La tracciabilità del lavoro accessorio
Il contributo analizza il lavoro accessorio in seguito alla riforma del lavoro, cd. Jobs act. Le novit introdotte dagli artt. 48 e ss. del d.lgs. 15.6.2016, n. 81 e le modifiche apportate dall’art. 1, co. 1, lett. b) del d.lgs. 24.9.2016, n. 185 evidenziano la scelta del legislatore di definire l’istituto in base ad un criterio quantitativo piuttosto che qualitativo, rendendo sempre pi ardua l’operazione di inquadramento sistematico dello stesso.
Il lavoro accessorio, comunemente conosciuto come “lavoro a voucher” per la forma del “buono orario con cui viene pagata la prestazione, stato introdotto nel nostro ordinamento dagli artt. 70-73 del d.lgs. 10.9.2003, n. 276 che disciplinavano le prestazioni occasionali di tipo accessorio .
L’istituto nato per offrire una tutela previdenziale e assicurativa, anche se minima, alle prestazioni di lavoro non riconducibili a forme tipiche di contratto di lavoro, che sono svolte in modo saltuario e occasionale. pertanto, l’ambito di applicazione del lavoro accessorio doveva essere residuale rispetto alle altre forme contrattuali previste dall’ordinamento. Tuttavia, l’ampia diffusione dello stesso ha costretto il legislatore a continue operazioni di manutenzione della disciplina.
originariamente, il ricorso al lavoro accessorio avveniva per categorie tassativamente individuate dal legislatore e solo determinate prestazioni potevano costituire oggetto dello stesso. Tali elementi sono stati abrogati, il primo nel 2008 e il secondo nel 2012.
Con l’art. 22 del d.l. 25.6.2008, n. 112, conv. con mod. dalla l. 6.8.2008, n. 133 stato ampliato il campo di applicazione (oggettivo e soggettivo) dell’istituto, abrogando l’art. 71 del d.lgs. n. 276/2003 che ne limitava l’utilizzo con riferimento a soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mondo del lavoro (giovani/studenti), ovvero in procinto di uscirne (pensionati)1, mentre, con gli artt. 1, co. 32-33, l. 28.6.2012, n. 92 e 46 bis del d.l. 22.6.2012, n. 83 (introdotto dalla l. di conversione 7.8.2012, n. 134) stato sostituito l’art. 70 d.lgs. n. 276/2003 e modificato parzialmente l’art. 722, eliminando l’elenco di attività per cui era possibile ricorre al lavoro accessorio, disponendo che esso poteva essere utilizzato in tutti i settori produttivi compresi gli enti locali e stabilendo che la prestazione accessoria era quella per cui il lavoratore non percepiva pi di 5.000 euro netti complessivi annui e non pi di euro 2.000 netti da ciascun committente3.
un successivo intervento che ha spogliato definitivamente l’istituto di elementi strutturali4 stato quello ad opera del d.l. 28.6.2013, n. 76, conv. con mod. dalla l. 9.8.2013, n. 99, che ha eliminato la natura meramente occasionale del lavoro accessorio, risolvendo in parte le problematiche interpretative in merito all’occasionalità della prestazione5.
pertanto, ad oggi l’istituto definito con il ricorso al solo criterio economico quantitativo.
Anche il Jobs act intervenuto sul lavoro accessorio con il d.lgs. 15.6.2016, n. 81 (art. 48-50) e ha abrogato la disciplina previgente (art. 55, co. 1, lett. d), innalzando il limite del compenso percepibile da parte del lavoratore a 7.000 euro annui con il tetto di 2.000 per le attività lavorative svolte a favore di ciascun committente e introducendo il divieto del ricorso a prestazioni di lavoro accessorio nell’ambito dell’esecuzione di appalti di opere o servizi.
Tale intervento conferma la scelta del legislatore di mantenere la definizione dell’istituto in base ad un criterio quantitativo piuttosto che qualitativo e se, da un lato, molto apprezzabile dal punto di vista della chiarezza della norma sulla possibilità di ricorso al lavoro accessorio, dall’altro, rende sempre pi difficile un’operazione di inquadramento sistematico dello stesso. nel corso degli anni, il lavoro accessorio ha subito profonde modificazioni funzionali ed ulteriori modifiche di assestamento sono state apportate dall’art. 1, co. 1, lett. b) del d.lgs. 24.9.2016, n. 185 che introduce procedure per la tracciabilità dell’utilizzo dei voucher. L’operazione si resa necessaria soprattutto in seguito alla pubblicazione del report6 sul lavoro accessorio dello scorso 22.3.2016 relativo agli anni 2008-2015 elaborato dal Ministero del lavoro, in collaborazione con Inps, da cui emerge un aumento del ricorso all’istituto.
Il d.lgs. n. 81/2015 disciplina all’art. 48 il lavoro ac-cessorio. La norma non identifica gli elementi costitutivi dell’istituto, ma si limita a stabilire i limiti quantitativi per il ricorso a tale istituto da parte del committente e da parte del lavoratore.
nello specifico la norma prevede che per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attività lavorative che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 7.000 euro nel corso di un anno civile, annualmente rivalutati… Fermo restando il limite complessivo di 7.000 euro, nei confronti dei committenti imprenditori o professionisti, le attività lavorative possono essere svolte a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro7.
sono principalmente tre gli elementi identificativi dell’istituto:
a) l’assenza di qualsiasi vincolo di forma in merito all’accordo delle parti in ordine all’instaurazione del rapporto;
b) l’assenza di una regolamentazione sull’esecuzione del rapporto;
c) l’utilizzo dei voucher/buoni lavoro per il pagamento del compenso per la prestazione svolta.
Il voucher sostituisce il pagamento in denaro e il valore viene determinato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali con decreto (art. 49, co. 1).
Ciascun voucher composto dal valore orario medio della prestazione lavorativa e dell’ammontare dei contributi previdenziali ed assicurativi.
Il d.lgs. n. 81/2015 ha confermato il valore nominale del buono orario pari a 10 euro8. I committenti che intendono fare ricorso al lavoro accessorio devono acquistare presso le rivendite autorizzate, ovvero secondo modalità telematiche, i buoni orari, i quali saranno consegnati al lavoratore al termine della prestazione. Quest’ultimo si recherà dal concessionario per riscuotere quanto dovuto. Il concessionario, oltre al pagamento di quanto dovuto al lavoratore, provvede anche al versamento dei contributi previdenziali (all’Inps, presso la gestione separata di cui all’art. 2, co. 26, l. 8.8.1995, n. 335) e assicurativi (all’Inail).
La dottrina ha sempre rilevato la difficoltà di ricondurre questo istituto al genus del lavoro subordinato9.
non essendo possibile in questa sede fare una trattazione sulla questione qualificatoria, anche se non priva di effetti, a parere di chi scrive, nell’ipotesi di contenzioso10, interessante invece analizzare i dati in merito allo sviluppo del ricorso a tale istituto.
Il legislatore nel corso degli anni ha destrutturato lo schema giuridico del lavoro accessorio, tentando di rendere marginale il ricorso a tale istituto.
Tuttavia, dai dati del report citato sul lavoro accessorio dello scorso 22.3.2016 non si può affermare che questa finalità sia stata raggiunta.
In base ai dati pubblicati, il numero delle persone che sono state retribuite con almeno un voucher durante l’anno è in costante crescita: si è passati dai 24.437 individui del 2008 a 1.392.906 del 2015. La serie storica rende abbastanza evidente l’accelerazione dell’istituto in seguito alla riforma del 2012, che ha prodotto i suoi effetti a partire dal mese di luglio dello stesso anno. non sembra, avere avuto effetto significativo, fino ad ora, l’aumento a 7.000 euro del compenso complessivo per singolo lavoratore introdotto a giugno del 2015 con il d.lgs. n. 81/2015. Il 64,8% dei prestatori ha riscosso nel 2015 meno di 500 euro di valore complessivo. Il 20% ha superato i 1.000 euro e il 36,6% dei percettori aveva riscosso un voucher anche l’anno precedente.
Il dato pi preoccupante, a parere di chi scrive, riguarda lo scostamento tra i buoni lavoro acquistati e quelli effettivamente riscossi. Infatti, negli ultimi tre anni dai 40.816.297 voucher venduti nel 2013 si è arrivati ai 114.925.180 nel 2015, con un tasso annuo di crescita che è stato del 69,5% nel 2014 e del 66,1% nel 2015. Tuttavia, nel 2015, a fronte di 114.925.180 voucher venduti, quelli riscossi sono stati 88.140.789 e la variazione percentuale su base annua delle riscossioni èstata pari al 38,1%.
Tale dato allarmante in quanto evidenzia una “incapacità di programmazione da parte dei committenti rispetto al loro fabbisogno di lavoro nel ciclo produttivo, oppure un ricorso a tale istituto solo in determinati casi per coprire il lavoro sommerso già in atto.
Il d.lgs. n. 185/2016, al fine di combattere l’abuso dello strumento del lavoro accessorio, ha previsto che:
a) il committente imprenditore non agricolo o professionista possa acquistare i buoni lavoro esclusivamente con modalità telematiche;
b) il committente prima di utilizzare i buoni orari deve comunicare, almeno 60 minuti prima dell’inizio della prestazione, all’Ispettorato nazionale del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, indicando, altresì , il luogo, il giorno e l’ora di inizio e di fine prestazione;
c) una sanzione amministrativa da 400 euro a 2.400 euro in relazione a ciascun lavoratore per cui stata omessa la comunicazione da parte del committente.
Lo scopo di una tale disposizione chiaro ed quello di evitare che i datori di lavoro possano:
i) utilizzare strumentalmente i voucher solo in caso di accessi ispettivi;
ii) accreditare al lavoratore una quantità di buoni minore di quella dovuta, una volta che la presta-zione sia stata eseguita e che sia stato eliminato il rischio di accertamenti diretti;
iii) ricorrere al voucher in caso di infortunio sul lavoro.
Una previsione di favore prevista, invece, per gli imprenditori agricoli che dovranno comunicare, con le stesse modalità , oltre al nominativo del lavoratore, ai suoi dati anagrafici e al luogo di lavoro, soltanto la durata della prestazione e non anche l’inizio della stessa, che potrà aver luogo nei successivi tre giorni (art. 49, co. 3). Tale previsione stata introdotta anche in ragione dell’incidenza del fattore meteorologico sulle attività agricole.
Nulla ha innovato il d.lgs. n. 185/2016 con riguardo alle modalità di utilizzo dei voucher da parte di soggetti privati non imprenditori e non professionisti.
Il legislatore, conscio delle pratiche fraudolente sul ricorso al lavoro accessorio e su sollecitazione dei sindacati, ha introdotto misure idonee a garantire la “piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati. sarà compito del Ministero del lavoro individuare con decreto le modalità applicative per la comunicazione di ricorso al lavoro accessorio agli organi preposti anche in ragione dello sviluppo delle tecnologie11.
Molti sono gli aspetti problematici di carattere giuridico legati al lavoro accessorio e che tutt’ora rimangono irrisolti; rinviando ad altre sedi l’analisi sull’inquadramento dell’istituto12, si tenta una prima analisi sugli effetti delle modifiche del d.lgs. n. 185/2016.
Premesso che la soluzione per contrastare le pratiche fraudolente sull’utilizzo dei voucher può essere trovata, a parere di chi scrive, prevedendo una definizione puntale dell’ambito soggettivo ed oggettivo di ricorso al lavoro accessorio; la scelta del legislatore di “liberalizzare lo strumento, confermando il criterio quantitativo per la definizione, può essere anch’essa condivisibile a condizione che riesca a mantenere marginale il ricorso allo stesso.
Opportuno domandarsi se il lavoro accessorio sia o meno uno strumento efficace per arginare il lavoro irregolare e se l’ultimo intervento legislativo sia in grado di contrastare gli abusi sull’utilizzo dei voucher ad opera dei committenti imprenditori e professionisti, o se viceversa possa disincentivare l’uso legittimo, incrementando il lavoro sommerso.
La scelta del legislatore di voler combattere l’uso patologico dei voucher con l’aggravio delle procedure pare essere in controtendenza rispetto agli annunci di semplificazione e sburocratizzazione del governo Renzi, ma saranno i prossimi dati di monitoraggio che potranno confermare o meno il raggiungimento dell’obbiettivo prefissato sull’uso legittimo e “liberalizzato del lavoro accessorio. Il ricorso al lavoro accessorio non deve essere solo un meccanismo per contenere il costo del lavoro13, ma uno strumento per regolarizzare i rapporti di lavoro marginali favorendo l’emersione del lavoro irregolare.
La scelta del criterio quantitativo del lavoro accessorio condivisibile solo se l’utilizzo dei voucher rimane “accessorio o “marginale rispetto alle prestazioni di lavoro che potrebbero essere “coperte dalle altre tipologie contrattuali previste dal nostro ordinamento.
A parere di chi scrivere, occorre evitare l’effetto “spiazzamento delle altre tipologie contrattuali a favore del lavoro accessorio, scongiurando la concor-renza tra i diversi strumenti disponibili attraverso la delimitazione dei rispettivi confini (es. contratto a termine per le attività stagionali e contratti di somministrazione).
La speranza che gli interventi e gli incentivi previsti dal Jobs act, dove si rinvengono diverse disposizioni volte ad ampliare la flessibilità del rapporto di lavoro14, siano in grado di orientare le imprese, in base alle proprie esigenze di produzione e di organizzazione del lavoro, verso un contratto di lavoro subordinato, rendendo residuale il ricorso al lavoro accessorio.
Note
1 V. circ. Inps, 1.12.2008, n. 104.
2 Gli artt. 70 e ss. d.lgs. 10.9.2003, n. 276 prevedevano limitazioni soggettive e oggettive per cui il lavoro accessorio aveva la funzione specifica di fornire alle famiglie uno strumento giuridico semplice e dai costi ridotti per impiegare personale al quale affidare compiti di cura. L’art. 1 bis del d.l. 14.3.2005, n. 35 (introdotto dalla l. 14.5.2005, n. 80) interviene sulla disciplina ampliando il campo dei beneficiari anche alle imprese familiari operanti nel settore dei servizi e elevando il limite del compenso annuo a 5.000 euro per la generalità dei percettori e a 10.000 per i prestatori di attività» in imprese familiari.
3 V. circ. Ministero del lavoro, 18.7.2012, n. 18 e circ. Ministero del lavoro, 18.1.2013, n. 4; circ. Inps, 29.3.2013, n. 49 (quest’ultima esclude il ricorso al lavoro accessorio nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia gi in corso con il datore di lavoro un rapporto di natura subordinata, confermando l’orientamento precedente).
4 Vitto, p., Lavoro accessorio, in Diritto online Treccani, 2016.
5 La l. n. 99/2013 ha acquisito quanto gi previsto dal Ministero del lavoro nella circ. n. 4/2013.
6 Ministero del lavoro, report su “L’utilizzo dei voucher per le prestazioni di lavoro accessorio in http://www.lavoro.gov.it
7 per i lavoratori che beneficino di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito , il limite massimo dei compensi pari a 3.000 euro.
8 Un valore diverso previsto per le prestazioni rese nel settore agricolo, ove pari all’importo della retribuzione ora-ria delle prestazioni di natura subordinata individuata dal contratto collettivo stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente pi rappresentative sul piano nazionale (art. 49, co. 2).
9 V. Dell’Olio, M., Le «nuove tipologie» e la subordinazione, in AA.VV., Come cambia il mercato del lavoro, Milano, 2004, 24; Bellocchi, p., Il regime del lavoro accessorio e l’autonomia privata: logiche negoziali e dinamiche fattuali, in Tipologie contrattuali, a progetto e occasionali, Bellocchi, P.-Lunardon, F.-Speziale, v., a cura di, in Commentario al D.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, Carinci, F., coordinato da, Milano, 2004, Iv, 118 ss.. per una riconduzione del lavoro accessorio al genus del lavoro autonomo si v. Pedrazzoli, M., Commento agli artt. 70-73, in Il nuovo mercato del lavoro, Pedrazzoli, M., coordinato da, Bologna, 2004, 861; Ghera, e., Il nuovo diritto del lavoro, Torino, 2006, 1. Contra v. Valente, L., Lavoro accessorio nelle recenti riforme e lavoro subordinato a “requisiti ridotti”, in Riv. giur. lav., 2009, I, 636; Pinto, v., Lavoro subordinato flessibile e lavoro autonomo nelle amministrazioni pubbliche. Politiche legislative e prassi gestionali, Bari, 2013, 167 ss.
10 Per un approfondimento sulla natura contrattuale o acontrattuale del rapporto v. Marinelli, F., Il paradosso del lavoro occasionale di tipo accessorio, in Risistemare il diritto del lavoro, Nogler, L.-Corazza, L., a cura di, Milano, 2012, 225.
11 Si segnala che alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 185/2016, diversi sono stati i disagi avvertiti dai committenti in merito all’utilizzo dei voucher. In particolare, non era chiaro con quali modalità dovevano essere adempiute le previsioni di cui all’art. 49 (a quale indirizzo di posta elettronica o numero di telefono). Inoltre, non era chiaro se la comunicazione all’Ispettorato nazionale del lavoro fosse alternativa rispetto a quella prevista all’Inps. su questo punto intervenuta la circ. Ispettorato nazionale del lavoro, 17.10.2016, n. 1 che ha affermato la necessità della doppia procedura nelle more del decreto del Ministero del lavoro di cui all’art. 49, co. 3, appesantendo ulteriormente gli adempimenti ad opera dei committenti.
12 V. nt. 9.
13 Se il ricorso al lavoro accessorio ha la sola finalità di abbattere i costi del lavoro, rilevanti sono le conseguenze che ne derivano in termini di danni strutturali sui diritti per i lavoratori sia dal punto di vista previdenziale che in termini di precarietà dell’occupazione
14 V. in questo volume, Diritto del lavoro, 1.1.1 Prime considerazioni sulla riforma del lavoro.