Vedi LA TENE, Civilta di dell'anno: 1961 - 1995
LA TÈNE, Civiltà di
La Tène è una stazione sulla riva orientale del lago di Neuchätel, nella Svizzera occidentale, dove, nel 1855, furono rinvenuti nel Canale di Thìèle (di collegamento tra i laghi di Biel e di Neuchätel) circa 2500 oggetti, per lo più spade, punte di lancia, umboni di scudo, finimenti equini (morsi, falere, ecc.), fibule e anelli. I caratteri del giacimento sembrano escludere che esso si sia formato dai comuni avanzi di un abitato; è molto più probabile che si tratti di un luogo di sacrifici, nel quale, per un tempo piuttosto lungo, circa un secolo (tra III e II sec. a. C.), vennero gettate in acqua armi ed altri oggetti di equipaggiamento guerresco.
I rinvenimenti di La Tène costituiscono un complesso tipologico talmente caratteristico, che da essi ha preso nome (lo troviamo usato per la prima volta da H. Hildebrand nel 1874) la civiltà della più recente Età del Ferro preromana dal medio bacino del Danubio fino alla Francia, che venne così contrapposta alla più antica Età del Ferro preromana, la cosiddetta epoca di Hallstatt (v.).
1. - L'area centrale della civiltà di L. T. è costituita da Francia, Inghilterra, Germania meridionale, Svizzera, Austria, Cecoslovacchia e Ungheria. Nella Spagna, Italia settentrionale, Jugoslavia, Transilvania e Germania centrale essa confina con altre culture contemporanee: la iberica, l'etrusca e la veneta, l'illirica, la dacica e quella germanica. Poiché gli scrittori antichi (a partire da Erodoto ed Ecateo di Mileto) indicano col nome di Celti o Galli le popolazioni, che precedentemente all'età imperiale romana erano insediate nella zona di diffusione della civiltà di L. T., è giustificato definire come celtica questa cultura. Con ciò ci è dato, per la prima volta nell'Europa centrale e occidentale, di mettere in rapporto una civiltà preistorica con un nome etnico storicamente attestato (v. anche celtica, arte).
Per quanto riguarda la cronologia della civiltà di L. T., questa viene comunemente distinta in quattro fasi evolutive, chiaramente definibili in base al patrimonio di forme e ad altri caratteri culturali (costumanze funerarie, tipi di insediamento, ecc.), cui si dà il nome di La Tène A, B, C, D. La prima è sicuramente datata al V sec. a. C. grazie a numerosi pezzi di importazione dalla Grecia e dall'Etruria. La cronologia della seconda fase trova solide basi sia nel fatto che singoli pezzi di importazione dall'Italia, del IV sec., compaiono in tombe, ad essa riferibili, della Germania meridionale, sia nella circostanza che le fogge tipiche di questo periodo si riscontrano nelle più antiche necropoli celtiche dell'Italia settentrionale, che abbiamo buoni motivi per collocare nel secolo in cui si verificò la calata di Brenno su Roma; sicché questa fase sarà da porsi grosso modo nel IV secolo. Segue la fase La Tène C, per la quale sono caratteristiche le fogge rinvenute nella stazione eponima, e che nel suo complesso si potrà attribuire al III e Il secolo. L'ultimo periodo (D) appartiene ai tempi immediatamente precedenti la conquista delle Gallie da parte di Cesare, come pure ai decenni successivi, pressappoco fino ai primi anni dell'età imperiale romana: in breve, al I sec. a. C.
La civiltà celtica di L. T. riceve la sua caratteristica impronta dal fatto che in essa, sul tronco di una forte tradizione locale hallstattiana, si innestarono stabilmente influenze provenienti dall'area delle superiori civiltà mediterranee, che vennero elaborate, trasformate e fuse coi caratteri intrinseci alla sua natura; sicché essa costituisce nell'Europa centrale un passaggio tra le culture puramente preistoriche dei tempi precedenti e la civiltà storica dell'Impero romano. In tutti i periodi preistorici, dal Neolitico in poi, l'Europa centrale aveva intrattenuto contatti con i paesi mediterranei; e si possono seguire le influenze culturali, nate da questi rapporti, di fase in fase. Tali influssi avevano assunto un carattere particolare nella tarda civiltà hallstattiana del VI sec. a. C. (v. hallstatt, civiltà di) che immediatamente precedette l'età di La Tène; così, se nel V sec. riscontriamo un numero notevole di pezzi di importazione dal S negli abitati e nelle sepolture dei Celti, e se anche nello stile dell'arte celtica di questo periodo si fanno chiaramente sentire i modelli classici, ciò costituisce in certo senso una continuazione organica di qualcosa che già allora aveva cominciato a prender corpo. Si tratta in primo luogo delle conseguenze di un intenso traffico, che, attraverso i passi delle Alpi orientali e occidentali, oltre che da Marsiglia, su per il Rodano, perveniva all'entroterra celtico. Un altro fattore sarà stato rappresentato anche da singoli artigiani, che dal S vennero nei paesi celtici e posero la loro arte al servizio di principi, o al contrario da artigiani o schiavi celti, recatisi in Italia ad apprendervi arti e procedimenti tecnici, applicati poi al loro ritorno in patria. Tali rapporti vennero particolarmente intensificati dalle migrazioni che condussero i Celti nel IV, III e II secolo in Italia e in Grecia. Livio ci ha tramandata la leggenda celtica, secondo la quale sotto il regno del re Ambigatus i suoi due nipoti Bellovesus e Sigovesus si sarebbero mossi con grandi schiere di popolo, l'uno - seguendo l'auspicio degli uccelli - verso l'Italia, l'altro verso la foresta ercinia, cioè a dire giù per il Danubio. Ci sono noti inoltre la calata di Brenno su Roma (387 a. C.) e l'invasione celtica della Grecia circa un secolo più tardi, come pure il successivo passaggio in Asia Minore e la fondazione del regno galata nell'Anatolia settentrionale. Queste invasioni, che non rappresentarono esclusivamente delle spedizioni di guerra e di razzia, ma anche vere e proprie migrazioni di popoli, condussero a un parziale insediamento dei Celti nell'Italia settentrionale come pure nei Balcani e in Asia Minore, e li portarono a contatti anche più vasti con gli altri popoli e stati del Mediterraneo. Poiché però questi gruppi celtici restarono permanentemente in rapporto con i loro consanguinei dell'Europa centrale, è evidente che per questa via svariati e ricchi stimoli culturali affluirono dal S nei territori celtici dell'Europa centrale.
Non vi fu probabilmente mai una vera e propria unità etnica celtica; e anche la civiltà di L. T., che pure come celtica va indicata, mostra, nell'insieme della sua area di diffusione, parecchie varietà regionali e caratteristiche particolari. Ciò dipende innanzi tutto dalla scarsa omogeneità dell'eredità hallstattiana, diversa a seconda che si tratti della Transilvania o della Boemia, della Germania meridionale o della Francia e dell'Inghilterra; ma in secondo luogo dipende anche largamente dai differenti rapporti regionali che le singole province della civiltà hallstattiana intrattenevano con gli ambienti culturali loro vicini. Tuttavia, nonostante queste varietà regionali nell'ambito della civiltà di L. T. (che appaiono molto più evidenti nelle fasi più antiche che in quelle più recenti), gli elementi comuni che si possono rilevare sono talmente tanti, da giustificare che si parli della civiltà di L. T. come di un fatto unitario.
2. - I modi di insediamento proprî della civiltà di L. T. sono condizionati dalle strutture sociali ed economiche che vi dominavano. Vi erano sia sedi di principi, sia villaggi più o meno grandi, sia, specie nella fase più recente, città. Le sedi principesche ci sono note soprattutto per le fasi più antiche (ad esempio la Heuneburg sull'alto Danubio). Esse rappresentano un ulteriore organico sviluppo di analoghe strutture della civiltà hallstattiana, sia dal punto di vista topografico, sia anche probabilmente in rapporto alla continuità delle stirpi dinastiche che vi dobbiamo presupporre. L'insediamento della prima età di La Tène sulla Heuneburg, come gli altri analoghi di quest'epoca, è circondato da robuste mura, formate da impalcature di legno riempite con terra e pietre. Le abitazioni celtiche erano in generale costruzioni in legno, che o si affondavano direttamente nel terreno per mezzo di palificazioni portanti, o poggiavano su zoccoli in muratura di pietre. Nella più antica età di La Tène, oltre alle sedi principesche, esistevano solo insediamenti con carattere di villaggi, più o meno grandi, cui tutt'al più si aggiungevano i refugia, luoghi circondati da valli, frequentati dalle popolazioni solo nei periodi di irrequietudini belliche. Nel periodo intorno e dopo il 200 a. C., sotto l'influenza ellenistica e romana, sorsero tuttavia in tutto il territorio celtico vere e proprie città, i cosiddetti oppida, come li chiamano le fonti classiche. Di queste città celtiche ne conosciamo in Francia (ad esempio Gergovia, la capitale degli Arverni, sul Mont Gergoy a S di Clermont-Ferrand; Avaricum, la capitale dei Biturigi, presso Bourges; Noviodunum, nel territorio degli Edui; Uxellodunum, la capitale dei Cadurci, l'odierno Puy d'Issolud sulla Durance; Alesia, la capitale dei Mandubii, sul Mont Auxois presso Alise-Sainte-Reine; Bibracte, la capitale degli Edui); in Inghilterra (ad esempio Camulodunum); Germania meridionale (ad esempio Otzenhausen nel territono di Treviri; Altenburg presso Niedenstein nell'Assia inferiore; Goldgrube, nel Taunus; Finsterlohr nel Württemberg; Manching [v.] presso Ingolstadt nell'alta Baviera; Houbirg presso Happurg nella media Franconia; Alteburg presso Arnstadt nella Turingia); in Cecoslovacchia (ad esempio Hradischt presso Stradonitz, non lungi da Praga; Staré Hradisko presso Prossnitz); in Austria (ad esempio il Magdalensberg [v.] presso Klagenfurt), e in Ungheria (Velem St. Vid). Noi troviamo dunque gli oppida lungo l'ampia fascia celtica, che si stende tra le civiltà mediterranee a S e l'area degli insediamenti germanici a N. Ai tempi della tarda età di La Tène i Germani avevano, a differenza dei Celti, un modo di vita e un'economia puramente agricoli, cui erano ignoti gli insediamenti urbani.
Circa la struttura e l'importanza delle città celtiche possiamo ricavare qualche notizia dalle fonti classiche, soprattutto dai Commentarii de bello Gallico di Cesare: esse erano, sia dal punto di vista politico che da quello economico e cultuale, i centri di circondarî più o meno vasti. Qui abitava la nobiltà, principi e notabili; qui era concentrato l'artigianato e l'industria; qui si stabilivano i commercianti, che avevano nelle loro mani la distribuzione dei beni sia tra la popolazione cittadina, sia tra quella del contado circostante; qui si trovavano i santuarî centrali e più importanti, e, in connessione con questi, le abitazioni della classe sacerdotale e le sedi dove essa svolgeva le sue attività. Il quadro che possiamo ricavare dalle fonti classiche intorno alle città celtiche viene confermato e fortunatamente integrato dagli scavi fino ad oggi intrapresi sul sito di alcune di esse. Per quanto riguarda la ragguardevole estensione di tali città (ad esempio Bibracte, 135 ha; Manching, 380 ha), solo in poche località hanno fino ad ora avuto luogo ricerche di una certa entità. A questo proposito va citato in primo luogo l'oppidum di Bibracte, sull'odierno Mont Beuvray presso Autun (secondo Cesare, Comm. de bell. Gall., vii, 55 "oppidum apud Haeduos maximae auctoritatis"). La città si estendeva su cinque colli ed era racchiusa da mura lunghe 5 km; la struttura di queste mura è descritta da Cesare (op. cit., vii, 23) come un murus gallicus, consistente in un'impalcatura di travi di legno connesse per mezzo di chiodi, riempita alternativamente con terra e con pietre, nonché rivestita sulla facciavista anteriore con un muro a secco di pietre disposte a strati e, su quella posteriore, da una scarpata di terra. Gli scavi all'interno della cinta muraria permisero di riconoscere l'articolarsi del centro urbano in tre quartieri. Nella parte a N, con un'estensione di circa 500 m, fu individuato il quartiere artigianale, che era costituito da capanne fittamente disposte, di diverse grandezze, con zoccolo in muratura e pareti di legno, in parte case di abitazione, in parte botteghe. In particolare si poterono riconoscere e localizzare officine per la fusione, o per la lavorazione del ferro, fonderie di bronzo e botteghe di smaltatori; si trattava evidentemente di un gran numero di piccole imprese, e non di poche grosse industrie. Nel secondo quartiere doveva abitare la nobiltà. In ragguardevoli edifici qui scoperti, che per la forma si accostano strettamente alle case di abitazione italico-romane dell'ultimo secolo a. C., sono distribuiti in ordine sparso per tutta la dorsale di una delle colline. In uno di questi edifici, particolarmente grande, di 70 m di lato, a pianta quasi quadrata, si raggruppavano, intorno a un cortile centrale con peristilio, 30 ambienti, alcuni dei quali con decorazioni pittoriche. La struttura complessiva, oltre a varie particolarità decorative e tecniche (ad esempio condutture d'acqua, decorazione a mosaico formata da ciottoli e frammenti di mattoni), dimostra che qui le villae urbanae dell'Italia vennero imitate dai notabili gallici della tarda età di La Tène. Le anfore vinarie italiche, presenti in abbondanza, come pure gli altri articoli di lusso della stessa provenienza ci attestano l'importanza dell'influsso civilizzatore dei Romani, accolto, già prima della conquista del paese da parte di Cesare, dalla classe dominante gallica. Nella parte meridionale dell'oppidum di Bibracte si trovava, al di sotto dell'odierna cappella di S. Martino, un tempio quadrato, che fu in funzione dai tempi di Augusto a quelli di Valentiniano I e che, a sua volta, era stato eretto sul luogo di un santuario della tarda età di La Tène, costruito in legno: era probabilmente il centro religioso dell'oppidum e forse addirittura di tutta la stirpe degli Edui.
Anche in altri oppida (ad esempio nell'Otzenhauser Ring) si può rintracciare, dall'età celtica (nonostante l'abbandono dell'abitato), attraverso l'età imperiale romana fino al Medio Evo e all'epoca moderna, quella stessa continuità di un luogo di culto, che abbiamo constatata per Bibracte. In parecchi casi (come sul Mont Beuvray o a Manching) si è inoltre conservata fino all'età moderna la significativa pratica dei mercati annuali, connessi a particolari festività che avevano luogo sul sito degli oppida celtici, o nelle immediate vicinanze: anche questa certo un'eredità di quegli antichi centri.
Gli oppida celtici sono spesso situati su alture o altipiani di facile difesa, ma talvolta anche in terreno pianeggiante. Così l'oppidum di Manching, che conosciamo da vasti scavi eseguiti negli ultimi anni, si trova nella valle del Danubio, ed è protetto su due lati da estese zone paludose. La larghezza con cui si procedette all'impianto della città è messa in evidenza dal fatto che un torrente, che precedentemente scorreva nell'area dell'oppidum, venne appositamente deviato e fatto girare all'esterno delle mura cittadine. La distribuzione delle tracce di abitazione allo interno delle mura consente di riconoscere una costruzione unitaria, su vaste superfici, cioè a dire una disposizione pianificata della rete stradale e delle aree edificabili. La coniazione di monete d'oro e d'argento, attestata (da forme di fusione in argilla per i piastrini metallici) per diversi oppida (ad esempio Bibracte, Camulodunum, Manching, Hradischt presso Stradonitz e Staré Hradisco) ci offre la testimonianza archeologica del fatto che in questi siti, accanto alle residenze, costruite secondo i moderni italici, della nobiltà e dei grandi proprietari terrieri, avevano le loro sedi i detentori del potere politico, principi o re.
3. - Attraverso i contatti con la civiltà ellenistica e con quella romana i Celti avevano imparato a conoscere la monetazione e l'avevano adottata, assieme a tutti quei rapporti economici che ne derivano. In ciò le singole stirpi celtiche, dalla Francia e dall'Inghilterra fino all'Ungheria, seguirono per lo più vie diverse, in quanto ciascuna si ricollegò a questo o a quel tipo di coniazione del mondo classico, elaborandolo poi ulteriormente. Per prime sembra che alcune stirpi celtiche della Gallia meridionale, nel periodo intorno al 400 a. C., abbiano adottato ed imitato le monete d'argento massaliote. Le popolazioni della Gallia centrale e settentrionale si basarono invece sugli stateri d'oro di Filippo Il di Macedonia (379-336), mentre i Belgi preferirono e imitarono, al posto degli stateri di Filippo con la testa di guerriero e la biga, quelli tarantini con la figura di Eracle. Accanto a queste, già in età precesariana, ebbero corso e furono prese a modello in Gallia anche le monete romane. Contrariamente ai Celti occidentali, quelli orientali, specie nell'Austria, Ungheria e Cecoslovacchia, assunsero come prototipi per la propria monetazione i tetradracmi d'argento della Macedonia. Un'altra notevole distinzione tra la monetazione celtica occidentale e quella orientale consiste nel fatto che mentre in Occidente, per i continui rapporti con le regioni mediterranee, vennero adottati sempre nuovi tipi, in Oriente si mantennero quelli accolti inizialmente, e si passò per lo più alla coniazione delle cosiddette "scodelline dell'arcobaleno" d'oro (Regenbogenschùssekhen).
Si è supposto che lo stimolo all'adozione del sistema monetario sia dovuto ai mercenari celti, che servirono negli eserciti dei sovrani ellenistici. Ma ciò non basta a spiegare il sorgere di una coniazione propria presso i Celti. In concomitanza con l'apparizione delle monete prese infatti sviluppo presso i Celti un'economia artigianale ed industriale, rivolta alla produzione su vasta scala, con le forme commerciali ad essa conseguenti; sicché la comparsa della monetazione va intesa come un fenomeno complesso. L'area di diffusione dei singoli tipi monetali varia notevolmente, e spesso rispecchia il raggio d'azione delle varie stirpi o gruppi di stirpi; è verosimile l'ipotesi che ogni tipo monetale venisse coniato solo in un determinato luogo, cioè a dire nei grossi capoluoghi cantonali. D'altra parte le coniazioni celtiche, prese nel loro complesso, costituiscono una vasta unità, cui si contrappone a N la contigua area germanica, nella quale non penetrarono la monetazione e le forme di economia ad essa intimamente connesse.
Oltre al loro valore di testimonianza sul sistema economico del mondo celtico, le monete hanno per noi anche l'interesse di creazioni artistiche (v. celtica, arte, n. 3).
Lo stesso stile afferrabile nelle monete, nel quale in egual misura si percepiscono influenze classiche ed una propria sensibilità, si può riscontrare anche nelle altre opere dell'arte celtica, sia figurative che decorative. Ciò si nota già nel ritrovamento della prima età di La Tène del V e del IV secolo. In quest'epoca i Celti non conobbero un'arte monumentale, bensì un artigianato artistico altamente sviluppato, che probabilmente fiori soprattutto presso le corti dei principi (come alla Heuneburg sull'alto Danubio). Le oreficerie sono tra le migliori che ci possa mostrare la preistoria dell'Europa centrale. Maschere umane, figure di animali, volute, motivi "a vescica di pesce" (Fischblasenmuster), vengono accostati con raffinata maestria a formare composizioni ornamentali ricche di effetto; e gli elementi figurati vi si trovano non di rado subordinati ad un principio decorativo, così da formare un'unità organica con i motivi astratti. Per quanto nei singoli casi si possano menzionare dei modelli classici, è tuttavia indiscutibile che gli elementi accolti vengono rielaborati in qualcosa di peculiarmente celtico, qualcosa di irripetibile e di congenito.
Questo stile, in origine probabilmente limitato a soddisfare le esigenze e le commissioni di una classe sociale dominante, che lo prediligeva per la decorazione di gioielli, armi e articoli di lusso di ogni genere, si estese tuttavia ben presto a tutto l'artigianato celtico. Lo troviamo soprattutto nelle fibule, fuse in un sol pezzo, della prima età di La Tène, nei collari e nei braccialetti massicci che, accanto alla decorazione a rilievo ottenuta nella fusione, recano non di rado anche applicazioni di coralli. Indicativo per la sensibilità estetica tutta barbarica dei prìncipi della prima età celtica è un caso come quello della coppa attica a figure rosse da una sepoltura principesca del V sec. del Kleinaspergle presso Ludwigsburg (Württemberg), che reca applicate delle lamine d'oro con decorazione, evidentemente perché l'esterno del vaso, semplicemente verniciato di nero, sembrava poco sontuoso al principe. Nel corso del V sec. si importava attraverso le Alpi (e precisamente sia per i passi delle Alpi Occidentali, sia per quelli delle Alpi Orientali, come sembra suggerire la presenza di ceramica attica nelle tombe di Dürrnberg presso Hallein a S di Salisburgo) non soltanto la ceramica greca, ma anche vasellame di bronzo, in primo luogo le brocchette a lungo becco (Schnabelkannen) etrusche, le quali stimolarono poi nelle botteghe celtiche la creazione di forme proprie, molto originali ed eleganti (ad esempio Reinheim, Waldalgesheim, Basse-Yutz).
4. - È possibile documentare archeologicamente come la prima civiltà di L. T., propria di una classe sociale dominante, che ci appare nelle rocche e nelle tombe principesche, si sia evoluta nei secoli successivi in una civiltà urbana, precisamente la civiltà degli oppida della media e recente età di La Tène, cui abbiamo già brevemente accennato. Ciò si rispecchia sia nei tipi di insediamento, sia nelle singole classi di rinvenimenti. La ceramica celtica della prima età di La Tène mostra, con la sua grande ricchezza di varianti e con la originalità del suo repertorio ornamentale (nel quale certo sono innegabili, come nei motivi impressi a stampigliatura a palmette e a cerchietti e archetti concentrici, influssi italici ed ellenici) i chiari segni di un artigianato di alto livello qualitativo. L'innovazione tecnica, appresa dal S, della ruota da vasaio, viene sì utilizzata con grande maestria; ma in un primo tempo mancano ancora le condizioni ambientali culturali, nelle quali soltanto il tornio ha davvero valore e utilità pratica, cioè il fabbisogno di massa, e la conseguente possibilità di smercio su vasta scala. Queste condizioni sorsero solo successivamente alla prima età di La Tène, allorché si formarono le città. Con queste si creava la richiesta di articoli prodotti in serie; e nascevano così grandi manifatture di vasi, si potrebbe quasi dire fabbriche di ceramiche, proprio secondo i modelli mediterranei, che produssero in serie un repertorio limitato di tipi, smerciandolo dapprima tra la popolazione delle città, poi però anche fra gli abitanti delle campagne. In seguito a ciò, si sviluppò, per i rapporti tra i vari gruppi fattisi sempre più intensi nel corso dell'ultimo secolo a. C., una notevole uniformità di tipi nella ceramica dell'intero territorio celtico, cosicché dalla Francia fino alla Slovacchia si ritrovano le stesse forme di ceramica dipinta (ornati rossi, bianchi e brunogrigi sul fondo giallo dell'argilla), di vasellame impastato con grafite, di bottiglie e scodelle di terra grigia, il tutto fabbricato al tornio. È significativo il fatto che tutta una serie di tipi ceramici di questa tarda fase della civiltà di L. T. trovarono un'organica continuità nella cultura delle province romane dell'età imperiale (v. terra sigillata), e non è meno significativo che la ceramica dipinta della tarda età di La Tène, come pure il vasellame impastato con grafite, questi due prodotti delle grandi fabbriche celtiche, siano rimasti limitati all'area culturale celtica, ed abbiano raggiunto solo con pochi esemplari il contiguo territorio germanico, nel quale invece, ancora in questo periodo, si usava esclusivamente un vasellame fabbricato a mano.
Notevoli furono le prestazioni degli artigiani celtici nel campo della lavorazione del ferro. Ciò viene messo in evidenza dalle fonti antiche specialmente per i Taurisci, che abitavano il territorio delle Alpi sud-orientali, e esportavano anzi prodotti finiti anche in Italia. I cumuli di scorie, a volte estesi, e i pani di ferro grezzo, che si rinvengono in tutto il territorio celtico, ci attestano la produzione del ferro da parte di queste stirpi. Specialmente nelle vicinanze degli oppida si addensano queste tracce, che testimoniano del concentrarsi dell'industria del ferro nella tarda età celtica nei centri urbani. Nelle fonderie il ferro veniva battuto in pani di varia forma, e in tal modo smerciato. Il tipo più frequente è a forma bipiramidale, e pesa intorno ai 5-8 kg. Tali pani di ferro ci sono conservati in singoli esemplari rinvenuti negli abitati, o in ripostigli (deposti probabilmente in periodi di perturbazioni belliche). Erano note ai Celti anche varie tecniche per la decorazione del ferro, dalla battitura alla impressione con punzoni o con la lama di un'ascia, all'intarsio (o agemina) con altri metalli (bronzo, oro).
Nella civiltà di L. T. ha un ruolo considerevole anche la lavorazione del vetro. Il vetro era invero noto alle genti dell'Europa sin dalla prima Età del Bronzo; ma solo dopo gli inizî del I millennio a. C. si portarono e si fabbricarono in maggior quantità perline di vetro in varî colori. Senza dubbio si ebbero vari centri di questa produzione. Nella prima età di La Tène compaiono molto frequentemente perline gialle, con occhi bianchi e azzurri, che si ritrovano in esemplari del tutto simili, comuni a S delle Alpi, sicché è probabile che si tratti in questo caso di oggetti di importazione. Tuttavia, al più tardi nella media età di La Tène, si sviluppò negli oppida anche una lavorazione del vetro sul posto. Nei recenti scavi di W. Krämer a Manching (v.) si è rinvenuto in una certa quantità vetro grezzo di color rosso vino, che senza dubbio dovette servire per la lavorazione di perle e soprattutto di braccialetti. Analoghi braccialetti di vetro fecero normalmente parte, nella media e tarda civiltà di L. T., degli ornamenti femminili. Per essi era comune l'utilizzazione di vetro azzurro scuro, giallo, verdastro e rosso vino. Oltre ad una decorazione plastica a costolature e a file di bottoni, si amava quella ottenuta con la sovrapposizione di fili di vetro di altre tinte.
5. - Accanto agli insediamenti, un'altra serie di fonti importanti per la conoscenza della civiltà celtica sono i corredi tombali. In essi si rispecchiano, con un'evidenza a volte suggestiva, le strutture sociali volta a volta dominanti. Durante la prima età di La Tène (V e IV sec.) ci sono note dalla Francia orientale, Germania sud-occidentale e Svizzera, dunque dall'area celtica occidentale, sepolture topograficamente isolate, dai corredi particolarmente ricchi, nelle quali il defunto, inumato, era spesso accompagnato dal suo carro da battaglia a due ruote (a differenza dei carri delle tombe hallstattiane, costantemente a quattro ruote), e inoltre da vasi di bronzo (tra i quali frequentemente delle Schnabelkannen etrusche), dalla ceramica attica a figure rosse di importazione, e ancora da armi e gioielli sontuosi. Inconfondibile è la differenza tra questa forma di tombe e questo genere di corredi funerarî, e quelli delle normali tombe a fossa che, specie nel sec. IV, sono riunite in grandi sepolcreti; sicché nelle prime dovremo riconoscere le sepolture di un ceto sociale dominante, aristocratico o principesco.
Le tombe della civiltà di L. T., oltre a questi aspetti sociologici, ci rivelano elementi interessanti circa l'abbigliamento femminile e le armature maschili. Per tutti i secoli della civiltà di L. T. è attestato generalmente l'uso di alcune, almeno due, fibule di bronzo o di ferro nel costume femminile: quelle di bronzo, riccamente decorate, specie nella prima età di La Tène, con elementi figurati (protomi animali o umane, maschere, ecc.) o ornamentali (soprattutto motivi a virgola ingrossata e a voluta), servivano ad allacciare il vero e proprio vestito, ricco di stoffa; mentre quelle di ferro, più pesanti e meno elaborate, dovevano fermare una sopravveste simile ad un mantello, presumibilmente di stoffa più spessa. Del vestiario normale faceva inoltre parte una cintura, fornita di un gancio in bronzo. Questi ganci di cintura sono spesso vere e proprie opere d'arte dell'artigianato celtico; per lo più presentano una decorazione figurata, come quando lo stesso gancio è configurato a testa di uccello o di cavallo. Non di rado l'intera cintura era a maglia di bronzo, formata da anellini, sapientemente infilati l'uno dentro l'altro nel corso della fusione. Comunemente usati erano anche i braccialetti, portati spesso a coppie o addirittura in serie. Per lo più sono fusi in bronzo e decorati nello stesso stile delle fibule, e accanto ad esemplari notevoli, di bella forma, se ne hanno, specie nella media età di La Tène, di ipertrofici, con un'ostentazione tutta barbarica. In un momento più recente dell'età di La Tène, al posto dei braccialetti in bronzo ne appaiono di vetro multicolore. Accanto a questo materiale fu utilizzata per la lavorazione dei braccialetti anche la lignite, come pure l'avorio, il giavazzo e, sporadicamente, anche il ferro. Come già nell'età hallstattiana, così pure in quella di La Tène fu costume diffuso portare al collo una collana di variopinte perle di vetro, o un collare di bronzo fuso. Quest'ultimo, nel periodo più antico, non di rado corrisponde nella forma e nell'ornamentazione ai braccialetti, sicché l'uno e gli altri formavano addirittura una parure.
I collari celtici ci sono noti solo dai corredi femminili; ma le fonti antiche ci informano che la torques, il collare ritorto, era un attributo distintivo degli uomini celtici; e pure le opere d'arte ellenistiche (ad esempio il fregio della stoà del santuario di Atena a Pergamo, la statua del Gallo morente [v.] nel Museo Capitolino) rappresentano costantemente i guerrieri celtici con un collare. Ma evidentemente questo "distintivo di nazionalità" non veniva deposto nelle tombe degli uomini. A questi si usavano offrire soprattutto le proprie armi: nelle prime fasi della civiltà di L. T. una corta spada da punta, spesso con un prezioso fodero di bronzo e inoltre, lance e un pugnale in ferro. Nei periodi successivi i Celti adoperarono una lunga spada da taglio con fodero di ferro, spesso con decorazione figurata o geometrica, e ancora lance e un grande scudo di legno, rivestito di cuoio, che possedeva un'applicazione centrale (umbone), oltre ad un elmo, per lo più di bronzo fuso e poi battuto. Nella prima età di La Tène la nobiltà combatteva sul carro, mentre in quella tarda, a quanto ci attestano avanzi in bronzo, il cavallo da sella ebbe un ruolo notevole.
6. - Poco è ciò che ci viene tramandato circa la religione dei Celti dalle fonti classiche; e tanto più significativo è quindi quello che a questo proposito ci viene attestato dalle testimonianze archeologiche. Dalla Germania meridionale e da alcune zone della Francia ci sono conosciute alcune centinaia di cosiddetti "recinti quadrangolari" appartenenti alla tarda età di La Tène, valli rettangolari di circa 100 m di lato, con un solo ingresso a metà di un lato. Recenti scavi effettuati da K. Schwarz presso Holzhausen, a S di Monaco di Baviera, hanno dimostrato che, prima che venisse ammassato il vallo, composto di sola terra (e che dunque non poteva servire ad alcuno scopo difensivo), sullo stesso luogo si trovava un recinto a semplice palizzata, delle stesse dimensioni, con un ingresso nello stesso punto di quello di età successiva. Ciò sottolinea il fatto che non si tratta in questo caso, come supposto un tempo da alcuni, di insediamenti fortificati, ma di recinti sacri, nei quali la recinzione aveva il solo scopo di delimitare rispetto al mondo circostante un luogo sacrale, nel quale si svolgevano determinati riti. Non è da escludere che queste recinzioni sacrali di luoghi rettangolari presso i Celti traggano origine da influenze provenienti dalle regioni ellenistico-romane (templum, v.).
Da tutte le parti del territorio della civiltà di L. T. (dall'Inghilterra alla Transilvania) conosciamo inoltre offerte sacrificali, che per lo più sono composte di oggetti di particolare valore (armi, gioielli e simili). Gli stessi materiali provenienti dal sito di La Tène sono stati recentemente anch'essi interpretati come un sacrificio alle acque (v. sopra). Luoghi sacri in laghi, paludi o fiumi, nei quali per un lungo periodo di tempo furono affondate offerte sacrificali, se ne ebbero in quest'epoca certo non solo presso i Celti, ma anche, e non in minor misura, presso altri popoli, come ad esempio i Germani. Ad essi sono probabilmente imparentati i sacrifici alle sorgenti (come un rinvenimento dalla sorgente di Dux in Boemia, costituito essenzialmente di gioielli femminili).
Verso la sfera religiosa ci indirizza anche la maggior parte delle opere dell'arte figurativa, e soprattutto di quella plastica. Le figure bronzee di tori o di arieti (come quelle di Weltenburg e di Sempt nella Baviera meridionale), o le frequenti figure di cinghiali (ad esempio da Gutenberg nel Liechtenstein, e da Neuvy-en-Sullias presso Orléans), esprimono concezioni religiose, non meno delle rare figurazioni plastiche umane di bronzo, pietra o legno.
Anche l'arte figurativa, nella quale ancora una volta sono inconfondibili i modelli mediterranei, e che però d'altra parte perviene ad esprimere in modo particolarmente evidente, al di là dei caratteri genericamente barbarici, qualcosa di squisitamente celtico, mostra con particolare chiarezza la natura della civiltà di L. T. riguardo alla sua posizione tra le civiltà mediterranee ellenistico-romane da una parte, e le culture interamente barbariche, come quella germanica, dall'altra. Non vi è dubbio che fu grazie alla cultura di La Tène, la quale nel corso degli ultimi secoli prima dell'èra cristiana si era andata sempre più strettamente legando alla civiltà mediterranea, che nelle Gallie, nella Germania meridionale e nei paesi danubiani si preparò il terreno per la completa romanizzazione, che ebbe luogo con la conquista di queste regioni da parte delle legioni romane, e con il loro incorporarsi nell'universalità dell'Impero (v. anche gallo-romana, arte).
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