La Venezia d'oltremare nel secondo Duecento
Per tutto il corso del Duecento, ma soprattutto nella seconda metà del secolo, le strategie e le attività economiche di Venezia oltremare - sia private che pubbliche - furono influenzate dalla concomitanza di due insiemi di fattori: da un lato, processi sociali, economici e demografici di lunga durata in Occidente, dall'altro eventi soprattutto militari e politici - in Oriente. Gli stessi fattori determinarono, in larga misura, l'intervento dello stato veneziano nella difesa e nella promozione degli interessi propri e dei suoi sudditi. Per l'Occidente quello fu un periodo di crescita demografica e concentrazione urbana impressionanti e sostenute, frenate peraltro con gli anni Ottanta, e insieme di incremento del tenore di vita per fasce sempre più vaste della popolazione. Un processo, quest'ultimo, alimentato da un maggiore potere d'acquisto, specie per il ceto urbano in espansione, dal mutare dei modelli di consumo, dalla maggiore propensione all'ostentazione del lusso come status symbol, dalla crescente raffinatezza della quotidianità. L'insieme di questi fattori imponeva un'offerta più ricca e diversificata di merci, la cui acquisizione era resa possibile dalla potenziata capacità dell'Occidente di proporre mezzi di scambio: prodotti finiti, soprattutto tessuti di lana, o materie prime, monete e metalli preziosi.
In genere si guarda molto al commercio, proficuo e abbastanza ben documentato, delle merci orientali più leggere e costose come le spezie, gli aromi e le tinture, originarie soprattutto dell'India e dell'Indonesia, e altre preziosità come le sete prodotte a Bisanzio e in Medio Oriente. Con la seconda metà del Duecento, però, le merci pesanti e voluminose vennero assumendo un ruolo di maggior rilievo negli scambi marittimi dell'Occidente: materie prime industriali importate dal Mediterraneo orientale e dal mar Nero come il cotone e l'allume - il principale mordente utilizzato dalle industrie tessili d'Occidente -, i cereali e il sale. Fatta eccezione per l'allume, quasi-monopolio genovese dopo gli anni Sessanta, Venezia partecipò al trasporto e al commercio di tutte queste merci. In quel periodo accelerò l'espansione delle industrie del cotone e della seta in Italia, e del vetro a Venezia; industrie che tendevano ad allargare il mercato soddisfacendo i gusti e le capacità finanziarie di una clientela diversificata, e per far questo dovevano produrre una vasta gamma di merci diverse per natura e qualità. L'aumento della produzione, la maggiore finezza di certi prodotti e la loro diversificazione dipendevano, in misura parziale o decisiva che fosse, da un flusso costante, ma variegato, di materie prime. La complessa struttura della domanda occidentale di spezie e altre merci di lusso, di materie prime industriali, di prodotti finiti e infine di cereali e sale, stimolò la ricerca di nuove fonti di offerta e di nuovi sbocchi per le merci di scambio occidentali in Oriente; una ricerca che a sua volta portò all'integrazione di nuove aree del Mediterraneo orientale e del mar Nero nelle reti commerciali e di trasporto dell'Occidente. L'espansione geografica dell'Occidente imponeva adattamenti a breve e a lungo termine per garantire maggiore efficienza alla raccolta, al trasporto e alla distribuzione delle merci, collegati ai progressi nelle costruzioni navali e nell'arte della navigazione.
Oltre che dai fattori economici, però, i processi cui si accennava furono favoriti da tre eventi di grande portata in Oriente. La quarta Crociata, conclusasi nel 1204 con la frammentazione politica delle terre bizantine, la cosiddetta Romània, parti della quale non sarebbero più ritornate ai Greci. Tra le potenze marinare, fu Venezia a trarne maggiore beneficio, fondando il suo impero coloniale con l'acquisizione di Creta e delle enclaves di Modone e Corone nel Peloponneso sud-occidentale, e di altri avamposti commerciali in altre regioni della Romània. Le nuove posizioni contribuirono a consolidare il controllo veneziano sulle principali rotte che collegavano l'Adriatico con Costantinopoli, il Levante e l'Egitto. L'espansione dei Mongoli, che avevano occupato vaste regioni dell'Asia, toccò le rive del mar Nero intorno al 1240, e intorno al 1260 si avvicinò al Mediterraneo. Le sue conseguenze per il commercio furono importantissime: per novanta anni circa furono garantite condizioni sicure al flusso di merci orientali e alla penetrazione nell'interno dell'Asia di mercanti occidentali, e i Veneziani tra questi, cui l'accesso diretto alle fonti delle spezie, degli aromi e delle tinture orientali era stato interdetto dall'Egitto. Gli stati crociati del Levante, fondati all'inizio del secolo XII sull'onda della prima Crociata, nel Duecento erano per lo più ridotti ai territori della fascia costiera; fino alla loro caduta in mano ai Musulmani, nel 1291, svolsero comunque una funzione economica di rilievo. Ognuno di questi importanti sviluppi generò bruschi cambiamenti nelle condizioni politiche ed economiche, il cui impatto si diffuse rapidamente dalle regioni specifiche in cui si verificavano ad altre regioni. Offrivano nuove opportunità all'espansione dello spazio politico occidentale, o viceversa le riducevano, e comunque imponevano cambiamenti strutturali di lunga durata nei modelli e nelle rotte commerciali, oltre che nella distribuzione geografica, nell'organizzazione e nell'amministrazione delle basi politiche e commerciali oltremare.
Pur nella loro natura generale, i due insiemi di fattori cui si è accennato provocarono dai Veneziani reazioni specifiche, diverse per molti aspetti da quelle delle altre potenze marinare, sullo sfondo della crescente rivalità tra Venezia e Genova. Dedicheremo la nostra attenzione soprattutto alle tre regioni orientali in cui l'espansione veneziana si esercitò con maggiore impeto: la Romània, l'Egitto e il Levante crociato. In genere ciascuna di queste regioni viene considerata in un contesto di relazioni economiche e di interscambio bilaterale tra Oriente e Occidente, una prospettiva che però trascura del tutto il fatto che l'Occidente, la Romània e il Levante crociato erano organicamente integrati all'interno di una rete economica triangolare, in cui ciascuna regione interagiva con le altre. Se si vuol rimanere al nostro contesto più specifico, il commercio e i trasporti veneziani collegavano Venezia con Costantinopoli e il mar Nero da un lato, con il Levante crociato e l'Egitto dall'altro; inoltre collegavano ciascuna di queste regioni con le altre.
La ricostruzione della presenza e dell'attività di Venezia oltremare, e delle realtà regionali e locali in cui esse si manifestarono, può attingere a diversi tipi di fonti, che peraltro, per il periodo trattato in questo capitolo, risultano assai frammentarie, distribuite in modo disomogeneo e di alterna utilità ai nostri fini; talvolta, quindi, è insieme necessario e giustificato ricorrere a testimonianze anteriori o posteriori per colmare alcuni vuoti nella prospettiva di lunga durata della catena degli eventi. Le fonti narrative guardano soprattutto agli avvenimenti militari e agli sviluppi politici, mentre i diplomi dei privilegi accordati a Venezia, la corrispondenza diplomatica e i decreti, le risoluzioni e gli altri documenti emanati dagli organismi del governo veneziano forniscono soprattutto informazioni di carattere economico (1). Nella seconda categoria di fonti, alcuni documenti si rivelano particolarmente utili: la lista di richieste di indennizzo presentate dalle vittime veneziane di misfatti commessi da Bizantini, compilata a Venezia nel 1278 (2), e le analoghe rivendicazioni avanzate a Genova tra il 1274 e il 1291(3); oltre a questi, un listino dei tassi di cambio della moneta veneziana con quelle straniere applicati a Venezia dall'ufficio della Ternaria nella riscossione di dazi di importazione basati sul valore di diverse merci. Quest'ultima lista risulta essere stata compilata o modificata tra il 1285 e il 1290, quindi appena prima della caduta degli stati crociati in Levante (4). Rimane comunque essenziale confrontare i testi normativi con le fonti in cui si riflettono le reali attività economiche dei Veneziani oltremare e le condizioni in cui queste venivano esercitate, nella fattispecie gli atti notarili. Purtroppo, però, il numero dei documenti notarili esistenti relativi all'espansione veneziana oltremare per il periodo compreso tra il 1250 e il 1310 circa è alquanto limitato, con informazioni che interessano soprattutto Creta, Corone e le regioni circostanti (5). D'altro canto, gli atti notarili riferiti a Veneziani in Egitto, in Levante, nella Piccola Armenia, a Cipro, a Costantinopoli e nel mar Nero furono in buona parte redatti da notai genovesi, ma l'uso di questi documenti ai nostri fini presenta gravi problemi, in quanto tali notai operavano in genere in ambiente genovese e i loro clienti erano quasi tutti connazionali o persone provenienti da località situate nell'area di Genova. Certo, in più occasioni i Veneziani richiesero i servigi di questi notai, e compaiono nei loro documenti come parti in causa o testimoni di contratti; nel 1300 e nel 1301 Lamberto di Sambuceto lavorò persino, per parecchie settimane, nella loggia veneziana del porto cipriota di Famagosta (6). È comunque evidente, peraltro, che nell'insieme le fonti genovesi sottovalutano l'apporto veneziano: un fatto importante di cui tener conto in qualsiasi valutazione della presenza di Venezia o della natura, della portata geografica e del volume dei suoi affari oltremare.
Per fortuna la documentazione relativa a questi Veneziani è arricchita dai manuali di mercatura, una fonte di nuovo tipo comparsa per la prima volta proprio nella seconda metà del Duecento. Il più antico manuale a noi noto, ancora inedito, sarebbe stato compilato da un veneziano residente ad Acri intorno al 1270; l'autore era un po' selettivo nella scelta delle informazioni, ma inseriva anche dati relativi al periodo anteriore. L'altro manuale veneziano, il cosiddetto Zibaldone da Canal, è più esauriente: portato a termine al più tardi nel 1320, esso contiene tuttavia informazioni sia sugli anni precedenti che su quelli successivi alla caduta degli stati crociati nel 1291. Entrambi gli autori veneziani offrono informazioni raccolte per loro esperienza diretta o da altri mercanti, soprattutto veneziani, che dunque sono un riflesso della loro reale attività. Altri tre manuali di mercatura gettano luce sul contesto della presenza veneziana oltremare: il primo, che indicheremo in seguito come la Memoria, fu compilato a Pisa nel 1278; il secondo è un'opera fiorentina anonima, di cui sono stati pubblicati alcuni estratti, collocabile negli anni Venti del Trecento; Francesco Balducci Pegolotti, agente della banca commerciale fiorentina dei Bardi, compilò il terzo manuale tra il 1330 e il 1340, ma fornisce notizie anche sugli anni precedenti il 1291 (7). Fatta eccezione per quest'ultimo, fino ad oggi i manuali rimangono una fonte tanto preziosa quanto poco sfruttata.
La riconquista bizantina di Costantinopoli nel 1261, con l'imperatore Michele VIII Paleologo, fu un grave scacco per i Veneziani: spariva bruscamente l'Impero latino fondato nel 1204, e con esso il ruolo politicamente decisivo e economicamente predominante che Venezia aveva svolto in quella struttura. Per qualche anno la presenza e l'attività dei Veneziani nell'Impero ne risultarono sensibilmente ridimensionate, mentre Genova - fatto questo ancor più grave - veniva riproposta come fattore permanente in una regione dalla quale era stata a tutti gli effetti assente dopo il 1204: l'equilibrio di potere tra Venezia e la sua maggiore concorrente ne fu sensibilmente modificato, e si allargò la dimensione geografica della loro aspra rivalità. D'altro canto, però, Venezia beneficiava ancora di quattro importanti conseguenze degli eventi del 1204: la scomparsa dei controlli restrittivi esercitati dallo stato bizantino su settori specifici della manifattura e del commercio; l'apertura del mar Nero al commercio occidentale e l'integrazione dell'area nel sistema commerciale mediterraneo; il riorientamento dell'economia della Romània occidentale in direzione dell'Occidente; e infine, le colonie e gli avamposti acquisiti in Romània, che rimanevano in possesso veneziano. Nonostante la consistente contrazione del suo territorio rispetto al periodo precedente la quarta Crociata, l'Impero bizantino continuò a esercitare un ruolo notevole sull'evoluzione della presenza veneziana oltremare (8).
Tra il 1261 e il 1302, nei rapporti di Venezia con l'Impero prevalse un clima di tensione, sospetti reciproci e conflitti intermittenti. Venezia alternava iniziative tese alla normalizzazione dei rapporti politici con Bisanzio, per espandere la sua attività economica, alla partecipazione alle coalizioni promosse da Carlo I d'Angiò re di Sicilia (1266-1285) per restaurare l'Impero latino: a una di queste Venezia partecipò nel 1281, firmando il trattato di Orvieto. Ogni speranza di successo fu cancellata nel 1282, quando la perdita della Sicilia indebolì Carlo I e, di conseguenza, a Venezia prese il sopravvento lo spirito di conciliazione. Anche l'atteggiamento dell'Impero nei confronti di Venezia fu mutevole. Adottò una politica aggressiva per riconquistare i territori perduti in Romània, ricorrendo alla guerra di corsa, agli sbarchi di truppe e tenendo viva l'opposizione interna greca nei domini veneziani, a Creta, ad esempio (9). Nel contempo usava il negoziato diplomatico, la concessione di privilegi e l'apertura dei suoi territori al commercio e ai trasporti veneziani per impedire alla Repubblica di unirsi ai suoi nemici. Tanto più che la presenza veneziana era anche utile per controbilanciare la pressione che la presenza esclusiva dei Genovesi avrebbe potuto esercitare sull'Impero. Date le circostanze, Venezia concluse con Bisanzio soltanto tregue temporanee, rispettivamente nel 1265 (ma non ratificata dal governo veneziano), 1268, 1273, 1277 e 1285 - quest'ultima per dieci anni, e rinnovata automaticamente a meno che uno dei contraenti si dichiarasse in anticipo per l'abrogazione (10).
La riconquista bizantina di Costantinopoli nel 1261, le tensioni e gli scontri militari che ne conseguirono tra Venezia e l'Impero, e le esazioni fiscali bizantine imposero una temporanea battuta d'arresto al commercio veneziano. Ma a partire dal 1268 Venezia estorceva all'imperatore Michele VIII concessioni ben più ampie di quelle di cui aveva goduto nell'Impero prima del 1204. Nel 1277 l'esenzione totale dalle imposte imperiali fu estesa a tutti coloro che commerciavano con i Veneziani, fossero Latini o sudditi bizantini (10). Fu ricostituito il quartiere residenziale veneziano a Costantinopoli così com'era prima del 1204; e tale sarebbe rimasto fino alla caduta della città in mano ottomana nel 1453. Più piccolo dell'esteso quartiere occupato da Venezia tra il 1204 e il 1261, acquisì comunque uno stato di virtuale extraterritorialità, e di zona commerciale franca, sottoposta all'autorità esclusiva del bailo veneziano, dotato di poteri amministrativi, fiscali e giudiziari ben più ampi di quelli esercitati dai funzionari veneziani prima del 1204. La sua giurisdizione, che comprendeva i casi penali, si estendeva su tutte le dispute tra Veneziani: i cittadini, i sudditi della Romània veneziana, e gli stranieri che avevano acquisito la nazionalità veneziana, per lo più nativi dell'Impero, cioè Greci, figli di matrimoni misti veneto-bizantini, o Ebrei; il bailo giudicava, inoltre, anche i reati commessi da Veneziani ai danni di Greci. Il comune affittava alloggi e botteghe ai mercanti di passaggio, e all'interno del suo quartiere imponeva tasse e penali. Con il 1268 il numero dei Veneziani residenti e dei mercanti in transito riprese ad aumentare, dopo la brusca caduta del 1261, e Costantinopoli divenne il centro di un'intensa attività a livello locale, regionale e di lunga distanza.
L'Impero era impoverito, ma il ripopolamento di Costantinopoli, favorito da Michele VIII dopo il 1261, e la presenza della corte imperiale bizantina con numerosi dignitari facevano della città un importante centro economico, con una domanda costante di generi alimentari, materie prime industriali e beni di lusso. La sua posizione, alla giuntura di due aree economiche di primaria importanza, il Mediterraneo e il mar Nero, ne enfatizzava il ruolo di stazione di transito e trasbordo. Un ruolo che a sua volta stimolava l'attività industriale, come la lavorazione ad opera di artigiani locali delle materie prime importate dai mercanti veneziani dal mar Nero e da loro riesportate in Occidente con il valore aggiunto di prodotti semilavorati o finiti. Fonti risalenti al 1320 circa sembrano indicare che così avveniva, nel tardo Duecento, per la conciatura dei pellami trattati dagli Ebrei veneziani. Esentati dalle tasse bizantine, i Veneziani godevano di un grosso vantaggio sui concorrenti, soprattutto mercanti bizantini (12).
Tessalonica (Salonicco) era per importanza il secondo centro del commercio veneziano nell'Impero, e le sue esportazioni di cereali e di sale per gli anni Settanta sono documentate. Parrebbe che i consoli veneziani competenti per i contenziosi interni, attestati a partire dal 1274, venissero scelti dapprima tra i mercanti presenti in città, piuttosto che dalle autorità a Venezia, dal che si potrebbe desumere che all'epoca non vi si trovassero Veneziani insediati e che quelli residenti temporaneamente a Tessalonica erano assai pochi. È significativo che il trattato del 1268 non faccia cenno a quella città, e che soltanto nel 1277 Bisanzio ratificò lo statuto del console veneziano e concesse alloggi per i mercanti di passaggio (13).
L'approvvigionamento di Costantinopoli e l'intensificarsi del commercio di transito gonfiarono la quota veneziana nel traffico a breve e media distanza intorno alla capitale bizantina, sia nel Mediterraneo che nel mar Nero, a scapito dei mercanti e dei vettori indigeni. Erano veneziane moltissime navi di piccola stazza, in parte armate con marinai greci, facilmente disponibili con lo smantellamento della flotta militare bizantina dopo il 1282. I Veneziani di lingua greca che conoscevano meglio la regione servivano da intermediari tra i Veneziani e i produttori indigeni (14). Il consolidarsi del dominio mongolo sulla Russia meridionale negli anni 1239-1240 condusse a un netto incremento nella portata geografica e finanziaria dell'attività veneziana nel mar Nero e nel suo entroterra. L'esperienza accumulata fino al 1261 consentì dopo il 1268 un'ulteriore espansione di questo traffico, sempre più rivolto verso i mercati mediterranei e in particolare alle esigenze della città di Venezia. Soldaia, nella Crimea sud-orientale, fu la base per la penetrazione in Russia fino a Kiev e oltre, nell'Asia interna: nel 126o iniziava da questa città il primo viaggio verso la Cina di due Veneziani; Niccolò e Matteo, rispettivamente padre e zio del famoso Marco Polo (15). Nel 1268 Michele VIII acconsentì che i Veneziani si stabilissero nell'area del mar Nero. Il testamento di Marco il Vecchio, zio del celebre viaggiatore, steso nel 1280, riporta che egli possedeva una casa a Soldaia, in cui risiedevano il figlio Niccolò, che probabilmente gli faceva da agente, e la figlia Marota. Nel 1288 Venezia vi inviò il suo primo console nella regione del mar Nero, con giurisdizione sui Veneziani per l'intera Crimea. La posizione veneziana a Soldaia doveva però affrontare la concorrenza sempre più accesa di Caffa, un altro porto della Crimea che dava accesso a Solchat, capitale mongola della regione, oltre che alle stesse rotte e merci servite da Soldaia. Tra il 1270 e il 1275 i Genovesi cominciarono a insediarsi a Caffa, data in concessione a Genova dal khan mongolo della Crimea, e nel 1281 vi tenevano un console. Anche i Veneziani e le loro navi facevano scalo a Caffa, per comprare schiavi o per proseguire verso la Georgia e il Caucaso (16).
La rilevanza delle importazioni dalla Crimea e dalle regioni circostanti sottoposte al dominio mongolo negli anni 1285-1290 spiega la presenza dell'aspro di Gaçaria, una moneta d'argento, nella lista di tassi di cambio usata dalla Ternaria a Venezia (17).
Riaffermata la loro presenza nel mar Nero nel 1268, i Veneziani esportavano pellami, pellicce, pesce e carne conservati sotto miele, cera, e sempre più spesso cereali e sale. La gamma delle merci aumentò negli anni Ottanta quando cominciarono ad arrivare sul mar Nero, attraverso Trebisonda, le spezie, gli aromi e le tinture d'Oriente che viaggiavano sulla rotta interna dell'Asia, controllata dai Mongoli (18). Sono attestate per la prima volta negli scambi veneziani nel 1284. Agli inizi del 1292 il comune autorizzò i mercanti veneziani ad importare queste merci dal mar Nero e da Costantinopoli, una decisione sicuramente legata all'interruzione del commercio con l'Egitto dopo la caduta degli stati latini in Levante avvenuta l'anno precedente. Le importazioni continuarono, con interruzioni dal 1296 al 1302 a causa della guerra veneto-bizantina non vi furono comunque cambiamenti di rotta radicali o permanenti nello schema degli scambi veneziani: senza alcun dubbio la guerra amplificò il ritorno verso l'Egitto e il Levante, tradizionalmente le fonti principali di merci orientali per i Veneziani (19).
Dopo il 1268 i cereali vennero ad occupare un posto sempre più importante nel commercio marittimo veneziano, specie con il mar Nero. E purtroppo impossibile valutare le dimensioni del rapido sviluppo demografico di Venezia, ma alcuni ritengono che nel tardo Duecento la popolazione avesse raggiunto il tetto dei 100.000. Già molto prima, comunque, il governo si era preoccupato dell'approvvigionamento di cereali per la città: i trattati conclusi dopo il 1231 con i signori di Tunisi autorizzavano l'esportazione di grano quando Venezia fosse minacciata da carestia, a condizione che fossero garantite le riserve locali (20). Clausole analoghe vennero inserite nei trattati con Bisanzio dal 1268. L'importazione di cereali dall'oltremare assumeva la massima priorità nella politica alimentare del governo quando in Italia il raccolto andava male, come nel 1268 e ancora negli anni Ottanta (21), provocando massicci acquisti veneziani nella zona del mar Nero - e in particolare in Crimea, a Varna e Mesembria - mentre altre navi caricavano grani a Tessalonica e a Eraclea di Tracia. Accadeva però che in questo ambito gli interessi veneziani si scontrassero con quelli di Bisanzio: l'approvvigionamento della popolazione di Costantinopoli era un tasto politico delicato per gli imperatori. Quando in città il prezzo del grano superava un certo tetto, l'esportazione dall'Impero o dalla regione del mar Nero veniva proibita, e il grano doveva essere venduto allo stato. Nel 1268 Venezia e l'Impero concordarono che il provvedimento sarebbe scattato quando il prezzo di 100 modii avesse superato i 50 iperperi, somma elevata a 100 nel 1277. Negli anni Settanta diversi carichi di grano trasportati su navi veneziane in viaggio dal mar Nero o da Tessalonica furono confiscati o assoggettati a pesanti esazioni dalle autorità bizantine: non è però chiaro se il grano del mar Nero fosse indirizzato a Costantinopoli o a Venezia. Nel 1284 i due mercanti che viaggiavano a bordo della galera che portava un'ambasciata veneziana a Costantinopoli furono autorizzati a rientrare con un carico di grano, ma senza merci orientali (22). I due manuali di mercatura veneziani sopra menzionati indicherebbero inoltre esportazioni di grano dal mar Nero a Acri e Cipro via Costantinopoli, e forse anche attraverso l'isola di Negroponte o Eubea (23).
Nell'ultima decade del XIII secolo la rivalità tra Venezia e Genova portò alla guerra tra le due potenze. Nel 1293 alcune navi veneziane furono depredate dai Genovesi vicino Corone; per rappresaglia, nel 1294, gli equipaggi di una flotta veneziana danneggiarono edifici di proprietà genovese nel porto cipriota di Limisso (Limassol), e una nave genovese nella rada di Laiazzo, allora il primo porto della Cilicia o Piccola Armenia. Al largo di quella città una flotta salpata da Pera, il quartiere genovese di Costantinopoli, sconfisse una flotta veneziana. Due anni dopo flotte veneziane devastarono Pera, che i Genovesi avevano portato a competere in maniera sempre maggiore con i Veneziani di Costantinopoli, e rovinarono gli avamposti genovesi di Caffa e di Focea, fonte principale dell'allume, sfruttata per concessione imperiale dalla famiglia genovese degli Zaccaria (24). I Genovesi si vendicarono incendiando il quartiere veneziano e uccidendo sudditi marciani, tra i quali il bailo Marco Bembo, arrestati da Andronico II. L'imperatore confiscò inoltre proprietà veneziane per un valore di 80.000 iperperi circa. Fu questo intervento a coinvolgere Bisanzio nella guerra. Nel 1298 Venezia fu sconfitta dai Genovesi nella battaglia di Curzola, sulla costa dalmata, nel corso della quale parrebbe che Marco Polo venisse fatto prigioniero (25): durante la prigionia a Genova avrebbe dettato il famoso resoconto dei suoi viaggi e del soggiorno in Asia. Tanto Venezia che Genova, la vincitrice, erano esauste, sicché nel 1299 pervennero a stipulare la pace di Milano. Diversamente dalla prima guerra veneto-genovese del 1256-1270, il cui teatro era stato soprattutto il Levante crociato, in questa guerra si riflettono chiaramente la perdita che l'Occidente subì di quella regione e lo spostamento del polo d'attrazione verso la Romània, il mar Nero, la Piccola Armenia e Cipro. Le operazioni militari, che si conclusero con uno stallo, avvennero in località e lungo rotte di importanza vitale per i commerci e i trasporti veneziani. Dopo il 1299 Venezia fu libera di concentrare tutti i suoi sforzi contro Bisanzio, un conflitto composto nel 1302 con una nuova tregua decennale in cui per la prima volta dopo il 1204 l'Impero riconosceva le conquiste veneziane in Romània (26).
Anche senza il riconoscimento bizantino, Venezia consolidava comunque il suo dominio nelle enclaves di Modone e Corone, nel Peloponneso meridionale, e a Creta, nonostante molteplici rivolte dei Greci di quell'isola, l'ultima delle quali durò dal 1282 al 1299. A Negroponte, peraltro, Venezia vide respinto il tentativo di estendere l'autorità del suo bailo, che dal 1211 aveva giurisdizione su un quartiere del capoluogo dell'isola, oltre che su tutti i Veneziani là residenti e sulle loro proprietà. Dal 1209 i maggiori signori feudali di Negroponte riconoscevano il dominio eminente sia di Venezia che degli imperatori latini di Costantinopoli. L'imperatore Baldovino II (1237-1261) aveva trasferito questi diritti a Guglielmo II principe di Morea (1246-1278), a quanto risulta nel 1248. Allorché Guglielmo, nel 1256, volle rivendicarli di fronte ai signori dell'isola, Venezia si schierò dalla parte dei signori stessi e ne ottenne numerose concessioni, che però perdette tutte quando essi dovettero sottomettersi al principe nel 1262: l'espansione veneziana nell'isola fu così bloccata per circa mezzo secolo (27). Venezia rafforzò la propria posizione nell'Egeo proponendosi come riferimento per la resistenza ai tentativi di riconquista bizantini, soprattutto dopo il 1270. Inoltre, i baili veneziani a Negroponte seppero approfittare dei conflitti tra i piccoli signori dell'Egeo per estendere l'autorità veneziana: l'esercizio della loro giurisdizione in materia feudale si basava in particolare su diversi elementi: la sovranità veneziana esercitata su alcune delle isole, l'appartenere dei signori per lo più al rango dei cittadini veneziani, l'uso, ancora, del diritto consuetudinario del principato di Morea, raccolto in una compilazione trecentesca nota come Assise di Romània: il primo caso fu quello di Andro, nel 1243, ricomposto soltanto nel 1292 (28). Nella Morea franca alcuni cittadini veneziani si integravano a livello individuale nella società feudale del principato. Uno di questi era Lorenzo, figlio del doge Giacomo Tiepolo, che tenne le isole di Sciro e di Scopelo, nonché un villaggio nel principato di Morea, in qualità di vassallo del principe Guglielmo II; Lorenzo stesso divenne doge nel 1268. Anche i Ghisi, che reggevano le isole di Tino e di Micone e una parte di Negroponte, parteciparono alla vita feudale del principato - e alcuni di essi persino al suo governo - prima del 1279 (29).
La conquista latina della Romània occidentale aveva prodotto una redistribuzione della proprietà in favore dei Latini, che però non modificò la natura agraria dell'economia locale. La terra era sempre la prima fonte del reddito, della ricchezza e delle entrate fiscali, e persistevano l'infrastruttura economica e sociale delle campagne e il modello di fondo dello sfruttamento agricolo. Dimostrano questa continuità le sopravvivenze bizantine nelle istituzioni e nelle procedure amministrative, fiscali e legali, nella struttura delle grandi tenute della Morea franca, e in numerosi contratti agrari (30). La conquista latina pose comunque fine al predominio dell'élite sociale bizantina, gli archontes, e al loro finanziamento delle attività economiche, e abolì definitivamente il restrittivo controllo dianzi esercitato dall'Impero d'Oriente su settori specifici della manifattura e del commercio. La Grecia centrale e occidentale e le isole dell'Egeo, in particolare il Peloponneso e Creta, videro si parla di consoli veneziani a Arta, a Spinarizza presso Valona e a Durazzo, rispettivamente nel 1274 e 1284, 1276 e 1282. I Veneziani si inserirono anche negli intensi scambi marittimi sulle brevi distanze nell'Egeo fino a Tessalonica, oltre a trasportare carichi tra la Romània latina, l'Italia meridionale e Venezia da un lato, Bisanzio, il Levante crociato e Cipro dall'altro, attività queste che sono documentate nei due menzionati manuali di mercatura veneziani, nelle liste di richieste di indennizzo presentate a Bisanzio nel 1278 e a Genova tra il 1274 e il 1291 e, infine, negli atti notarili. Da queste fonti si desume inoltre che a partire dagli anni Settanta, se non prima, i Greci indigeni utilizzarono in misura sempre maggiore navi di proprietà di cittadini veneziani (33); gli scambi sulle medie e lunghe distanze erano in buona parte nelle mani degli abitanti di Venezia (34), che, tra le altre merci, importavano il sale da Clarenza, Corone e Modone e dall'area di Atene. Di conseguenza, il commercio marittimo della Romània occidentale si vide progressivamente subordinato alle esigenze, alle rotte e al ritmo stagionale degli scambi sulle lunghe distanze, dominati da mercanti e vettori veneziani che approfittavano della protezione militare e diplomatica della Repubblica e dell'infrastruttura offerta dalle sue colonie e dai suoi avamposti commerciali. Da questo derivò l'integrazione della regione nello schema commerciale triangolare che collegava la Romània con l'Italia, il Levante e l'Egitto. E l'attività sempre più intensa dei pirati e dei corsari lungo le principali rotte di questo sistema nella seconda metà del secolo XIII è una dimostrazione indiretta della crescita complessiva del commercio marittimo nel Mediterraneo orientale in quel periodo (35).
L'espansione mongola provocò un importante spostamento verso nord della sezione più occidentale della via di terra attraverso l'Asia. Tabriz, nell'Iran settentrionale, divenne capitale del khanato di Persia, sostituendo Baghdad, messa al sacco dai Mongoli nel 1258, nel ruolo di principale crocevia di quell'itinerario nell'Asia occidentale. Qui le merci orientali, e tra queste i tessuti preziosi prodotti in Persia, si incontravano con i prodotti dell'Occidente. I grandi centri commerciali dell'entroterra siriano furono peraltro gravemente danneggiati dalla guerra tra Mongoli e Mamelucchi intorno al 1260, che trasformarono la Siria settentrionale in terra di confine tra le due potenze: nei decenni che seguirono le grandi città siriane perdettero la loro funzione di fornitrici di merci orientali alle città crociate della costa levantina. A trarne beneficio furono soprattutto Trebisonda e Laiazzo, due porti direttamente collegati con Tabriz (36). Trebisonda, centro di uno stato greco indipendente fin dal 1204, divenne il terminale sul mar Nero di prodotti orientali come le pietre preziose, le perle, i tessuti di pregio e, a partire dagli anni Ottanta, anche le spezie (37). L'attività veneziana vi fu abbastanza intensa da giustificare l'inclusione degli asperi cummanati, gli aspri d'argento "comneni" di Trebisonda, nella lista dei tassi di cambio della Ternaria riveduta negli anni 1285-1290 (38). Nel 1291 un mercante veneziano si ritenne danneggiato dalla dogana di Trebisonda, che il governo aveva dato in appalto a Niccolò Doria, un genovese. Senza dubbio la caduta degli stati crociati favorì la posizione della città nel commercio di transito. Al loro ritorno dalla Cina Marco Polo e suo zio Matteo passarono nel 1295 via Tabriz per Trebisonda, dove perdettero 4.000 iperperi per mano degli ufficiali e degli abitanti del luogo; proseguirono quindi per Costantinopoli, Negroponte e Venezia (39). Un itinerario che rispecchia evidentemente quello per corso dai mercanti veneziani negli ultimi decenni del Duecento. Non furono comunque molti i Veneziani insediati a Trebisonda prima del secondo decennio del Trecento - molto più tardi dei Genovesi -, il che spiega l'assenza sul posto, fino a quella data, di una rappresentanza ufficiale della Serenissima. Dal manuale di mercatura di Acri desumiamo che intorno al 1270 i Veneziani commerciavano anche a Sebastea (Sivas), crocevia principale dell'Anatolia interna che collegava Trebisonda con Laiazzo e Tabriz, portando argento alla zecca di quel centro selgiuchide. La presenza veneziana negli anni successivi è attestata dalla lista della Ternaria modificata tra il 1285 e il 1290, che fissa i tassi di cambio tra la moneta veneziana e gli asperi soldanini d'argento circolanti in Turchia, vale a dire nei territori anatolici assoggettati ai Turchi (40). Diversamente da Genova, comunque, Venezia non insediò un console a Sebastea (41).
Venezia aveva concluso nel 1201 il suo primo accordo con il Regno cristiano della Piccola Armenia, situato alla giuntura tra l'Anatolia e la Siria settentrionale, che fungeva da sbocco per i propri prodotti e per quelli dell'entroterra musulmano. Le materie prime di alta qualità di questa regione, richieste dal rapido sviluppo delle industrie italiane del cotone e della seta, acquisirono rilievo sempre maggiore nel corso del secolo XIII. È significativo che il porto di Laiazzo non venga menzionato nei primi due trattati di Venezia con la Piccola Armenia, in quanto la sua prosperità ebbe inizio soltanto con la conquista mongola (42). I grandi quantitativi di seta grezza cinese che vi giunsero a partire dagli ultimi anni Cinquanta furono in buona parte trattati dai mercanti genovesi (43). Laiazzo trasse ulteriore beneficio dallo spostamento verso nord della rotta commerciale dell'Asia interna, intorno al 126o, che la trasformò insieme nel primo sbocco mediterraneo di Tabriz e nella più importante via d'accesso per la penetrazione occidentale negli immensi domini mongoli (44); e oltre a questo, i mercanti che operavano a Laiazzo godevano di un accesso diretto ai vicini territori mamelucchi. Laiazzo compare nel Compasso da Navigare, una guida nautica compilata intorno alla metà del Duecento (45). Commerci veneziani in città sono attestati per la prima volta nel 1261, allorquando il comune fu autorizzato ad erigervi un palazzo pubblico; inoltre, prima del rinnovo del trattato, nel 1271, a Venezia furono anche assegnate alcune case (46). Da Laiazzo i mercanti veneziani proseguivano per Tabriz, come rivela il testamento del veneziano Pietro Viglioni, stilato in quella città nel 1263. L'inventario dei suoi beni comprende panni di lino dalla Germania, dalla Lombardia e da Venezia, pannilana da Malines (Brabante) e oggetti preziosi di cristallo di rocca, tra essi pezzi degli scacchi e pedine della dama intagliati a Venezia; oltre a questo, zucchero, presumibilmente acquistato in Siria, e perle e pietre preziose sicuramente acquistate in Tabriz stessa. I testimoni del testamento di Viglioni, che prescriveva la consegna dei suoi beni al bailo veneziano di Acri, erano italiani di altre città: ne consegue che all'epoca erano pochi i mercanti veneziani che arrivavano a Tabriz, anche se alcuni vi si sarebbero insediati più tardi (47). Il riferimento ad Acri è indicativo dell'itinerario seguito dai mercanti veneziani, e trova conferma nel primo viaggio di ritorno di Niccolò e Matteo Polo nel 1269, lungo la via di terra dell'Asia: giunsero a Laiazzo da Tabriz, e da lì procedettero via Acri per Venezia. Nel 1271 i due, questa volta accompagnati da Marco, salparono da Venezia per Laiazzo via Acri, e da qui iniziarono il loro secondo viaggio terrestre attraverso l'Asia.
La conquista musulmana di Antiochia nel 1268 e di altre città negli stati crociati settentrionali negli anni Ottanta accrebbe ancora di più l'importanza di Laiazzo. Nel 1271 Venezia siglò il suo terzo trattato con la Piccola Armenia, che le consentiva per la prima volta di insediare un bailo a Laiazzo - una chiara indicazione dell'importanza assunta da quella città per i mercanti veneziani (48). Sorprende che il manuale di mercatura di Acri, compilato intorno al 1270, non nomini Laiazzo pur facendo riferimento per due volte alla Piccola Armenia; ciononostante occorre tener conto dell'approccio alquanto selettivo dell'autore, e del fatto che in alcuni casi egli si rifà a informazioni superate: nel suo manuale non compaiono nemmeno Venezia e Acri in relazione alla Piccola Armenia, pur costituendo quest'ultima uno dei maggiori scali sulla rotta da Laiazzo all'Egitto, un traffico documentato fin dal 1270, sia pure non con riferimento ai Veneziani (49). Vi è un unico atto notarile, steso da un genovese, che documenti l'attività veneziana a Laiazzo negli anni Settanta, ma questo non riesce a testimoniare l'effettiva portata di tale attività. Infatti, nel 1274, fu ordinato al bailo attivo in quella città di imporre ai Veneziani che commerciavano cotone l'acquisto collettivo della merce in modo da evitare le trattative private e ridurre così i prezzi (50). Secondo la Memoria pisana del 1278 e altre fonti, Laiazzo trattava anche seta grezza, allume dell'Anatolia, tessuti di lusso, pietre preziose e perle (51). Nel 1282 Martin da Canal, il cui testamento fu stilato a Laiazzo, disponeva di un agente ad Acri e di un contratto di colleganza riferito a scambi con Montpellier; l'esportazione di seta dalla Piccola Armenia a quest'ultima città dopo il 1262 è documentata nel manuale di mercatura di Acri del 1270 circa (52). In maniera significativa, questo manuale fa riferimento all'invio di spezie da Alessandria a Laiazzo. La Memoria parla di spezie orientali, fra queste di pepe, aromi e tinture, senza indicarne la provenienza. Non è escluso che a quel tempo giungessero a Laiazzo passando per la via asiatica interna. Questo accadde certamente quando, nel 1283, Venezia impose ai suoi mercanti in città l'acquisto collettivo di cotone, tela da fusto e pepe. L'aggiunta di quest'ultimo, assente nel decreto del 1274 citato sopra, ne indica un commercio di vaste proporzioni, sebbene Alessandria rimanesse comunque il maggior porto mediterraneo per le spezie orientali. Traffici intensi collegarono Laiazzo e Venezia negli ultimi decenni del tredicesimo secolo (53).
Le conquiste mongole e gli sviluppi successivi nella Siria settentrionale influirono anche sul destino di Aleppo, che fin dagli inizi del secolo XIII aveva suscitato l'interesse di Venezia in quanto centro principale di deposito e di distribuzione tra i porti crociati della Siria settentrionale e l'interno dell'Asia. Nei trattati di Venezia con Aleppo il primo è del 1207-1208 - due prodotti si pongono in particolare rilievo: il pepe e il cotone. Si può dubitare che i Veneziani esportassero da Aleppo - grandi quantità di pepe, assai più abbondante e a più buon mercato in Egitto, anche perché - come abbiamo già osservato - il pepe arrivò in quantità degne di nota alla non lontana Laiazzo solo negli anni Ottanta, periodo nel quale Aleppo era nel pieno di una depressione economica legata al conflitto tra Mongoli e Mamelucchi dopo il 1260. Per il cotone era diverso, poiché la qualità prodotta nelle campagne di Aleppo era tra le migliori disponibili nel Mediterraneo. Per questo Venezia cercò, e ottenne, l'accesso diretto ai produttori e una riduzione delle imposte sull'esportazione del cotone nel 1225. Informazioni preziose sul cotone di Aleppo prima del 1260 compaiono nel manuale di mercatura di Acri, che fornisce un elenco dettagliato di tariffe per l'imballaggio, il trasporto e il deposito nel fondaco dell'emiro. I Veneziani spedivano il cotone in Italia attraverso i porti di Laodicea (Latakia) e Acri. Sei anni dopo il trattato di Venezia con Aleppo, siglato nel 1254, il conflitto tra Mongoli e Mamelucchi pose fine a questo traffico. Latakia dovette riguadagnare una certa importanza verso il 1288 se in quell'anno al bailo di Acri fu ordinato di inviarvi un console. La città era rimasta in mani latine dal 1260 al 1287 (54).
Per tutto il Duecento Alessandria continuò ad essere uno dei massimi empori del Mediterraneo, e il primo mercato delle spezie in questa regione, nonostante l'apertura di rotte alternative negli anni Ottanta, sulla scia dell'espansione mongola: rimase dunque tra le destinazioni più importanti dei mercanti veneziani. I sultani si attennero sostanzialmente ai controlli restrittivi sulla residenza e l'attività economica degli stranieri imposti nel periodo fatimide, pur acconsentendo a qualche ammorbidimento. Fin dal 1254 il console veneziano ad Alessandria esercitava notevole autorità amministrativa, fiscale e giudiziaria all'interno dei due fondaci veneziani, che però rimanevano di proprietà del sultano, e non godettero mai dell'extraterritorialità. Tra i Veneziani, tutti tenuti a risiedere nei fondaci, troviamo cittadini, sudditi delle colonie e individui che avevano ottenuto la nazionalità veneziana. Il console imponeva loro tasse e prestiti forzosi, esercitava su di essi la propria giurisdizione anche quando si trattava di cause promosse dai sudditi del sultano, e interveniva in materia commerciale. Già prima del 1264 gli fu affiancato un maggior consiglio locale, probabilmente composto da dodici membri, come in altri avamposti veneziani (55). Da Alessandria i Veneziani erano autorizzati a spingersi fino al Cairo, ma non disponiamo di informazioni circa le condizioni del loro commercio in questa città.
Il manuale di mercatura di Acri del 1270 circa e la Memoria pisana del 1278 elencano numerose merci esportate da Alessandria in diverse direzioni, lungo l'intera costa levantina fino alla Piccola Armenia, oltre che verso la Romània, la Puglia, la Sicilia, Marsiglia, Montpellier e Tunisi, aree e località in cui è attestata per questo periodo l'attività veneziana. L'autore - veneziano giova ribadirlo - del compendio di Acri, manifesta tuttavia un interesse particolare per la relazione di Alessandria con questa città, allora principale base veneziana in Levante, e con Venezia stessa. Evidentemente, il rilievo conferito alle due città mette in luce non solo il suo interesse ma anche quello degli altri mercanti veneziani. Come in passato, questi esportavano da Alessandria spezie orientali, aromi, tinture, assieme a zucchero, canapa, lino, cotone, lana, allume, e ceneri di soda, queste ultime richieste a Venezia dalle industrie del vetro e del sapone. A partire dagli anni Ottanta si esportava a Venezia anche il sale egiziano da Alessandria. Nel 1288 il console impose ai mercanti veneziani di Alessandria l'acquisto collettivo del pepe, a patto che investissero nell'affare almeno 200 bizantini; come abbiamo osservato sopra, questo sistema era stato introdotto a Laiazzo sin dal 1274 (56). Nel 1286 il mercato veneziano fu sommerso da importazioni massicce dal Mediterraneo orientale, e in questo contesto si parla esplicitamente di Alessandria. Ai sultani d'Egitto interessavano soprattutto il legname per le costruzioni navali, il ferro per la fabbricazione delle armi, monete e metalli preziosi per la zecca e schiavi per l'esercito, oltre al reddito fiscale che veniva dalla vendita agli Occidentali delle spezie e di altre merci. Il commercio in "materiale bellico " era stato ripetutamente proibito dai papi fin dal 1179, e altrettanto avevano fatto, più saltuariamente, le autorità della Repubblica di San Marco. Erano comunque molti i Veneziani, specie quelli di Acri, pesantemente implicati in questo proficuo commercio, come fanno capire i decreti del maggior consiglio di Venezia emanati nel 1281, 1284 e 1285. Ad Alessandria questi Veneziani esportavano inoltre piombo, rame, stagno, oro e argento, monete, seta grezza, tessuti di seta, forse prodotti a Venezia, assieme a noci, fichi e uva passa, probabilmente importati dalla Romània latina e dalla Puglia (57).
Il Levante crociato fu un altro importante polo di attrazione per il commercio e i trasporti veneziani nella seconda metà del Duecento. Sia pure ridotto in sostanza alla fascia costiera, continuava ad offrire scali accoglienti e sicuri, e un adeguato appoggio logistico al commercio marittimo sulle brevi, medie e lunghe distanze. La regione, situata lungo la rotta che collegava l'Egitto tanto con la Romània quanto con l'Occidente, era perfettamente integrata nello schema commerciale triangolare del Mediterraneo orientale, e in quella struttura occupava un posto di primo piano. Ma era anche lo sbocco per i raccolti destinati all'esportazione, come il cotone e lo zucchero, coltivati nel suo retroterra rurale, ed era collegata con gli importanti centri commerciali musulmani dell'interno. Damasco riforniva Acri, Tiro, Beirut e Tripoli di merci asiatiche, mentre Hama e Aleppo svolgevano la medesima funzione per le città crociate del Nord. La partecipazione di Venezia, come quella delle sue grandi rivali Genova e Pisa, alla costruzione e al consolidamento del predominio latino in Levante, e il consistente contributo indiretto di quelle potenze marinare alle rendite fiscali dei signori crociati, garantivano loro un'ampia gamma di privilegi, più estesi che in qualsiasi altra regione. Tra questi la libertà di commercio, esenzioni fiscali e il possesso di quartieri urbani, alcuni dei quali - nel caso veneziano - godevano dell'extraterritorialità oltre che di una completa autonomia amministrativa, fiscale e giudiziaria; le grandi potenze marinare possedevano anche terreni nelle campagne - Venezia nella regione di Tiro, ad esempio. L'importanza economica degli avamposti non si limitava alla loro funzionalità per i traffici di merci o per la fornitura di servizi e rifornimenti ai mercanti e alle navi in transito: il gran numero di residenti latini nel Levante crociato garantiva ai mercanti veneziani e ad altri occidentali una consistente clientela locale per le merci e i generi alimentari importati dall'Occidente. E alcune città erano anche importanti centri manifatturieri, come Tiro per i tessuti e il vetro.
Acri, capitale dal 1191 del Regno di Gerusalemme, era la città più popolosa del Levante crociato, il perno della sua attività economica e uno dei maggiori empori del Mediterraneo orientale. La sua economia traeva vantaggio da un flusso costante di mercanti, pellegrini, guerrieri e coloni, oltre che dall'afflusso di capitale liquido sotto forma di oboli e sostegni finanziari alle sue diverse istituzioni. Non sorprende che la prima guerra veneto-genovese (1256-1270) scoppiasse proprio ad Acri, e la decisiva vittoria riportata da Venezia nel 1258 ebbe ripercussioni di vasta portata. Genova fu costretta a rinunciare al proprio quartiere, né l'avrebbe riottenuto fino alla caduta di Acri in mani musulmane nel 1291; la città non era più tra le basi del commercio genovese. Pisa, partecipante in ruolo subordinato alla vittoria veneziana, vide rafforzarsi la propria posizione fino alla schiacciante sconfitta inflittale dai Genovesi nella battaglia navale della Meloria, nel 1284. Venezia invece consolidò la propria posizione di predominio tra le potenze marinare ad Acri: si annetté zone di territorio urbano, a spese per lo più degli assenteisti re di Gerusalemme; confermò la propria autonomia ottenendo l'estensione all'intero nuovo quartiere della giurisdizione ecclesiastica esercitata dal parroco della sua chiesa locale di San Marco; e incrementò anche in misura considerevole la propria quota nell'economia cittadina. Dalla prima metà del secolo XIII Acri fu sede del massimo rappresentante di Venezia in Levante, con autorità sui funzionari in altri porti (58).
Acri era il primo emporio del Levante crociato. Trattava una vasta gamma di merci importate da Alessandria, maggiore sbocco mediterraneo dei prodotti preziosi d'Oriente, da altri porti levantini più a nord e dall'entroterra siriano. Il manuale di mercatura veneziano compilato ad Acri intorno al 1270, la Memoria pisana del 1278 e Pegolotti, in una sezione specifica su quella città prima del 1291, danno una lista impressionante dei diversi prodotti (59). Acri era un grande centro di distribuzione, che riforniva di spezie il Levante crociato fino all'Armenia inferiore, il proprio retroterra musulmano e, in particolare, l'Occidente. Lo stretto legame con il mercato delle spezie di Alessandria non si interruppe mai, nonostante l'apertura di rotte alternative attraverso l'Asia sulla scia delle conquiste mongole. Il manuale di Acri e una guida nautica che descrive la rotta marittima da Acri ad Alessandria, compresa nel medesimo manoscritto veneziano, indicano una forte presenza veneziana negli scambi con l'emporio egiziano. Acri era anche la più importante stazione in Levante per il deposito e il trasbordo delle merci pesanti e voluminose che si concentravano qui, trasportate da navi di piccola stazza lungo la costa levantina, per partire verso Occidente sulle navi più grandi, a costi inferiori. Il cotone, ad esempio, arrivava ad Acri da diverse zone: dallo stesso retroterra rurale di Acri, dove i Veneziani si inoltravano fino a Tiberiade per acquistarlo direttamente dai produttori, da Aleppo fino al 1260 e presumibilmente anche da altre regioni della Siria (60). Acri spediva inoltre grandi quantitativi di materie prime di alta qualità per l'industria vetraria veneziana, come le ceneri di soda, la sabbia sottile ad elevato contenuto di silicio reperibile poco più a sud della città, e forse anche vetri rotti e di scarto da riciclare nel processo industriale. L'impiego delle ceneri levantine, favorito dallo stato e impostosi a Venezia negli anni Ottanta, contribuì in modo decisivo al successo dell'industria vetraria veneziana, famosa dal tardo Duecento per l'elevata qualità dei suoi prodotti; ceneri levantine di tipo inferiore venivano usate dall'industria del sapone (61). Lo Zibaldone da Canal offre inoltre informazioni sugli scambi di Acri, prima del 1291, con altri due porti mediterranei, Tripoli e Tortosa (62).
Il commercio e le navi veneziane collegavano Acri con le colonie e gli avamposti di Venezia: Creta, Modone, Corone e Negroponte. I Veneziani di Acri trasportavano spesso a proprio nome mercanzie di stranieri dal Levante a Venezia, sottraendo reddito all'erario e invadendo il mercato veneziano di merci orientali; e - come si è già detto - praticavano anche il contrabbando di merci proibite con l'Egitto. In tempi di penuria Acri veniva rifornita di grano dalla Puglia e dal mar Nero, due aree in cui i Veneziani operavano intensamente. Monete crociate venivano trasferite da Acri alla zecca di Costantinopoli (63). E infine, le navi veneziane beneficiavano del redditizio traffico dei pellegrini, diretto esclusivamente verso Acri, del quale Venezia aveva acquisito, alla metà del Duecento, una quota consistente, garantendo buone condizioni a bordo delle navi, il rigido rispetto dei contratti con i passeggeri, la regolarità dei viaggi e la sicurezza lungo una rotta in larga misura coperta da avamposti veneziani. L'egemonia di Venezia su questo settore fu ulteriormente consolidata con la cacciata da Acri dei concorrenti genovesi nel 1258 (64), Tiro era per importanza la seconda base veneziana in Levante. Negli anni 1242-1244 Marsilio Zorzi, bailo veneziano di Acri, riprese possesso del quartiere veneziano, che godeva dell'extraterritorialità, di una parte delle proprietà afferenti al comune nelle campagne, delle sue fonti di reddito, riuscendo anche a recuperare i suoi tessitori siriani; ancora una volta la Repubblica poteva commerciare liberamente, estendendo la propria giurisdizione su tutti i sudditi veneziani, sempre più numerosi. A Marsilio, peraltro, non riuscì di rimpossessarsi di molti beni del comune, in maggioranza ubicati nelle campagne, usurpati da signori ecclesiastici e laici. Nel 1256 il comune aveva un bailo a Tiro (65). La vittoria ad Acri, nel 1258, comportò per i Veneziani la perdita dei beni serenissimi in Tiro e nel circondario, che vennero confiscati da Filippo di Montfort, alleato dei Genovesi; e nel 1264 fallì poi un attacco veneziano contro quest'ultima città, divenuta principale base e roccaforte genovese in Levante. Solo nel 1277 Giovanni di Montfort, signore di Tiro, restituì le proprietà che erano state di Marsilio Zorzi, impegnandosi a riparare a proprie spese gli edifici danneggiati e ripristinando gli estesi privilegi commerciali, fiscali e giudiziari di Venezia, ma escludendo la giurisdizione sui propri vassalli e sudditi. La Repubblica pertanto poteva nuovamente nominare un bailo, che esercitava localmente un'ampia giurisdizione, pur essendo sottoposto all'autorità di quello di Acri. Nel 1285 Tiro importava da Venezia ferro e legname (66). Nel 1277, lo stesso anno del suo ritorno a Tiro, la Repubblica ottenne anche, da Boemondo VII, diversi privilegi a Tripoli, ma dal diploma di concessione risulta che l'esportazione di vetro di scarto, per il quale Venezia dava prova di un particolare interesse, era iniziata già in precedenza. A Tripoli il comune manteneva un bailo che era soggetto all'autorità di quello di Acri. Commerci veneziani tra le due città sono documentati nel 1274 (67).
La presenza e l'attività economica dei Veneziani a Cipro possono essere fatte ricadere in due periodi distinti: dalla conquista dell'isola nel 1191 ad opera di Riccardo Cuor di Leone, re d'Inghilterra, fino al 1280 circa e da quel momento in poi (68). Nel primo periodo Cipro ebbe un ruolo alquanto limitato per il commercio e i trasporti veneziani: all'isola mancavano le grandi risorse degli stati crociati del Levante, e rimaneva in larga misura esclusa dal commercio e dai trasporti sulle lunghe distanze. Il collegamento commerciale diretto con l'Occidente si limitava a un flusso modesto di mercanzie, e Limisso (Limassol), allora principale porto dell'isola, operava soprattutto negli scambi sulle brevi distanze. Cipro era in primo luogo un mercato di consumo. Negli anni Trenta del Duecento sappiamo di alcuni Veneziani insediati nell'isola, soprattutto a Limisso, dove anche il comune possedeva beni; altri risiedevano a Nicosia, sede dei re della dinastia dei Lusignano e di molti nobili ciprioti, che controllavano saldamente buona parte delle risorse dell'isola - il reddito agricolo e le entrate fiscali - e costituivano un cospicuo gruppo di consumatori di merci di lusso. Altri Veneziani ancora risiedevano a Pafo. In un momento precedente il 1243, però, per motivi a noi ignoti, le proprietà veneziane - private e dello stato - furono confiscate, e nel 1246 un'ambasceria da Venezia non riuscì a conseguirne la restituzione: una contingenza che certo comportò una temporanea limitazione degli scambi con Cipro.
È difficile accertare se i mercanti veneziani traessero profitto dall'effimera ondata di attività commerciale provocata dalla presenza nell'isola degli eserciti crociati di Luigi IX, re di Francia, nel biennio 1248-1249. Comunque sia, i privilegi ottenuti da Venezia dalla regina di Cipro Piacenza e dal re Ugo III, rispettivamente nel 1253 circa e nel 1267 circa, indicano un incremento dei traffici. Nessuna delle concessioni duecentesche in favore di Venezia ci è stata conservata, ed è dunque impossibile stabilirne il contenuto. Intorno al 1270 parrebbe che l'interesse dei mercanti veneziani per Cipro fosse ancora marginale: è significativo che Niccolò e Matteo Polo non vi ponessero piede né nel 1269, né nel 1271 con Marco. Nonostante la vasta area geografica coperta, il manuale di mercatura compilato ad Acri in quell'epoca contiene soltanto tre riferimenti a Cipro, uno dei quali parla di importazioni di grano e olio dalla Puglia e di grano da Costantinopoli - due aree interessate dall'attività veneziana. A partire dalla fine degli anni Settanta, però, la regolarizzazione dei viaggi da Venezia a Cipro e una guida nautica incompleta che ricostruisce l'itinerario da Acri a Venezia via Limisso stanno a dimostrare una marcata intensificazione degli scambi marittimi veneziani con l'isola. Anche il manuale di Pegolotti e il veneziano Zibaldone da Canal documentano commerci tra Limisso e Acri, principale fornitrice di Cipro per una vasta gamma di merci occidentali e orientali, comprese le spezie. Dopo il 1286 il sale cipriota veniva portato regolarmente a Venezia, e si inviavano ambasciatori a Cipro per promuovere gli interessi veneziani e ottenere risarcimento per i danni subiti (69). Il maggiore interesse veneziano per il commercio cipriota fu legato anche al progressivo concentramento sull'isola dei profughi dagli stati crociati, iniziato nel 1268, intensificatosi negli anni Ottanta e culminato nel 1291, con un afflusso che comprendeva anche numerosi sudditi veneziani di Acri. La nuova posizione conquistata in questi anni da Cipro nel sistema commerciale veneziano è messa in luce dall'inclusione del bisante di Cipro nella lista dei tassi di cambio della Ternaria intorno al 1285/1290 (70).
La caduta degli stati crociati del Levante nel 1291 provocò una drammatica modificazione dell'assetto geopolitico del Mediterraneo orientale. E inflisse un duro colpo alle potenze marinare occidentali privandole bruscamente degli ultimi avamposti commerciali privilegiati lungo la costa levantina, fatta eccezione per la Piccola Armenia. Per Venezia risultò particolarmente dolorosa la perdita di Acri, sua principale base commerciale in Levante. Poco tempo dopo papa Niccolò IV bandì gli scambi commerciali - in particolare di armi, cavalli, ferro, legname, pece, navi, schiavi e generi alimentari - con i territori dominati dai sultani mamelucchi d'Egitto. L'embargo fu rinforzato con l'intervento delle navi militari, la confisca di merci e vascelli, la censura ecclesiastica e l'imposizione di pesanti multe. Le nazioni marinare, peraltro, esitavano a imporlo con troppo rigore, e mantenevano contatti con il sultano; grazie alle loro pressioni i papi cominciarono a rilasciare dispense commerciali e a concedere l'assoluzione a chi aveva infranto il divieto. Anche i Lusignano di Cipro parevano propendere per un'interpretazione alquanto selettiva del blocco, a fronte del loro disperato bisogno delle rendite dalle imposte sul commercio marittimo. E infine, i sultani mamelucchi offrivano diversi incentivi ai mercanti occidentali - dei quali i Veneziani costituivano una parte consistente - interessati com'erano tanto alle merci quanto alle rendite fiscali che ne traevano. Un capitolo del privilegio concesso a Venezia nel 1302 stabiliva che ai Veneziani che avessero importato merci proibite in Egitto sarebbe stato concesso di investirne i proventi nell'acquisto delle merci di loro scelta, la cui esportazione sarebbe stata esente da imposte (71). È assai probabile che queste condizioni di grande favore fossero state concesse già in precedenza a mercanti che svolgevano la medesima funzione; tra questi uno che aveva risieduto nel passato ad Acri, il quale forse si era occupato di quel genere di scambi prima della caduta della città crociata, e che tra il 1291 e il 1300 aveva la sua base a Cipro (72). Riassumendo, lo schema dei commerci e dei trasporti marittimi occidentali - e dunque anche veneziani - nel Mediterraneo orientale fu gravemente colpito dagli eventi del 1291, e l'embargo ostacolò le relazioni commerciali dell'Occidente con i Musulmani negli anni successivi. In tempi brevissimi, comunque, la rete commerciale sarebbe stata radicalmente ristrutturata per adattarsi alle mutate condizioni.
Nel nuovo contesto Cipro assunse un ruolo fondamentale. La sua posizione al largo della costa levantina, in precedenza marginale, diveniva ora un punto di forza: da mercato di consumo si trasformò in stazione di transito e trasbordo, offrendo porti sicuri e servizi logistici ai mercanti occidentali e proponendosi come testa di ponte commerciale e marittima dell'Occidente in direzione della Piccola Armenia, del Levante e dell'Egitto. Oltre a questo, Cipro serviva anche come stazione di collegamento tra Costantinopoli e Alessandria, integrandosi così a pieno titolo nella nuova rete del commercio mediterraneo sulle lunghe distanze e riuscendo in buona misura a sostituirsi alle basi perdute in Levante. Più specificamente, la presenza dei profughi levantini stimolò lo sviluppo economico e urbano di Famagosta, che divenne il primo porto di Cipro, ereditando buona parte delle funzioni svolte da Acri fino al 1291, specialmente nei confronti del sistema commerciale veneziano. I profughi, fossero essi latini o siriani - i cristiani d'Oriente - avevano da offrire le proprie competenze e la conoscenza delle economie e delle lingue della regione, preziosi fattori di richiamo per i mercanti, i banchieri e gli armatori di Venezia e delle sue colonie, per conto dei quali essi agivano come intermediari nel commercio marittimo o nella conduzione degli affari in Cipro stessa. Alcuni esponenti delle famiglie veneziane originarie di Acri rimasero a Cipro, mentre altri proseguirono per Venezia: una dispersione che favorì l'attività economica comune, allargandone la portata geografica. Qualche tempo prima del 1295 il comune aveva imposto un prestito ai patrizi che commerciavano a Cipro (73). Tra i Veneziani impegnati negli scambi con il Levante intorno al 1300 troviamo esponenti di famiglie patrizie come i Michiel, i da Molin, i Morosini, i Polo, i Sanudo e i Trevisan, nessuno dei quali sembra però essersi insediato a Cipro. A Cipro arrivavano anche mercanti veneziani da Negroponte e da Creta, portando grano, olio e formaggi. Oltre a questo, l'isola venne assumendo grande rilievo come mercato di consumo per i prodotti occidentali esportati da Venezia (74).
L'interesse veneziano per Cipro toccò l'apogeo dopo il 1291. Dopo la caduta di Acri, Venezia insediò un console a Limisso, e qualche anno dopo fu la prima grande potenza marinara ad accorgersi che Famagosta stava rapidamente diventando il principale porto dell'isola. A questo, oltre che al concentrarsi dell'attività veneziana in Famagosta, fu dovuto tra il 1296 e il 1300 il trasferimento in questa città del massimo funzionario di Venezia, la cui importanza fu enfatizzata dal conferimento del titolo di 'bailo dei Veneziani a Cipro'. A partire al più tardi dal 1296, il bailo esercitava la propria giurisdizione sui contenziosi tra Veneziani e definiva le cause successorie, a quanto risulta in base a concordati tra le parti. I Veneziani continuavano comunque a operare sia a Nicosia che a Limisso, con un volume d'affari sufficiente a indurre Venezia alla nomina di un funzionario di rango inferiore, attestato nel 1308 come 'bailo in Limisso', le cui funzioni erano sicuramente collegate alle saline del circondario, sfruttate come monopolio regio, il cui prodotto veniva regolarmente portato a Venezia. Nel 1301 re Enrico II di Lusignano tentò di rimpinguare le proprie casse aumentando le imposte su quell'esportazione, un provvedimento che suscitò dure proteste da parte veneziana (75). Nel 1302 la situazione testé delineata indusse Venezia a richiedere una serie di privilegi intesi a migliorare le condizioni dei propri commerci, meno favorevoli di quanto non fossero state in Acri prima del 1291. Al re si chiedeva di riconoscere la giurisdizione interna veneziana, già di fatto esercitata, e l'assegnazione di quartieri nelle maggiori città cipriote, che non fu però mai concessa. Non è certo un caso che la richiesta venisse presentata proprio nell'anno in cui Venezia otteneva migliori condizioni di commercio in Egitto: il nesso risulta evidente. Ma prima di trattare degli stati mamelucchi, rivolgiamo la nostra attenzione ai nuovi e più intensi rapporti tra Cipro e la Piccola Armenia dopo il 1291. La quota della Piccola Armenia nell'interscambio tra l'Oriente e l'Occidente aumentò in misura consistente dopo il crollo degli stati crociati in Levante nel 1291. Unico stato cristiano che rimanesse sulla terraferma, i suoi scambi con i Musulmani non furono ostacolati dall'embargo pontificio. Come prima, Laiazzo esportava sia merci locali che di importazione, principalmente cotone, utilizzando Famagosta come stazione di collegamento con l'Occidente. Nel 1298 un mercante veneziano caricò zenzero e cotone di Aleppo su una nave diretta da Laiazzo al porto cipriota (76). L'accresciuta importanza di questa rotta trova conferma nelle operazioni navali lungo la costa cipriota e nella zona di Laiazzo, rispettivamente nel 1294 e nel 1296, nel corso della seconda guerra veneto-genovese. Il ruolo di Laiazzo fu ulteriormente enfatizzato durante la guerra veneto-bizantina del 1296-1302, che interdì temporaneamente Bisanzio e il mar Nero all'attività veneziana. A partire dal 1301 Venezia garantì viaggi più o meno regolari di galere di mercato, armate direttamente dal comune o da privati, ciò che sta ad indicare una domanda consistente di trasporti sicuri, rapidi e affidabili di merci preziose, soprattutto da Famagosta e Laiazzo alla volta di Venezia: nel 1301 queste navi portarono da Venezia a Laiazzo merci per un valore stimato di 90.000 ducati, e in quel porto approdarono anche galere e cocche armate da privati (77). Era l'evidente conseguenza di un incremento degli scambi con Laiazzo nell'ultimo decennio del secolo.
Non sono molte le fonti che riflettano direttamente il commercio occidentale con i territori mamelucchi dopo il 1291, e ancor più scarna è la documentazione relativa alla presenza veneziana, dato che - come già si è osservato - dobbiamo affidarci in larga misura agli atti notarili genovesi. Scambi veneziani su scala relativamente grande con il Levante già crociato e con l'Egitto sono comunque confermati da testimonianze convincenti, sia dirette che circostanziali. Nel gennaio 1292 il maggior consiglio di Venezia autorizzò le navi a salpare verso Cipro, la Piccola Armenia e le terre d'oltremare e del Levante dove fosse possibile andare. Il mese successivo stabilì i periodi navigabili da Venezia per Cipro, l'Armenia, la Siria e l'Egitto. Stranamente, nonostante la disfatta di Acri dell'anno precedente, il gruppo di navi diretto in Siria fu chiamato di nuovo caravana Accon. Un decreto di questa assemblea, emanato nel maggio dello stesso anno, proibì la vendita di schiavi nei territori mamelucchi, il che indica l'esistenza di questo commercio illegale. Nel maggio 1293 il maggior consiglio fissò la portata minima delle navi che salpavano per Alessandria, Laiazzo e i territori costieri levantini tra le due città (per illam riperiam), senza nominare questa volta alcun porto in particolare; allo stesso tempo stabilì anche le norme di stivaggio del cotone nelle navi di ritorno in patria (78). Fonti genovesi documentano viaggi di navi occidentali da Famagosta alla Siria e all'Egitto, più specificamente a Acri, Beirut, Tripoli, Tortosa e Alessandria, ma è impossibile accertare se godessero o meno della dispensa papale. Possiamo comunque presumere con ragionevole sicurezza che gli scambi con quei porti fossero in buona misura illeciti, e che si svolgessero sotto un velo di segretezza: mercanti e vettori spesso celavano la vera destinazione o l'origine delle merci ricorrendo a indicazioni geografiche vaghe, o del tutto false (79). Il commercio in partenza da Cipro era comunque in parte gestito da mercanti e vettori non latini - Greci ciprioti o Siriani di lingua araba -, che a quanto pare non erano soggetti alle sanzioni ecclesiastiche per aver violato l'embargo. Soprattutto i Siriani insediati a Cipro approfittavano delle relazioni che intrattenevano con i confratelli soggetti ai Mamelucchi in Siria, mentre i vettori di entrambi i paesi sfruttavano anche l'antica esperienza nella navigazione costiera e di cabotaggio con vascelli di media o piccola stazza. Nel 1300 cinque contratti di commenda furono stipulati da operatori siriani di Laodicea e Beirut per il trasporto di cotone filato via Famagosta verso la Puglia o Venezia; in qualche caso, erano coinvolti anche Veneziani (80). Per qualche tempo l'attività dei Siriani limitò gli scambi diretti di Venezia con i territori già appartenuti ai crociati.
I mercanti veneziani, tuttavia, erano spinti a tornare in Levante poco dopo la sua caduta in mani musulmane a causa della domanda sempre più urgente di materiale grezzo da parte dell'industria cotoniera italiana. E probabile che la distruzione dei popolosi centri urbani della costa levantina portata a termine dai Musulmani nel 1291 avesse indotto i contadini, in alcune zone del retroterra, ad estendere la coltivazione del cotone a scapito di quella di generi alimentari, soprattutto del grano. Sebbene non venisse esplicitamente menzionata nel decreto del maggio 1293 citato sopra, Acri rappresentava certamente uno dei principali esportatori di cotone del tempo. Nel 1303 cotone, seta grezza, pepe, allume e altre merci preziose arrivavano a Venezia 'dalla Siria'. Nello stesso anno il comune fissava il peso ufficiale di un sacco di cotone rispettivamente in cantari di Acri o d'Armenia. Nel 1304 Venezia ottenne dal governatore mamelucco della Galilea il libero accesso alla regione posta sotto il suo controllo, la quale includeva i territori dove i mercanti veneziani si recavano per acquistare il cotone sino a Tiberiade. A quanto risulta, l'esportazione di questa merce da Acri e Laiazzo via Cipro verso l'Occidente era in larga parte controllata dai Veneziani. Che entrambe le città facessero capo a Cipro è dimostrato nel 1301 dal trasporto a Venezia da Famagosta di centoquaranta sacchi di cotone per un valore di ben 22.230 bizantini bianchi di Cipro (81). I Veneziani trattavano anche merci di altro genere: nel 1307 uno di loro, che operava a Damasco, teneva un magazzino permanente a Beirut, ed è assai probabile che il suo non fosse un caso isolato (82). Va detto che alcune delle testimonianze citate si riferiscono al primo Trecento, ma si tratta chiaramente degli esiti di un processo avviato nell'ultimo decennio del secolo precedente, caratterizzato da una crescente presenza diretta dei Veneziani nel Levante musulmano.
È evidente che il commercio diretto dei Veneziani con l'Egitto continuò anche dopo il 1291, come abbiamo visto sopra. La prosperità di Venezia dipendeva in buona misura dalla sua funzione di intermediaria nella fornitura di spezie orientali ai mercati dell'Occidente. Abbiamo già osservato che nel 1292 ai mercanti veneziani fu consentito di importare le spezie da Costantinopoli e dal mar Nero, ma occorre comunque porre in evidenza come nel decennio successivo al 1291 non si verificasse tutto sommato alcuna carenza di spezie, né uno spettacolare aumento dei prezzi in Occidente: dati di fatto, questi, che non possono trovare spiegazione esclusivamente nell'apertura, dopo il 1280, delle rotte alternative del mar Nero e di Costantinopoli da un lato, di Laiazzo nella Piccola Armenia dall'altro. Certo, in quelle regioni, frequentate dai Veneziani nell'ultimo decennio del secolo, c'era disponibilità di spezie, ma Alessandria continuava ad essere il principale sbocco mediterraneo per queste ultime, gli aromi e le tinture d'Oriente, alcune delle quali, peraltro, provenivano dalla penisola arabica. Marino Sanudo Torsello, che riferisce informazioni raccolte da mercanti veneziani, scriveva tra il 1306 e il 1309 che la maggioranza delle spezie, e il pepe tra queste, arrivava al Mediterraneo attraverso l'Egitto a prezzi inferiori rispetto a quelle che viaggiavano lungo la via di terra attraverso l'Asia (83). Lo stesso vale, senza dubbio, per l'ultimo decennio del Duecento. Un ulteriore elemento del commercio veneziano con l'Egitto è stato fino ad ora interamente trascurato: l'acquisto di materie prime per l'industria vetraria. La caduta degli stati crociati e la possibile irregolarità degli arrivi di navi veneziane nei porti siriani ostacolarono l'afflusso costante dal Levante a Venezia di vetro di scarto, di sabbia e di ceneri di soda di alta qualità. Se fu gradualmente possibile sostituire la sabbia con materiali occidentali più facilmente accessibili, non esistevano analoghe alternative per le ceneri di soda (84), e dunque Venezia ne incoraggiava l'importazione dall'Egitto, con cui continuava a intrattenere rapporti commerciali. Ne abbiamo testimonianze nel maggio e nel giugno del 1296, nel 1303 e nel 1308, quando una nave disarmata fu inviata nei porti egiziani di Alessandria, Damietta e Tinnis con l'ordine di caricare esclusivamente ceneri di soda (85). Sebbene inferiori rispetto a quelle siriane, le ceneri egiziane consentivano comunque la produzione di vetro di qualità abbastanza buona (86). L'incremento del commercio veneziano con l'Egitto nel tardo Duecento trova conferma anche in altri eventi dell'epoca. Tra gli incentivi offerti dai sultani dopo il 1291, la conferma della concessione dei due fondaci veneziani in Alessandria: nel 1302 Venezia, insoddisfatta di uno di essi, chiese di poterlo sostituire con un altro fondaco dotato di forno, cisterna per l'acqua potabile e pozzo. I Veneziani furono esentati dalle imposte doganali sull'importazione di oro, argento e pellicce, queste ultime chiaramente provenienti dal mar Nero. Nonostante l'embargo pontificio, nel 1302 Venezia nominò di nuovo un console per tutelare i propri interessi in Egitto (87).
Il Maghreb non fu toccato dai grandi eventi politici che sconvolsero l'Oriente nel secolo XIII. Venezia concluse il primo trattato con i signori hafsidi di Tunisi nel 1231, rinnovato con lievi modifiche soltanto nel 1251 e nel 1271, garantendosi condizioni sostanzialmente analoghe a quelle ottenute in Egitto, cioè un fondaco amministrato da un console, che esercitava la propria giurisdizione sui Veneziani purché non fossero citati a giudizio da un musulmano. Non sappiamo con certezza a quando risalisse il primo insediamento dei consoli, né se si trattasse di un incarico permanente. Nel 1251 fu stabilito che i beni di un mercante deceduto venissero bloccati fino all'arrivo di istruzioni dal doge, il che sta ad indicare l'assenza di un console. Un regolamento per l'elezione a questa carica fu emesso nel 1274, e nel 1281 l'incarico fu assegnato per un anno (88). Il trattato del 1231 autorizzava l'esportazione di grano a Venezia, in caso di bisogno, per un ammontare pari al carico di otto navi all'anno; dal 1251 la quota esportabile fu aumentata al carico di dodici navi. L'autorizzazione era collegata a un tetto di prezzi locali, un sistema che - come abbiamo già visto venne adottato a Costantinopoli nel 1268. I trattati parlano di importazioni veneziane di metalli preziosi, e quelli del 1251 e del 1271 anche di offerte di pietre preziose e perle al signore, e della vendita di navi veneziane. Gli stessi trattati esentavano i Veneziani dalle imposte doganali sull'esportazione del piombo. Nel 1245 diversi armatori veneziani, tra i quali i Donato, i Delfino e i Sanudo, portarono a Venezia lana per un valore di 4.000 bizantini di Tunisi; nel 1257 anche Nicola Michiel trattò un carico di lana. Il codice marittimo emesso nel 1255 dal doge Ranieri Zeno fissa i tassi di cambio tra le monete di Venezia e di Barberia, indicando così l'esistenza di un traffico regolare. Il manuale di mercatura di Acri del 1270 circa induce a ritenere che i Veneziani operassero anche nel traffico di esportazione da Alessandria a Tunisi (89).
La crociata contro Tunisi di re Luigi IX di Francia interruppe i flussi commerciali solo per un breve periodo nel 1270. Negli anni seguenti il comune cercò di evitare che il legname da costruzione fosse inviato a Tunisi dai mercanti veneziani, come mostra un decreto adottato nel 1279. Nel 1281 alcuni mercanti veneziani non furono pagati da Zaccaria, signore hafsida di Tunisi, per la mercanzia che gli avevano consegnato. Per rimborsarli Venezia suggerì l'anno successivo che il suo console riscuotesse dai mercanti veneziani metà del 10% dell'imposta doganale dovuta a Tunisi; nel 1287 fu deciso che i Veneziani versassero solo 1/5 di questa somma. Nel 1284 Niccolò Faletro intendeva recarsi a Pisa a bordo di una nave di Zara. Il capitano, però, temeva che i Genovesi, dopo la loro vittoria su Pisa nella battaglia navale della Meloria, si impadronissero della sua nave e preferì partire per Ragusa. Due anni più tardi, una nave veneziana all'ancora a Tunisi fu attaccata dai Genovesi. Alcuni atti redatti da un notaio genovese a Tunisi nel 1289 ci informano sulla presenza e sull'attività di qualche mercante veneziano. Il console Filippo Bono e Andrea Trevisano compaiono come testimoni, un mercante figura come socio di una nave all'ancora nel porto, un altro viene citato a giudizio, e un altro ancora ottiene dal signore l'appalto per la riscossione di diritti commerciali (90). Nel 1293 Venezia chiedeva riparazioni per i danni inflitti ai suoi cittadini dagli Hafsidi, dai Genovesi, dai Pisani e da altri: un veneziano chiedeva il rimborso dei 6.000 bizantini da lui perduti nello sfruttamento dell'appalto della vendita del vino, trasferito in seguito dal signore a un pisano, oltre all'indennizzo per mancati guadagni stimati intorno a 20.000 bizantini. Le rimostranze veneziane documentano anche l'acquisizione di lana locale, l'importazione di grano dalla Sicilia - evidentemente in un momento di temporanea carestia - locale e di vino 'greco', forse proveniente dalla Puglia. Tra gli operatori presenti a Tunisi in quel periodo compaiono esponenti di grandi famiglie veneziane come Marino e Giovanni Soranzo e Nicolò Contarini, mentre i Pesaro inviarono a Tunisi una tarida (91). La Barberia compare in una lista di tassi di cambio applicata a Venezia intorno al 1285-1290 per la riscossione di imposte sulle importazioni (92). Il traffico di navi veneziane tra le due destinazioni era dunque regolare, pur risultando chiaramente meno importante di quello nel Mediterraneo orientale. Non si organizzavano convogli verso il Maghreb, e le navi isolate erano autorizzate a rientrare di lì a Venezia senza limiti di tempo (93).
La Puglia, allora parte del Regno di Sicilia, ebbe sempre un ruolo di grande rilievo per il commercio e i trasporti veneziani. I suoi porti erano collocati lungo le grandi rotte che collegavano Venezia con il Mediterraneo orientale e con la Sicilia e Tunisi; la regione produceva eccedenze di grano, e il Regno offriva abbondanti occasioni di scambio per altri prodotti agricoli. Venezia aveva un console a Trani e vice-consoli in alcuni altri porti. Nel 1257 Manfredi di Hohenstaufen, temendo che Venezia appoggiasse i suoi nemici, autorizzò l'esportazione di cereali, e due anni dopo rinnovò i privilegi concessi da suo padre l'imperatore Federico II nel 1232, aggiungendovi la giurisdizione consolare. Nel 1257 Venezia ottenne anche un monopolio virtuale delle esportazioni del sale pugliese verso l'Adriatico settentrionale; una merce che attraverso Venezia veniva esportata nell'Italia del Nord in quantità sempre maggiori, garantendo in questo modo benefici economici e fiscali allo stato. Carlo I d'Angiò, che conquistò il Regno nel 1266, voleva assicurarsi l'aiuto di Venezia per i suoi piani di conquista di Costantinopoli, e dunque confermò le concessioni. Dopo il 1267 i suoi stretti rapporti con Guglielmo II di Villehardouin, principe della Morea franca, favorirono inoltre gli scambi tra la Puglia e il Peloponneso, cui abbiamo già accennato. Dalla Puglia i Veneziani esportavano a Venezia olio d'oliva e formaggio, grano a Venezia, nel Peloponneso, ad Acri e a Cipro, e forse vino a Tunisi. Importavano inoltre diversi prodotti da Alessandria e dalla Piccola Armenia, e dopo il 1291 cotone dalla Siria (94). Nel 1281 il maggior consiglio istituì quattro convogli annuali per la Puglia, un'evidente indicazione del contributo di questa regione all'approvvigionamento di Venezia. Dopo la rivolta siciliana del 1282, nota sotto il nome di Vespri Siciliani, la tensione politica tra Venezia e i re di Napoli assieme al risentimento dei mercanti locali verso i loro privilegiati rivali finì con l'ostacolare l'attività economica veneziana tra il 1284 e il 1294. Ciononostante, il commercio continuò su larga scala in Puglia, che appare nella lista della Ternaria del 1285-1290. Il manuale di Acri del 1270 circa contiene una lunga sezione su Messina e i suoi rapporti con Venezia, Acri, Alessandria e Tunisi. Bisanzio compare in un decreto del 1273 come una delle destinazioni dei mercanti veneziani attivi in questo porto siciliano e vi viene anche menzionato il console assegnato a quella città (95).
Nella seconda metà del Duecento Venezia consolidò la propria supremazia sull'Adriatico sottomettendo l'ultima rivale nella regione, Ancona, città soggetta al papa. Nel 1264 la Repubblica impose dure condizioni agli Anconitani, che per diversi anni - in un periodo di scontro tra Venezia e Genova - erano stati alleati dei Genovesi. Alle navi anconitane fu proibito il trasporto di merci e mercanti stranieri più a nord di Ancona, anche se potevano portare ecclesiastici e pellegrini non impegnati nel commercio. Oltre a questo, erano autorizzati a fornire una quota annuale fissa di vino e olio a Ferrara, Bologna e alla Lombardia, ma era Venezia a stabilire in quali porti doveva essere scaricata la mercanzia. Ad Ancona fu comunque proibita l'importazione di merci originarie al di fuori dell'Adriatico, a meno di pagare una proibitiva imposta del 20%, clausola che di fatto escludeva la possibilità di prezzi concorrenziali. I Veneziani, invece, potevano commerciare liberamente in Ancona, che dunque vide drasticamente troncati i suoi legami sulle lunghe distanze con Acri, Cipro, Laiazzo e il Peloponneso, e il suo commercio in larga misura limitato all'attività all'interno dell'Adriatico. Ancona tentò di opporsi all'affermarsi di questo virtuale monopolio veneziano sul commercio e sulla navigazione nell'Adriatico settentrionale, e dal 1277 al 1281 combatté una guerra navale contro Venezia con il saltuario aiuto di Genova - nonostante la tregua allora vigente tra quest'ultima e Venezia. Ma l'isolamento politico e un blocco navale veneziano la costrinsero a capitolare, accettando la conferma delle condizioni imposte nel 1264 (96).
Il commercio e i trasporti marittimi di Venezia non si limitavano a reagire agli incentivi economici: nel secolo XIII, soprattutto nella seconda metà, furono condizionati anche dall'intervento e dal dirigismo sempre più intenso dello stato, motivato da considerazioni militari e di sicurezza, oltre che economiche e fiscali. Lo stato regolamentava dimensioni e attrezzatura delle navi, organizzava convogli stagionali e decideva tanto le rotte quanto le scadenze di navigazione per i viaggi commerciali e il trasporto dei pellegrini. Oltre a questo, istituì una politica dei noli che favoriva il trasporto più economico dei carichi misti e l'importazione delle materie prime industriali. Così, ad esempio, poiché l'industria vetraria veneziana abbisognava di ceneri di soda e vetri di scarto, queste merci venivano utilizzate come zavorra per bilanciare il carico delle navi di ritorno a Venezia, con costi di trasporto inferiori. Lo stesso accadeva con il sale sin dagli anni Ottanta. Il trasferimento sulle lunghe distanze di quantità crescenti di merci pesanti e voluminose, praticato su scala sempre più ampia dai vettori veneziani, indusse gli armatori ad un graduale aumento della stazza delle naves, navi a chiglia tonda armate con vele latine. Un confronto tra i regolamenti marittimi emessi rispettivamente nel 1229 e nel 1255 rivela l'entità di questo aumento, e ci consente di fissare la capacità di carico di quei vascelli tra le 95 e le 477 tonnellate, assai cospicua se si considera che nel 1492 la Santa Maria di Cristoforo Colombo caricava, a quanto sappiamo, soltanto 100 tonnellate. Dal 1286 Venezia escluse le imbarcazioni con carico inferiore alle 143 tonnellate dai convogli diretti in Levante. L'aumento della capacità di carico delle navi veneziane fu favorito negli ultimi decenni del secolo dalle massicce importazioni di grano e sale promosse dallo stato con l'offerta ai vettori di premi e prezzi vantaggiosi; e si produsse tanto attraverso la costruzione di bastimenti più grandi, quanto nella modifica di quelli esistenti, aggiungendo un ponte, ad esempio, il che a sua volta provocò ulteriori interventi dello stato per garantirne la sicurezza in navigazione. A partire dall'ultimo decennio del secolo lo stato istituì convogli di galere da mercato, navi di piccola stazza armate con un'unica vela triangolare e remi, che consentivano il trasporto veloce e sicuro delle merci preziose dal Levante. In un decreto del maggior consiglio del 1294 si fa riferimento al viaggio di andata e ritorno dalle galere entro pochi mesi, mentre precedentemente le navi facevano un solo viaggio all'anno. La diffusione della bussola, della guida nautica e del portolano prolungò la stagione di viaggio, permise a tali navi due viaggi annuali di andata e ritorno attraverso il Mediterraneo al posto di uno, garantendo così un giro di capitali più rapido (97).
Lo stato interferiva anche nel movimento delle merci, per motivi tanto economici quanto fiscali. La data del rientro delle navi a Venezia veniva fissata in modo da impedire l'intasamento del mercato e la caduta dei prezzi, precipitata in diverse occasioni dall'arrivo di un grande volume di mercanzia. Le tariffe doganali preferenziali di cui godevano i mercanti veneziani, e il virtuale monopolio delle navi veneziane sui trasporti verso Venezia inducevano tanto i cittadini che gli stranieri a unire le loro risorse in intraprese estremamente proficue. L'importazione di merci di proprietà straniera sotto il nome di Veneziani defraudava le casse della Repubblica e ne congestionava il mercato: il diffuso ricorso a questo espediente in Acri indusse nel 1272 le autorità a imporre misure preventive, poi estese a Creta, Modone, Corone e Negroponte. Ai funzionari veneziani oltremare si ordinò di controllare i contratti commerciali e di verificare le effettive disponibilità finanziarie dei mercanti veneziani nelle loro giurisdizioni (98). Cionondimeno, nel 1283 il mercato era tanto sovraccarico di prodotti orientali che il maggior consiglio autorizzò i Veneziani a esportare spezie, incenso, cotone, seta grezza e tessuti preziosi nel Maghreb e in Egitto. Tre anni dopo il mercato fu di nuovo saturato di merci importate, questa volta da Alessandria e dalla Romània (99).
Dal manuale di mercatura di Acri si desume che intorno al 1270 la bilancia commerciale degli scambi di Venezia, e più in generale dell'Occidente, con il Mediterraneo orientale era in negativo (100); e anzi, documenta il movimento di oro e argento, sia in moneta che in lingotto, verso diverse zecche del Mediterraneo orientale. Il riferimento a quella di Alessandria è particolarmente ricco di dettagli sul processo riguardante il conio delle monete locali: è evidente che a questo proposito l'interesse dell'autore era puntato sul trasferimento di metalli preziosi da Acri all'emporio egiziano, ma parla anche del flusso di monete crociate da Acri a Costantinopoli e del trasferimento di argento da quest'ultima città a Sebastea. L'emissione del ducato d'oro veneziano dal 1285 pone in evidenza il maggior volume degli scambi marittimi di Venezia, ma la sua rapida circolazione nel Levante crociato evidenzia anche una bilancia commerciale negativa con il Mediterraneo orientale. Ventuno ducati coniati nel 1289-1291 compaiono in un tesoro di seicento monete d'oro rinvenuto ad Aleppo o nei suoi dintorni, forse parte del bottino ammassato dai Musulmani ad Acri nel 1291. Lo Zibaldone da Canal parla dei ducati in una sottosezione su Cipro compilata dopo il 1291 (101). Tra l'altro, i dati sui trasferimenti di metalli preziosi confermano chiaramente il funzionamento dell'intricata rete triangolare nel Mediterraneo orientale, di cui già si è detto.
L'evoluzione della presenza e dell'attività politica ed economica di Venezia nell'oltremare nel nostro periodo impone valutazioni prudenti. È stato sostenuto che due eventi, la riconquista bizantina di Costantinopoli nel 1261 e il crollo degli stati crociati trent'anni dopo, provocarono una contrazione dell'attività economica veneziana oltremare. A questo processo stando a chi sostiene questa tesi si accompagnò un mutato atteggiamento mentale, con uno spostamento verso gli investimenti nella proprietà terriera e un incremento delle donazioni di carità (102). Senza dubbio, gli eventi del 1261 e del 1291 provocarono la perdita di avamposti commerciali privilegiati che godevano di un'ampia misura di autonomia, ai limiti, in alcuni casi, dell'extraterritorialità; nonostante però la stretta correlazione tra le condizioni politiche e quelle economiche, la contrazione geografica della presenza politica veneziana oltremare non comportò una corrispondente riduzione della portata geografica o del volume complessivo del commercio e dei trasporti veneziani. I temporanei ostacoli ad essi frapposti furono chiaramente compensati da altri fattori, quali l'aumento in Occidente della domanda di merci orientali, non ultimi quelli destinati ad uso industriale, e di grano e sale. Pur avendo perduto posizioni a Costantinopoli e nel mar Nero nel 1261, nemmeno sette anni dopo i Veneziani davano l'avvio a una rapida e notevole espansione della loro attività in quella regione. Gli eventi del 1261 coincisero peraltro con il consolidamento del dominio mongolo su una vasta parte dell'Asia. Il numero di mercanti veneziani o occidentali che penetravano nel continente lungo la rotta di terra fu sempre esiguo, ma importanti benefici derivarono dal transito di grandi quantità di merci asiatiche verso il mar Nero e il Mediterraneo orientale, che dopo il 1261 fu alla base di un cospicuo aumento del volume complessivo del commercio e dei trasporti veneziani. Il commercio marittimo, specialmente su lunghe distanze, costituì la forma di investimento più proficua del periodo. La somma di denaro che il doge Ranieri Zeno lasciò in eredità nel 1268 al monastero di Sant'Antonio di Torcello doveva essere impiegata ad accrescerne la rendita commendataria, e qualche tempo più tardi i procuratori di San Marco giurarono di agire in modo analogo con le disponibilità monetarie dei minori di cui si prendevano cura e di investirle fuori Venezia oppure di allocarle in imprese operanti in città (103). Quando, nell'agosto del 1278, il comune ridusse il numero dei convogli annuali che salpavano direttamente per la Piccola Armenia, il Levante, l'Egitto e Cipro da due a uno, la ragione non risiedeva nella diminuzione della quantità di mercanzia disponibile ma nella mancanza di sufficienti galere; fu dal 1294 che questa scarsità ebbe termine. Nel frattempo navi più lente avevano garantito i servizi di trasporto necessari da queste regioni a Venezia (104). Neppure la nuova politica del sale adottata nel 1281 condusse alla recessione. L'obbligo imposto alle navi di ritorno a Venezia di portare con sé il sale è stato interpretato come un espediente finalizzato a stimolare lo scambio commerciale e a garantire alle navi un carico al loro ritorno (105). Esso dovrebbe essere visto piuttosto come un tentativo di ottenere un monopolio virtuale delle forniture di sale nell'Italia settentrionale, con i benefici economici e fiscali conseguenti, e come una maniera di sovvenzionare il trasporto in modo da ridurre il costo di tutte le merci importate, incrementandone perciò la diffusione. Abbiamo già avuto modo di considerare la saturazione del mercato delle merci provenienti dal Mediterraneo orientale avvenuta negli anni Ottanta, quindi poco dopo l'istituzione della nuova legge sul sale. La portata dei commerci di Venezia in questi anni, e specialmente tra il 1285 e il 1290 circa, viene evidenziata dalla lista di tassi di cambio usata dalla Ternaria, più volte citata (106): si parla esplicitamente di Ancona, della Sclavonia o Dalmazia, della Puglia, di Corone, Modone, Creta e Negroponte nella Romània latina, di Costantinopoli e Tessalonica nell'Impero bizantino, della Crimea e Trebisonda nel mar Nero, dell'Anatolia turca, della Piccola Armenia, di Alessandria e, infine, del Maghreb. La temporanea perdita negli scambi con i Musulmani poco dopo il 1291 fu in parte compensata da una più intensa attività a Laiazzo, Cipro e Bisanzio, mentre l'Egitto e il Levante già crociato furono rapidamente reintegrati nella rete del commercio e dei trasporti veneziani dopo un breve periodo di adattamento e ristrutturazione. L'attività in queste zone si intensificò, anzi, nel periodo di guerra tra il 1296 e il 1302, che limitò l'accesso dei Veneziani al mercato bizantino. Riassumendo, gli spostamenti geografici degli investimenti compensarono in buona misura le temporanee battute di arresto, che non influirono sulla continuità complessiva degli affari veneziani oltremare, né, parrebbe, sul loro volume. La crisi d'immagine collettiva attraversata dai Veneziani nell'ultimo decennio del Duecento, sull'onda delle sconfitte subite nella guerra con Genova (107), non sembrerebbe trovare riscontro nella loro attività economica oltremare in quel tempo.
Traduzione di Patrizia Colombani
1. Soprattutto Gottlieb L.Fr. Tafel - Georg M. Thomas, Urkunden zur äteren Handels- und Staatsgeschichte der Republik Venedig, I-III, Wien 1856-1857; Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, I-III, a cura di Roberto Cessi, Bologna 1931-1950; Le deliberazioni del Consiglio dei Rogati (Senato). Serie "Mixtorum", I, a cura di Roberto Cessi - Paolo Sambin, Venezia 1960.
2. Il testo in G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, III, pp. 159-281; commento e datazione delle richieste di indennizzo in Gareth Morgan, The Venetian Claims Commission of 1278, "Byzantinische Zeitschrift", 69, 1976, pp. 41 1-438.
3. L'edizione di tali rivendicazioni in Roberto Cessi, La tregua fra Venezia e Genova nella seconda metà del sec. XIII, "Archivio Veneto-Tridentino", 4, 1923, pp. 35-55; commento e datazione ibid., pp. 1-35; per una lieve correzione, si v. oltre, n. 39.
4. L'edizione della lista in Frederic C. Lane - Reinhold C. Mueller, Money and Banking in Medieval and Renaissance Venice, I, Coins and Moneys of Account, Baltimore-London 1985, pp. 626-627. Il periodo di datazione proposto da Lane e Mueller, tra il 1268 circa e il 1293 o alternativamente il 1291 (ibid., pp. 295-296, 302), può essere ristretto. Il riferimento all'iperpero bizantino di Costantinopoli e di Tessalonica implica una data successiva al 1268, allorquando i Veneziani ripresero il commercio nell'Impero. L'inclusione dell'Oltremare, il Levante crociato, come appare da una disposizione del 1268 concernente lo stesso argomento (Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 390) è indizio di un periodo antecedente al 1291. Infine, i tassi di cambio dei bizantini di Alessandria nel 1285 e 1290 (F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, p. 304) suggeriscono che la lista appartiene a questi anni. Questa datazione è conforme alla documentazione addotta più avanti circa la portata del traffico marittimo veneziano in quel periodo.
5. Queste le edizioni più importanti: Documenti della colonia veneziana di Creta. I. Imbreviature di Pietro Scardon (1271), a cura di Antonino Lombardo, Torino 1942; due volumi della serie di "Fonti per la storia di Venezia, Sez. III, Archivi notarili" e precisamente Leonardo Marcello notaio in Candia, 1278-1281, a cura di Mario Chiaudano - Antonino Lombardo, Venezia 1960, e Benvenuto de Brixano, notaio in Candia, 1301-1302, a cura di Raimondo Morozzo della Rocca, Venezia 1950; Pasquale Longo notaio in Corone, 1289-1293, a cura di Antonino Lombardo, Venezia 1951; inoltre Documenti del commercio veneziano nei secoli XI-XIII, I-II, a cura di Raimondo Morozzo della Rocca - Antonino Lombardo, Torino 1940, e Nuovi documenti del commercio veneto dei sec. XI-XIII, a cura di Antonino Lombardo - Raimondo Morozzo della Rocca, Venezia 1953, che però non si spinge oltre il 1261. Documenti notarili inediti per i decenni seguenti sono conservati presso l'Archivio di Stato di Venezia.
6. Per l'edizione di questi documenti si v. la bibliografia in Michel Balard, La Romanie génoise (XIIe - début du XIVe siècle), Rome 1978; inoltre Laura Balletto, Bilancio di trent'anni e prospettive della medievistica genovese, Genova 1983, e la "Collana storica di fonti e studi", diretta da Geo Pistarino, Istituto di medievistica, Università di Genova, voll. 31, 32, 39, 43, 49, 51.
7. Si vedano, rispettivamente, David Jacoby, A Venetian Manual of Commerciai Practice from Crusader Acre, in I comuni italiani nel regno crociato di Gerusalemme. Atti del colloquio 'The Italian Communes in the Crusading Kingdom of Jerusalem' (Jerusalem, May 24-28, 1984), a cura di Gabriella Airaldi - Benjamin Z. Kedar, Genova 1986, pp. 403-428 (ristampato in Id., Studies on the Crusader States and on Venetian Expansion, Northampton 1989); Zibaldone da Canal. Manoscritto mercantile del sec. XIV, a cura di Alfredo Stussi, Venezia 1967; Il più antico manuale italiano di pratica della mercatura, a cura di Roberto S. Lopez - Gabriella Airaldi, in Miscellanea di studi storici, II, Genova 1983, pp. 119-133, con un'introduzione alle pp. 99-117 (pp. 99-134); manuale anonimo fiorentino, introduzione ed estratti in Robert-henri Bautier, Les relations économiques des occidentaux avec les pays d'Orient au moyen àge. Points de vue et documents, in Sociétés et compagnies de commerce en Orient et dans l'Océan Indien. Actes du 8e Congrès international d'histoire maritime, Beyrouth 1966, a cura di Michel Mollat, Paris 1970, pp. 311-320; Francesco Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, a cura di Alan Evans, Cambridge, Mass. 1936. R.-H. Bautier, Les relations économiques, pp. 312-313, data al 1315 il testo da lui parzialmente pubblicato; tuttavia i riferimenti a Tana, città posta sulla foce del Don e colonizzata dai Veneziani nel 1319 (ibid., p. 276) fanno pensare piuttosto agli anni Venti. Per conto mio, sto preparando un'edizione con commento del primo manuale di mercatura.
8. Sul contesto e sulle condizioni della presenza e dei privilegi veneziani nell'Impero bizantino si vedano: Freddy Thiriet, La Romanie vénitienne au Moyen Age. Le développement et l'exploitation du domaine colonial vénitien (XIIe - XVe siècles), Paris 1959, pp. 144-155; Deno J. Geanakoplos, Emperor Michael Palaeologus and the West, 1258-1282. A Study in Byzantine-Latin Relations, Cambridge, Mass. 1959; Angeliki E. Laiou, Constantinople and the Latins. The Foreign Policy of Andronicus II, 1282-1328, Cambridge, Mass. 1988, pp. 188-223; Donald M. Nicol, Byzantium and Venice. A Study in Diplomatic and Cultural Relations, Cambridge 1988, pp. 188-223; Silvano Borsari, Studi sulle colonie veneziane in Romania nel XIII secolo, Napoli 1966; Julian Chrysostomides, Venetian Commercia) Privileges unger the Palaeologi, "Studi Veneziani", 12, 1970, pp. 268-276 (pp. 267-356); Chryssa A. Maltézou, Ho thesmos tou en Konstantinoùpolei Venetou bailou (1268-1453), Athenais 1970, pp. 19-33, 38-83, 89-107. Sull'espansione e le politiche di Genova nei confronti di Venezia si v. M. Balard, La Romanie génoise, pp. 45-62.
9. Si v. G. Morgan, The Venetian Claims Commission, pp. 420-426; Raymond Joseph Loenertz, Les Ghisi, dynastes vénitiens dans l'Archipel, 1207-1390, Firenze 1975, pp. 52-56, 91-95.
10. Osservazioni importanti sull'ultima tregua ibid., p. 57
11. G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, III, p. 343. Nel 1123 solo i sudditi bizantini godevano di tale privilegio: ibid., I, pp. 122- 123, 186-187.
12. David Jacoby, Les Vénitiens naturalisés dans l'Empire byzantin: un aspect de l'expansion de Venise en Romanie du XIIIe au milieu du XVe siècle, "Travaux et Mémoires du Centre de Recherches d'Histoire et Civilisation Byzantine", 8, 1981, pp. 217-235 (ristampato in Id., Studies on the Crusader States and on Venetian Expansion, Northampton 1989). Sui conciatori di pelli ebrei, ibid., pp. 227-228 e Id., Les quartiers juifs de Constantinople à l'époque byzantine, "Byzantion", 37, 1967, pp. 189-205 (ristampato in Id., Société et démographie à Byzance et en Romanie latine, Londres 1975).
13. G. Morgan, The Venetian Claims Commission, pp. 420, 428-429, 433-435. Ai tre consoli attestati negli anni 1275-1276, ibid., p. 420, se ne dovrebbe aggiungere un altro nel 1274: G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, III, p. 280, nonché ibid., p. 140, e Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 243 (1289).
14. Cf. D. Jacoby, Les Vénitiens naturalisés, pp. 222-224.
15. Per un itinerario in Asia, alquanto più tardo, che partiva dalla stessa regione, ma da Tana, situata alla bocca del fiume Don, si v. R.-H. Bautier, Les relations économiques, pp. 286-291.
16. Su Soldaia: Marie Nystazopoulou Pélékidis, Venise et la mer Noire du XIe au XVe siècle, in Venezia e il Levante fino al secolo XV, Atti del Convegno internazionale di storia della civiltà veneziana, Venezia 1968, a cura di Agostino Pertusi, I/2, Firenze 1973, pp. 550-554 (pp. 541-582); il testamento di Marco il Vecchio a cura di Arthur C. Moule - Paul Pelliot, Marco Polo. The Description of the World, London 1938, pp. 523-525; Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, pp. 201 (1288) e 261 (1290); su Caffa genovese: M. Balard, La Romanie génoise, pp. 114-118, 199-202; R.-H. Bautier, Les relations économiques, pp. 273-276. Sulle navi e i mercanti veneziani a Caffa: Gênes et l'Outremer, I, Les actes de Caffa du notaire Lamberto di Sambuceto, 1279-1280, a cura di Michel Balard, Paris 1973, nrr. 377, 407, 411, 487, 536, 602, 700, 876.
17. Si v. supra, n. 4. Su tale moneta, M. Balard, La Romanie génoise, pp. 658-659.
18. Id., Gênes et la mer Noire (XIIIe-XVe siècles), "Revue Historique", 270, 1983, pp. 31-37.
19. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, pp. 73 (1284), 313 (1292), e Le deliberazioni del Consiglio, I, p. 79, sul pepe in relazione a Costantinopoli (1302). Su Trebisonda si v. più innanzi.
20. Cf. infra, n. 89.
21. Gino Luzzatto, Storia economica di Venezia dall'XI al XVI secolo, Venezia 1961, pp. 51-54.
22. G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, III, pp. 98, 144, sui massimali dei prezzi del grano. J. Chrysostomides, Venetian Commercia) Privileges, pp. 312-316; G. Morgan, The Venetian Claims Commission, pp. 429, 431-435; Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 73 (1284).
23. D. Jacoby, A Venetian Manual, pp. 425-426.
24. Sull'allume, M. Balard, La Romanie génoise, pp. 768-782.
25. Georg Caro, Genua und die Mächte am Mittelmeer, 1257-1311, I-II, Halle 1895-1899: II, p. 198 n. 1, sulle due tradizioni opposte a questo riguardo.
26. Sulla guerra, che consentì la riconquista veneziana di numerose isole dell'Egeo, v. R.-J. Loenertz, Les Ghisi, pp. 57-58, 100-104.
27. Per Creta, Silvano Borsari, Il dominio veneziano a Creta nel XIII secolo, Napoli 1963, pp. 47-66. Per Negroponte, David Jacoby, La féodalité en Grèce médiévale. Les "Assises de Romanie: sources, application et diffusion, Paris-La Haye 1971, pp. 21-25, 185-196. Nel 1271 il bailo di Negroponte fu autorizzato a contrarre un prestito per il finanziamento della propria attività nell'isola: G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, III, p. 123.
28. D. Jacoby, La féodalité, pp. 69-70, 195-196, 271-280, 295-300; S. Borsari, Studi, pp. 64-83.
29. D. Jacoby, La féodalité, pp. 195, 237-238; S. Borsari, Studi, pp. 110-111; R.-J. Loenertz, Les Ghisi, pp. 105-110.
30. David Jacoby, Social Evolution in Latin Greece, in A History of the Crusades, I-VI, a cura di Kenneth M. Setton, Madison 1969- 19892: VI, pp. 216-218 (pp. 175-221); Id., From Byzantium to Latin Romania: Continuity and Change, " Mediterranean Historical Review", 4, 1989, pp. 10-23 (pp. 1-44) (ristampato in Latins and Greeks in the Eastern Mediterranean after 1204, a cura di Benjamin Arbel - Bernard Hamilton - David Jacoby, London 1989).
31. D. Jacoby, From Byzantium to Latin Romania, pp. 26-32, sulle tendenze generali; Id., Social Evolution, VI, pp. 216-218; S. Borsari, Il dominio, pp. 67-103, in particolare 73-74, sul grano; Id., Studi, pp. 107-114, 123-132. Sul vetro, Angeliki E. Laiou, Venice as a Center of Trade and Artistic Production in the Thirteenth Century, in Il Medio Oriente e l'Occidente nell'arte del XIII secolo. Atti del XXIV Congresso internazionale di storia dell'arte, Bologna 1975, II, a cura di Hans Belting, Bologna 1982, pp. 14-15, 18-19.
32. Mario Gallina, Finanza, credito e commercio a Candia fra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV, Torino 1986, pp. 41-67. Su Clarenza e i suoi commerci con l'Italia meridionale, Antoine Bon, La Morée franque. Recherches historiques, topographiques et archéologiques sur la Principauté d'Achaïe (1205-1430), Paris 1969, pp. 320-325; R. Cessi, La tregua fra Venezia e Genova, pp. 35-41, e per la datazione pp. 16-18: tra altri, due fideles o sudditi veneziani di Zara esportano vino e olio dalla Puglia a Clarenza (si v. anche la nota seguente e supra, n. 4); Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, pp. 376 (1295), 431 (1297).
33. G. Morgan, The Venetian Claims Commission, pp. 411-438, e si v. inoltre la lista delle merci alle pp. 436-437; G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, III, pp. 251-252, 274-276 (la datazione in G. Morgan, The Venetian Claims Commission, pp. 428-429): una nave veneziana che salpa da Lepanto per Clarenza nel 1271 e un'altra da Nauplia alla volta della Puglia nel 1273; Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 135 e III, pp. 25-26 (1282 e 1283): tra Clarenza e Corone e la Puglia; ibid., III, p. 351 (1293): trasbordo a Negroponte nel 1293. Per l'Albania si vedano G. Morgan, The Venetian Claims Commission, pp. 428, 432-433; R. Cessi, La tregua fra Venezia e Genova, pp. 35-41; Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 63 (1272) e III, p. 400 (1296); Alain Ducellier, La façade maritime de l'Albanie au moyen âge. Durazzo et Valona du XIe au XVe siècle, Salonique 1981, pp. 283-288, la cui documentazione è tuttavia incompleta e sottovaluta l'importanza del commercio marittimo veneziano in questa regione. Il commercio ad Arta fu interrotto per qualche tempo nel 1284 a causa della tensione politica: v. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, pp. 78-79. Per i traffici con il Levante e con Cipro si v. più avanti.
34. Jean-Claude Hocquet, Le sel et la fortune de Venise, I-II, Lille 1978-1979: I, pp. 91, 93; II, pp. 202-205. I feudatari veneziani a Creta non erano autorizzati a lasciare l'isola e disponevano di scarsi capitali liquidi: in larga misura, quindi, dovevano limitarsi agli scambi locali: S. Borsari, Studi, pp. III, 124-129; Id., Il dominio, pp. 67-74, 83-87, 96-103.
35. Sulla pirateria e i corsari: Hélène Ahrweiler, Byzance et la mer. La marine de guerre, la politique et les institutions maritimes de Byzance aux VIIe-XVe siècles, Paris 1966, pp. 322-323, 369-370, 377-378, 381; M. Balard, La Romanie génoise, pp. 39-40; D. J. Geanakoplos, Emperor Michael Palaeologus, pp. 152-153, 210-215, 302-304, 328, 336-337, 362; G. Morgan, The Venetian Claims Commission, pp. 420-427; A.E. Laiou, Constantinople and the Latins, pp. 73-74, 110-111, 121; v. anche supra, n. 9. Candia era la più importante base navale veneziana nell'area dal 1282 circa, quando iniziò la costruzione dell'arsenale locale: Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 345.
36. A proposito di queste tre città e dei loro rapporti si v. R.-H. Bautier, Les relations économiques, pp. 271-273, 278-286, 290-291.
37. Wilhelm von Heyd, Histoire du commerce du Levant au moyen âge, I-II, Leipzig 1885-1886: II, pp. 92-96. Sui Veneziani, Sergej Pavlovich Karpov, L'impero di Trebisonda, Venezia, Genova e Roma, 1204-1461. Rapporti politici, diplomatici,. commerciali, Roma 1986, pp. 71-77. Sui Genovesi, M. Balard, La Romanie génoise, pp. 134-139, e S.P. Karpov, L'impero di Trebisonda, pp. 141- 143.
38. Sulla lista, v. supra, n. 4. Sulle monete, M. Balard, La Romanie génoise, pp. 664-665.
39. R. Cessi, La tregua fra Venezia e Genova, p. 55 (1291); la datazione in G. Caro, Genua und die Mdchte, II, p. 179 n. 5. Il caso di questo suddito marciano non significa peraltro che i Veneziani avessero uno scalo a Trebisonda, né che i Genovesi vi tenessero una propria amministrazione come asserisce invece S.P. Karpov, L'impero di Trebisonda, pp. 75, 142. Il danno inflitto a Marco Polo è menzionato nel testamento di Matteo il Vecchio steso nel 1310: è pubblicato, a cura di Giovanni Orlandini, in Marco Polo e la sua famiglia, "Archivio Veneto-Tridentino" 9, 1926, p. 27, nr. 16 (pp. 1-68) e Marco Polo, p. 531, nr. 6.
40. Cf. supra, n. 4.
41. D. Jacoby, A Venetian Manual, pp. 427 e n. 88. Sulla presenza genovese a Sivas negli anni Settanta e Ottanta si vedano R.-H. Bautier, Les relations économiques, pp. 281-282, e M. Balard, La Romanie génoise, pp. 134, 138- 139.
42. Sui trattati di commercio con il Regno, G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, I, pp. 381-385 (1201); ibid., II, pp. 426-429 (1245); AA.VV., L'Armeno-veneto. Compendio storico e documenti delle relazioni degli Armeni coi Veneziani. Primo periodo, secoli XIII-XIV, II, Venezia 1893, pp. 7-10 (1261); G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, III, pp. 115-118 (1271); nonché W. Von Heyd, Histoire, I, pp. 371-372 (ove l'autore corregge la data del secondo accordo) e ibid., II, pp. 80-83. Secondo F. Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, pp. 366-367 il cotone di qualità migliore si produceva ad Hama, seguito nell'ordine da quelli di Aleppo, della Piccola Armenia, di Damasco, di Acri, di Cipro e di Laodicea, tutti comunque superiori al cotone occidentale. Sul cotone levantino, si v. Eliyahu Ashtor, Levant Trade in the Later Middle Ages, Princeton, N J. 1983, e n. 81, infra. Sulle importazioni di cotone in Italia e sulla locale industria cotoniera si v. Maureen F. Mazzaoui, The Italian Cotton Industry in the Later Middle Ages, 1100-1600, Cambridge 1981, pp. 34-36, 59-86.
43. Roberto S. Lopez, Nuove luci sugli Italiani in Estremo Oriente prima di Colombo, riedito in Id., Su e giù per la storia di Genova, Genova 1975, pp. 99-101. L'anonimo manuale fiorentino degli anni Venti del Trecento riferisce della "molto finissima seta" della Piccola Armenia: cf. R.-H. Bautier, Les relations économiques, p. 318. Ma i Veneziani intorno al 1260 compravano la seta soprattutto in Romània.
44. W. Von Heyd, Histoire, II, pp. 73-92; D. Jacoby, A Venetian Manual, pp. 412-413, 416-417; R.-H. Bautier, Les relations économiques, pp. 290-291.
45. Il Compasso da Navigare. Opera italiana della metà del secolo XIII, a cura di Bacchisio Raimondo Motzo, Cagliari 1947, p. 60. Per la datazione della versione originale si v. David Jacoby, The Rise of a New Emporium in the Eastern Mediterranean: Famagusta in the Late Thirteenth Century, "Meletai Kai Hypomnemata", 1, 1984, pp. 147 n. 10 e 149 n. 19 (ristampato in Id., Studies on the Crusader States and on Venetian Expansion, Northampton 1989).
46. AA.VV., L'Armeno-veneto, II, p. 9 (1261), Leone III parla delle case assegnate ai Veneziani da suo padre: cf. G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, III, p. 117 (1271).
47. La nuova edizione, con datazione e commento del testamento: Alfredo Stussi, Un testamento volgare scritto in Persia nel 1263, "L'Italia Dialettale", 25, 1962, pp. 23-37; v. anche E. Ashtor, Levant Trade, pp. 58-59. Si osservi che Domenico Viglioni, un parente, si spinse successivamente oltre Tabriz, e visse nella città cinese di Yangchow, secondo quanto testimonia l'epigrafe funeraria della figlia Caterina, datata 1342: si v. Francis A. Rouleau, The Yangchow Latin Tombstone as a Landmark of Medieval Christianity in China, "Harvard Journal of Asiatic Studies", 17, 1954, pp. 346-365.
48. Uno sviluppo che risulta evidente dalle clausole riguardanti i beni dei mercanti veneziani morti intestati: nel 1201 fu stabilito che sarebbero stati affidati a Veneziani, o in loro assenza all'arcivescovo di Sis, una città della Piccola Armenia, fino all'arrivo di una ducale; nel 1245 e nel 1261 a Veneziani fino all'arrivo di istruzioni dal doge o dal bailo di Acri; e infine, nel 1271, al bailo veneziano a Laiazzo: G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, I, p. 383; ibid., II, pp. 427-428; AA.VV., L'Armeno-veneto, II, pp. 8-9; G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, III, pp. 116-117. La presenza di un bailo veneziano a Laiazzo è attestata anche in seguito: Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 358 e ibid., III, pp. 69, 241 (1274, 1284 e 1289).
49. Rimangono solo pochi documenti notarili pisani e genovesi pertinenti, ma nessuno veneziano: cf. Catherine Froux Otten, Les Pisans en Egypte et à Acre dans la seconde moitié du XIIIe siècle: documents nouveaux, "Bollettino Storico Pisano", 52, 1983, pp. 173-174, 181-184, 189-190, documenti II, VIII-X, XV (pp. 163-190); Notai genovesi in Oltramare. Atti rogati a Laiazzo da Federico di Piazzalunga (1274) e Pietro di Bargone (1277, 1279), a cura di Laura Balletto, Genova 1989, indice, pp. 181, 403, voci Damiata, Damiate. Sulle relazioni tra Laiazzo e Acri si v. pure F. Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, p. 65.
5o. Sul cartello, Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 358.
51. Il più antico manuale italiano, pp. 125-126.
52. Testi veneziani del Duecento e dei primi del Trecento, a cura di Alfredo Stussi, Pisa 1965, pp. 8-10, nr. 3; D. Jacoby, A Venetian Manual, pp. 412-413, 416-417.
53. Sul cartello, Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 37. Gino Luzzatto, Studi di storia economica veneziana, Padova 1954, pp. 195-196, afferma erroneamente che tale cartello si formò ad Acri. Alcuni esempi della relazione tra Venezia e Laiazzo in Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 68 (1278); ibid., III, pp. 144-145 (1286), 166 (1287), 291 (1291). Per Alessandria si v. più avanti.
54. Una nuova edizione di tali trattati nella collana "Pacta veneta", 2: I trattati con Aleppo 1207-1254, a cura di Marco Pozza, Venezia 1990. Si vedano inoltre Adolf Schaube, Handelsgeschichte der romanischen Völker des Mittelmeergebiets bis zum Ende der Kreuzzüge, München-Berlin 1906, pp. 214-215; D. Jacoby, A Venetian Manual, pp. 415-416, 420, 425 Zibaldone da Canal, pp. 64-65, ove sono riportate informazioni sul periodo anteriore al 1291; Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 211 (1288).
55. David Jacoby, Les Italiens en Egypte aux XIIe et XIIIe siècles: du comptoir à la colonie?, in Méthodes d'expansion et techniques de domination dans le monde méditerranéen (XIème_XVlème siècles), a cura di Alain Ducellier - Michel Balard, Paris 1994, pp. 74-102; Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 358 ( 1264).
56. Il più antico manuale italiano, pp. 119-122, 124, 126-127; Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 211 (1288).
57. Sul materiale bellico, Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 355 (1281) e III, p. III (1285); J.-C. Hocquet, Le sel et la fortune de Venise, II, p. 157 (1284); David Jacoby, L'expansion occidentale dans le Levant: les Vénitiens à Acre dans la seconde moitié du treizième siècle, "The Journal of Medieval History", 3, 1977, p. 237 (pp. 225-266) (ristampato in Id., Recherches sur la Méditerranée orientale du XIIe au XVe siècle. Peuples, sociétés, économies, London 1979); sul sale: J.-C. Hocquet, Le sel et la fortune de Venise, II, pp. 204-208. Sulle altre merci, D. Jacoby, A Venetian Manual, pp. 413, 419-420; Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, pp. 32 (1283) e 144 (1286).
58. David Jacoby, L'évolution urbaine et la fonction méditerranéenne d'Acre à l'époque des Croisades, in Città portuali del Mediterraneo, storia e archeologia, Atti del Convegno internazionale, Genova 1985, a cura di Ennio Poleggi, Genova 1989, pp. 95-109; sul quartiere veneziano Id., Crusader Acre in the Thirteenth Century: Urban Layout and Topography, "Studi Medievali", ser. III, 20, 1979, pp. 1-19, 30-36 (pp. 1-45) (ristampato con correzioni in Id., Studies on the Crusader States and on Venetian Expansion, Northampton 1989); Id., L'expansion occidentale, pp. 225-264.
59. Per il primo manuale si v. supra, n. 7; Il più antico manuale italiano, pp. 119-127; F. Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, pp. 63-64.
60. D. Jacoby, A Venetian Manual, pp. 406-409, 415-416, 419-420, 425-427. Zibaldone da Canal, p. 63: "al te[n>po ch'Acre iera in piè", perciò prima del 1291. Per il cotone si v. anche più oltre.
61. Si v. David Jacoby, Rari Materials for the Glass Industries of Venice and the Terraferma, ca. 1370-ca. 1460, "Journal of Glass Studies ", 35, 1993, pp. 67-69.
62. Zibaldone da Canal, pp. 64-65.
63. D. Jacoby, L'expansion occidentale, pp. 234-237, 247, 249; Id., A Venetian Manual, pp. 425-427.
64. Id., Pèlerinage médiéval et sanctuaires de Terre Sainte: la perspective vénitienne, "Ateneo Veneto", n. ser., 24, 1986, pp. 27-31 (pp. 27-58) (ristampato in Id., Studies on the Crusader States and on Venetian Expansion, Northampton 1989).
65. Id., The Kingdom of Jerusalem and the Collapse of Hohenstaufen Porger in the Levant, "Dumbarton Oaks Papers", 40, 1986, pp. 91-94 (pp. 83-101) (ristampato in Id., Studies on the Crusader States and on Venetian Expansion, Northampton 1989) G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, II, pp. 351-389; Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 357.
66. G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, III, pp. I50-159; Joshua Prawer, Crusader Institutions, Oxford 1980, pp. 221-226; Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, pp. 355, 357.
67. Emmanuel G. Rey, Recherches géographiques et historiques sur la domination des Latins en Orient, accompagnées de textes inédits ou peu connus, Paris 1877, pp. 47-50; Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 97 (1279) e III, pp. 111, 178, 212 (dal 1285 al 1288); D. Jacoby, L'expansion occidentale, p. 246.
68. La presenza veneziana sull'isola prima e dopo il 1291: D. Jacoby, The Rise of a New Emporium, pp. 145-172; Id., Cyprus in the Framework of the Mediterranean Economy and Trade System (1191-1489), in History of Cyprus, a cura di Theodoros Papadopoullos, Nicosia 1995. Per il periodo successivo si v. Michel Balard, Les Vénitiens en Chypre dans les années 1300, "Byzantinische Forschungen", 12, 1987, pp. 589-603, il quale però non tiene conto del fatto che nella documentazione genovese i Veneziani non sono adeguatamente rappresentati.
69. D. Jacoby, A Venetian Manual, pp. 412; Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, pp. 166 (1287), 291 (1291), come esempi di viaggi. Un'edizione non impeccabile della guida nautica è quella di Konrad Kretschmer, Die italienischen Portolane des Mittelalters. Ein Beitrag zur Geschichte der Kartographie und Nautik, Berlin 1909, pp. 235-236 (sto preparando una nuova edizione di questo testo). Poiché omette Famagosta e indica Limisso come il principale porto cipriota, è evidente che fu redatta prima del 1291. Lo stesso vale per le sezioni dello Zibaldone da Canal, pp. 54-57, 60, 63, 67, riferite a Limisso. F. Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, pp. 63-64, parla di importazioni da Acri prima del 1291, ma menziona Famagosta, p. 68; è possibile che abbia modificato l'informazione trovata nella sua fonte perché non era al corrente del ruolo predominante di Limisso nel periodo antecedente al 1291. Sulla datazione del materiale precedente al 1291 in entrambi i manuali, si v. D. Jacoby, A Venetian Manual, pp. 409-410.
70. Si v. supra, n. 4.
71. Sull'embargo, D. Jacoby, The Rise of a New Emporium, pp. 148-149, 179; Id., Cyprus in the Framework of the Mediterranean Economy; E. Ashtor, Levant Trade, pp. 17-44. Sulla concessione del 1302, Diplomatarium veneto-levantinum sive Acta et Diplomata, res Venetas, Graecas atque Levantiis illustrantia a. 1300-1454, I-II, a cura di Georg M. Thomas - Riccardo Predelli, Venezia 1880-1899: I, p. 6.
72. D. Jacoby, The Rise of a New Emporium, pp. 174-176
73. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 376.
74. D. Jacoby, The Rise of a New Emporium, pp. 168; Zibaldone da Canal, pp. 56-57.
75. F. Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, pp. 80-81; Jacques Marie J.L. de Mas Latrie, Histoire de l'île de Chypre sous le règne des princes de la maison de Lusignan, I-III, Paris 1852-1861: II, pp. 99-100; W. Von Heyd, Histoire, II, pp. 9-10; J.-C. Hocquet, Le sel et la fortune de Venise, I, p. 196 e II, pp. 204-205 (questo secondo volume è stato tradotto in italiano con il titolo Il sale e la fortuna di Venezia, Roma 1990; i riferimenti alle pp. 163-164).
76. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, pp. 337-338 (sul cotone nel 1293); E. Ashtor, Levant Trade, p. 43. Si v. inoltre più avanti.
77. Frederic C. Lane, Le galere di mercato, 1300-1334: esercizio privato e di Comun, in Id., Le navi di Venezia fra i secoli XIII e XVI, Torino 1983, pp. 57-58; E. Ashtor, Levant Trade, p. 44.
78. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, pp. 291, 311, 318 e 337-338 (1291, 1292 e 1293).
79. Nel medioevo la pratica era diffusa anche tra i mercanti impegnati in imprese commerciali all'interno dell'Asia e, più avanti, lungo la costa occidentale dell'Africa, che desideravano conservare un monopolio sulle fonti dell'offerta o sfuggire alla censura papale sul commercio con l'Islam: v. R.S. Lopez, Nuove luci sugli Italiani, pp. 95-97.
80. E. Ashtor, Levant Trade, p. 40; M. Balard, Les Vénitiens en Chypre, p. 601. Per rafforzare la propria posizione tra i grandi fornitori dell'industria cotoniera italiana, di tanto in tanto la Repubblica autorizzava, e anzi incoraggiava, i non Veneziani a spedire cotone a Venezia sulle navi di loro scelta e non esclusivamente su vascelli veneziani come accadeva di regola: Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, pp. 389-390, 435 (1295, per due anni, e 1298, per un anno); si v. anche M. Balard, Les Vénitiens en Chypre, pp. 600-601, su queste spedizioni.
81. Eliyahu Ashtor, The Venetian Cotton Trade in Syria in the Later Middle Ages, "Studi Medievali", ser. III, 17, 1976, pp. 675-682 (ristampato in Id., Studies on the Levantine Trade in the Middle Ages, London 1978); sul cotone nella provincia della Galilea, v. supra, n. 59. L'errata interpretazione che del decreto del 1293 (v. supra, n. 77) è stata data da Id., Levant Trade, p. 24, lo ha portato a ritenere che Acri avesse smesso per qualche tempo dopo il 1291 di esportare cotone, il che non risponde a verità. L'esportazione di cotone cipriota cominciò più avanti nel secolo XIV.
82. Notai genovesi in Oltramare. Atti rogati a Cipro. Lamberto di Sambuceto (1304-1305,1307), Giovanni de Rocha (1308-1310), a cura di Michel Balard, Genova 1984, nrr. 65-66.
83. Marinus Sanutus, Liber secretorum fidelium crucis super Terrae Sanctae recuperatione et conservatione, in Gesta Dei per Francos, sine orientalium expeditionum et regni Francorum Hierosiolomitani historia, II, a cura di Jacques Bongars, Hanoviae 1611, p. 23.
84. Sui sostituti occidentali della sabbia del Levante, D. Jacoby, Raw Materials, pp. 190-197, 226. Sull'utilizzo continuativo delle ceneri di soda di provenienza vicino-orientale, ibid., pp. 180, 183, 187, 189-190.
85. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, p. 398, nr. 19 e p. 401, nr. 31; Le deliberazioni del Consiglio, I, p. 104, nr. 10, e p. 129, nr. 27. Le ceneri di soda venivano chiamate alumen gatinum che non va confuso con l'allume vero e proprio che è un minerale: v. supra, n. 24.
86. Sulla differenza tra le due qualità di ceneri si v. F. Balducci Pegolotti, La pratica della mercatura, p. 380.
87. Diplomatarium veneto-levantinum, I, p. 8; E. Ashtor, Levant Trade, pp. 27, 551.
88. G.L.Fr. Tafel - G.M. Thomas, Urkunden, II, pp. 303-307 (1231), 450-456 (1251), ibid., III, pp. 118-122 (1271); Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, pp. 421 (1274) e 129 (1281); A. Schaube, Handelsgeschichte, pp. 306-307; Alberto Sacerdoti, Venezia e il regno hafsida di Tunisi: trattati e relazioni diplomatiche (1231-1534), "Studi Veneziani", 8, 1966, pp. 303-312 (pp. 303-346); Id., Il consolato veneziano del regno hafsida di Tunisi (1274-1518), ibid., II, 1969, pp. 530-536. Un manoscritto conservato presso la Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia, cl. VII, 193, Reggimenti, pp. 268-269, fornisce la lista dei consoli a partire dal 1236, senza però alcuna indicazione sulle fonti.
89. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 359; Documenti del commercio veneziano, II, nrr. 776-777, 857; F.C. Lane - R.C. Mueller, Money and Banking, pp. 304, 306.
90. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, pp. 128 (1281), 171 (1282); Saggi di scritture di bordo del medio evo, a cura di Giuseppe Gelcich, "Archeografo Triestino", 29, 1903, pp. 91-95 (1284); R. Cessi, La tregua fra Venezia e Genova, pp. 51-52, la datazione a p. 32; Notai genovesi in Oltramare. Atti rogati a Tunisi da Pietro Battifoglio (1288-1289), a cura di Geo Pistarino, Genova 1986, nrr. 16, 26, 98, 124.
91. Jacques Marie J.L. De Mas Latrie, Traités de paix et de commerce et documents divers concernant les relations des Chrétiens avec les Arabes de l'Afrique septentrionale au moyen âge, Paris 1866, pp. 207-211, e per la datazione si v. A. Sacerdoti, Venezia e il regno hafsidi di Tunisi, p. 309 n. 1.
92. Cf. supra, n. 4.
93. Per esempio Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, pp. 103-104 (1285).
94. A. Schaube, Handelsgeschichte, pp. 492-496; Georges Yver, Le commerce et les marchands dans l'Italie méridionale au XIIIe et au XIVe siècle, Paris 1903, pp. 245-253; Francesco Carabellese, Carlo d'Angiò nei rapporti politici e commerciali con Venezia e l'Oriente, Bari 1911; Nicola Nicolini, Sui rapporti diplomatici veneto-napoletani durante i regni di Carlo I e Carlo II d'Angiò, "Archivio Storico per le Provincie Napoletane", n. ser., 21, 1935, pp. 229-286; Id., Utilitarismo mercantile, amministrativo, marinaro nelle relazioni veneto-napoletane durante il vicariato di Carlo-martello d'Angiò, Napoli 1955; D. Jacoby, A Venetian Manual, pp. 417, 425. Sul sale riesportato, v. J.-C. Hocquet, Le sel et la fortune de Venise, II, pp. 253-255, 293-294.
95. Per la Puglia: Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, pp. 72-73 (1281) e III, p. 105 (1285); v. supra, n. 4. Una penuria di grano a Creta nel 1290 spinse il comune a rifornire l'isola direttamente dalla Puglia: ibid., III, p. 257. Su Messina, ibid., II, p. 358.
96. Joachim-Felix Leonhardt, Die Seestadt Ancona im Spätmittelalter. Politile und Handel, Tübingen 1983, pp. 166-169, 295-296, 326-328; R. Cessi, La tregua fra Venezia e Genova, pp. 21-23, 45-48.
97. Riccardo Predelli - Adolfo Sacerdoti, Gli statuti marittimi veneziani fino al 1255, Venezia 1903; David Jacoby, Venetian Anchors for Crusader Acre, "The Mariner's Minor", 71, 1985, p. 6 (pp. 5-12); Ugo Tucci, La navigazione veneziana nel Duecento e nel primo Trecento e la sua evoluzione tecnica, in Venezia e il Levante fino al secolo XV, Atti del Convegno internazionale di storia della civiltà veneziana, Venezia 1968, a cura di Agostino Pertusi, I/2, Firenze 1973, pp. 821-841; John E. Dotson, A Problem of Cotton and Lead in Medieval Italian Shipping, "Speculum", 57, 1982, pp. 52-62; John H. Pryor, Geography, Technology and War. Studies in the Maritime History of the Mediterranean, 649-1571, Cambridge 1988.
98. D. Jacoby, L'expansion occidentale, pp. 234-236.
99. Deliberazioni del Maggior Consiglio, III, pp. 32, 144.
100. Nonostante le argomentazioni contrarie di R.-H. Bautier, Les relations économiques, pp. 301-308.
101. D. Jacoby, A Venetian Manual, pp. 411-412, 426-428.
102. Giorgio Cracco, Un "altro mondo". Venezia nel Medioevo. Dal secolo XI al secolo XIV, Torino 1986, pp. 86-88, 102-106; Id., Mercanti in crisi: realtà economiche e riflessi emotivi nella Venezia del tardo Duecento, in Componenti storico-artistiche e culturali a Venezia nei secoli XIII e XIV, a cura di Michelangelo Muraro, Venezia 1981, pp. 13-21. Secondo Cracco la legislazione del 1274 contro l'investimento fondiario in terraferma era volta a contrastare l'immobilizzazione del capitale liquido; dovrebbe piuttosto essere situata nel contesto di una politica tesa, dal 1256, ad evitare che l'incrocio di interessi veneziani con interessi di potenze straniere si facesse sempre più preponderante, su cui si v. Vittorio Lazzarini, Antiche leggi venete intorno ai proprietari nella terraferma, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 38, 1919, pp. 5-11 (pp. 5-31), per il tredicesimo secolo. Si osservi come il decreto del 1274 autorizzasse gli acquisti da altri Veneziani. Consistenti donazioni in carità compaiono anche nei testamenti contemporanei - non utilizzati da Cracco - redatti da mercanti con grossi capitali impegnati nel commercio marittimo.
103. Benjamin Z. Kedar, Merchants in Crisis. Genoese and Venetian Men of Affairs and the Fourteenth Century Depression, New Haven-London 1976 (trad. it. Mercanti in crisi a Genova e Venezia nel '300, Roma 1981), pp. 58, 61-66.
104. Deliberazioni del Maggior Consiglio, II, p. 68 e III, pp. 357-358; G. Luzzatto, Storia economica di Venezia, pp. 42-44. Il decreto del 1278 stabiliva che le navi che salpavano verso altre regioni dovessero raggiungere queste stesse destinazioni più avanti nell'anno, il che implica che le importazioni non erano limitate ai vascelli che navigavano in agosto. Finora questo aspetto importante della disposizione è stato completamente trascurato.
105. G. Cracco, Un "altro mondo", pp. 102-103.
106. Cf. supra, n. 4.
107. G. Cracco, Mercanti in crisi, pp. 15-18.