Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La tradizione occidentale ritiene che il vetro sia stato scoperto da alcuni mercanti fenici in maniera assolutamente fortuita. I reperti archeologici testimoniano invece che i primi utilizzi di sostanze vetrose nel Levante risalgono già alla preistoria e dimostrano come l’“invenzione” del vetro sia il frutto di un processo durato svariati secoli.
Fin dalla preistoria gli artigiani del Vicino Oriente utilizzano sostanze vetrose di vario tipo come sostituti più economici delle pietre preziose. Già nel VI millennio a.C. è fiorente il commercio dell’ossidiana, un vetro nero e naturale di origine vulcanica che si forma a causa del rapido raffreddamento della lava, mentre a metà del V millennio a.C. inizia la produzione di faience, ottenuta da polvere di quarzo unita a carbonato di sodio e piccole quantità di acqua e argilla. La pasta così ottenuta, modellata a mano o in uno stampo, è portata ad una temperatura compresa fra gli 800° e i 950° in modo da farle formare una massa coerente per sinterizzazione, cioè senza portarla alla liquefazione. La sostanza ottenuta in questo modo può essere friabile o molto compatta con uno strato vetroso esterno. Questo rivestimento, detto invetriatura, è dovuto ai sali che, a causa dell’essiccamento del composto, emergono in superficie e fondono. Questa tecnica compare in una regione compresa fra Iran e Mesopotamia settentrionale, per poi diffondersi velocemente anche in Egitto – tanto velocemente che alcuni studiosi ritengono sia stata inventata qui.
Utilizzando sostanze alcaline come la soda o il piombo, è possibile applicare l’invetriatura oltre che alla faience anche ad altri materiali, ceramica o pietre morbide, che possono essere facilmente lavorati per ottenere perline, coppette o statuine. Sono famosi, ad esempio, gli oggetti di steatite invetriata realizzati in Egitto dalla fine del V millennio a.C. L’invetriatura di norma è abbastanza opaca da nascondere il materiale sul quale viene applicata e con l’aggiunta di ossidi minerali, come il cobalto, si riesce a variarne il colore e a riprodurre quelli delle pietre preziose, il blu dei lapislazzuli o l’azzurro-verde del turchese.
L’uso del vetro vero e proprio inizia molto più tardi e i reperti più antichi, per altro piuttosto rari, sono datati solo al III millennio a.C. I primi oggetti, sia mesopotamici che egiziani, sono di piccole dimensioni e sono prevalentemente perline o vaghi di collana che imitano pietre preziose.
Il vetro si ottiene da un misto di materiali fusi che raffreddando e solidificando non cristallizzano, mantenendo le proprietà dei liquidi (da un punto di vista fisico, infatti, il vetro è un liquido ad alta viscosità). La sua componente principale è la silice (o sabbia quarzosa), che si trova pura su alcune coste, dove l’incessante movimento delle onde purifica la sabbia, dissolvendo o trasportando in mare i minerali più leggeri. Alla silice si unisce la soda o il carbonato di potassio, ottenuto da ceneri vegetali, sostanze dette fondenti che ne dimezzano il punto di fusione portandolo a circa 1000°. Per stabilizzare la struttura del vetro ed evitare che la soda lo renda solubile in acqua, è fondamentale includere fra gli ingredienti anche della calce. La produzione avviene in forni all’aperto, nei quali i diversi componenti, mischiati in bassi crogioli, sono fusi e poi lasciati raffreddare per essere in seguito lavorati per intaglio o abrasione. La lavorazione può avvenire anche a caldo, quando la sostanza è ancora malleabile e può essere appiattita in fogli, tirata per formare bastoncini o premuta in stampi. Oggetti semplici e piccoli come perline, pendenti o amuleti possono essere lavorati ricoprendo di vetro fuso una verga metallica sulla quale devono poi essere modellati molto velocemente, poiché il vetro fuso solidifica in pochi minuti.
Per quasi un millennio il repertorio di oggetti in materiali vetrosi rimane limitato a piccole forme e i primi oggetti in faience di forma più complessa e di dimensioni maggiori compaiono solo nel Bronzo Medio. Le città palestinesi e siriane importano dapprima le produzioni egiziane del Medio Regno, statuine, contenitori per cosmetici e piccoli vasi, per poi iniziare ad imitarle localmente, fino a giungere alla creazione di nuove forme, come il bicchiere del XVI secolo a.C. a forma di testa femminile proveniente da Ebla, che anticipa una forma tipica del Bronzo Tardo.
La produzione di recipienti in vetro comincia nel XVI secolo a.C., verso la fine del Bronzo Medio. I più antichi reperti provengono da Alalakh, città nella quale sono attestati anche i primi vasi di terracotta invetriata. Nel Bronzo Tardo, vetri e terracotta invetriata si trovano abbinati ad oggetti in faience sia a Tell Rimah che a Nuzi, dove erano prodotti dalle stesse botteghe palatine. Le tre città menzionate sono orbitanti nell’area di influenza mitannica ed è probabile che le innovazioni introdotte nella lavorazione dei materiali vetrosi vadano collegate, come quelle dei metalli, con l’espansione hurrita.
Fra gli oggetti trovati a Nuzi, oltre a migliaia di perline, ci sono vetri che imitano le forme della ceramica contemporanea, calici, bottigliette piriformi e basse coppette, necessariamente di piccole dimensioni a causa della tecnica utilizzata, detta a nucleo friabile. Un nucleo composto da sabbia o argilla e da un collante naturale come il letame, modellato nella forma dell’oggetto desiderato e fissato ad una verga metallica, viene immerso nel vetro fuso oppure avvolto da strisce di vetro ancora malleabile. Prima che questo s’indurisca, viene lisciato facendolo ruotare su un piano di pietra. L’ultima operazione può essere ripetuta una seconda volta dopo che sono stati fatti colare sulla base, realizzata prevalentemente in vetro blu, i fili vitrei colorati (bianchi, gialli, ambra e azzurri) utilizzati per realizzare una notevole varietà di decorazioni di tipo geometrico. Terminato il lavoro, il nucleo friabile viene grattato ed eliminato, lasciando l’oggetto cavo.
Mentre i contenitori in vetro sono oggetti di lusso, provenienti tutti da contesti templari e palatini, gli ornamenti personali sembrano essere piuttosto diffusi fra tutti i ceti della popolazione e perline, pendenti o piccole statuine sono abbastanza comuni nelle tombe private.
Intarsi e applique di vetro sono utilizzati per decorare e rifinire oggetti realizzati in materiali diversi, legno, osso, avorio o ceramica, e possono essere impiegati anche come elementi decorativi architettonici. Le migliaia di perline senza foro trovate sul pavimento di un tempio a Nuzi, erano, ad esempio, applicate sui muri in crudo.
Col tempo sono sperimentate e si diffondono nuove tecniche di lavorazione, come quella, attestata dal XIII secolo a.C. ad Assur, del vetro mosaico, che si ottiene applicando su uno stampo piccoli dischi tagliati da barrette di vetro preconfezionate. Bloccandoli con l’apposizione di un secondo stampo esterno, i dischetti sono portati a una temperatura sufficiente a fondere il vetro senza liquefarlo, in modo che si uniscano fra loro ma senza mischiarsi.
Gli Egizi, che chiamano il vetro “la pietra che scorre”, conoscono queste produzioni solo alla metà del XV secolo a.C., in seguito alle campagne siriane di Thutmosi III e al ricco bottino che il faraone riporta in patria. Forse col supporto di maestranze straniere, inviate alla corte faraonica dai nuovi vassalli siriani, compare rapidamente anche una produzione locale e l’Egitto inizia a fabbricare in loco perline, scarabei, amuleti, intarsi, vasi configurati e contenitori per cosmetici. L’alto livello e la varietà di forme e colori che raggiunge in breve tempo la produzione egiziana, è ben dimostrata dai vetri mosaico di Malkata dell’epoca di Amenhotep III e dai ricchi ritrovamenti di vetri nella tomba di Tutankhamon.
Non si conosce con certezza la provenienza del materiale utilizzato per la fabbricazione del vetro in Egitto e nonostante Strabone citi l’esistenza di terre vetrose in loco, molti archeologi ritengono più probabile che le materie prime provenissero dall’estero, forse dalla Siria. L’esistenza del commercio di vetro grezzo è dimostrata dai ritrovamenti effettuati nel relitto di una nave cargo del XIV secolo a.C. affondata a Ulu Burun, al largo delle coste della Turchia meridionale. Fanno parte del carico della nave metalli, ebano, ambra, resine e avorio, ma anche perline di vetro e faience, nonché dei lingotti di vetro prelavorato, pronti per essere rifusi e modellati. L’origine della nave è sconosciuta, forse proveniva da qualche città della costa levantina, certamente aveva fatto tappa a Cipro, dove si era rifornita di lingotti di rame, e poteva essere diretta verso l’Egitto, per portare mercanzie o doni al faraone.
Alla fine del Bronzo Tardo, fra XIII e XII secolo a.C., in contemporanea al crollo della civiltà micenea e alla caduta degli Ittiti, decadono le grandi corti levantine e con loro cessa anche la produzione di vetro e faience. Il fenomeno raggiunge anche l’Egitto, dove da questo momento e per molti secoli si fabbricano esclusivamente vaghi di collana o applique.
La situazione inizia a mutare solo nel IX secolo a.C., quando nella zona levantina il vetro inizia ad essere utilizzato per intarsiare gli avori fenici. La produzione torna fiorente nel secolo successivo, quando iniziano a prodursi vasi monocromi verdi dalle pareti molto spesse, realizzati con il metodo della cera persa, mutuato dalla lavorazione dei metalli. La maggioranza degli esemplari sono coppe provenienti dall’Assiria; fra i rari oggetti a forma chiusa, il più noto è un alabastron, un balsamario trovato a Nimrud, noto come Vaso Sargon, che porta inciso sulla spalla il nome del grande re assiro e l’immagine di due leoni. Altri alabastron, dalle caratteristiche decorazioni a zig-zag, sono invece prodotti con il metodo del nucleo friabile.
Si producono anche piccoli vasetti modellati su verga, suppellettili da tavola e oggetti realizzati attraverso colatura; le forme principali sono di origine mesopotamica e dal VII secolo a.C. si diffondono in tutto il bacino del Mediterraneo. La produzione continua a crescere e produttori levantini di vetro s’installano a Rodi. Il commercio marittimo del vetro ha un’impennata e fra il VI secolo a.C. e l’età ellenistica: migliaia di ampolle e contenitori per oli e unguenti che imitano la ceramica greca, sono vendute in tutto il Mediterraneo da mercanti fenici e greci.
Con la caduta di Assiria e Babilonia, la tradizione mesopotamica è ripresa e rinnovata dagli Achemenidi, che fra V e IV secolo a.C. producono col metodo della cera persa raffinati vetri decorati e monocromi, trasparenti e incolori, a imitazione delle forme metalliche, utilizzati per le bevande. Grazie al loro influsso riprende anche la produzione egiziana.
Nonostante la grande inventiva nel creare nuove forme, durante l’Età del Ferro la tecnica utilizzata rimane quella dell’Età del Bronzo ed anche i testi sulla lavorazione del vetro trovati nella biblioteca di Assurbanipal a Ninive, potrebbero essere copie di tavolette più antiche.
La prima grande innovazione giunge solo nel I secolo a.C., quando sulle coste levantine viene sperimentata la tecnica della soffiatura, uno spartiacque nella storia del vetro, che velocizza notevolmente la produzione e permette di creare con una certa facilità un grande numero di forme.
Plinio il Vecchio
L’origine del vetro
Naturalis Historia, Libro XXXVI
Il testo che segue, tratto dalla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, racconta la leggenda secondo cui il vetro sia stato scoperto, in maniera del tutto fortuita e accidentale, da alcuni mercanti di soda fenici. In realtà scoperte e studi archeologici hanno dimostrato che l’uso del vetro e di sostanze vetrose, era già conosciuto dai tempi preistorici.
Quella parte della Siria che si chiama Fenicia e che confina con la Galilea include nel monte Carmelo una palude che si chiama Candebia. Si crede che da là nasca il fiume Belo, che dopo aver percorso cinque miglia sfocia nel mare, nei pressi della colonia di Tolemaide. Il suo corso è lento, le sue acque non sono buone da bere e tuttavia sono usate nelle cerimonie sacre; il suo letto è limoso, profondo e riversa nel mare le sue sabbie solo con la bassa marea. Perciò queste brillano, finché non sono agitate dalle onde e ripulite così dalle impurità; inoltre esse furono utilizzate solo nel momento in cui si pensò che avessero proprietà aspre e astringenti, tipiche dell’acqua salmastra. E proprio in un così piccolo litorale, non più largo di cinquecento passi, molti secoli fa ebbe origine il vetro. Si narra che una nave di mercanti di soda sia lì approdata; i mercanti, riversatisi sulla spiaggia, cominciarono a preparare le cibarie, ma non essendovi una pietra adatta a sostenere il focolare, posero sotto i calderoni dei pani di soda che avevano preso dal loro carico, ma quando li accesero dopo che essi si furono impastati con la sabbia, un rivo di nuovo, trasparente liquido cominciò a fluire; questa fu l’origine del vetro.