Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
È in Germania alla fine del Settecento che la filosofia di Spinoza riemerge pubblicamente dopo la clandestinità seguita alla scomunica e alla condanna del filosofo nel secolo precedente. In realtà un pensiero potente come quello spinoziano non ha mai cessato di essere presente e ha continuato a permeare, sotto la superficie, il discorso filosofico, politico e religioso ufficiale. Lo dimostrano le confutazioni alle quali è stato ininterrottamente sottoposto. È in questi termini che esso è inizialmente comparso anche in Germania, dove tuttavia la maggior libertà garantita alla riflessione filosofica ha progressivamente permesso che la sua dottrina si guadagnasse un posto di primo piano tra le opzioni metafisiche in gioco. Dopo essere stato oggetto di una disputa che segna gli anni Ottanta del Settecento e che convolge i più importanti intellettuali del tempo – Jacobi, Mendelssohn, Kant, Goethe e Herder – Spinoza diventa un riferimento imprescindibile dei protagonisti dell’idealismo tedesco Fichte, Schelling e Hegel.
La vulgata europea di Spinoza: Pierre Bayle e i manuali
Per un periodo lunghissimo la fonte di conoscenza del pensiero spinoziano in Europa è stata l’articolo dedicato a Spinoza del Dizionario storico-critico (1697) di Pierre Bayle. In questa voce il dotto francese ne presenta diffusamente la filosofia, con il fine dichiarato di ridurla all’assurdo. In realtà l’operazione bayleana è interamente condotta lungo il filo della contraddizione, a partire dalla definizione di Spinoza quale “ateo virtuoso”, un ircocervo altamente pericoloso perché appunto difficilmente classificabile per un senso comune che vedeva la virtù indisgiungibile dalla fede in quel Dio personale che l’Ethica espressamente negava. Ateo non era infatti chi negasse l’esistenza di Dio, ma chi, come Spinoza, non ne riconoscesse la trascendenza e l’agire nel mondo in base a un piano razionale. Ma d’altra parte la grande virtuosità della condotta del filosofo in vita non poteva essere messa in dubbio. Questa contraddizione incarnata doveva in qualche modo riverberare anche nella sua filosofia, definita infatti l’“ipotesi più mostruosa che si possa immaginare, la più assurda, la più diametralmente opposta alle nozioni più evidenti del nostro spirito”, il cui drammatico esito è che uomo e divinità risultano gettati in un’angoscia senza fine non avendo più nulla a cui appigliarsi. Si pongono così le basi per un tenacissimo luogo comune, anche perché la rarità delle opere originali fa di questo articolo l’unica fonte di conoscenza della filosofia di Spinoza a disposizione del pubblico colto. Sostanzialmente affine alla trattazione di Bayle sarà anche la presentazione di Spinoza nella prima importantissima opera di storia della filosofia pubblicata in Germania da Brucker nel 1736. Da notare che lo Spinoza di cui si parla è solo quello metafisico, mentre sul Tractatus theologico-politicus il silenzio è totale.
La prima ricezione tedesca, da Leibniz a Lessing
Diverse dalla confutazione bayleana, ma fondamentali per la cultura tedesca, furono le considerazioni di Leibniz nei Saggi di Teodicea (1710). Profondo conoscitore di Spinoza, questi fa un uso della sua filosofia strumentale alla valorizzazione della propria teoria della libertà. Citando Bayle, presenta l’Ethica come un sistema dove le azioni umane sono governate dalla necessità logico-geometrica, sancendo l’identificazione tra spinozismo e fatalismo su base logica. A partire dalla distinzione tra il principio di contraddizione e di ragione, Leibniz vi contrappone la propria teoria della contingenza del creato, dove le monadi, in forza del loro semplice essere compossibili, si armonizzano liberamente in base a un piano provvidenzialmente prestabilito da Dio, all’interno del migliore dei mondi possibili da questi liberamente scelto.
Il confronto con Spinoza viene ripreso e approfondito dal più importante sistematizzatore della filosofia leibniziana, Christian Wolff che, allontanato da Halle per sospetto di spinozismo, dedica un intero capitolo della sua Theologia Naturalis (1736-1737) alla confutazione dell’olandese. Il testo verrà poi apposto alla prima, e per mezzo secolo unica, traduzione dell’Ethica in tedesco (1744) a cura del suo allievo Schmidt. L’argomentazione wolffiana – che in virtù di tale operazione editoriale esercita in Germania un’influenza enorme – introduce una novità decisiva nella ridefinizione delle conseguenze dell’errore spinoziano, che risiederebbero non già nell’ateismo, ma, al contrario, nell’acosmismo: “Spinoza fa della potenza della natura la potenza di Dio, e rimuove dai corpi, dai quali è costituito il mondo, ogni natura propriamente detta, ossia fa della natura propriamente detta un non-ente”. Una definizione che ritroveremo ancora in Hegel.
È invece con l’ebreo Moses Mendelssohn, sommo esponente dell’Illuminismo berlinese, che per la prima volta a Spinoza viene attribuito un ruolo positivo nell’aver favorito il passaggio tra Cartesio e Leibniz, Dialoghi filosofici (1755). Il pur erroneo parallelismo res cogitans/res extensa nella sostanza divina sarebbe infatti stato propedeutico alla corretta interpretazione dell’enigma del rapporto mente-corpo offerto da Leibniz con la sua armonia prestabilita. Contro questa interpretazione protesterà Lessing, massimo custode dell’Illuminismo e della tradizione leibniziana, che considera l’armonia prestabilita l’autentica e corretta soluzione dell’enigma cartesiano del rapporto mente-corpo, mentre la dottrina degli attributi della sostanza sarebbe una pura negazione del problema, che quindi non può avere certo guidato Leibniz sulla giusta strada. I due saranno gli involontari protagonisti della “disputa sullo spinozismo” accesa da Jacobi alla morte del primo e che, per quell’eterogenesi dei fini che tanto spesso intesse la storia della cultura, di fatto inaugurerà la Spinoza Renaissance in Germania.
La “disputa sullo spinozismo”
Nel 1785 Friedrich Heinrich Jacobi, con il titolo Lettere sulla teoria di Spinoza, dà alle stampe lo scambio epistolare intercorso tra sé e Mendelssohn intorno alla presunta ammissione di spinozismo che nel 1780 Lessing gli avrebbe fatto a voce poco prima di morire.
Al centro della polemica jacobiana sta la teoria dell’hen kai pan, l’uno-tutto, che gli pare essere in Germania la caratteristica implicita del pensiero di molti contemporanei, e si troverebbe esposta nel più chiaro dei modi nella filosofia di Spinoza e nel neoplatonismo di Bruno. Lessing stesso, richiesto di commentare la poesia Prometeo di Goethe in cui tale concezione si troverebbe espressa, gli avrebbe confidato di condividerne del tutto lo spirito, asserendo infine: “Non c’è nessun’altra filosofia, che la filosofia di Spinoza”. Jacobi intende quindi avvertire i contemporanei che al fondo spinozismo e leibnizianesimo coincidono, né le cose possono andare altrimenti, giacché ogni filosofia che voglia essere conseguentemente sistematica finisce necessariamente per essere atea, determinista, fatalista e quindi nichilista. È in questi quattro punti che Jacobi riassume la sua posizione a riguardo:
I. Lo spinozismo è ateismo.
II. La filosofia qabbalistica, come filosofia, non è altro che uno spinozismo non sviluppato.
III. La filosofia leibnizio-wolffiana non è meno fatalistica di quella spinoziana e riconduce il pensatore conseguente ai principi di quest’ultima.
IV. Ogni via della dimostrazione conduce al fatalismo.
Come si vede la polemica jacobiana colpisce ben al di là delle sole filosofie di Spinoza e Leibniz, per mettere sotto accusa l’Illuminismo nel suo complesso – di cui Lessing era il più autorevole esponente tedesco – per il ruolo che esso attribuiva alla filosofia quale guida dell’umanità. Lo scacco del sistema spinoziano di fronte alla questione della libertà umana rivelerebbe il tarlo nichilistico che si annida in ogni filosofia sistematica, che va sacrificata alla fede in forza dell’alternativa: “Il nulla o Dio”.
Sdegnato per la pubblicazione di una comunicazione privata di chi nel frattempo era defunto, nonchè delle sue stesse lettere senza preventiva autorizzazione, Mendelssohn nelle Ore del Mattino: ossia lezioni sull’esistenza di Dio (1785) cerca di vendicare la posizione di Lessing e Leibniz contro le asserzioni di Jacobi distinguendola sottilmente da quella di Spinoza. In Lessing si potrebbe infatti tutt’al più parlare di uno spinozismo purificato, del tutto compatibile con la religione. Infine, a far da arbitro nella polemica, egli riesce a coinvolgere anche Kant che, pur non avendo alcun interesse a difendere né il “dogmatismo” di Spinoza, né quello di Mendelssohn – cui non perdona l’insultante definizione della sua Critica come onnischiacciante – si schiera contro Jacobi onde salvare i destini dell’Illuminismo. In Che cosa significa orientarsi nel pensiero (1786) Kant contraddice la tesi jacobiana che il Dio di Spinoza debba necessariamente essere il più alto concetto della ragione e, contro il “misticismo” professato da Jacobi, e a diverso titolo da Spinoza, ribadisce il valore dell’ideale della ragione presentato nella Critica della ragione pura (1781).
Lo spinozismo di Goethe e l’interpretazione di Herder
Goethe fu uno dei pochissimi dei quali si sa con certezza che avesse una conoscenza antica e di prima mano delle opere di Spinoza, del cui Opus postumum possedeva un esemplare fin dalla giovinezza. Corrispondente di Jacobi di lunga data, non prese pubblicamente posizione nello Spinozismusstreit, ma si espresse a questo riguardo in alcune lettere. Qui definisce Spinoza “Theissimus et Christianissimus”, respingendo la tradizionale identificazione di spinozismo e ateismo, e si spinge anche a consentire col filosofo olandese sul modo di pensare il rapporto tra Dio e res singulares. Di grandissimo interesse in tal senso sono i suoi appunti privati Studio da Spinoza.
In un’analoga direzione va anche Herder con il suo Dio. Alcuni dialoghi (1787) espressamente scritti contro l’interpretazione di Spinoza offerta da Jacobi. Qui per comprendere il rapporto tra lo spinoziano Deus sive natura, gli attributi e i modi, si introduce un innovativo paradigma di tipo organicistico e fondato sui risultati della filosofia più recente: il concetto chiave per Herder è quello di forza sostanziale, che nella sua espressione più potente è pensiero e grazie al quale tutti i nodi della filosofia di Spinoza, ateismo, materialismo e fatalismo, possono risultare agevolmente sciolti.
Spinoza nell’idealismo tedesco
Di fatto con l’intervento di Kant la disputa si considera conclusa, ma non risulta sopito l’interesse per la filosofia di Spinoza, ormai imprescindibile nel definire il valore sistematico della filosofia. È in questi termini che lo troviamo trattato in Fichte, Schelling e Hegel, che cercheranno a diverso titolo di articolare il rapporto tra sistema e libertà, ossia di confutare nella pratica l’assunto jacobiano che ogni filosofia sistematica coincida con lo spinozismo e comporti gli esiti di fatalismo e nichilismo.
Per Fichte, che definisce espressamente la propria filosofia come sistema della libertà, l’errore di Spinoza, che pure ha individuato correttamente il concetto di Dio come ciò che esclusivamente è in senso pieno, sta nel non accorgersi che, come tale, Dio si dà solo nel pensiero, ossia a partire dall’atto di un Io intelligente. Sicché il dogmatismo e il fatalismo spinoziani sono da mettere in conto solo a tale parzialità, mentre partendo dal rimosso della filosofia di Spinoza si può pensare di erigere un sistema che tenga conto nel suo formarsi della dinamicità del pensiero e quindi tuteli la libertà umana. Il sistema fichtiano si troverà nuovamente sotto accusa da parte di Jacobi – Lettera a Fichte (1799), che aprirà la seconda grande disputa della filosofia classica tedesca, la “disputa sull’ateismo” – di non essere altro che uno “spinozismo rovesciato”. Invece che basarsi sulla sostanza, da cui dedurre l’io, Fichte fonderebbe il sistema sull’attività dell’io dal quale dedurre la categoria di sostanza e quindi tutto il mondo in forma di mere rappresentazioni. Il nichilismo di fondo della filosofia spinoziana risulta in tal modo non solo immutato, ma perfino aggravato dal fatto che tutto risulta una mera proiezione dell’io, sicché dopo Leibniz anche le filosofie trascendentali kantiana e fichtiana mostrano di condividere il destino dello spinozismo.
Fichte per tutta la vita cercherà di rendere conto della possibilità di una Dottrina della scienza che sia una valida risposta tanto allo spinozismo, da cui sempre più esplicitamente parte, quanto alle accuse jacobiane; inoltre, a partire dal 1802, la polemica contro lo spinozismo si intreccia e in parte maschera la disputa con Schelling sulla giusta relazione della sua filosofia della natura con la propria dottrina della scienza.
A partire dal 1800 Schelling rivendica infatti esplicitamente in Spinoza l’ispiratore della sua filosofia dell’identità, sintetizzata nell’idea che la natura sia spirito visibile e lo spirito natura invisibile, dove tanto il parallelismo dei due attributi nella sostanza, quanto l’immanentismo spinoziano espresso dal Deus sive natura sono evidentemente ripresi. Nel dialogo Bruno (1802) la posizione di Schelling era impersonata proprio dal filosofo italiano – da Jacobi significativamente accostato a Spinoza – per ribadire quella specifica versione di hen kai pan rappresentata dalla sua Idenditätsphilosphie. Non si può qui rendere esaurientemente conto dell’intera evoluzione della posizione di Schelling nei confronti di Spinoza (e Leibniz), quello che ci preme segnalare è che qui per la prima volta l’olandese è rivendicato come maestro e fonte di ispirazione.
A sottolineare l’importanza che Spinoza aveva ormai acquisito in Germania sta anche la prima riedizione completa, e commentata, delle sue opere negli anni 1802-03 a cura di Paulus, edizione che, tra gli altri, fu entusiasticamente accolta dallo Hegel che a Jena iniziava a collaborare con Schelling alla redazione del “Kritisches Journal” dove appaiono i suoi primi testi pubblici. Già nel primo fra questi, Differenza tra il sistema filosofico di Fichte e quello di Schelling (1802) il valore delle posizioni dei due veniva commisurata, a tutto vantaggio di Schelling, proprio alla potenza speculativa della filosofia di Spinoza. Ma il serrato confronto con Spinoza interesserà tutta la produzione filosofica hegeliana, tanto che nelle sue Lezioni di storia delle filosofia dichiarerà: “Spinoza è un punto talmente importante della filosofia moderna, che in realtà si può dire: o tu sei spinoziano, o non sei affatto filosofo”. Nel volgere di mezzo secolo si è quindi compiuto in terra tedesca il capovolgimento del giudizio di Bayle: da pensatore esecrando Spinoza è diventato un momento insostituibile del movimento dello Spirito. Per Hegel proprio la sue capacità di contraddire il senso comune e insieme comporre speculativamente la contraddizione a dare un sistema compiuto fanno di Spinoza il modello della sua stessa dialettica quale suo superamento e completamento.