La tutela dei consumatori
Nel 2012 la tutela dei consumatori è stata rafforzata, nel quadro di un maggior equilibrio di mercato. In ambito nazionale, il decreto sulle liberalizzazioni (d.l. 24.1.2012, n. 1) ha introdotto una forma di controllo amministrativo sulle clausole vessatorie, affidandolo all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (art. 37 bis c. cons.), ha chiarito alcuni aspetti in tema di class action e ha esteso alle microimprese la tutela contro le pratiche commerciali scorrette. In ambito europeo, è stata varata la direttiva 2011/83/Ce sui diritti dei consumatori, che ha modificato i precedenti strumenti sui contratti a distanza e sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali, con particolare riferimento agli obblighi informativi e al diritto di recesso. La direttiva ha adottato il criterio della “maximum harmonisation”, che garantisce una protezione più elevata, ma impedisce agli Stati membri di derogare alle norme Ue in senso più favorevole ai consumatori.
La tutela dei consumatori si è arricchita, nel corso del 2012, di nuovi importanti strumenti, in ambito nazionale ed europeo.
Il cd. decreto liberalizzazioni (d.l. 24.1.2012 n. 1, conv. dalla l. 24.3.2012, n. 27) ha introdotto nel codice del consumo, all’art. 37 bis, una forma di controllo sulle clausole vessatorie, affidato all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) e ha assimilato le microimprese ai consumatori ai fini della tutela contro le pratiche commerciali scorrette (art. 5 e 7, d.l. n. 1/2012).
Lo stesso decreto ha poi chiarito alcuni dubbi sull’art. 140 bis c. cons., che rischiavano di frenare oltremisura le chances applicative dell’azione di classe risarcitoria (art. 6, d.l. n. 1/2012).
Nello stesso periodo è entrata in vigore la direttiva 25.10.2011, n. 2011/83/Ce sui diritti dei consumatori, in gestazione dal 2008, finalizzata a innalzare lo standard di tutela del consumatore e a garantire alle imprese una maggiore certezza giuridica sulla uniforme applicazione delle norme consumeristiche sul territorio Ue.
Il tratto comune ai recenti interventi può essere rinvenuto nella ricerca di un maggiore equilibrio tra protezione dei consumatori e competitività delle imprese. L’esigenza di queste ultime, di una maggiore certezza applicativa, ha condotto, all’interno dei confini italiani, a una rivalutazione del controllo amministrativo preventivo sugli atti lesivi dei consumatori, mentre, in ambito europeo, si è tradotta in una riduzione della discrezionalità degli Stati nel recepimento della normativa Ue, ancorché compensata da un innalzamento del livello di tutela dei consumatori.
2.1 La tutela amministrativa contro le clausole vessatorie
In sede di recepimento nell’ordinamento italiano della dir. 93/13/Ce sulle clausole abusive, ci si chiedeva in quali forme dare attuazione all’art. 7, dedicato ai «mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori». Il legislatore comunitario poneva un’alternativa tra controllo amministrativo e giudiziale, che gli Stati erano liberi di percorrere nel senso più conforme al proprio ordinamento. Una parte della dottrina italiana aveva suggerito di affidare la tutela collettiva all’Agcm, alla quale da poco era stata affidata la tutela dei consumatori contro la pubblicità ingannevole (art. 7, d.lgs. 25.1.1992, n. 74), ma il legislatore del 1996 aveva preferito la via della tutela giurisdizionale di tipo inibitorio (prima nell’art. 1469 sexies c.c. e poi nell’art. 37 c. cons.)1.
Il controllo amministrativo è stato oggi introdotto nell’art. 37 bis c. cons., ed è stato attribuito proprio all’Agcm2. Tale controllo tuttavia non sostituisce quello del giudice, ma vi si affianca, mescolando tutela amministrativa aggiudicatoria e controllo preventivo in senso stretto. Il comma 4 fa infatti espressamente salva la giurisdizione del giudice ordinario sulla validità delle clausole vessatorie e sul risarcimento del danno.
La tutela amministrativa riguarda le clausole vessatorie «inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono mediante adesione a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione di moduli, modelli o formulari».
Il procedimento disciplinato dall’art. 37 bis è profondamente diverso da quello che si svolge davanti all’autorità giudiziaria. La legittimazione è allargata a chiunque, con formula persino più ampia di quella utilizzata per le pratiche commerciali scorrette (art. 27 c. cons.). Rispetto a tale ultima norma, manca infatti ogni riferimento all’interesse ad agire: l’Agcm può iniziare il procedimento su denuncia o d’ufficio.
L’Agcm deve acquisire il parere delle associazioni rappresentative di categoria e delle camere di commercio e ha la facoltà di acquisire il parere di altre autorità di regolazione o vigilanza del settore di appartenenza dell’impresa soggetta all’istruttoria.
Il regolamento attuativo, di cui l’Agcm è tenuta a dotarsi in base al co. 5 dell’art. 37 bis, deve disciplinare in dettaglio tutti gli aspetti procedurali utili a garantire il contraddittorio e la rapida conclusione del procedimento, cui peraltro già si applicano le disposizioni dell’art. 14, l. 10.10.1990, n. 287.
Il complesso rimedial-sanzionatorio predisposto dall’art. 37 bis riguarda più le inottemperanze procedurali del professionista che il merito delle clausole scrutinate. In caso di vessatorietà delle clausole, l’Agcm emana infatti un provvedimento dichiarativo, che non contiene alcun ordine di cessazione nei confronti del professionista3, né è destinato di per sé a riverberarsi sui singoli contratti conclusi a valle4: «nella disciplina del controllo pubblicistico di cui all’art. 37 bis i rimedi sono solo di carattere informativo e reputazionale»5.
Il provvedimento è pubblicato sul sito internet istituzionale dell’Agcm e su quello del professionista che utilizza le clausole, nonché con ogni altro mezzo ritenuto utile a informare compiutamente i consumatori, a spese dello stesso professionista. Il mancato rispetto degli obblighi di pubblicità, nonché la mancata collaborazione delle imprese all’istruttoria sono punibili dall’Agcm con una sanzione amministrativa pecuniaria.
Gli atti dell’Agcm in materia di clausole vessatorie sono impugnabili davanti al giudice amministrativo (co. 4), incluso il provvedimento (positivo o negativo) avente per oggetto la vessatorietà.
Il co. 3 dell’art. 37 bis introduce poi una procedura facoltativa di interpello, su iniziativa delle imprese interessate, che si chiude con un parere, da ritenersi rinnovabile da parte delle imprese, che abbiano apportato le modifiche eventualmente richieste dall’Agcm.
Il procedimento si conclude entro centoventi giorni e si svolge secondo modalità da stabilirsi nel regolamento attuativo. Il co. 5 dell’art. 37 bis sembra autorizzare l’Agcm a dettare regole procedurali differenziate per l’interpello. Le differenze tra le due istruttorie non potranno tuttavia spingersi fino a sacrificare il contraddittorio e la serietà dell’esame6: le clausole giudicate non vessatorie in sede di interpello sono infatti immuni dall’eventuale istruttoria ordinaria, cosicché l’interpello non può costituire l’escamotage per eludere il procedimento di cui ai co. 1 e 2.
L’esito dell’interpello non interferisce con i rimedi civilistici. Lo si deduce dal co. 3: «Resta in ogni caso ferma la responsabilità dei professionisti nei confronti dei consumatori». Il legislatore ha voluto negare all’esito della procedura di interpello qualunque valore di accertamento negativo di vessatorietà, spendibile nelle controversie giudiziarie individuali o collettive.
2.2 La direttiva 2011/83/Ce sui diritti dei consumatori
Nel 2008, la Commissione Ue aveva messo in cantiere un ambizioso progetto di revisione dell’acquis comunitario in materia consumeristica, proponendo la revisione di quattro importanti direttive sui contratti dei consumatori (vendite porta a porta, contratti a distanza, clausole abusive e garanzie nella vendita) e l’introduzione di un nuovo standard di armonizzazione delle legislazioni nazionali (full harmonization)7.
Rispetto alla proposta originaria, la direttiva 2011/83/Ue ha tuttavia un raggio applicativo molto ridimensionato e ciò probabilmente dipende proprio dall’adozione del criterio della massima armonizzazione, di non facile accettazione da parte degli Stati membri8.
Le direttive oggetto di modifica rimangono le stesse dell’originaria proposta, ma l’intervento sulla disciplina delle garanzie nella vendita e soprattutto delle clausole abusive è minimo.
Le disposizioni fondamentali appaiono così quelle di principio, che meglio possono rivelare le linee di evoluzione del diritto consumeristico del domani.
L’art. 4 disciplina il livello di armonizzazione e mantiene la promessa iniziale di vietare agli Stati non solo l’adozione di misure interne di minor protezione per i consumatori, ma anche di disposizioni più severe. Il vantaggio risiederebbe nella capacità di incentivare gli scambi transfrontalieri e di ridurre i costi transattivi per consumatori e imprese, grazie all’uniformità della disciplina sull’intero territorio Ue. In cambio di tale irrigidimento, il livello di protezione dei consumatori è stato innalzato. La portata della full harmonization è peraltro limitata dal fatto che lo stesso art. 4 consente alla direttiva di derogarvi, come in effetti avviene in più norme (v. l’art. 5, co. 4, sugli obblighi informativi aggiuntivi, l’art. 9, co. 3, sul compenso del professionista, l’art. 18, co. 4, sui rimedi ulteriori in caso di mancata consegna).
La seconda norma di rilievo è quella che disciplina l’ambito di applicazione della direttiva, che è esteso «a qualsiasi contratto concluso tra un professionista e un consumatore» (art. 3) e che comprende, salve alcune precisazioni, sia i contratti di vendita che quelli di servizi (art. 2).
Dal punto di vista dei contenuti precettivi, la direttiva ruota attorno a tre nuclei fondamentali.
In primo luogo, l’art. 5 prevede a carico del professionista una fitta rete di obblighi informativi, che spaziano dalle caratteristiche di beni e servizi al prezzo totale, dalle modalità di pagamento e consegna alla durata del contratto: tali obblighi valgono per tutti i contratti diversi dai contratti a distanza e dai contratti negoziati fuori dai locali commerciali, così per la prima volta prescindendosi dalla tipologia contrattuale.
Gli artt. 6-16 disciplinano gli obblighi informativi e il recesso nei contratti a distanza e nei contratti negoziati fuori dai locali commerciali, ormai accomunati.
Rispetto ai precedenti strumenti, le maggiori novità sono date:
a) per gli obblighi informativi, dall’aumento del loro numero e del dettaglio, dalle forme con cui le informazioni devono essere trasmesse al fine di garantire la tracciabilità, dalla stretta correlazione instaurata tra il mezzo con cui il contratto è concluso e il modo con cui le informazioni devono essere fornite9;
b) per il recesso, dall’innalzamento dei termini breve e lungo per l’esercizio del diritto (quattordici giorni e dodici mesi), dalla codificazione di alcune esclusioni, a volte in rotta con la Corte di giustizia, dall’aggiornamento delle modalità di comunicazione tra le parti10.
Con gli artt. 17-22, la direttiva riacquista una vocazione universale, disciplinando la consegna, le tariffe, il passaggio del rischio, la comunicazione telefonica e i pagamenti supplementari, in termini validi per tutti i contratti tra professionista e consumatore. La norma più importante è quella sulla consegna, in cui sono fissati al professionista precisi termini per eseguirla ed è accordato al consumatore, in caso di ritardo, il diritto di risolvere il contratto e di vedersi rimborsato il prezzo eventualmente pagato11. La direttiva dovrà essere recepita entro il 13.12.2013.
2.3 L’azione di classe
L’azione di classe risarcitoria disciplinata dall’art. 140 bis c. cons. (come modificato dalla l. 23.7.2009, n. 99) costituisce la novità di maggiore importanza nella protezione dei consumatori degli ultimi anni12.
Il testo era tuttavia affetto da alcune oscurità. I diritti dei consumatori tutelabili con l’azione di classe erano infatti definiti, indifferentemente, “omogenei” o “identici” (art. 140 bis, co. 2). Dare prevalenza interpretativa al secondo vocabolo significava richiedere, per garantire la tutela, che i diritti fatti valere dall’attore e dagli aderenti all’azione di classe avessero lo stesso contenuto; il che equivaleva a considerare in molti casi lettera morta la nuova disposizione.
L’art. 6, d.l. n. 1/2012 ha provveduto a sanare tali imperfezioni, sostituendo il riferimento all’identità dei diritti e dei fatti generativi della responsabilità con uno alla completa omogeneità degli stessi13. Inoltre, l’art. 6 ha esteso l’azione di classe ai danni derivanti dalla fornitura di un servizio e ha menzionato espressamente gli interessi collettivi.
Il quadro della tutela dei consumatori è attraversato da forti, continue tensioni interpretative. Le contrapposte esigenze di imprese e consumatori, in un contesto globalizzato dove la tecnologia conosce quotidiani sviluppi, ostacolano una sistemazione normativa stabile e il raggiungimento di risultati interpretativi appaganti.
3.1 Clausole vessatorie e forme di tutela: prove di coesistenza
In linea teorica, lo strumento delineato nell’art. 37 bis risponde a un’esigenza avvertita da imprese e consumatori.
Il limitato successo dell’inibitoria collettiva, specie cautelare, ha infatti messo a nudo le difficoltà del processo ordinario nell’assicurare un’effettiva tutela di carattere preventivo. Restano inoltre poco chiari gli effetti dell’inibitoria collettiva sui contratti individuali14. Le stesse imprese avvertono la necessità di una maggiore certezza sulla legittimità delle proprie clausole, che l’interpello previsto dal nuovo art. 37 bis è in astratto in grado di assicurare.
La separazione tra tutela amministrativa e tutela giurisdizionale, peraltro, rischia di frustrare l’efficacia dei nuovi mezzi di tutela. Nulla vieta che, sulle stesse clausole, magari su iniziativa dello stesso soggetto collettivo, si svolgano due procedimenti istruttori, l’uno amministrativo, l’altro giudiziario. In aggiunta, la possibilità di impugnare davanti al giudice amministrativo gli atti adottati dall’Agcm reca il rischio che si formi un giudicato amministrativo, potenzialmente confliggente con quello formatosi davanti al giudice ordinario all’esito dell’azione inibitoria. L’autonomia inoltre è bidirezionale, cosicché non è impossibile che il procedimento amministrativo venga iniziato a seguito della proposizione di un’azione giudiziaria, che metta in evidenza la potenziale abusività di un gruppo di clausole.
Naturalmente, il primo dei due accertamenti potrà e verrà speso nell’altro procedimento, e costituirà un precedente rilevante per l’autorità chiamata in causa in seconda battuta. Ma l’assenza di vincolatività non offre garanzie e potrebbe anche scoraggiare le imprese dall’avvalersi dell’interpello.
Un altro profilo problematico è quello inerente i criteri che devono guidare l’Agcm nel controllo amministrativo. L’art. 37 bis parla genericamente di «accertamento della vessatorietà». La collocazione della nuova disposizione nella parte del codice del consumo dedicata ai contratti del consumatore fa pensare che i criteri non possano essere diversi da quelli sanciti dagli artt. 33-35 (significativo squilibrio, lista grigia ecc.) con la sola esclusione di quelli propri del giudizio sul contratto individuale15. Il vero nodo sarà però costituito dal difetto di trasparenza delle clausole (art. 35), difetto per il quale non è in teoria appropriato parlare di vessatorietà16. Sarebbe peraltro singolare che il difetto di forma, che maggiormente si attaglia a un giudizio preventivo e collettivo, per il disorientamento che genera nella collettività dei consumatori, restasse estraneo al controllo amministrativo dell’Agcm, che già ampiamente lo pratica a proposito della pubblicità ingannevole e delle pratiche commerciali decettive in generale. Del resto, l’art. 2 c. cons. concepisce come unitario il diritto fondamentale dei consumatori «alla correttezza, alla trasparenza e all’equità nei rapporti contrattuali»17 e anche il controllo amministrativo non può non avere questo come valore di riferimento.
Un’ultima questione concerne l’ambito applicativo. Le clausole scrutinabili dall’Agcm sono quelle «inserite nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono mediante adesione a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione di moduli, modelli o formulari». La formula, più ampia di quella dell’art. 37 c. cons., si presenta ambigua, quasi che l’Agcm possa esercitare il proprio controllo anche su contratti non adottati per una disciplina uniforme di determinati rapporti contrattuali. Al contrario, e in coerenza con la ratio complessiva dell’intervento normativo e con il ruolo dell’Agcm, «le clausole vessatorie contenute in contratti predisposti per un uso individuale restano affidate alla tutela civilistica prevista nell’art. 32 c. cons., atteso il minore rilievo della predisposizione unilaterale nella prospettiva di tutela del mercato»18.
3.2 Il futuro dell’armonizzazione europea
L’approvazione della dir. 2011/83/Ue è stata accolta con scetticismo, essendosi sottolineata la sua ridotta portata rispetto ai propositi iniziali19.
Tale sproporzione induce soprattutto a chiedersi se, per realizzare un obiettivo oggettivamente così limitato, valesse la pena realizzare uno scambio a così alto rischio come quello tra full harmonization e preteso innalzamento della tutela. Il primo termine viene infatti inoculato nel sistema Ue e sembra destinato a svolgervi un ruolo di principio-guida in modo irretrattabile, senza peraltro certezza sui benefici che è in grado di apportare20. Per contro, la maggior tutela dei consumatori dovrà essere in futuro negoziata volta per volta, con rischi di ulteriori compromessi al ribasso. Per usare una metafora consumeristica, i consumatori sembrano aver pagato in anticipo un prezzo elevato, senza certezze sul prodotto che verrà loro consegnato.
Non mancano peraltro aspetti positivi, che fanno ben sperare sulla capacità della futura legislazione europea di offrire d’ora in avanti discipline meno frammentarie e a maggior vocazione orizzontale. La potenziale universalità del riferimento a «qualsiasi contratto concluso tra un professionista e un consumatore», la distinzione tra contratti di vendita e di servizi, la disciplina unitaria della consegna, appaiono – nonostante le smentite e le cautele contenute nella stessa direttiva – come i prodromi di un non lontano restatement sul diritto contrattuale Ue dei consumatori, magari attuato in forme e con criteri diversi da quelli sin qui seguiti21.
3.3 Le prospettive dell’azione di classe
In tema di azione di classe, i chiarimenti apportati dall’art. 6, d.l. n. 1/2012 non hanno fugato tutti i dubbi interpretativi.
In primo luogo, l’intervento del legislatore potrebbe addirittura nuocere al pieno sviluppo applicativo dell’art. 140 bis. La prima giurisprudenza di merito aveva già scartato la soluzione letterale, riferendo la nozione di “omogeneità” ai diritti e quella di “identità” agli elementi oggettivi dell’azione22. In tal modo, veniva forse involontariamente introdotta una distinzione tra fatto generatore di responsabilità e diritti consequenziali, dato che l’omogeneità dei secondi dipende dall’unicità del primo, utile a far emergere una delle funzioni più tipiche del processo collettivo che segue all’azione di classe, cioè la risoluzione delle questioni comuni a tutti gli appartenenti alla classe23. Non è un caso che la stessa giurisprudenza, facendo leva su questo, avesse riconosciuto in astratto possibile configurare la class action come azione di accertamento della responsabilità, indipendentemente dalla eventuale condanna24. Se infatti l’azione fosse diretta a tutelare i soli diritti omogenei e il giudicato scendesse solo sui singoli crediti risarcitori e restitutori dei consumatori parte dell’azione di classe, una funzione di mero accertamento dell’an della responsabilità sarebbe inconcepibile25. L’imprecisione avallava così quella posizione dottrinale che non vede ostacoli nell’assegnare al modello processuale disegnato dall’art. 140 bis la capacità di accogliere anche azioni di accertamento della responsabilità26.
Puntando interamente sull’omogeneità, la novella del 2012 può mettere in crisi tale ricostruzione, che va invece ribadita, sottolineandone coerenza sistematica e vantaggi concreti per i consumatori.
Beninteso, essa presenta alcune controindicazioni. Vi è il pericolo di «ingenerare presso i consumatori solo illusorie prospettive di tutela; se non addirittura a produrre loro un pregiudizio reale, come nell’ipotesi in cui, ammettendo l’azione di classe per il solo accertamento, si venga a chiudere – agli aderenti – ogni strada di successiva tutela risarcitoria, individuale o collettiva che sia»27.
Il rischio esiste tuttavia anche per le azioni di condanna e il filtro di ammissibilità, che ha dimostrato di essere sin troppo efficace, svolge proprio la funzione di selezionare le domande prive della capacità di raggiungere un esito soddisfacente.
Per contro, l’autonomia della tutela di mero accertamento potrà apprezzarsi nelle ipotesi in cui il tempestivo instaurarsi di un’azione di classe a fronte di un illecito dannoso consentirà, ove fondata, di “congelare” l’accertamento della responsabilità prima che il danno si produca o si produca integralmente. Vi sono infatti illeciti di massa, in cui il danno si manifesta a distanza di tempo dall’illecito o in tempi diversi per i vari danneggiati, cosicché la risoluzione delle questioni comuni attraverso l’azione di accertamento può assumere un’importanza decisiva per il futuro.
Un secondo nodo attiene alla legittimazione.
Il passaggio dal vecchio al nuovo testo dell’art. 140 bis, con il transito da un’azione collettiva affidata all’iniziativa delle associazioni dei consumatori a un’azione di classe a legittimazione diffusa, rende il giudizio di ammissibilità sul cd. “adeguato portatore” dell’interesse superindividuale un test decisivo per il funzionamento dello strumento.
Le primissime decisioni di merito non erano state confortanti in tale direzione, essendo prevalsa l’idea che il mandato conferito dai singoli alle associazioni debba avere carattere sostanziale, con conseguente inammissibilità di domande proposte da enti muniti di solo mandato processuale28.
Tale interpretazione è oggi recessiva, essendosi affermata la specialità dell’art. 140 bis in tema di legittimazione29.
Il giudizio sulla legittimazione viene così liberato da un inutile appesantimento. Certo, l’obiettivo del legislatore del 2009 di evitare azioni delle associazioni camuffate da azioni individuali ne esce in parte frustrato, ma non sarebbe difficile per le associazioni farsi conferire un mandato meglio congegnato, capace di comprendere anche la rappresentanza sostanziale. L’importante è che l’azione di classe possegga sin dall’inizio un collegamento con i reali danneggiati, onde evitare la proposizione di azioni risarcitorie puramente emulative.
Infine, vi sono le delicate questioni di diritto intertemporale, derivanti dalla applicabilità dell’art. 140 bis agli illeciti compiuti successivamente alla data di entrata in vigore della legge introduttiva (art. 49, l. 23.7.2009, n. 99). La deroga al principio generale della immediata applicabilità delle norme processuali può forse giustificarsi con la necessità delle imprese di adattarsi alle chicanes di un procedimento del tutto inedito, ma si scontra apertamente con l’esigenza, non meno giusta e avvertita, dei consumatori, di non vederne differita sine die l’utilizzabilità, a causa della struttura di molte fattispecie contrattuali su larga scala.
Non è un caso che in questo primo triennio applicativo la partita si sia giocata sulle clausole bancarie, inserite in contratti perfezionatisi in epoca anteriore al 15.8.2009, ma produttivi di effetti anche dopo tale data.
Il tema è analogo a quello della nullità/inefficacia sopravvenuta di clausole contenute nei contratti a lungo termine30.
Dopo una prima pronuncia favorevole alle imprese31, sembra oggi prevalere l’indirizzo secondo cui l’esecuzione delle clausole contrattuali modificate da parte della banca ha natura di illecito permanente contrattuale e «integra il compimento di illeciti … ogni volta rappresentativi di una consapevole e deliberata volontà della parte», da cui discende «l’ammissibilità dell’azione, ratione temporis, per le sole commissioni di massimo scoperto applicate dopo il 15 agosto 2009»32.
La più recente linea interpretativa è preferibile perché l’applicazione di clausole vessatorie non può che ricondursi alla complessiva operazione contrattuale e agli obblighi che ne derivano. Tra questi vi è anche quello di non variare in modo ingiustificato i termini e le condizioni e di non applicare clausole nulle. Da parte della banca, continuare a dare applicazione alla commissione di massimo scoperto, esigendo o prelevando somme indebite, costituisce un inadempimento che si rinnova giorno per giorno e dunque un illecito collettivo contro cui può reagirsi con l’azione di classe per il periodo successivo all’entrata in vigore dell’azione di classe33.
1 V. Armone, G., Art. 1469-sexies, in Barenghi, A., La nuova disciplina delle clausole vessatorie, Napoli, 1996, 222.
2 Rossi Carleo, L., La tutela amministrativa contro le clausole abusive, in www.consiglionazionaleforense.it; Barenghi, A., Art. 37-bis, in Cuffaro, V., Codice del consumo, III, Milano, 2012, 286. Nel frattempo l’Agcm, in sede di recepimento della direttiva 2005/29/Ce, aveva visto allargare le proprie competenze consumeristiche, mediante l’attribuzione di compiti di tutela contro tutte le pratiche commerciali scorrette (art. 27 c. cons.).
3 Rossi Carleo, L., op. cit., § 4.
4 V. tuttavia di recente C. giust. 15.3.2012, C-453/10.
5 Barenghi, A., Art. 37-bis, cit., 289.
6 Barenghi, A., op. loc. cit.
7 La proposta 8.10.2008 COM(2008) 614, può leggersi all’indirizzo http://tinyurl.com/9tp4vs7; Dona, M., La proposta di direttiva sui diritti dei consumatori: luci ed ombre nel futuro della tutela contrattuale, in Obbligazioni e contratti, 2009, 582.
8 Sulla direttiva v. Pardolesi, R., Palmieri, A., De Hippolyitis, R., Casoria, M., Oliva, A.L., La direttiva sui diritti dei consumatori (dir. n. 2011/83/Ue), in Foro it., 2012, V, 177; Riva, I., La direttiva di armonizzazione massima sui diritti dei consumatori, o almeno ciò che ne resta, in Contratto e impr. Europa, 2011, 754.
9 V. Oliva, A.L., in Foro it., 2012, V, 194.
10 De Hippolytis, R., in Foro it., 2012, V, 186.
11 Casoria, M., in Foro it., 2012, V, 191.
12 Donzelli, R., L’azione di classe a tutela dei consumatori, Napoli, 2011.
13 La soluzione oggi accolta era stata peraltro già anticipata da Trib. Roma, 25.3.2011, in Foro it., 2011, I, 1889, App. Torino, 23.9.2011 e Trib. Roma, 11.4.2011, in Foro it., 2011, I, 3422.
14 Bellelli, A., Azione inibitoria e clausole vessatorie, in www.consiglionazionaleforense.it.
15 Rossi Carleo, L., op. cit., § 4.
16 Masucci, S.T., Art. 1469-quater, in Barenghi, A., La nuova disciplina, cit., 176.
17 Su cui v. Cass., 18.8.2011, n. 17351.
18 Barenghi, A., Art. 37-bis, cit., 288.
19 Palmieri, A., in Foro it., 2012, V, 181; Riva, I., op. cit., 754.
20 Pardolesi, R., in Foro it., 2012, V, 177.
21 In tema v. Pardolesi, R., op. cit., 182; Mazzamuto, S., Il contratto di diritto europeo, Torino, 2012, 151 ss.
22 Trib. Roma, 25.3.2011 e 11.4.2011 cit.
23 V. Caponi, R., Oggetto del processo e del giudicato «ad assetto variabile», in Foro it., 2008, V, 200.
24 Trib. Roma, 25.3.2011, cit.; contra App. Torino, 27.10.2010, in Foro it., 2010, I, 3530.
25 Dalfino, D., Oggetto del processo e del giudicato (e altri profili connessi), in Foro it., 2008, V, 191, Poli, R., Sulla natura e sull’oggetto dell’azione di classe, in Riv. dir. proc., 2012, 51 individua uno stretto nesso tra i concetti di identità/omogeneità e l’ammissibilità dell’azione di accertamento.
26 Bove, M., Profili processuali dell’azione di classe, in www.judicium.it, 4; Porreca, P., Ambito soggettivo e oggettivo dell’azione di classe, in Europa e dir. priv., 2010, 541; Poli, R., op. loc. cit.
27 V. App. Torino, 27.10.2010, cit.
28 V. Trib. Torino, 28.4.2011, in Foro it., 2011, I, 1888.
29 V. App. Torino, 23.9.2011, cit.
30 V. in materia di inibitoria collettiva e clausole vessatorie Cass., 21.5.2008, 13051, e ivi riferimenti.
31 V. Trib. Roma, 25.3.2011, cit.
32 App. Torino, 23.9.2011, cit. e Trib. Roma, 11.4.2011, cit.
33 La soluzione appare del resto più coerente con gli esiti della battaglia che si è di recente combattuta, sul terreno della decorrenza della prescrizione dell’azione di ripetizione per gli interessi anatocistici bancari: v. C. cost. 5.4.2012, n. 78, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 2, co. 61, d.l. 29.12.2010, n. 225, conv., con modificazioni, dalla l. 26.2.2011, n. 10, norma approvata per sterilizzare l’orientamento di Cass., S.U., 2.12.2010, n. 24418.