La spending review ai sensi del d.l. n. 66/2014
Il d.l. n. 66/2014 è stato rinominato, nel linguaggio mediatico e giornalistico, nonché da una parte non esigua degli addetti ai lavori, Decreto sulla spending review. Il termine in questione, nella sua parziale a-tecnicità, richiama – per un verso – il processo di controllo qualitativo e quantitativo dei flussi di spesa pubblici, secondo le previsioni generali della legge di contabilità pubblica (l. n. 196/2009) e – per altro verso – un generico e indistinto processo di riduzione della spesa pubblica, attraverso puri e semplici “tagli” ai diversi capitoli di bilancio. Il decreto in esame (in verità, si tratta del terzo decreto “spending review” varato nell’ultimo biennio) si distingue per alcune misure di sicuro impatto sull’opinione pubblica (es.: limite al trattamento economico del personale pubblico, spesa per autovetture) che, tuttavia, non risultano caratterizzate da adeguata omogeneità di fondo.
Il d.l. 24.4.2014 (convertito con modificazioni dalla l. 23.6.2014, n. 89) è rubricato Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale,ma esso è stato fin da subito ridenominato, anche nel linguaggio mediatico e giornalistico, come Decreto sulla spending review.
In realtà, negli ultimi due anni circa, almeno tre strumenti normativi di urgenza hanno potuto fregiarsi di tale “titolazione corrente”: ci si riferisce, in particolare: i) al d.l. 7.5.2012, n. 52 (cd. Spending review-1); ii) al d.l. 6.7.2012, n. 95 (cd. Spending review-2) e iii) al decreto in rassegna.
L’ampia diffusione del termine in questione e il notevole numero di atti in cui esso si è tradotto in tempi più e meno recenti impongono in primis uno sforzo in termini qualificatori.
Ebbene, il termine Spending review (che potrebbe essere ben tradotto – e più semplicemente – come “revisione della spesa”) descrive, secondo un’accezione largamente condivisa, quel processo volto a migliorare l’efficienza e l’efficacia degli apparati pubblici nella gestione delle risorse economiche, «attraverso la sistematica analisi e valutazione delle strutture organizzative, delle procedure di decisione e attuazione, dei singoli atti all’interno dei programmi, dei risultati»1.
Nell’esperienza italiana, il programma di rafforzamento dei meccanismi di controllo quantitativo e qualitativo della spesa pubblica prende le mosse ben prima del biennio 2012-2014 e il suo avvio sperimentale deve essere collocato ad oltre un lustro fa.
Già prima della XVI legislatura, infatti, si era posta l’esigenza di procedere a un’analisi puntuale dei meccanismi che incidono sull’andamento della spesa pubblica ai fini della sua progressiva riqualificazione e del correlativo contenimento.
In particolare, già nel corso della XV legislatura era stato varato un programma straordinario di analisi e valutazione della spesa2, già comunemente denominato (sulla scia di analoghe, pregresse esperienze di Paesi di area OCSE) come “spending review”.
Il programma in parola mirava a una riclassificazione in senso funzionale del bilancio dello Stato attraverso un’articolazione per missioni e programmi (secondo una struttura che avrebbe in seguito caratterizzato la nuova legge di contabilità del 2009), ponendosi quale strumento volto alla razionalizzazione e complessiva riduzione dei flussi di spesa pubblici. Il programma mirava, altresì, a configurarsi quale strumento di programmazione della spesa e a limitare il diffuso ricorso a strumenti discutibili quale quello della spesa storica incrementale ovvero dei cc.dd. “tagli lineari”.
Nel corso della XVI legislatura, poi, la richiamata sperimentazione fu tradotta in puntuali atti normativi. In particolare:
con la l. 27.12.1996, n. 296 (legge finanziaria per il 2007) fu avviato in via sperimentale un programma di analisi e valutazione della spesa delle p.a. centrali;
con la successiva l. 24.12.2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), tale programma fu portato “a regìme” e la relativa realizzazione e coordinamento furono affidati alla Ragioneria Generale dello Stato.
La nuova legge di contabilità e finanza pubblica (l. 31.12.2009, n. 196) ha dedicato un intero Capo (il IV) al processo di analisi e valutazione della spesa e di completamento della riforma del bilancio dello stato (artt. 39-41), nonché alla disciplina dei meccanismi di controllo quantitativo e qualitativo della spesa pubblica, in tal modo armonizzando i contenuti delle sperimentazioni avviate nel biennio 2006-2007 con la nuova articolazione del bilancio dello Stato.
Successivamente, nel corso del 2011, si sono susseguite ulteriori iniziative finalizzate alla più ampia diffusione dei programmi di analisi e revisione della spesa e all’avvio di un ulteriore ciclo di spending review mirato alla definizione dei costi standard e dei programmi di spesa delle singole amministrazioni, in coerenza con quanto previsto dalla l. delega 5.5.2009, n. 42, di attuazione del cd. federalismo fiscale (in tal senso il d.l. 6.7.2011, n. 98 e il d.l. 13.8.2011, n. 138).
Nel corso del 2012, poi, il Ministro pro tempore per i rapporti con il Parlamento presentò il suo Rapporto dal titolo Elementi per una revisione della spesa pubblica3 e, nel maggio dello stesso anno, fu emanata una direttiva del P.C.M. volta a disciplinare l’attività di riduzione della spesa da parte delle amministrazioni pubbliche per l’anno in questione4.
Anche sulla base dei dati forniti dai singoli ministeri ai sensi della direttiva in parola, è stato varato il d.l. 7.5.2012, n. 52 (cd. Decreto Spending review-1), il quale ha previsto:
l’istituzione di un comitato interministeriale per la spesa pubblica;
la nomina di un Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi5 con il compito di definire per voci di costo il livello di spesa per acquisti di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni.
Con il successivo d.l. 6.7.2012, n. 95 (cd. Decreto Spending review-2) sono state adottate ulteriori misure di razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica volte a realizzare gli obiettivi già fissati nel maggio 2012, nonché ad operare una riduzione della spesa complessiva per beni e servizi anche sulla base delle analisi di settore svolte dal commissario straordinario per la Spending review di cui al d.l. n. 52/2012.
Da ultimo, l’art. 49 bis del d.l. 21.6.2013, n. 69 ha previsto la nomina di un nuovo commissario straordinario con il compito di formulare indirizzi e proposte in materia di razionalizzazione e riduzione della spesa da parte delle amministrazioni pubbliche6.
L’attività del commissario straordinario di cui al d.l. n. 69/2013 risulta strettamente correlata alle iniziative del Governo in materia di revisione della spesa (la cui sedes naturale è rappresentata dai documenti di finanza pubblica di cui alla l. n. 196/2009), al punto che l’atto di indirizzo governativo per l’attività commissariale del novembre 20137 fissa taluni obiettivi di politica economica i quali costituiscono, allo stesso tempo, linee direttrici per l’attività del commissario e dello stesso governo8.
Ciononostante, il decreto qui in esame non “internalizza” gli esiti dell’operato del commissario straordinario i quali hanno, invece, costituito (almeno in parte) una base per l’impostazione della manovra di bilancio per il 2015.
2.1 Obiettivi e contenuto del d.l. n. 66/2014
Gli obiettivi e le finalità di fondo del decreto dello scorso aprile sono individuati nelle premesse al testo, il quale richiama:
(per un verso) la necessità ed urgenza di emanare disposizioni in materia fiscale anche al fine di assicurare il rilancio dell’economia attraverso la riduzione del cuneo fiscale (si tratta, come è evidente, della principale disposizione “di spesa” contenuta nel decreto, ossia del bonus fiscale cd. degli “80 euro”);
(per altro verso) la necessità di intervenire in materia di revisione della spesa pubblica, «attraverso la riduzione delle spese per acquisti di beni e servizi, garantendo al contempo l’invarianza dei servizi ai cittadini, nonché per assicurare la stabilizzazione della finanza pubblica, anche attraverso misure volte a garantire la razionalizzazione, l’efficienza, l’economicità e la trasparenza dell’organizzazione degli apparati politico istituzionali e delle autonomie locali»;
Il decreto dello scorso aprile prevede, altresì, l’emanazione di disposizioni inmateria di pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione ulteriori rispetto a quelle di cui al d.l. 8.4.2013, n. 35 e di cui al d.l. 31.8.2013, n. 102. Per quanto riguarda la struttura del decreto, si osserva che:
il Tit. I (artt. 1-7) contempla in primis le disposizioni sul cd. bonus fiscale per i redditi più bassi (si tratta di una modalità piuttosto innovativa di riduzione del “cuneo fiscale” attraverso il riconoscimento di un credito di imposta in favore dei percettori di redditi da lavoro dipendente inferiori a 26mila euro annui lordi). Il Tit. I reca, inoltre, previsioni in tema di riduzione dell’IRAP e di incremento (dal 20 al 26 per cento) dell’aliquota ordinaria d’imposta per i redditi di natura finanziaria;
il Tit. II (artt. 8-26) contiene il nucleo essenziale delle disposizioni volte a conseguire Risparmi ed efficienza della spesa pubblica (i.e.: dei programmi di spending review in senso proprio). Il Titolo in questione si articola in sei Capi, rispettivamente rubricati: I) Razionalizzazione della spesa pubblica per beni e servizi; II)Amministrazione sobria; III) Trasferimenti e sussidi; IV) Aziende municipalizzate; V) Razionalizzazione degli spazi della pubblica amministrazione; VI) Digitalizzazione. Si rinvia al prosieguo del presente contributo un esame di maggior dettaglio di alcune fra tali tematiche;
il Tit. III (artt. 27-45 bis)9 reca disposizioni in tema di Pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni.
In particolare, viene disposta la prosecuzione del programma di pagamenti dei debiti pregressi delle amministrazioni pubbliche avviato con i richiamati decreti-legge del 201310. Anche in questo caso (e per le ragioni già esposte in relazione al contenuto del Tit. I) si ritiene di non soffermarsi sulle relative previsioni;
il Tit V (artt. 46-51) è rubricato Norme finanziarie ed entrata in vigore.
Stante l’impossibilità, per evidenti ragioni di sintesi, di esaminare nel dettaglio le singole disposizioni volte a conseguire l’obiettivo (invero, inconsueto nel linguaggio normativo) di un’amministrazione più sobria, ci si limiterà qui di seguito ad esaminare solo due fra le disposizioni di maggiore interesse sistematico.
In primo luogo si ritiene di segnalare l’art. 9, il quale prevede l’istituzione di un “elenco dei soggetti aggregatori” nell’ambito dell’Anagrafe unica delle stazioni appaltanti istituita presso l’AVCP (in seguito: Autorità Nazionale Anticorruzione, ANAC), di cui fanno parte la Consip s.p.a. e una centrale di committenza per ciascuna regione (commi 1, 2, 5 e 6). Viene, inoltre, prevista l’istituzione di un “tavolo tecnico dei soggetti aggregatori” che effettua analisi ai fini dell’individuazione delle categorie dei beni e dei servizi, nonché delle soglie, al di sopra delle quali si prevede il ricorso alla Consip o agli altri soggetti aggregatori per lo svolgimento delle relative procedure (co. 2 e 3).
Viene, altresì, definita una nuova disciplina per l’acquisizione di lavori, servizi e forniture per i comuni non capoluogo di provincia (co. 4). L’articolo in esame persegue l’evidente finalità di accorpare e razionalizzare l’attività delle stazioni appaltanti (che attualmente in Italia sono oltre 8mila e di cui si prevede una drastica riduzione), perseguendo obiettivi di efficientamento e contrasto ai fenomeni corruttivi, in un’ottica del tutto compatibile con il cd. “pacchetto appalti” dell’Unione europea del gennaio 2014.
In secondo luogo si ritiene di segnalare l’art. 13, che ha fissato un tetto massimo retributivo (pari a 240mila euro, al lordo dei contributi previdenziali e degli oneri fiscali) per chiunque riceva a carico delle finanze pubbliche emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo (il limite in precedenza vigente era parametrato sul trattamento del primo Presidente della Corte di cassazione, da ultimo fissato in euro 311.658 per l’anno 2014).
Il Legislatore del 2014 ha recato disposizioni specifiche per assicurare che il “tetto” stipendiale in questione operi sia per il personale pubblico c.d. “contrattualizzato”, sia per quello in regìme di diritto pubblico. Il d.l. n. 66/2014 ha, inoltre, stabilito che il limite in questione operi (sia pure, con talune modulazioni in relazione alle diverse posizioni) nei confronti del personale degli enti pubblici economici, delle autorità amministrative indipendenti, delle regioni e della Banca d’Italia.
L’intervento in questione, dettato piuttosto da esigenze di carattere mediatico che non da significativi obiettivi di efficientamento della cosa pubblica e di risparmio di spesa, presenta almeno tre aspetti di criticità, connessi rispettivamente:
i) alla carenza di meccanismi di indicizzazione nel tempo dell’importo massimo di 240mila euro;
ii) alla più recente giurisprudenza della Consulta che ha dichiarato costituzionalmente illegittimi interventi di riduzione ex lege dei livelli stipendiali di alcune categorie di dipendenti pubblici (es.: Magistrati) per i quali la salvaguardia di un determinato livello retributivo costituisce altresì presidio di indipendenza nell’esercizio delle relative funzioni11;
iii) alla non persuasività di un sistema che incide in modo indiscriminato sui livelli retributivi di tutte le categorie apicali dell’impiego pubblico, senza che sia stato ancora realizzato un credibile sistema di misurazione dei risultati e di valutazione delle performances idoneo a giustificare riduzioni dei trattamenti in essere.
L’adozione di programmi organici volti ad ottimizzare l’efficienza e l’efficacia degli apparati pubblici (e, in definitiva, a perseguire l’obiettivo di una migliore spesa prima ancora che di una minore spesa) è certamente da accogliere con favore e, anzi, nell’esperienza italiana essi si sono affermati troppo tardi e con troppe difficoltà.
Il ricorso a programmi di questo genere, del resto, deve affrontare un vero e proprio inestricabile “nodo gordiano”, stante l’estrema difficoltà di coniugare:
i) un’economia reale ormai da alcuni anni in recessione tecnica12;
ii) l’esigenza – anche sulla base dei vincoli europei – di perseguire obiettivi di riduzione dei rapporti deficit/PIL e debito/PIL13;
iii) il rischio che manovre e programmi unicamente basati sulla riduzione di tali rapporti (e impostati – per così dire – “sul numeratore”) sortiscano ulteriori effetti depressivi sull’economia reale (i.e.: “sul denominatore”);
iv) l’esigenza di privilegiare, quindi, manovre di riduzione del deficit impostate sul versante della spesa e non su quello dell’incremento delle entrate;
v) la consapevolezza che, oltre un livello – per così dire – ‘fisiologico’, la riduzione delle spese nel settore pubblico si traduce inevitabilmente in una caduta del livello qualitativo e quantitativo dei servizi erogati alla collettività.
La ricerca di un mix adeguato di risposte all’operare combinato di tali fattori di criticità viene resa ancora più difficoltosa dalla scelta del decision maker politico di non rinunziare all’avvio di nuovi ed ambiziosi interventi di spesa (quale il particolare bonus fiscale di cui all’articolo 1 del d.l. n. 66/2014 il quale ha comportato, per il solo 2014 – otto mesi di vigenza –, un costo aggiuntivo in termini di indebitamento netto pari ad oltre 6,6 miliardi di euro)14.
Ebbene, in un quadro così complesso e di difficile gestione, l’avvio dei (peraltro, necessari) programmi di revisione/riduzione della spesa avrebbe dovuto essere caratterizzato da particolare rigore nell’individuazione dei ruoli, degli obiettivi e delle priorità. Ad avviso di chi scrive, tuttavia, l’esperienza del d.l. n. 66/2014 mostra il perpetuarsi di alcune fra le ricorrenti criticità che, negli anni più recenti, hanno caratterizzato analoghi interventi normativi, e in particolare:
una non adeguata ripartizione dei compiti (“chi fa che cosa”), con particolare riguardo al ruolo effettivo da riconoscere, nell’adozione delle scelte normative in tema di revisione della spesa, ai commissari alla spending di tempo in tempo nominati. Si ritiene al riguardo che non vi possa essere un’effettiva razionalizzazione dei processi di spesa se difetta (per così dire: “a monte”) una previa razionalizzazione dei processi e dei ruoli decisionali sottostanti. Del resto, la scelta del Commissario alla spending review di lasciare l’incarico con grande anticipo conferma tale criticità;
in secondo luogo, la ricorrente tentazione di occultare, fra le pieghe di disposizioni volte a razionalizzare la spesa, veri e propri tagli indiscriminati, a volte senza valutare le effettive conseguenze che ciò potrà determinare in danno dei fruitori dei servizi (si pensi agli ulteriori, previsti “tagli” alle dotazioni del SSN e del Fondo Sanitario Nazionale previsti dal d.l. n. 66/2014) e altre volte perseguendo semplicemente obiettivi di carattere mediatico (come nel caso della riduzione “per decreto” dei compensi dei dirigenti e dei manager pubblici, in assenza di un credibile sistema di valutazione delle relative performances idoneo a premiare i più capaci e svantaggiare i meno meritevoli).
1 In tal senso la (condivisibile) definizione rinvenibile sul sito istituzionale del Commissario straordinario per la spending review, all’indirizzo Internet www.revisionedellaspesa.gov.it.
2 Sul punto, v.: Camera dei Deputati - Servizio studi - Dossier di documentazione 82/0 “Il programma del Commissario straordinario per la spending review” (novembre 2013), par. 1 e passim.
3 Il documento è rinvenibile all’indirizzo Internet www.astridonline.it. Nel Rapporto si afferma che l’attuale dimensione e la struttura della spesa pubblica in Italia rappresentano oggettivi ostacoli a uno scenario di ripresa ciclica dell’economia e che l’importo presumibile della spesa oggetto di possibile revisione ammonta (maggio del 2012) a circa 295 miliardi di euro.
4 Si tratta della direttiva P.C.M. 3.5.2012, il cui scopo era quello di conseguire una riduzione di spesa pari a 4,2miliardi di euro per l’anno 2012.
5 L’incarico in questione fu inizialmente attribuito a Enrico Bondi e, in seguito, all’ex Ragioniere generale dello Stato Mario Canzio.
6 Con d.P.C.M. 18.10.2013 l’incarico di commissario straordinario è stato conferito a Carlo Cottarelli, già direttore del Dipartimento di finanza pubblica presso il FMI, il quale ha rinunciato all’incarico nell’ottobre del 2014.
7 Si tratta del Documento di indirizzo relativo alla Revisione della spesa, approvato dal Comitato Interministeriale in data 25.11.2013, il cui testo è reperibile all’indirizzo Internet www.governo.it.
8 In particolare, il “Documento di indirizzo” in questione fissa, come obiettivo strategico del complessivo programma di spending review (RS) per il periodo 2014-16, il reperimento di risorse equivalenti ad almeno due punti percentuali di PIL (circa 32 miliardi di euro) entro il 2016, con risparmi significativi anche nel 2014 e nel 2015.
9 La numerazione è quella rinveniente dalla l. di conversione 23.6.2014, n. 89.
10 Il fabbisogno di cassa a tal fine necessario viene soddisfatto attraverso il ricorso ad anticipazioni di tesoreria, in attesa di emissione di titoli del debito pubblico fino a 40 miliardi di euro di controvalore.
11 In tal senso: C. cost., sent. 11.10.2012, n. 223, in: Giur. Cost., 2012, 5, 3293 ss. (con nota di D. Piccione ).
12 Il September Interim Forecast dell’OCSE (settembre 2014) ha rivisto ulteriormente al ribasso le stime sul PIL italiano per il 2014 da +0,5% a -0,4%.
13 La questione, come è evidente, diventerà ancora più di complessa gestione con la piena entrata in vigore delle previsioni della l. 24.12.2012, n. 243, recante l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, co. 6, Cost. (per come sostituito dalla l. cost. 20.4.2012, n. 1).
14 In tal senso, la relazione tecnica al DDL AS 1465 predisposta dal Governo ai sensi dell’art. 17, co. 3, l. n. 196/2009.