La valutazione della ricerca scientifica
Il regolamento contenuto nel d.m. 7.6.2012, n. 76 contempla i criteri e i parametri su cui dovrà fondarsi il giudizio della commissione unica nazionale in vista dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale prevista dall’art. 16, l. 30.12.2010, n. 240 il cui conseguimento costituirà condizione necessaria per l’accesso alla prima e seconda fascia dei professori universitari. La coerenza con tali criteri e parametri costituirà, altresì, un elemento fondamentale ai fini dell’accertamento della qualificazione scientifica degli aspiranti commissari. La logica che impronta la fissazione dei criteri e parametri è quella di superare l’autoreferenzialità della componente accademica nella valutazione dell’attività scientifica dei candidati alle abilitazioni nazionali attribuendo una maggiore oggettività al giudizio operato in sede concorsuale. Tale esigenza, tuttavia, dovrà risultare coerente con il rispetto delle convenzioni presenti all’interno delle singole comunità scientifiche e misurare, piuttosto che i prodotti dell’attività di ricerca, l’effettivo apprezzamento da questi ottenuto all’interno di rispettive comunità di riferimento.
Com’è noto, la l. 30.12.2010, n. 240, all’art. 16, collegava il conseguimento dell’abilitazione scientifica nazionale ad un giudizio motivato – fondato sulla valutazione analitica dei titoli e delle pubblicazioni scientifiche – ed espresso «sulla base di criteri e parametri differenziati per funzione e area disciplinare, definiti con decreto ministeriale», di recente emanato con il d.m., 7.6.2012, n. 76. Tale abilitazione nazionale – che costituisce il requisito necessario per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari – viene infatti riconosciuta, a seguito della procedura contemplata dal d.P.R. 14.9.2011, n. 222, ai candidati che, anche alla luce di tali parametri e criteri, abbiano ottenuto risultati scientifici significativi, tenuta in considerazione anche la rilevanza internazionale acquisita dagli stessi.
Oltre a tener conto dei criteri e parametri contenuti nel decreto, la commissione nazionale potrà altresì definire, ai sensi dell’art. 3, co. 3, dello stesso, una loro ponderazione, l’individuazione del tipo di pubblicazioni richieste e l’eventuale utilizzo di indicatori più selettivi di quelli nello stesso contenuti. La differenza concettuale fra «criteri» e «parametri» consiste nel fatto che, alla luce dell’art. 1, lett. m) e n) del decreto, i primi costituiscono elementi di giudizio suscettibili di una valutazione qualitativa mentre gli altri sono quantificabili e valutabili mediante il risultato di una misura ovvero attraverso gli «indicatori» evocati dalla lett. o) dello stesso decreto.
I criteri ed i parametri fissati dal decreto costituiscono, altresì, gli elementi fondamentali, ai sensi dell’art. 8 del decreto, sulla base dei quali dovrà misurarsi la coerenza circa l’effettivo possesso della qualificazione scientifica degli aspiranti componenti la commissione scientifica nazionale che effettuerà la valutazione.
In vista dell’emanazione del decreto ed al fine di contribuire al dibattito sugli indicatori che dovevano rappresentarne l’oggetto, l’Anvur aveva emanato un proprio parere, approvato dal Consiglio Direttivo il 22.6.2011, intitolato «Criteri e parametri di valutazione dei candidati e dei commissari dell’abilitazione scientifica nazionale». Tale documento era finalizzato ad enunciare criteri generali che costituissero, di volta in volta, soglie diversificate di accesso alle procedure di abilitazione nazionale, adeguate alle caratteristiche dei singoli settori disciplinari. L’intenzione, dunque, non era quella di fissare soglie espresse in valori assoluti dei parametri qualitativi e quantitativi di riferimento che avrebbero definito in modo rigido la situazione al momento della loro individuazione; in tal modo, in effetti, si sarebbe impedito al sistema di conferimento delle abilitazioni nazionali di attivare un circuito virtuoso di cambiamento.
La scelta di tali criteri doveva soddisfare, viceversa, il principio del miglioramento progressivo della qualità scientifica dei docenti abilitati, misurata mediante indicatori di produttività differenziati per ciascun settore. Questi erano identificati, pertanto, nel possesso di indicatori di qualità della produzione scientifica superiori alla mediana dello specifico Settore concorsuale e fascia per cui si chiedeva l’abilitazione e in una ragionevole continuità nella produzione scientifica dei candidati.
L’ampio dibattito suscitato, all’interno delle comunità scientifiche, dalla pubblicazione del documento aveva indotto il Consiglio direttivo dell’Anvur, in seguito, ad elaborarne uno ulteriore, approvato il 25.7.2011. In tale documento successivo si teneva conto delle principali critiche e osservazioni formulate e si perveniva ad alcune correzioni del testo di cui si affermava la natura di «parere» aperto, orientato alle evidenze scientifiche e rispettoso delle differenze di ciascun settore disciplinare. Si precisava, altresì, come tale documento non avesse alcun intento di valutazione diretta dei candidati alle procedure di abilitazione che veniva affidata esclusivamente alle commissioni nazionali.
Nel seguito dell’analisi si metterà in evidenza com’è gradualmente maturata, nella scienza giuridica e nella giurisprudenza costituzionale, la necessità di sottoporre il giudizio delle commissioni concorsuali alla fissazione di criteri previamente definiti (§ 1.2). Si metterà in rilievo, inoltre, come tale giudizio dovrebbe comunque misurare, anziché i risultati della ricerca, il grado di apprezzamento da questi ricevuto all’interno della comunità scientifica e rispettare le convenzioni in essa presenti (§ 2). Infine si espliciteranno i dubbi di legittimità, per la compatibilità con i principi contenuti nell’art. 33, ult. co. Cost., insiti nell’attribuzione ad un decreto ministeriale sia della definizione di criteri e di parametri condizionanti il giudizio di merito della commissione unica nazionale sull’attribuzione dell’abilitazione sia della formazione della lista degli aspiranti commissari (§ 3).
1.2 Il difficile equilibrio fra libertà della ricerca scientifica e sua soggezione a criteri e parametri definiti
La sottoposizione dell’attività scientifica dei candidati all’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori universitari, da parte delle commissioni concorsuali, ad una valutazione informata a criteri e parametri previamente definiti risponde, in effetti, ad un’esigenza pressoché ignota e non avvertita nell’esperienza repubblicana, almeno fino agli anni Novanta.
Più in generale, la necessità di una valutazione dell’attività scientifica informata a criteri previamente definiti non è rinvenibile direttamente nei principi costituzionali direttamente dedicati all’istruzione superiore, ovvero quelli di libertà della scienza (art. 33, co. 1, Cost.) e di autonomia delle Università (art. 33, co. 6, Cost.) ed, infine, dell’obbligo di promozione della ricerca scientifica da parte della Repubblica (art. 9, co. 1, Cost.). Essa fu anzi ritenuta, dalla giurisprudenza costituzionale degli anni Settanta, addirittura un limite indebito alla libertà della scienza e, di conseguenza, all’autonomia universitaria, considerata dalla Corte il risvolto organizzativo della garanzia a questa apprestata1. Tale convinzione indusse i giudici costituzionali, ad esempio, a giudicare illegittimo l’obbligo delle commissioni concorsuali di stabilire previamente criteri di massima che ne autolimitassero la discrezionalità, unitamente all’affidamento del relativo giudizio a componenti esterni all’Accademia.
La fissazione di criteri e parametri che orientassero il giudizio espresso dalle commissioni in sede concorsuale veniva infatti concepito, dalla Corte, non rispondente ad «una valutazione che non può attingere a regole fisse, data la varietà delle qualità personali dei singoli candidati». Il buon andamento dell’amministrazione universitaria esigeva, per i giudici costituzionali, che fosse valutata l’opera scientifica del candidato ad una cattedra «per quella che è, e non è prevedibile a priori quale essa possa essere, così da predisporre criteri ai quali raffrontarla».
La sfiducia crescente verso la capacità della comunità scientifica di valutare in autonomia la qualificazione scientifica raggiunta dai candidati, unitamente all’idea che le Università dovessero rispondere, principalmente, alla domanda di formazione del sistema produttivo, ha fatto progressivamente maturare, sia nella giurisprudenza amministrativa sia in sede legislativa, un differente orientamento. Si è affermato infatti il convincimento che l’individuazione di criteri e di parametri di valutazione dell’attività scientifica previamente fissati non rispondesse solo ai principi costituzionali di trasparenza e di imparzialità dell’azione amministrativa ma fosse un corollario essenziale di un’autonomia universitaria effettivamente responsabile.
L’intento di ridurre l’autoreferenzialità delle commissioni concorsuali nel giudizio sulla qualificazione scientifica dei candidati ha fatto emergere, nella legge di riforma, l’esigenza ineludibile di improntarne l’attività di valutazione a parametri e criteri oggettivi previamente definiti, attualmente contemplati dal d.m. n. 76/2012. Le critiche della scienza giuridica investono, tuttavia, l’effettivo oggetto su cui, per essere rispettoso della libertà di ricerca scientifica ai sensi dell’art. 33 Cost., dovrebbe vertere il giudizio, da parte della commissione unica nazionale, sulla qualificazione scientifica dei candidati, ai sensi dell’art. 16, co. 3, lett. a) della l. n. 240/2010, ai fini dell’attribuzione dell’abilitazione scientifica nazionale.
La riconduzione del giudizio concorsuale sulla qualificazione scientifica dei candidati a criteri e parametri fissati in sede ministeriale è stato sottoposto anzitutto ad una critica serrata, da parte della scienza giuridica, per i molteplici rischi che comporta di compressione della libertà di ricerca scientifica. Per un versante si sostiene che la valutazione, per essere rispettosa di questa libertà, dovrebbe riguardare, anziché il valore intrinseco dei risultati della ricerca, il grado di apprezzamento che questi hanno ricevuto nella comunità scientifica di riferimento2. Il nuovo sistema di formulazione dei giudizi concorsuali, pertanto, dovrebbe comunque partire dal rispetto delle convenzioni vigenti all’interno della comunità scientifica di riferimento di ciascuno studioso. Queste costituiscono la sedimentazione storica del modo con cui sono stati affrontati i problemi specifici di valutazione di un determinato ambito disciplinare3.
Si sostiene, inoltre, che un giudizio concorsuale fondato su standards eccessivamente rigidi potrebbe favorire un approccio alla produzione scientifica poco originale ed innovativo ed assecondare uno stile conformista rispetto ai criteri oggettivi prefissati. L’introduzione del nuovo sistema di valutazione, dunque, dovrebbe risultare graduale e prudente, con un’attenzione specifica al contesto complessivo in cui è destinato ad operare e ai comportamenti che potrà favorire o scoraggiare.
Si è ritenuto, infine, che l’introduzione di criteri con valenza retroattiva, come quelli contenuti nell’All. B del regolamento, attinenti alla classificazione attuale delle riviste in cui sono inseriti i prodotti scientifici degli ultimi dieci anni leda il principio di affidamento dei candidati all’abilitazione4.
D’altra parte il progressivo adeguamento dei giudizi sulla qualificazione scientifica dei candidati all’abilitazione a criteri e parametri previamente fissati appare ineludibile nella prospettiva di un compiuto ingresso del nostro sistema di istruzione superiore nello spazio europeo della ricerca5.
L’affidamento al Ministero del potere di determinare, attraverso un proprio decreto, criteri e parametri di giudizio influenti sia sulla valutazione degli abilitandi sia sull’inclusione dei professori nelle liste in cui si svolgerà il sorteggio dei commissari ha sollevato, infine, dubbi di costituzionalità per l’indebita compressione arrecata all’ambito costituzionalmente assegnato all’autonomia universitaria dall’art. 33 Cost.6
In tale prospettiva non viene messa in discussione tanto l’ammissibilità di criteri condizionanti il giudizio della commissione o la necessità che i commissari siano in possesso di una qualificazione scientifica almeno pari a quella dei candidati al conseguimento dell’abilitazione; si mette in luce, più specificamente, che l’affidamento di tali determinazioni al potere ministeriale costituirebbe una violazione della riserva di legge posta a garanzia dell’autonomia universitaria dall’art. 33, co. 6 Cost. che affida l’unità dell’ordinamento universitario alla costituzione di «ordinamenti autonomi» «nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato».
A suo tempo la Corte ha precisato che la presenza di tale riserva, ovvero il necessario intervento del legislatore in materia, investe sia l’aspetto organizzativo sia il profilo funzionale dell’ordinamento universitario, ovvero coinvolge i diritti di accesso alle prestazioni da questo erogate7. Come tutte le riserve di legge contemplate in seno alla Costituzione, inoltre, essa implica un monopolio della fonte legislativa nel compimento delle scelte qualificanti della materia sia con l’esclusione del concorso, sotto tale profilo, della normazione secondaria sia con l’obbligo, da parte della fonte primaria, di non sottrarsi al compito ad essa affidato.
Nel contempo, in realtà, i giudici costituzionali non hanno escluso la possibilità che la legge stessa affidi «ad atti ad essa subordinati le valutazioni necessarie per la messa in opera concreta delle scelte qualificanti la materia ch’essa stessa ha operato». Tale possibilità, peraltro, è insita nella stessa gradazione costituzionale dell’intensità dell’intervento del legislatore in materia che può contemplare esclusivamente limiti esterni degli ordinamenti autonomi e richiede, quindi, necessariamente un’integrazione ad opera della normazione secondaria e statutaria. Nei rapporti fra potestà normativa legislativa e atti del Governo, inoltre, la stessa Corte non ha escluso l’eventualità di uno svolgimento dei contenuti sostanziali delle scelte qualificanti compiute dal legislatore ad opera di fonti secondarie «quando si versi in aspetti della materia che richiedono determinazioni unitarie» non affidabili all’autonomia degli Atenei.
Il significato della riserva di legge in materia di ordinamenti universitari, dunque, ha un versante duplice. Anzitutto la necessità di non comprimere l’ambito di autonomia riservato agli Atenei attraverso un’indebita invasione degli spazi ad essi riservati, in secondo luogo la possibilità che la legge stessa richieda l’intervento dell’esecutivo per la specificazione concreta della disciplina legislativa quando la sua attuazione non è affidabile all’autonomia degli Atenei.
Sotto il profilo tecnico-giuridico, dunque, la riserva di legge in materia di autonomia delle università, se impedisce che il legislatore statale la comprima dall’interno, non è d’ostacolo a che la legge contempli un intervento dell’esecutivo o del singolo Ministero diretto ad effettuare valutazioni complessive, come quelle contenute nel d.m. n. 76/2012, non assumibili dai singoli Atenei.
1 Si v. C. cost., 6.7.1972, n. 143.
2 In tal senso si v. Pinelli, C., Autonomia universitaria, libertà della scienza e valutazione dell’attività scientifica, in Munus, 2011, 3, 573.
3 Per tale critica si v. Denozza, F., La ricerca scientifica e le tecniche di valutazione, in Munus, 2011, 3, 589.
4 Si veda il ricorso di costituzionalità contro il d.m. n. 76/2012 promosso dall’Associazione italiana dei costituzionalisti.
5 In tal senso si v. della Cananea, G., Interpretazioni della Costituzione e valutazioni della ricerca:interrogativi e ipotesi, in Munus, 2011, 3, 642.
6 Si v. ancora Pinelli, C., op. cit. Si tenga conto che anche il Consiglio di Stato ha fornito parere negativo sul regolamento contenuto nel d.m. n. 76/2012 per i dubbi di compatibilità con i principi contenuti nell’art. 33 Cost. Si v. Cons. St., sez. cons., parere 22.3.2011, n. 1180.
7 Ci si riferisce a C. cost., 27.11.1998, n. 383.