Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Alla metà del Quattrocento l’invenzione dei caratteri mobili da parte del tedesco di Magonza Johannes Gutenberg avvia l’era della stampa. La possibilità di riproduzione meccanica dei testi abbatte i costi del libro e ne moltiplica la disponibilità. Al di là di contingenti difficoltà, il successo del libro stampato è quasi immediato, e le ripercussioni culturali e sociali di questo nuovo medium sono enormi.
Il contesto storico
Inteso modernamente, cioè come codice realizzato in più copie identiche dello stesso testo, il libro nasce grazie alla stampa intorno alla metà del Quattrocento – questo se ci si limita a considerare l’area occidentale: infatti, in Estremo Oriente (Cina e Corea) il procedimento della stampa xilografica di testi, nonché l’invenzione dei caratteri mobili in lega metallica, sono notevolmente anteriori, e databili rispettivamente all’VIII e al XIII secolo. Tuttavia, la lenta gestazione che vive l’invenzione della stampa in Europa (tra pluriennali tentativi, approssimazioni e fallimenti), sembra escludere almeno una filiazione diretta della tecnologia tipografica occidentale da quella orientale. Essa è dunque interamente inventata, o reinventata, in Occidente, e da qui si irradia in tutto il mondo.
Tra le condizioni storiche che favoriscono la nascita e il successivo dilagare del libro stampato ricordiamo qui:
a) l’esistenza di un materiale scrittorio adatto e relativamente a buon mercato come la carta;
b) il dinamismo tecnologico dell’epoca;
c) il ruolo crescente dello scritto, con l’aumento della domanda di libri da parte della Chiesa, dell’università e del mondo laico, e con le accresciute esigenze di amministrazioni, banche, notai, contabili, cancellerie, per ciò che riguarda brevi e ripetitivi testi d’ufficio (fra le prime produzioni tipografiche troviamo appunto i biglietti di Indulgenza, la cui breve formula di remissione dei peccati doveva essere prodotta in migliaia di esemplari);
d) lo sviluppo della libera intrapresa economica, nel quale si inserisce anche lo stampatore: il libro – inteso come una merce al pari delle altre, e non essendo un prodotto “istituzionale” (tale era stato ad esempio in Cina e in Corea) – si giova delle potenzialità di crescita del libero mercato.
La xilografia e la nascita della tecnica a caratteri mobili
Nota da tempo per riprodurre immagini e decorazioni su stoffa, la tecnica dell’incisione di matrici lignee viene utilizzata nella seconda metà del XIV secolo per la fabbricazione di piccole immagini devote su carta, ad uso privato dei fedeli (più tardi anche per la produzione “mondana”, ad esempio di carte da gioco).
Il successo commerciale ne stimola la produzione, concentrata soprattutto nella regione renana e negli Stati borgognoni, e col tempo alle immagini si aggiungono didascalie e brevi testi, dapprima manoscritti (chiroxilografia), poi stampati anch’essi. Da qui si sviluppa nel XV secolo un’intensa produzione libraria, quella xilografica del cosiddetto libro tabellare o libro-blocco (block-book o, in tedesco, Blockbuch), così chiamato perché ricavato dalla stampa non con caratteri mobili riutilizzabili, ma con blocchi unici intagliati che a fine lavoro vanno persi.
Vengono così prodotti, per lo più in lingua volgare, soprattutto libri illustrati, come la Biblia pauperum, l’Apocalisse, la Vita et Passio Christi, la Ars moriendi ecc.; ma anche libri di tutto testo, come il manuale di latino per eccellenza dell’epoca, la grammatica di Donato (IV sec.). La produzione libraria xilografica, probabilmente iniziata prima di quella tipografica, convive per alcuni anni con quest’ultima, per poi essere rapidamente abbandonata. Dal punto di vista tecnico, l’invenzione della stampa a caratteri mobili non deve nulla alla xilografia. Il “debito” sta semmai su un piano diverso, ossia nell’avere, grazie al libro tabellare, un esempio concreto e un generico modello di quella multiplicatio librorum che intorno alla metà del Quattrocento si cerca affannosamente di realizzare.
Gli albori della stampa sono ancora in buona parte avvolti da un alone di mistero, sul quale sono fiorite nei secoli le più diverse ipotesi e leggende. Comunque, non sembra più in discussione la paternità dell’invenzione, assegnata a Johannes Gensfleisch zur Laden zum Gutenberg (1400 ca. - 1468), la cui biografia è però estremamente problematica per l’esiguità della documentazione. Membro del patriziato della città di Magonza, forse (ma è lecito dubitarne) orafo come suo padre, Gutenberg trascorre a Strasburgo almeno dieci anni della sua vita (1434-1444), durante i quali si impegna, in società con altri, in varie produzioni industriali. Una di queste è con tutta probabilità la stampa a caratteri mobili, vale a dire una catena produttiva che consiste innanzitutto nel decomporre il testo, cioè immaginare di ridurlo alle lettere che lo compongono, poi nel fabbricare in gran numero di tipi metallici delle singole lettere (operazione complessa, che per ogni lettera richiede anzitutto la fabbricazione di punzoni con cui incidere una matrice di metallo tenero, e poi la colata, ripetuta tante volte quanti sono i tipi da produrre, di una lega di piombo nella matrice). Successivamente si ricompone il testo in una forma e si mantengono insieme i caratteri così composti a formare la pagina, senza che si separino o si spostino. Si inchiostra poi la forma con un inchiostro grasso, che non venga assorbito dalla carta come quello a base acquosa e si pressa insieme il foglio di carta e la forma tipografica, ma non con il rullo usato in xilografia (perché sciupa le pagine e le rende utilizzabili da un solo lato) bensì con il nuovo torchio da stampa.
Gli innumerevoli problemi tecnici di questa impresa occupano Gutenberg per vari anni e vengono da lui risolti soltanto nei primi anni Cinquanta del Quattrocento, quando probabilmente è già tornato a Magonza. Comunque, nel 1454 compaiono i primi stampati recanti una data certa: le indulgenze papali a favore dei contribuenti alla difesa di Cipro, minacciata dai Turchi. La stampa delle indulgenze è preceduta probabilmente dal Sibyllenbuch, mentre la critica più recente posticipa di un decennio il cosiddetto Calendario astronomico del 1448. Il Calendario turco, del dicembre 1454, è forse il primo libro stampato completo rimasto. Da questi testi rudimentali, tutti attribuibili con buona probabilità a Gutenberg, si distingue nettamente per qualità il primo capolavoro della tipografia, la Bibbia di Gutenberg (o delle 42 righe), nata in realtà dalla collaborazione tra Gutenberg, Johann Fust (1400 ca. - 1466) e Peter Schöffer (1425 ca. - 1502), e stampata già, almeno in parte, nell’ottobre del 1454. La prima opera fornita di colophon indicante editore, luogo e data di stampa (14 ottobre 1457) è invece il famoso Salterio di Magonza, sontuoso capolavoro realizzato magistralmente in tricromia da Fust e Schöffer, mentre Gutenberg pubblica opere di minore qualità, tra cui Donati, calendari, la Bolla contro i Turchi e la Bibbia delle 36 righe, stampata a Bamberga nel 1460. Ancora a Gutenberg è generalmente attribuito il Catholicon di Giovanni Balbi (?-1298), opera tipografica, come esplicita per la prima volta il colophon: nata cioè (nel 1460) “non con l’aiuto del calamo, dello stilo e della penna, ma dalla meravigliosa armonia di punzoni e matrici” (Non calami stili aut penne suffragio, sed mira patronarum formarumque concordia…).
La geografia dell’innovazione
Il sacco di Magonza del 1462 mette in ginocchio la città, provocando tra l’altro la diaspora di molti dei prototipografi, che riprendono l’attività nei vari luoghi dove trovano rifugio. Questo episodio accelera la diffusione della stampa in Europa, che d’ora in poi sarà rapidissima. La geografia della stampa, che è un’industria e deve realizzare utili, risponde a varie esigenze di carattere economico: prima fra tutte, dati gli alti costi di trasporto, la prossimità di un congruo bacino di utenza, e possibilmente di una cartiera; considerando l’internazionalità di una produzione libraria che avviene per oltre i tre quarti in latino, la vicinanza di un porto è forse l’ideale, per il minor costo del trasporto marittimo (esempi in questo senso sono Rouen, Siviglia, Anversa ecc).
Comunque, tra il 1460 e il 1470 aprono stamperie in una dozzina di località. A parte che in Germania, troviamo stampatori tedeschi anzitutto in Italia: a Subiaco, innanzitutto, dove Conradus Sweynheym (?-1477) e Arnoldus Pannartz (?-1476 ca.) già nel 1465 stampano il De Oratore di Cicerone, e nel 1467 – prima di trasferirsi a Roma – un bellissimo De Civitate Dei di sant’Agostino. Poi a Venezia e a Foligno. Nel 1470 anche a Parigi è attiva una stamperia. Nel 1480 sono presenti stamperie in oltre 110 città europee, alla fine del secolo in circa 240. La maggior parte di esse sono in Italia, dove spicca a lungo Venezia per numero di stampatori e qualità dei prodotti: la Hypnerotomachia Poliphili, stampata colà nel 1499 da Aldo Manuzio (1450-1515), era considerato il più bel libro del tempo.
La rivoluzione del libro
L’impatto socio-culturale della diffusione della tecnologia tipografica è naturalmente oggetto di ampi studi e dibattiti. Pietra miliare in questo senso è il saggio di Elizabeth L. Eisenstein (1923-), The Printing Press as an Agent of Change (1979; ed it. La rivoluzione inavvertita, 1985), che avversa la tesi continuistica e sostiene con forza, indagandola nel dettaglio, la frattura rivoluzionaria prodotta dal libro stampato.
Certamente è nel sec. XVI che l’innovazione dispiega pienamente i suoi effetti, mentre nel periodo degli incunaboli i mutamenti sono più sfumati e contrastati: il mondo universitario, pressoché autosufficiente grazie al sistema del manoscritto “peciato”, non recepisce subito l’innovazione; raffinati umanisti spregiano inizialmente il libro non miniato di carta stampata; inoltre, le novità culturali sono da cercare tra i manoscritti, dal momento che nel catalogo del tipografo sopravvive piuttosto il Medioevo (secondo l’osservazione del Michelet). Ma già nello scorcio del Quattrocento i documenti evidenziano la percezione esaltante di una enorme quantità di libri disponibili per tutti a un prezzo valutato circa un quinto di quello del corrispondente manoscritto.
Col tempo inoltre gli effetti si amplificano e si moltiplicano: la disponibilità di una varietà di titoli impensabile in precedenza, ancorché prevalgano i testi antiquati della tradizione medievale, incoraggia confronti e combinazioni stimolando il “distanziamento” critico e la creatività intellettuale; la “standardizzazione” favorisce gli scambi culturali a distanza, nella certezza dell’uniforme riferimento bibliografico; la quantità di stampati si rivela unico vero antidoto alla perdita irreparabile dei testi; con l’errata corrige e la riedizione, la correttezza testuale diventa per la prima volta un obiettivo perseguibile, e l’esatta determinazione del tràdito diventa il presupposto del procedere verso il nuovo.