Netflix, la teleabbuffata
Nel passato ha contribuito non poco al fallimento della catena del videonoleggio Blockbuster, oggi Netflix lancia il suo guanto di sfida alle tv tradizionali e c’è già chi trema.
A prima vista, non è che una delle tante innovazioni tecnologiche che grazie alla rivoluzione digitale irrompono a ritmi sempre più serrati nelle nostre esistenze quotidiane: una piattaforma di streaming di film, serie tv e altri contenuti ondemand, accessibili in qualsiasi istante grazie a una semplice connessione Internet. In realtà Netflix, che nell’ottobre 2015 sbarca anche in Italia (oltre che in Spagna e Portogallo) dopo essersi già ben piazzata su tutto il mercato europeo, non è soltanto la più importante piattaforma di streaming on-demand al mondo, ma è anche l’emblema di quelle aziende che tecnicamente vengono definite on-line networks, cioè società prive di una propria infrastruttura (da qui la definizione, negli Stati Uniti, di over the top content) che sfruttano attraverso Internet la possibilità di offrire servizi e contenuti. Rispetto ai colossi televisivi dell’era precedente, i cosiddetti broadcast network, gli on-line networks hanno un vantaggio competitivo fenomenale: le spese di gestione e strutturali sono ridotte all’osso.
Nata nel 1997 come sito che offriva servizi di noleggio di film e di videogiochi via Internet, e trasformatasi nel 2008 in televisione online rerun (cioè specializzata nell’offerta di grandi volumi di contenuti seriali e cinematografici messi in onda, in replica, sui principali network americani), nel 2011 Netflix acquista i diritti per la prima ritrasmissione di tutti i prodotti DreamWorks, in precedenza di proprietà di HBO. Il passo verso l’autoproduzione è breve: dal 2012 Netflix comincia a produrre la maggior parte dei titoli seriali presenti nel proprio catalogo, investendo grandi somme di denaro in produzioni seriali di alto livello qualitativo, originali ed esclusive. Il risultato è che nel giro di pochi mesi Netflix supera i 50 milioni di abbonati in tutto il mondo, con una library che tra film, serie e documentari sfiora i 100.000 titoli. I guadagni sono da capogiro, con incrementi a due cifre, di anno in anno, rispetto ai fatturati dell’anno precedente.
A detta di molti, il segreto del successo di Netflix sta soprattutto nella grande attenzione dell’azienda verso i gusti dei suoi di investire in una nuova clienti, che vengono raccolti in un produzione, Netflix vuol essere database e analizzati con grande certa che il pubblico la gradisca: e attenzione prima di mettere a per far sì che questo accada si punto le nuove scelte produttive e impegna a produrre per lo più solo le nuove strategie editoriali. Prima progetti compatibili con i gusti consolidati del pubblico, con ciò che già piace, con il sistema di attese attentamente radiografato.
Ciò significa – in estrema sintesi – che il nuovo è sacrificato in favore del sempre uguale e che il pubblico viene blandito con l’infinita riproposta di ciò che già sa e conosce invece che con la promessa della scoperta del nuovo. Non a caso, il primigenio modello televisivo di Netflix è la tv rerun, cioè, come abbiamo detto, la celebrazione infinita della replica.
Si tratta, in tutta evidenza, di una linea strategica ed editoriale marcatamente conservatrice, che in nome dell’ottimizzazione del profitto rinuncia a far scoprire al proprio pubblico il nuovo e a proporre sul mercato artefatti finzionali e narrativi capaci di modificare il gusto e la sensibilità.
L’altro elemento alla base del successo di Netflix è la scelta di rendere disponibili simultaneamente tutti gli episodi di una serie televisiva di successo, in modo da consentire un consumo non più rituale e scandito secondo le logiche e le attese del vecchio palinsesto televisivo, ma basato su quello che gli americani chiamano binge-watching, l’abbuffata: «13 episodi in una volta sola» era lo slogan con cui l’attore Kevin Spacey presentava e offriva al pubblico la più celebre fra le serie prodotte da Netflix, House of cards.
Se la vecchia tv – tanto la free quanto la pay – costruiva se stessa attirando inserzionisti a colpi di fasce orarie e di target, e basava spesso sulla programmazione e sulla contro-programmazione le proprie strategie editoriali, Netflix fa piazza pulita di tutto ciò, manda in soffitta categorie come target e audience e offre al pubblico la possibilità di consumare ciò che vuole quando vuole. La visione si svincola definitivamente dalla messa in onda: tutto è lì, sempre disponibile, basta un semplice clic (e una carta di credito…). E lì c’è qualcosa che certamente ti piacerà perché assomiglia molto a ciò che ti è già piaciuto. «Non ci sono inserzionisti su Netflix. Non devi scrivere per un target», ha dichiarato Martha Fran Kauffman, sceneggiatrice di Grace and Frankie, una divorce-comedy interpretata da Jane Fonda e Lily Tomlin, tra i prodotti Netflix di maggior successo. Sempre nell’ottica di riproporre ciò che ha già avuto successo, Netflix ha letteralmente resuscitato serie cancellate da altri networks benché mantenessero un buon seguito di pubblico: è il caso di una serie come Arrested development, cancellata da Fox ma per cui Netflix ha ordinato altri 15 episodi, e di The Killing, cancellata da AMC ma di cui Netflix ha prodotto un’ultima stagione, visibile solo dai suoi utenti in esclusiva streaming.
Dal punto di vista dell’espansione nei mercati dell’entertainment, Netflix è sbarcata nel 2011 in Canada e America Latina, nel 2012 in Gran Bretagna, nel 2013 in Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia e nei Paesi Bassi, nel 2014 in Germania, Francia, Austria, Belgio, Svizzera e Lussemburgo, mettendo quasi sempre in difficoltà sia i piccoli player online nazionali sia i grandi canali satellitari.
In Spagna e Italia Netflix arriva solo nel 2015, con un ritardo dovuto a 2 motivi molto precisi: in Spagna l’altissimo tasso di pirateria presente nel paese, in Italia l’arretratezza delle infrastrutture necessarie per lo streaming on-demand (banda larga, ADSL, fibra). Quando sbarca in una nazione nuova, Netflix cerca di farsi accettare mettendo in cantiere prodotti fortemente legati all’identità locale ma capaci di comunicare con il pubblico internazionale, secondo una strategia tipicamente glocal. Per affermarsi in America Latina, per esempio, ha prodotto una serie come Narcos, al Nord Europa ha dedicato Lilyhammer e per lo sbarco in Italia ha investito 90 milioni di dollari nella produzione di Marco Polo, una serie kolossal in 10 episodi – interpretata tra l’altro anche da attori italiani come Lorenzo Richelmy e Pierfrancesco Favino – sulla figura del viaggiatore veneziano che arrivò fino alla corte del Gran khan.
E tutti i titoli della library Netflix sono disponibili sia in lingua originale con sottotitoli sia doppiati nella lingua locale, in modo da aggirare ogni possibile attrito nella decisione di procedere alla visione in streaming di questo o quel prodotto.
Reed Hastings
Reed Hastings è l’amministratore delegato di Netflix, nonché suo cofondatore.
Oggi è un 55enne miliardario di successo, ma da giovane faceva il volontario nello Swaziland come insegnante di matematica. A suo dire, un vissuto decisivo per la sua maturazione umana e anche professionale perché, dopo quella esperienza, «essere un imprenditore non è stato affatto un’impresa così ardua».
La svolta della sua vita avviene nel 1996 per un banale episodio di vita quotidiana, alla Sliding doors per intenderci. Si tratta di un’ammenda di 40 dollari da pagare per la tardiva restituzione della videocassetta di un film allora molto in voga, Apollo 13. Per Hastings, una sanzione insopportabile che lo spinge a reinventare completamente la logica del videonoleggio. Un anno dopo, infatti, insieme a Marc Randolph, suo amico fraterno, lancia sul web la piattaforma che avrebbe rivoluzionato il business del videonoleggio, mandando in rovina dapprima la catena Blockbuster e finendo per creare poi non pochi incubi ai grandi magnati della televisione, da Murdoch a Berlusconi.
Sono 2 le principali novità della nuova azienda. La prima, il noleggio avviene solo sul web con recapiti e restituzioni effettuati per posta; la seconda, si paga una flat rate mensile senza limiti né nel numero di noleggi né nelle scadenze da rispettare per la restituzione, non essendoci alcuna sanzione per i ritardi. L’iniziativa imprenditoriale si rivela assolutamente gradita al pubblico tanto che nel 2004 si arriva a noleggiare il miliardesimo dvd. Poi nel 2008 Hastings decide un’altra mossa, quella che dà lo scacco matto alla concorrenza: accanto alla distribuzione dei video via posta, si affianca l’offerta della loro fruizione online.
Nasce così la più importante tv on-demand del pianeta. Ma quella è una storia tutta ancora da vivere per poterla raccontare.
I numeri dell’azienda
Dopo il recente sbarco in Italia, Spagna e Portogallo, Netflix punta per il 2016 decisamente ai mercati dell’Estremo Oriente, in primis al Giappone. Attualmente sono circa 66 milioni gli abbonati al servizio di video streaming dislocati in oltre 50 nazioni. Netflix vanta un fatturato di 5,5 miliardi di dollari ed è quotata al NASDAQ: le sue azioni hanno raggiunto oggi un valore record 45 volte superiore rispetto a quello posseduto nel 2002. Notevole la quantità prodotta di contenuti originali (in 3 anni circa 320 ore tra cui 3 film e 18 serie televisive) ma anche la qualità, testimoniata da 45 nomination agli Emmy award con 16 vittorie, 13 al Golden globe con 2 riconoscimenti e 2 nomination all’Oscar. Il pubblico si dimostra sempre più dipendente da tale modalità di fruizione e le ore complessive di trasmissione richieste in un mese dagli utenti di Netflix hanno recentemente toccato la quota record di 10 miliardi.
Noleggio dvd
Nonostante la svolta verso il video-streaming, Netflix non ha alcuna intenzione, almeno per ora, di rinunciare al noleggio per posta di dvd dal momento che, seppure in netta flessione, ancor oggi gli assicura 5,5 milioni di utenti che, concentrati per lo più in zone rurali dove la connessione Internet non è ancora sufficientemente veloce per lo streaming, continuano ancora a garantire rilevanti incassi all’azienda.
Il dipendente da coccolare
Dentro Netflix i circa 2000 dipendenti sono molto coccolati: lavorano in uffici in cui non ci sono orari al punto che a nessuno interessa quando si timbra il cartellino. Chi lavora per Netflix non solo è tra i più pagati nel campo dell’hitech, ma può anche scegliere come suddividere il suo compenso tra azioni della società e contanti. Dall’agosto 2015 il gigante delle tv on-demand si è messo alla testa di un drappello di grandi imprese americane in termini di benefit accordati ai dipendenti, per esempio concedendo fino a un anno di congedo parentale pagato, siano essi donne o uomini, per l’arrivo di ogni nuovo nato.