire prima nell’Impero di Carlo V d’Asburgo e poi nella monarchia cattolica di Filippo II e dei suoi successori.
I re cattolici e la fine della Reconquista
I regni di Castiglia e di Aragona giungono a formare un’unione dinastica nel 1469, con il matrimonio fra Ferdinando II re d’Aragona e Isabella, regina di Castiglia. Ciò non comporta però l’unificazione politica e amministrativa: i diversi regni mantengono le rispettive leggi e istituzioni.
Al fine di rafforzare la loro autorità, Ferdinando e Isabella puntano a coagulare il consenso dei loro sudditi a partire dalla comune fede cattolica. Essi portano a compimento la Reconquista, vale a dire l’opera, cominciata nel Medioevo, di riconquista del suolo iberico occupato dagli Arabi nell’VIII secolo. La lotta contro i regni musulmani della Castiglia meridionale costituisce un poderoso strumento di coesione politica. Nel 1492 viene espugnata l’ultima roccaforte musulmana in terra spagnola: Granada. È un evento simbolicamente assai importante per i due sovrani che divengono noti come “re cattolici”.
La nascita dell’Inquisizione spagnola
Altro strumento di Ferdinando e Isabella è il tribunale dell’Inquisizione, istituito nel 1478 e unica istituzione comune a Castiglia e Aragona. Per concessione papale esso è diretto da un inquisitore generale nominato dalla corona (da qui la sua definizione di Inquisizione “spagnola”), che ne controlla l’azione e se ne serve per perseguire i suoi disegni.
La preoccupazione dei re cattolici di imporre l’uniformità religiosa ai loro sudditi, fra i quali vi sono forti minoranze di fedi ebraica e musulmana, conduce all’espulsione degli ebrei (1492) e alla conversione forzata al cristianesimo della popolazione di fede musulmana (1502). Molti ebrei e musulmani accettano di convertirsi pur di non di essere cacciati dalle loro case e privati dei loro beni. Tuttavia ben presto gli ebrei convertiti (marranos) e i musulmani convertiti (moriscos) divengono oggetto di disprezzo e discriminazione, in quanto si sospetta che essi, nel segreto delle loro case, continuino a praticare le religioni avite.
La limpieza de sangre
La ricerca sempre più ossessiva dell’uniformità religiosa perseguita dal potere politico, unita al timore che i moriscos rappresentino una quinta colonna per le scorrerie dei pirati nordafricani che terrorizzano le coste meridionali della penisola iberica, alimenta nel corso dei primi decenni del Cinquecento una serie di vere e proprie ondate di odio razziale: l’ebreo e il musulmano convertito sono additati come elementi di “contaminazione” etnica.
Tale invenzione fomenta la preoccupazione di dimostrare la limpieza de sangre, “purezza di sangue”, ossia la discendenza certificata da antenati di fede cristiana e l’assenza di antenati di religione ebraica e/o musulmana. La purezza di sangue diviene rapidamente un’ossessione: per la nobiltà desiderosa di mostrare anche per questa via la propria preminenza – e spesso di cancellare le tracce dei legami matrimoniali intrecciati nei secoli precedenti con ricche famiglie ebraiche – e per il resto del corpo sociale che la certificazione di limpieza de sangre diviene indispensabile per ottenere cariche civili ed ecclesiastiche, nonché per ascendere ai ranghi nobiliari.
Carlo V e Filippo II
I primi decenni del Cinquecento sono segnati dal coinvolgimento della Castiglia e dell’Aragona nelle vicende delle guerre d’Italia, poiché Ferdinando il Cattolico reclama il Regno di Napoli. La morte di Isabella (1504) avvia una complessa vicenda successoria, al termine della quale emerge nel 1516 la figura del nipote dei sovrani, Carlo d’Asburgo, che diviene tre anni dopo imperatore del Sacro Romano Impero con il nome di Carlo V.
Il nuovo sovrano appare uno straniero ai castigliani che soffrono per la crescita della pressione fiscale e la rapacità dei consiglieri fiamminghi del nuovo sovrano. In Castiglia scoppia pertanto una rivolta, detta dei comuneros (1520-1521), in quanto animata dai maggiorenti di alcune città e da alcune famiglie della nobiltà. La ribellione è soffocata nel sangue ma costringe Carlo V ad agire con maggiore cautela soprattutto nei confronti della nobiltà castigliana.
Nei decenni successivi la Castiglia rappresenta il principale sostegno finanziario alla lunga serie di guerre condotte dall’imperatore contro i suoi tre nemici: la Francia, i principi protestanti tedeschi e l’Impero ottomano.
Fra il 1556 e il 1558 Carlo V abdica alle proprie molte corone e attribuisce al figlio Filippo la Castiglia con le sue colonie americane, l’Aragona, i Paesi Bassi, la Franca Contea, lo Stato di Milano, il Regno di Napoli e quello di Sicilia. Più che un impero, come spesso erroneamente si dice, i domini di Filippo II – ognuno dei quali mantiene i propri ordinamenti e consuetudini – formano una monarchia composita le cui diverse parti hanno come unici elementi comuni la persona del sovrano (e della dinastia) e la fede cattolica.
Pertanto oggi gli studiosi definiscono l’insieme dei domini di Filippo II come monarchia cattolica. Tanto più che la diffusione del calvinismo in Francia, nei Paesi Bassi, in Boemia e in altre parti d’Europa, da un lato, e la scoperta di gruppi ereticali in varie città castigliane spingono Filippo e i suoi ministri a utilizzare l’imposizione dell’uniformità religiosa – nel segno del cattolicesimo – per assicurare la tenuta politica della monarchia. La corona favorisce il rafforzamento e l’attività repressiva dell’Inquisizione spagnola, il cui inquisitore generale è affiancato dal Consiglio della Suprema e Generale Inquisizione, anch’esso di nomina regia. Il tribunale, nella seconda metà del Cinquecento, va ampliando le sue competenze e finisce per configurarsi come un’istituzione dedita al controllo delle coscienze e dei comportamenti, attraverso una vera e propria pedagogia della paura, grazie al segreto e al rigore che caratterizzano la sua attività.
Il re, i consigli e la corte
Nell’opera di governo Filippo II si avvale di una serie di consigli (consejos) di nomina regia. Essi sono formati da nobili, ecclesiastici e giuristi (letrados) che forniscono i loro pareri sulle questioni loro sottoposte. Sorti verso la fine del Quattrocento, nell’età di Filippo II, i consigli si strutturano con competenze per materia o per territorio. Al primo genere appartengono il Consiglio di Stato e quello di Guerra, chiamati a discutere delle questioni attinenti al governo dell’intera monarchia. Vi è poi il Consiglio delle Finanze, competente in materia finanziaria. Concernono il governo di singoli regni il Consiglio di Castiglia, quello d’Aragona, il Consiglio delle Indie (per le colonie americane e asiatiche), il Consiglio d’Italia (per il Regno di Sicilia, il Regno di Napoli e lo Stato di Milano). Negli anni Ottanta del Cinquecento nascono poi il Consiglio di Portogallo e quello delle Fiandre (per il governo dei Paesi Bassi).
Su richiesta del sovrano ciascun Consiglio elabora un parere scritto (la consulta) che raccoglie i suggerimenti su una determinata questione. Il re, una volta esaminato il documento, annota la sua decisione in calce. La consulta ritorna poi al Consiglio che fa redigere un decreto o una lettera, inviati a chi di competenza (viceré, governatori, ministri, ambasciatori ecc.). Tale metodo e l’attenzione che il sovrano presta a ogni sia pur minima questione fanno guadagnare a Filippo II il soprannome di rey prudente (“re prudente”). Tuttavia queste procedure finiscono per causare enormi difficoltà nel governo della monarchia. Infatti alla lentezza nell’assunzione del processo decisionale si somma quella derivante dalle distanze e dalla difficoltà delle comunicazioni proprie dell’epoca: spesso gli ordini giungono a destinazione con enorme ritardo rispetto al corso degli eventi.
La politica internazionale nell’età di Filippo II
Fra il 1563 e il 1584 Filippo II fa edificare nei pressi di Madrid (il borgo in cui ha stabilito la corte) il palazzo e monastero di San Lorenzo el Escorial, sua residenza quasi permanente, dove egli inaugura un nuovo stile e una nuova immagine della regalità. Qui vive circondato dai membri della famiglia reale, da nobili, ecclesiastici, segretari e consiglieri, che formano la sua corte e sono sottoposti alla rigida etichetta. I cortigiani, spesso divisi in fazioni, combattono un’aspra lotta per contendersi il favore del re.
La Penisola italiana rappresenta il bastione della monarchia nello scacchiere mediterraneo. Filippo II persegue una politica volta a mantenervi paz y quietud (“pace e quiete”). I legami matrimoniali tra famiglie nobiliari italiane e quelle iberiche, così come la concessione di titoli, onori e pensioni servono a cementare le relazioni.
La stabilità italiana diviene ancor più fondamentale per la corte di Madrid quando, nel 1566-1567, esplode nei Paesi Bassi una rivolta a carattere religioso e politico. L’invio di un esercito per stroncare la ribellione apre un lungo conflitto militare. In questo scenario l’Italia settentrionale diventano un ganglio vitale nel sistema di comunicazioni fra la Spagna e i Paesi Bassi. Infatti le truppe e i rifornimenti – che faticano a raggiungere il Nord Europa via mare, a causa dei corsari olandesi – devono passare per il porto di Genova e il Milanese per raggiungere, attraverso i passi elvetici, la Franca Contea e i territori tedeschi e infine i Paesi Bassi.
I problemi finanziari
Sia Carlo V sia Filippo II ricorrono in misura massiccia al mercato del credito stipulando con gruppi bancari, soprattutto tedeschi, genovesi e fiamminghi, i cosiddetti assento, cioè contratti di prestito di denaro a breve termine con altissimi tassi d’interesse, in base ai quali i banchieri forniscono il denaro in luoghi prestabiliti, in cambio dell’assegnazione del gettito di determinate entrate della corona castigliana. In questo modo il denaro affluisce agli eserciti asburgici nei diversi teatri bellici, sfruttando le reti finanziarie e commerciali dei gruppi bancari i quali, da parte loro, realizzano profitti colossali: tra il 1520 e il 1556 Carlo V contrae prestiti per la colossale cifra di 28,8 milioni di ducati, impegnandosi a restituirne 38.
La crescita abnorme del debito e la conseguente alienazione delle entrate del Regno di Castiglia per far fronte al pagamento degli interessi porta la corona al tracollo finanziario. Tocca a Filippo II, nel 1557, dichiarare la sospensione dei pagamenti, che ammontano, fra capitali e interessi, a circa 8 milioni di ducati. I crediti vantati dai banchieri sono quindi convertiti in modo forzoso in juros, titoli di debito a lungo termine, che fruttano un interesse annuo del 5 percento. In questo modo la corona riconosce solo una parte dei propri debiti trasformando il capitale dovuto in juros e ottiene la concessione di nuovi crediti. In cambio dell’accettazione di questa operazione, i banchieri ottengono che i titoli siano garantiti da entrate fiscali certe.
Tuttavia, nei decenni seguenti, a causa dei gravosi impegni politici e militari, la situazione si deteriora ulteriormente: nel 1575 il sovrano è costretto di nuovo a dichiarare la sospensione dei pagamenti e a rinegoziare i debiti con i suoi creditori genovesi.
Lo scenario del Mediterraneo
Sin dall’inizio del suo regno Filippo II è chiamato a fronteggiare due gravi questioni: la pirateria condotta nel Mediterraneo centrale e occidentale dai corsari del Nord Africa e la politica espansionistica dell’Impero ottomano. Nel 1560 la spedizione per occupare l’isola di Gerba, di fronte alle coste africane, primo passo per la riconquista della città di Tripoli (che era stata conquistata da Carlo V nel 1535 e perduta pochi anni dopo) finisce con un disastro navale. La situazione si aggrava con la nuova offensiva ottomana che assedia, senza successo, l’isola di Malta (1565). Inoltre, nel 1570-1571 le forze ottomane conquistano l’isola di Cipro, uno dei più importanti possedimenti della Repubblica di Venezia. Papa Pio V sprona i principi cristiani alla crociata contro il pericolo musulmano. Filippo II appare però restio. Ciò per diversi motivi: la tradizionale aspirazione dei regni iberici è di rendere sicuro il Mediterraneo occidentale e di eliminare la pirateria nordafricana, non di condurre una guerra navale a favore di Venezia.
In secondo luogo la rivolta dei Paesi Bassi rappresenta il principale teatro bellico per Filippo II e una parte dei suoi consiglieri. Infine vi è il problema finanziario: armare eserciti e flotte implica nuove cospicue spese.
Un’altra ragione per cui Filippo II è freddo di fronte agli appelli papali è di ordine interno. Infatti, contestualmente alla paura verso i pirati musulmani, cresce il sospetto nei riguardi della minoranza dei moriscos. Le autorità ecclesiastiche, con l’appoggio della corona, intraprendono una nuova campagna volta a proibire l’utilizzo della lingua araba e i molti costumi musulmani dei moriscos. La rigida applicazione di tale campagna provoca lo scoppio, nel 1568, di una grande rivolta nella regione di Granada (nella zona montuosa delle Alpujarras), repressa solo nel 1570 da Filippo II che ordina la deportazione dei moriscos nel Regno di Castiglia.
La Lega Santa e Lepanto
Sotto la spinta delle pressioni di una parte dei suoi consiglieri più sensibili alle esigenze dei territori italiani, Filippo II accetta di impegnarsi contro l’Impero ottomano. Nella tarda primavera del 1571, dopo laboriose trattative diplomatiche, viene costituita la Lega Santa fra la Santa Sede, la Repubblica di Venezia e la monarchia spagnola.
Superati contrasti e incertezze, il comandante della flotta della Lega Santa, Giovanni d’Austria (1545-1578), fratellastro di Filippo II, decide di affrontare le forze ottomane. La battaglia navale si svolge presso Lepanto, il 7 ottobre 1571 e vede la vittoria della flotta della Lega.
Paradossalmente la battaglia provoca l’inizio della dissoluzione della Lega a causa dei dissensi strategici fra la Repubblica di Venezia e Filippo II. Infatti, nel 1573, la Serenissima conclude una pace separata con l’Impero ottomano da cui ottiene garanzie circa i suoi traffici commerciali nel Mediterraneo orientale. La flotta asburgica, sotto la guida di Giovanni d’Austria, riconquista Tunisi (1574), che però, nel giro di un anno, viene ripresa dai pirati. D’altra parte le difficoltà finanziarie crescenti spingono Filippo II a sganciarsi dallo scenario mediterraneo.
Anche l’Impero ottomano è costretto a ridurre il proprio impegno militare, a causa dell’apertura del fronte bellico con la Persia. Nel 1581, Filippo II e il sultano Selim III (1574-1594) stipulano una tregua che verrà sempre rinnovata negli anni successivi.
Di nuovo l’Europa settentrionale
A partire dal 1578 l’attenzione di Filippo II si va infatti concentrando sull’acquisizione della corona del Portogallo, a causa dell’estinzione della dinastia regnante. Essendo figlio di una principessa portoghese, Filippo II, nel 1581, con l’avallo delle élite lusitane, viene incoronato sovrano. L’unione dinastica implica, almeno sulla carta, la nascita di una grande Monarchia mondiale, dato che il Portogallo possiede un impero
coloniale e commerciale che va dal Brasile all’Africa e a Goa (India). In realtà Filippo II s’impegna a lasciare ampia autonomia ai Portoghesi nella gestione delle loro colonie.
A partire da questo momento i conflitti in Europa settentrionale divengono il fulcro della politica della monarchia. Nonostante le enormi risorse finanziarie profuse dalla corona i governatori dei Paesi Bassi non riescono ad aver ragione militarmente dei ribelli. Solo nel 1579 Alessandro Farnese riesce a negoziare il ritorno delle province meridionali all’ubbidienza a Filippo II. La guerra però non si conclude, poiché le province settentrionali dei Paesi Bassi, a prevalente religione calvinista, proclamano la loro sostanziale indipendenza.
Negli stessi anni Ottanta si deteriorano i rapporti con l’Inghilterra. Dopo molte titubanze e di fronte all’aperto – ancorché non ufficiale – sostegno militare e finanziario di Elisabetta I ai ribelli dei Paesi Bassi e di fronte alle scorrerie dei pirati inglesi contro le navi e le coste spagnole, Filippo II decide di attaccare l’Inghilterra. A tale scopo viene costruita una potente flotta di 130 navi, definita la Invencible Armada, per invadere l’Inghilterra. A causa delle avverse condizioni meteorologiche, degli errori tattici dell’ammiraglio e della brillante azione delle navi inglesi, la flotta spagnola subisce nell’estate 1588 una disastrosa sconfitta nelle acque della Manica.
Ugualmente disastrosa è per Filippo II la decisione di entrare in guerra con la corona di Francia nel 1590, in seguito all’ascesa al trono del calvinista Enrico IV di Borbone. Ciò consente a Enrico, che nel frattempo si è convertito al cattolicesimo, di presentarsi come il vero difensore degli interessi francesi contro i suoi nemici interni e l’invasore iberico. I costi di questa nuova guerra per la Castiglia sono tali da provocare, nel 1596, una nuova sospensione dei pagamenti. Nel 1598, dopo aver dovuto stipulare la pace di Vervins in cui riconosce Enrico IV come re di Francia, Filippo II muore lasciando al successore una monarchia in affanno e fortemente indebitata.