Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La Svezia si costituisce già nel corso dell’Ottocento a Stato costituzionale e movimenti di partecipazione democratica che si concretizzano in un sistema politico che, fin dagli anni Venti del Novecento, ha il suo centro nel partito socialdemocratico. Il lungo governo di questo gruppo politico subisce elementi di crisi nella seconda metà del secolo, quando il rapporto con l’Europa e la nuova situazione economica del continente influenzano il modello politico-sociale svedese.
Dalla monarchia costituzionale alla democrazia parlamentare
La Svezia è una monarchia costituzionale sul modello inglese sin dal XVIII secolo e risale al 1809 la Costituzione in cui si prevede che il re debba necessariamente appartenere alla Chiesa luterana e debba esercitare il potere esecutivo con l’assistenza del Consiglio di Stato, di cui nomina il primo ministro. Il parlamento, Riksdag, è eletto a suffragio limitato.
Anche la dinastia che regna tuttora nel Paese è presente sul trono svedese sin dai primi anni del XIX secolo, quando il re Carlo XIII Vasa – ultimo esponente della dinastia che aveva fondato la Svezia moderna staccandola dall’unione di Kalmar, egemonizzata dalla Danimarca, senza eredi, designa come suo successore il maresciallo francese Jean-Baptiste-Jules Bernadotte, con il nome di Carlo XIV. Il Paese, con le sue ricche risorse di materiali ferrosi, proprio nel corso dell’Ottocento usufruisce di uno sviluppo economico molto rapido, con l’espansione delle industrie del legno, dell’acciaio ecc. A esso si accompagna un cospicuo incremento demografico e una significativa modernizzazione delle attività agricole, ma non tale, tuttavia, da garantire la sopravvivenza alla maggioranza della sua popolazione che vive, all’epoca, in campagna. Proprio il mondo contadino svedese partecipa perciò ai grandi movimenti migratori che spostano una parte non piccola della popolazione europea verso le Americhe. Si calcola, infatti, che tra il 1850 e il 1920 abbiano lasciato il Paese circa un milione di emigranti. L’incremento del settore industriale realizza, invece, le condizioni per la nascita del movimento socialista, che ha alla sua guida Hjalmar Branting (1860-1925), prestigiosa figura del socialismo scandinavo, e che si appoggia su un forte movimento sindacale a partire dal 1898. Le resistenze rispetto alle esigenze della modernizzazione politica e sociale sono indebolite dalla rottura (1905) dell’unione che la Svezia aveva imposto con la forza alla Norvegia (guerra del 1814), dopo aver subito a sua volta la lacerazione, per opera della Russia, della Svezia nordorientale da cui (1809) era nata la Finlandia. Già nel 1909 il corpo elettorale passa dal 9,5 percento al 19 percento della popolazione, in ciò favorito anche dal quintuplicarsi, in mezzo secolo, del reddito pro capite; l’azione politica e sociale dei socialdemocratici consegue importanti riforme, per cui nel 1913 i lavoratori ottengono la pensione per la vecchiaia e nel 1918 la giornata lavorativa di otto ore. Per quanto riguarda l’organizzazione dello Stato, si assiste alla trasformazione della monarchia costituzionale sul modello liberale e censitario, in una democrazia parlamentare, nonostante una crisi politica che si verifica nel 1914. Tale trasformazione è favorita dalla neutralità svedese nella prima guerra mondiale. Le riforme costituzionali, introdotte fra il 1918 e il 1921 contribuiscono, alla fine, a realizzare completamente la democratizzazione del Paese, istituendo il suffragio universale, prima per gli uomini, poi per le donne.
Il Partito Socialdemocratico si sviluppa rapidamente e diventa nel 1920 il più grande e importante partito del Riksdag, dopo essersi liberato dalla sua componente rivoluzionaria, negli anni che vedono in Europa la frattura tra socialdemocrazia e comunismo sovietico. Gustavo V (1907-1950) applica rigorosamente le regole parlamentari e affida proprio a Branting la direzione del governo.
Senza interruzione i socialdemocratici restano alla guida dell’esecutivo e hanno la maggioranza assoluta nel Riksdag dal 1932 al 1976. In questo lungo periodo si realizza compiutamente il programma politico dei socialdemocratici e la Svezia diventa il Paese d’Europa in cui più compiutamente che altrove si realizza il welfare state.
La politica estera durante la seconda guerra mondiale
Come nella prima, anche nella seconda guerra mondiale la linea che osserva la Svezia in politica estera è quella della neutralità. Nonostante la sua dichiarata astensione, in seguito all’occupazione della Norvegia e della Danimarca da parte dei Tedeschi, il Paese è costretto, tra il 1940 e il 1943, a cedere grandi quantitativi di ferro e a subire il transito di truppe naziste nel giugno 1940 dalla Danimarca verso la Norvegia e nel luglio 1941 dalla Norvegia verso la Finlandia. Lodevole è comunque l’azione protettiva che il Paese svolge verso gli oppositori dei nazisti, con non pochi rischi quando il suo territorio subisce il passaggio delle truppe tedesche. I membri della famiglia reale si prodigano per svolgere un’azione umanitaria che testimonia la volontà dell’intera nazione di osteggiare la barbarie nazista, allo stesso modo va valutato l’impegno profuso da parte di tutto il popolo svedese nel cercare di porre qualche limite alle atrocità connesse alla guerra. Folke Bernadotte, nipote del re e presidente della Croce Rossa Svedese, oltre a compiere un’importante opera a favore dei prigionieri di guerra e dei deportati nei campi di concentramento nazisti, nel 1945 intraprende trattative con Heinrich Himmler (1900-1945) per tentare un’opera di mediazione tra gli Alleati e i Tedeschi.
Nonostante il suo appoggio agli Angloamericani e la sua azione fattiva verso la risoluzione del conflitto, la Svezia rimane fedele alla sua politica di non schieramento e, nel secondo dopoguerra, non aderisce alla NATO. Negli anni successivi in politica estera attua una linea di apertura verso le organizzazioni internazionali: entra a far parte dell’ONU nel 1946, poi diventa membro dell’OECE (Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica) nel 1948 e del Consiglio d’Europa nel 1949.
Verso la modernizzazione dello Stato
Il governo socialdemocratico di Per Albin Hansson (1885-1946), che resta in carica dal 1932 al 1946, e quello successivo di Tage Erlander (1901-1985), nonostante la guerra, guidano il Paese verso la modernizzazione, senza che il processo subisca interruzioni. La difficile congiuntura internazionale non blocca le riforme sociali, che entrambi gli esecutivi moltiplicano nel pieno rispetto delle istituzioni monarchiche (nel 1950 al re Gustavo V succede il figlio Gustavo VI), nella salvaguardia della sicurezza nazionale e dell’intesa tra gli Stati scandinavi. Nelle elezioni del 1962 il Partito Socialdemocratico raggiunge il massimo dei voti con una percentuale del 51 percento, ma alle elezioni successive nel 1966 subisce una perdita e ottiene il 42 percento dei voti. La crisi socialdemocratica, a ben vedere, appare un aspetto della generale crisi dell’Occidente di cui il pensiero critico della scuola di Francoforte sta sottolineando gli aspetti illiberali connessi alla società dei consumi. Una parte dell’elettorato svedese rivolge la sua preferenza, molto significativamente, verso il Partito Comunista che ottiene il 6,6 percento dei voti, una parte più cospicua verso i partiti “borghesi”, che presentano un programma comune sotto la denominazione Raggruppamento del Centro o Raggruppamento Borghese. Nonostante la sconfitta elettorale, il Partito Socialdemocratico mantiene la maggioranza nel parlamento, la guida del governo, viene riaffidata a Tage Erlander, a cui nel 1969 succede Olof Palme (1927-1986). Contestato da sinistra, il modello socialdemocratico svedese è anche eroso dalla crisi economica mondiale nell’età della guerra del Vietnam. Sul piano svedese, gli inizi degli anni Settanta portano con sé un forte aumento della disoccupazione, cosicché nel 1973 sono 170 mila i disoccupati su un totale di quattro milioni di persone attive. L’aumento della pressione fiscale, attuato dal governo per sostenere la ripresa economica, genera malcontento fra la popolazione e l’elettorato ancora una volta penalizza nelle elezioni del 1973 i socialdemocratici, che insieme ai comunisti ottengono gli stessi seggi del blocco borghese, formato da centristi, liberali e conservatori. Il partito che per circa un cinquantennio ha gestito il Paese registra alle legislative del 19 settembre 1976 una nuova sconfitta, e deve cedere la guida del governo alla coalizione borghese che ottiene il 50,7 percento dei voti e 180 seggi. La guida del primo governo del blocco borghese viene affidata al leader del partito centrista Thorbjorn Falldin (1926-). Appare subito e in modo evidente che i record di stabilità, che hanno caratterizzato la vita politica della nazione nei decenni precedenti non possono essere più raggiunti, difatti dopo soli due anni l’unità della nuova coalizione vacilla sul problema più scottante della vita politica svedese: la prosecuzione del programma nucleare per uso pacifico. Il primo ministro Falldin preferisce dimettersi e nell’ottobre 1978 Ola Ullsten (1931-), un esponente del Partito Liberale che conta nel Riksdag solo 39 deputati su 349, lo sostituisce nella carica, grazie anche all’astensione dei socialdemocratici di Palme. Ullsten pone al centro della sua azione di governo il rilancio dell’economia e la lotta alla disoccupazione. In effetti, nel 1979 la crescita economica raggiunge il 5 percento e la disoccupazione diminuisce del 2 percento. I risultati delle elezioni del settembre 1979 non premiano i centristi e i liberali, che subiscono un arretramento, sono invece favorevoli ai conservatori. Grazie al successo elettorale di questi ultimi la coalizione borghese ottiene in parlamento la maggioranza, sia pure di un solo seggio. La carica di primo ministro viene affidata nuovamente a Falldin, che questa volta demanda agli elettori la decisione sulla prosecuzione o meno del programma nucleare con risultati non definitivi. La ripresa economica e il nuovo governo “borghese” sollecitano un clima di effervescenza sociale e un rapido susseguirsi di scioperi, che nell’aprile-maggio 1980 interessano tutta la nazione. La mobilitazione sociale indirizza ancora una volta a sinistra il pendolo del consenso elettorale e sono proprio i socialdemocratici a vincere le elezioni per il rinnovo del Riksdag con il 45,9 percento dei voti. È nuovamente Palme a guidare un governo monocolore, che può contare sull’appoggio dall’esterno dei comunisti e che, come primo atto di questo suo nuovo mandato, svaluta la moneta del 16 percento, istituisce i fondi salariali (1983), che fanno scoppiare lo scontento fra gli imprenditori, i quali manifestano contro questa decisione che trasferisce ai sindacati parte degli utili delle aziende. Anche la sua politica estera suscita critiche, in particolare la debole reazione alle continue incursioni di sommergibili sovietici nelle acque territoriali svedesi. In realtà essa si mantiene nel solco della tradizione neutralista della socialdemocrazia svedese e assume una posizione di equidistanza critica verso i missili americani e sovietici installati in Europa. Proprio in questo clima di contestazione, talvolta anche estrema, di una parte dell’opinione pubblica che si oppone alla “debolezza” del neutralismo socialdemocratico, il 28 febbraio 1986 Palme viene assassinato. La vicenda – come si comprende – ha una larga risonanza internazionale e a un anno dalla morte di Palme, Hans Holmer (1930-2002) viene esonerato dall’inchiesta sull’assassinio e dalla carica di capo della polizia di Stoccolma. Il socialdemocratico Ingvar Carlsson (1934-) sostituisce il defunto alla guida del governo. Agli inizi degli anni Novanta in Svezia l’imposizione fiscale supera ogni record, il risultato di una tale politica vede un Paese dove è quasi inesistente il divario tra i redditi più alti e quelli più bassi e con un tasso di disoccupazione minimo. Ma è oltremodo evidente che gli andamenti alterni del mercato internazionale, sotto la spinta dei primi effetti della globalizzazione, data la rigidità del sistema finanziario pubblico svedese, si traducono in cospicue oscillazioni politiche legate ai momenti di squilibrio economico. Da qui una nuova flessione elettorale per la sinistra che deve cedere la guida del governo a una coalizione di centro-destra, guidata dal conservatore Carl Bildt (1949-), la quale resta in carica dal 1991 al 1994. Nel corso di quest’ultimo anno, in seguito ai risultati delle elezioni legislative, il Partito Socialdemocratico con il leader Carlsson ritorna alla guida del governo. Di particolare significato il successo ottenuto dalle donne, che non solo si assicurano un’alta percentuale di rappresentanti in parlamento, quanto, nel nuovo governo socialdemocratico, occupano la metà dei ministeri. Una delle priorità che intende perseguire questo esecutivo è il risanamento del bilancio dello Stato e il contenimento dell’inflazione, ma la realizzazione di questi obiettivi implica la parziale penalizzazione del sistema di protezione sociale. L’adozione di simili misure determina un certo malcontento in una parte dell’elettorato che indirizza le sue scelte verso altre posizioni, per cui alle elezioni del 1998 il Partito Socialdemocratico, guidato da Göran Persson (1949-), anche se riesce a mantenere la maggioranza, subisce una flessione di consensi, che confluiscono nel partito degli ex comunisti della sinistra. Come altri Paesi scandinavi, anche la Svezia resta fuori dall’Unione monetaria europea, dimostrando un flebile sentimento europeista, tanto più che la scelta definitiva di aderire all’euro, viene rimandata a una consultazione referendaria che si svolge, con esito negativo, nel settembre del 2003.
Il Paese entra perciò nel nuovo millennio con la preoccupazione di mantenere inalterato il livello di vita e di protezione sociale raggiunti che una parte dell’opinione pubblica ritiene, in qualche misura, minacciati da un accentuarsi dei legami economici con l’Unione Europea, di cui la Svezia fa parte (nel 2001 svolge la funzione di presidente di turno): un atteggiamento cautamente conservatore delle proprie peculiarità nazionali, che premia ancora una volta il Partito Socialdemocratico e la sua politica di difesa dello Stato sociale nelle elezioni del settembre 2002. Questo non significa che il governo non esprima, su altri campi, posizioni innovatrici: smantella il parco nucleare svedese; scioglie i legami privilegiati che lo Stato mantiene con la Chiesa luterana di Svezia che dal 1544 rappresenta la religione ufficiale degli Svedesi; nel luglio del 2000 inaugura un ponte-tunnel che collega il Paese alla Danimarca.