La Vita e le Laudes Constantini
Presentazione e analisi di testi problematici
Al di là dei problemi che le opere di Eusebio di Cesarea convenzionalmente note come De vita Constantini e De laudibus Constantini pongono, esse sono le fonti principali per conoscere molti aspetti altrimenti ignoti della vita e dell’operato di Costantino, ma soprattutto per comprendere il rapporto di Eusebio con l’imperatore e, almeno in parte, i fini e le modalità dell’adesione di Costantino alla fede cristiana. Le due ‘opere’ eusebiane sono trattate, qui, in un unico saggio perché l’autore stesso le presenta, in parte, come intimamente connesse e, in ogni caso, richiamate l’una (De laudibus o Laudes Constantini) dall’altra (De vita Constantini o Vita Constantini)1.
La Vita Constantini è uno scritto articolato in più libri e attribuito a Eusebio di Cesarea. Non si sa quanti di questi libri appartenessero alla redazione originaria della Vita Constantini; gli stessi manoscritti che contengono i primi quattro, infatti, riportano di seguito anche un’orazione, la cosiddetta Oratio ad sanctorum coetum2, che, almeno in due manoscritti (nel Vaticanus 149 e nel Marcianus 339), è introdotta da una suddivisione in capitoli del tutto analoga a quella di ciascun libro della Vita Constantini: τοῦ πέμπτου λόγου τὰ κεφάλαια. Socrate Scolastico, storico del V secolo che certamente ha accesso diretto alla Vita Constantini3, non chiarisce se l’opera fosse suddivisa in quattro o cinque libri, e Niceforo Callisto Xantopulo, scrittore bizantino vissuto tra il XIII e il XIV secolo, ma la cui conoscenza dell’opera dipende da Socrate, nella sua Storia ecclesiastica (VI 37) le attribuisce cinque libri. Fozio, invece, patriarca costantinopolitano del IX secolo, la definisce inequivocabilmente ἐγκωμιαστικὴ τετράβιβλος, cioè «discorso encomiastico in quattro libri»4. Ciò si riflette indirettamente nelle scelte degli editori critici dell’opera. Ivar A. Heikel, infatti, nel 1902 pubblica Oratio ad sanctorum coetum subito dopo la Vita Constantini, benché separatamente5, e, pur credendo che l’aggiunta dell’Oratio ad sanctorum coetum alla Vita Constantini sia avvenuta dopo la metà del V secolo6, la fa tuttavia introdurre dalla succitata lectio dei manoscritti Vaticanus 149 e Marcianus 339, sicché di fatto essa appare come «quinto libro» della Vita Constantini. Winkelmann, al contrario, nel 1975 si limita a editare solo i primi quattro libri7. Per quanto concerne ciò che afferma la Vita Constantini stessa, riguardo alla sua struttura, l’unico accenno rilevante è in v.C. IV 32:
L’imperatore era solito comporre i suoi discorsi in latino. Alcuni traduttori, che avevano questo preciso incarico, provvedevano a volgerli in lingua greca. Per addurre un esempio di tali traduzioni, subito dopo la fine di questa mia opera darò il testo del discorso che Costantino dedicò alla Chiesa e che da lui fu intitolato Alla comunità dei santi8.
Neppure il testo della Vita Constantini.mette nelle condizioni di stabilire se l’opera fosse stata progettata in quattro o cinque libri, perché non è detto che il suo autore sia riuscito a terminare il progetto né che l’orazione trasmessa dalla tradizione manoscritta come l’Oratio ad sanctorum coetum sia quella cui fa riferimento v.C. IV 32.
Ma chi, appunto, è l’autore della Vita Constantini? Sebbene, da un lato, Girolamo non la annoveri tra le opere di Eusebio9 e questo scritto presenti indubitabili errori10, incongruenze11, anacronismi12, difficoltà espressive e argomentative13, e dia apparentemente poca certezza in merito all’autenticità dei documenti ivi riportati14, dall’altro le fonti più antiche la attribuiscono comunque a Eusebio15. Inoltre l’opera è in sé piuttosto coerente con il contenuto di altri scritti dello stesso vescovo di Cesarea, come il De laudibus Constantini e l’Historia ecclesiastica16. Nello specifico, sono significativi l’invito rivolto al sovrano a divenire «sacerdote»17 e la sua descrizione come «oplita di Dio»18. Entrambe le espressioni19, infatti, concorrono a determinare l’immagine di Costantino costruita nella Vita Constantini.a proposito di un tema-chiave per il ruolo dell’imperatore nella vita della Chiesa del IV secolo e per il suo risvolto teologico-politico: la sua partecipazione attiva ai concili, inquadrata, nell’opera di Eusebio, sotto la luce del suo regnare «a imitazione dell’Onnipotente»20. L’imperatore cristiano è descritto come soldato in v.C. I 28 e II 1-3, una caratteristica che rientra nell’immagine dell’imperatore pio, centrale per gli scopi precipui che si pone l’Eusebio-biografo21. Per quanto concerne l’accostamento dell’ufficio episcopale al ruolo dell’imperatore, si consideri che in v.C. I 44,1 Eusebio interpreta l’enigmatica autodefinizione costantiniana di τῶν ἐκτὸς ἐπίσκοπος22 come di «vescovo comune», riconoscendo all’imperatore, a tutti gli effetti, una funzione episcopale e quasi una posizione di superiorità sugli ‘altri’ vescovi23. Ora, Costantino in quanto ‘soldato di pietà’ convoca il concilio di Tiro del 33524 ed Eusebio lo definisce «vescovo comune» proprio poiché convocava gli ‘altri’ vescovi in concilio: i due tasselli cardine del tema dell’imitazione costantiniana di Dio accompagnano lo svolgimento della Vita Constantini.non meno che quello del De laudibus Constantini.
Della Vita Constantini.si perde ogni traccia tra i secoli VI e IX. Il testo infatti viene letto nel IV secolo e, almeno in parte, utilizzato dal retore pagano Libanio per il suo Discorso Regale, indirizzato all’imperatore Teodosio25. I primi, certi testimonia indiretti della Vita Constantini.sono: Socrate Scolastico, Sozomeno e Teodoreto di Ciro. Socrate scrive una Storia ecclesiastica databile, al più tardi, al 439/44026, nella cui seconda edizione utilizza direttamente la Vita Constantini.di Eusebio. Per alcuni tratti e soprattutto nella prima edizione27, la conoscenza socratica della Vita Constantini.presenta affinità con quanto noto anche a Gelasio28 – la cui Storia Ecclesiastica non ci è giunta ed è ricostruibile sulla base di due testi agiografici, la Vita di Metrofane e Alessandro e la Vita di Ignazio di Selymbria, e del cosiddetto sintagma di Gelasio di Cizico29 – e presente in una raccolta di documenti usata anche da Teodoreto30. Va inoltre ricordato che Socrate fa esplicito riferimento alla Vita Constantini.attribuendola a Eusebio almeno in otto luoghi31. La Storia ecclesiastica di Sozomeno è stata invece composta tra il 439 e il 450 e in I 3,2 essa fa riferimento alla Vita Constantini.senza tuttavia nominare Eusebio. Sozomeno, in generale, fa un uso abbondante della Vita Constantini.anche se in modo per lo più libero e riassumendone diverse sezioni32, come del resto è caratteristica della sua impostazione storiografica tucididea33. Teodoreto, che scrive la sua Storia ecclesiastica tra il 449 e il 45034, introduce una citazione dalla Vita Constantini.presentandola come tratta da una «grande opera» di Eusebio dedicata alle lodi del «governo del grande Costantino»35.
Accanto alla lettura e all’utilizzo della Vita Constantini.da parte di questi tre storici, va ricordato che anche – e soprattutto – Filostorgio ha accesso all’opera di Eusebio, benché quanto a lui noto sia ricostruibile solo a partire da estratti e riassunti della sua opera36. Il contesto in cui Filostorgio si riferisce alla Vita Constantini.concerne in particolare la discussione sul conferimento dell’ufficio sacerdotale al sovrano, sulla quale Eusebio ha una certa influenza nell’attribuzione a Costantino di ‘tratti episcopali’ e, indirettamente, profetici37. Rispetto a questa specifica concezione Socrate, Sozomeno e Teodoreto elaborano posizioni peculiari e distinte38. Essa si troverà invece stigmatizzata nell’epiclesi efesina di Teodosio II (ἀρχιερεὺς βασιλεύς)39. Dalla propria opinione riguardo alla definizione dell’imperatore-sacerdote e dalle rispettive posizioni prese in merito alla controversia ariana e al trattamento di Atanasio da parte dell’imperatore40 gli storici del V secolo derivano le loro specifiche ricezioni della figura di Costantino41.
Socrate cerca di chiarire quegli aspetti della vita dell’imperatore che, a suo avviso, Eusebio in quell’opera – e Rufino, sulla stessa scia, nella sua Storia Ecclesiastica – avrebbe lasciato nell’ombra. Egli si sente mosso da spirito critico e ‘storico’ e si contrappone a un Eusebio che appare come volutamente panegirista; in realtà l’intento dello Scolastico va inteso alla luce della controversia ariana, in rapporto alla quale egli prende le parti di Atanasio42. Per quanto concerne Sozomeno, va ricordato innanzitutto che uno dei passi in cui attinge direttamente a Eusebio è quello che conclude la narrazione della politica religiosa di Costantino43, che riprende il διάταγμα imperiale, riportato da Eusebio in v.C. III 64-65, in cui si esprime l’intenzione costantiniana di condannare alcune eresie cristiane (novazianisti, montanisti, valentiniani, marcioniti, paulianisti)44. Questa citazione è significativa della lettura, offerta da Sozomeno, della politica di Costantino, il cui merito principale sarebbe di aver sempre cercato di mantenere l’unità nella Chiesa. Ne consegue un’interpretazione del regno di Costantino (cui Sozomeno dedica ben due volumi, a differenza di quello, unico, della Storia ecclesiastica di Socrate) fortemente positiva, volta a difendere l’atto di conversione dell’imperatore, a esaltarne le conseguenze e ad apprezzare il suo, supposto, favore nei confronti dell’arianesimo. Se si prende in esame Teodoreto, invece, emerge innanzitutto il suo essenziale interesse per quella che gli pare la difesa costantiniana dell’ortodossia contro l’eresia, all’insegna di un concetto di storia, intesa come storia dell’ortodossia nicena, quale Eustazio di Antiochia e Atanasio d’Alessandria l’avevano concepita45. Ciò si riflette nella sua concezione della figura di Costantino, cui Teodoreto, ad esempio, tende a negare tratti profetici. Socrate46 e Sozomeno47 si rifanno al racconto della visione di Costantino sul campo di battaglia contro Massenzio tramandata da Eusebio48, piuttosto che riprendere quella di Lattanzio49. Teodoreto al contrario vi allude soltanto indirettamente, recuperando il paragone Costantino-Paolo che Eusebio enuncia a proposito di l.C. 11,150, e ciò va messo in relazione alla sua preferenza per il paragone Davide-Costantino piuttosto che per quello Mosè-Costantino: Costantino viene percepito cioè quale uomo, capace d’errore51.
Dopo gli storici del V secolo si perde praticamente traccia della Vita Constantini.fino al IX secolo52, quando, come si è accennato, Fozio attesta di disporre dell’opera esprimendosi in modo peraltro critico nei confronti dei suoi contenuti e del suo stile. Probabilmente anche il cosiddetto Carmen Ebedjesu53 (scritto siriaco del XIV secolo) conosce la Vita Constantini, perché parla di una Storia di Costantino. Infine due Vitae agiografiche greche (BHG 363 e BHG 369g) mostrano un utilizzo diretto dell’opera, mentre le altre agiografie riprendono Gelasio e Teodoreto54. Si tratta comunque di testi pervenutici in manoscritti tardi: la BHG 363 in undici manoscritti il cui migliore e più antico è del XII secolo, mentre la BHG 369g è conservata in un unico manoscritto, sempre del XII secolo55. Oltre alle nove agiografie greche56 e ai loro manoscritti, risalenti ai secoli XI-XVI, che, direttamente o meno, riproducono sezioni dell’opera, il testo della Vita Constantini.di cui oggi disponiamo è stato tramandato, nel corso dei secoli X-XIV, da un totale di nove manoscritti (a cui si aggiunge il sopracitato P.Lond. 878, datato poco dopo il 320). La prima edizione a stampa è del 1544, a opera del tipografo parigino Robert Estienne (Stephanus). Da questa alla prima edizione critica di Heikel, del 1902, si ricordano: l’edizione di Jean Porthaise (Portesius, 1548); la traduzione latina di Wolfgang Musculus (1549) e quella, verosimilmente di poco successiva, di John Christopherson (Christophorsonus), più volte stampata nella seconda metà del XVI secolo; l’edizione ginevrina del 1612 e quella di Henri de Valois (Valesius) del 1659, riedita da William Reading nel 1720 (e in seguito ristampata da Zimmermann) e assunta da Migne nella Patrologia Graeca; l’edizione del 1830 di Friedrich A. Heinichen.
La Vita Constantini, come in parte già anticipato, è un’opera che comprende tre tipi di contenuti: documenti originali (lettere) di Costantino, porzioni di discorsi attribuite a Costantino e riportate da Eusebio (che si possono considerare ‘frammenti’ costantiniani), resoconti eusebiani.
Le lettere57 sono documenti genuinamente costantiniani, in merito ai quali si può presumere, al più, un intervento meramente redazionale da parte della cancelleria imperiale58 o una non sempre precisa traduzione dal latino al greco, ma della cui autenticità non si può dubitare. La prima lettera costantiniana conservata nella Vita Constantini è quella riprodotta in parte dal P.Lond. 878: v.C. II 24-42 (13 Kraft), indirizzata agli abitanti della Palestina dopo la vittoria su Licinio del 324, divisa in due parti (differenti condotte umane a seconda del rapporto con l’Onnipotente e dichiarazione di riconoscenza a Dio; descrizione delle misure di restrizione e pene adottate durante la Grande Persecuzione e sotto Licinio). La seconda lettera di Costantino (14 Kraft) è riportata in v.C. II 46 ed è riprodotta anche da Socrate59; è indirizzata a Eusebio – probabilmente a tutti i vescovi metropoliti orientali ed Eusebio pubblica la copia in suo possesso – e tratta dell’annullamento delle restrizioni ordinate da Licinio nei confronti della Chiesa: di qui si ricava, come anno di composizione, ancora una volta il 324. Segue poco dopo (v.C. II 48-60) la lettera ai provinciali d’Oriente (15 Kraft); è indirizzata a un uditorio prevalentemente pagano ed è suddivisa in tre parti: introduzione, ricordo della persecuzione di Diocleziano e dei suoi successori a eccezione di Costanzo Cloro – qui compare l’invito a non serbare rancore contro i pagani –, preghiera. La lettera successiva (16 Kraft) è quella destinata da Costantino ad Alessandro di Alessandria e Ario, probabilmente nell’ambito del concilio di Antiochia, di poco precedente a Nicea60: edita in v.C. II 64-72, in parte61 riprodotta da Socrate in h.e. I 7,3-20, affidata a Ossio di Cordova perché la recapiti ai due alessandrini contendenti, è articolata in quattro parti: introduzione, problema della divisione interna alla comunità alessandrina, esistenza di divergenze esegetico-dottrinali, invito a non perdersi in ‘questioni di secondaria importanza’ e a preservare la concordia. Passando alla disamina del terzo libro, vi si trova innanzitutto la lettera indirizzata «alle Chiese»62, scritta dopo il concilio di Nicea per le comunità che non avevano inviato rappresentanti al sinodo. Essa è riprodotta da Socrate63, Teodoreto64 e Gelasio65, ed è articolata in tre parti: ruolo di Costantino a Nicea, risoluzione della controversia sulla data di celebrazione della Pasqua e polemica antigiudaica, esortazione ad applicare le decisioni prese in concilio. Segue la lettera indirizzata a Macario di Gerusalemme66, riprodotta anche da Socrate67, databile probabilmente poco dopo il concilio di Nicea. Di essa si ricorda l’allusione alla riscoperta della tomba di Cristo non più visibile dopo la seconda guerra giudaica (135). Sempre per Macario (e per altri vescovi palestinesi) è la lettera che contiene la disposizione costantiniana di costruire un santuario cristiano nel luogo in cui anticamente si trovava la quercia di Mamre e che in seguito era divenuto sede di un culto di stampo sincretistico68. La lettera successiva nella serie di Kraft (numero 28) è conservata in v.C. III 64,1-65,3: la riassume Sozomeno69 ed è il cosiddetto editto contro gli eretici, di cui si è detto, mai recepito nel Codex Theodosianus. La lettera 29 nella serie di Kraft è quella di v.C. III 60, in cui Costantino si rivolge ai cristiani antiocheni che hanno eletto Eusebio, invitandoli a tornare sui loro passi per la pace della Chiesa, malgrado la stima personalmente provata per il vescovo di Cesarea. La lettera 30 Kraft è conservata in v.C. III 61: Costantino vi si rallegra con Eusebio per aver rifiutato la sua elezione al seggio ariano di Antiochia sulla base del canone 15 del concilio di Nicea. Ne è in qualche modo conseguenza l’ultimo documento del III libro nella lista compilata da Kraft (il numero 31): è la lettera di v.C. III 62, indirizzata al concilio di Antiochia per proporre due candidati al seggio episcopale dopo il rifiuto di Eusebio. Il quarto libro contiene due lettere costantiniane. La prima (38 Kraft) è in v.C. IV 36, ed è indirizzata a Eusebio di Cesarea, cui Costantino richiede di copiare cinquanta bibbie da destinare alle chiese di Costantinopoli, e sarà citata anche da Socrate70. L’ultima lettera è conservata in v.C. IV 9-13 ed è la 40 Kraft, indirizzata al re persiano Shabur II e scritta intorno al 324/325 in risposta alla visita a Costantinopoli da parte di una sua delegazione. Eusebio nomina anche altre lettere che informavano quanti non avevano partecipato a Nicea delle decisioni prese in concilio71. Un’altra lettera sarebbe stata inoltre scritta a suggello delle decisioni della sessione di Nicea del 32772 e infine «innumerevoli [...] lettere [...], vuoi per prescrivere ai vescovi quel che potesse riuscire di vantaggio alle Chiese di Dio, vuoi anche per rivolgersi direttamente alle moltitudini, e in questa occasione quel principe […] apostrofava i cristiani con l’appellativo di suoi fratelli e conservi»73.
Accanto alle epistole, i quattro libri della Vita Constantini.contengono anche un discorso di Costantino al concilio di Nicea74, che, sulla base di quanto lo stesso Eusebio afferma75, si può ritenere un’orazione redatta e pronunciata in latino e successivamente tradotta e trascritta in greco. Eusebio menziona inoltre un discorso che Costantino avrebbe pronunciato al momento dello scioglimento del concilio niceno76. Di esso si dice che in una parte iniziale «esortò» a mantenere la pace, «disse» ai più potenti di non prevaricare sui più umili, ma di «adeguarsi al livello dei più deboli». Nella parte conclusiva di tale discorso Eusebio attesta che l’imperatore «aggiunse la raccomandazione di rivolgere con ogni premura preghiere a Dio per la sua propria persona». Si può chiudere l’elenco dei verba costantiniani segnalando che il vescovo di Cesarea attribuisce a Costantino il severo rimprovero nei confronti dell’avidità dei suoi cortigiani77, mentre spiega il modo in cui l’imperatore strutturava i suoi discorsi: una parte di critica al politeismo seguita da una sezione «didascalica»78 relativa al ‘monoteismo’, alla Provvidenza, all’incarnazione e alle punizioni divine, come era consuetudine nella redazione dei discorsi protrettici79.
Il primo libro introduce Costantino per mezzo di un contrasto con i τυράννοι θεομάχοι80, che si interrompe soltanto per enunciare il piano dell’opera81. Costantino è descritto attraverso due topoi della letteratura panegiristica – le immagini della luce82 e della giovinezza83 – e con uno scritturistico84, cioè l’amicizia con Dio85, un Dio unico86 e artefice87 che agisce per mezzo di lui. Tale descrizione segue gli schemi della letteratura encomiastica in parte concretizzatasi nei Panegyrici Latini88, tuttavia Eusebio presenta il piano dell’opera sotto il profilo della biografia, come già, prima di lui in ambito cristiano, aveva fatto Panfilo con Origene89. Inoltre il vescovo di Cesarea riconosce alle Scritture un ruolo ben determinato nel racconto della Vita di Costantino, assimilandole, nello specifico, a oracoli90.
La cornice tematica che tratta della contrapposizione fra Costantino e i tiranni domina il resto del primo libro della Vita Constantini e arriva fino all’inizio del secondo. Il racconto di Eusebio prosegue descrivendo dapprima l’infanzia dell’imperatore91, il ruolo del padre Costanzo Cloro, l’ascesa al potere e le prime azioni da sovrano dell’Occidente; successivamente92 tratta della guerra e della vittoria contro Massenzio e poi contro Licinio. L’infanzia di Costantino93 è letta attraverso il paragone con Mosè, similmente a quanto Eusebio fa in h.e. IX 9 assimilando Massenzio al faraone. In realtà fra la Vita Constantini.e l’Historia ecclesiastica vi sono differenze irriducibili, che possono essere scorte a partire dagli schemi e dai fini con cui in v.C. I 12,3 Eusebio inizia a introdurre la figura di Costanzo (descritto anche in h.e. VIII 13-14). Il punto di vista di Eusebio emerge dal confronto con la diversa descrizione offertane da Lattanzio94 e dai Panegyrici (e in parte anche dalla sua stessa Historia ecclesiastica): il vescovo di Cesarea si serve di aneddoti o motivi morali tradizionali e modelli biblici95 per descrivere il carattere devoto del padre di Costantino, presentato addirittura come cristiano in v.C. I 13,1. Similmente, il panegirista Nazario96 volle vedere nel regno di Costantino la prosecuzione di quello di Costanzo; tuttavia a Eusebio preme essenzialmente separare Costanzo dal contesto religioso della tetrarchia (che richiama fondamentalmente l’epoca della Grande Persecuzione)97. È questa la direzione verso cui muove la descrizione eusebiana dell’ascesa di Costantino al potere (luglio 306), nell’influenza di modelli biblici cui attinge e passando sotto silenzio ogni elemento allusivo della natura ambiziosa del carattere dell’imperatore, nonché quei particolari di storia politica o militare che potevano legare Costantino al contesto tetrarchico. Tutto ciò è diretta conseguenza dello scopo che Eusebio si prefigge: rendere beato Costantino prima dell’ἔσχατον e prima ancora della sua morte98, in quanto amico di Dio99. Ne risulta che l’imperatore – la cui infanzia, si è detto, era già stata descritta ricalcando la figura di Mosè100 – non appena assume il potere è già fortemente condizionato dal cristianesimo e non può che optare per il Dio cristiano al momento di scegliere la divinità cui chiedere protezione101. Per quanto concerne la narrazione offerta dalla Vita Constantini.degli eventi di ponte Milvio (312), della visione e del sogno102 rispetto sia a Lattanzio sia a h.e. VIII-IX, va detto che essa si caratterizza per la presentazione di una campagna militare del cristianesimo contro la superstizione e per l’adozione abbondante di schemi biblici103. Segue la sezione di v.C. I 33-36 – che è in parte un centone e in parte espande h.e. VIII 14104 –, finalizzata a giustificare la guerra contro Massenzio. Anche la descrizione della vittoria su Massenzio105 si basa sui contenuti della Historia ecclesiastica106, aggiungendo particolari legati all’eusebiana concezione provvidenzialistica della storia107. Segue la descrizione dei festeggiamenti per la vittoria a Roma108. Eusebio narra questi eventi basandosi su quanto riporta in l.C. 9, 8-11109 e, per la descrizione di una statua dedicata a Costantino in v.C. I 40,2, su h.e. IX 9,9-10. La sezione si chiude con il motivo panegiristico dell’immagine di gioia, felicità e prosperità, ma si pone in diretta continuità con v.C. I 41,3-I 48, in cui, rispetto a h.e. X 5-7, dove Eusebio si limitava a riportare i testi delle leggi imperiali, il vescovo di Cesarea vuole accentuare i favori elargiti da Costantino nei confronti della Chiesa110: pone in risalto il ruolo dell’imperatore che convocava i «liturghi di Dio in concilio» come loro «vescovo comune»111 e, per sottolineare l’impegno del sovrano nella lotta alle divisioni interne alla Chiesa, in I 46, per mezzo di schemi elaborati dalle Sacre Scritture – allusivi della sottomissione delle nazioni a Dio112 –, Eusebio connette direttamente questo aspetto della politica religiosa dell’imperatore alla campagna contro i franchi menzionata in Paneg. 9(12)21,5. In v.C. I 47,1 si segnala un riferimento apparentemente anacronistico alla morte di Massimiano, avvenuta nel 308. Questi aveva tentato di «tramare un piano assassino» contro Costantino, e il riferimento alla sua morte è legato a quello relativo all’uccisione della moglie di Costantino, Fausta, e del primogenito Crispo o di Bassiano113, marito della sorellastra di Costantino. L’assassinio è presentato in I 47,2 come conseguenza del provvidenziale intervento di Dio, che mette in guardia l’imperatore da minacce provenienti dalla sua famiglia114.
Similmente Eusebio si era comportato anche in h.e. X 8,7115, ma ora emerge – ancora una volta – il raffronto dell’imperatore con Mosè secondo le immagini di Nm 12, e cioè nella definizione di Costantino come servitore di Dio e vittima di complotto, allo stesso modo in cui lo era stato Mosè per mano di Aronne e Miriam. Eusebio intende dire che è in quanto ‘typos’ di Mosè che Costantino è destinatario di una rivelazione diretta da parte di Dio (sia nella forma dello svelamento dell’inganno, sia – ancor più – precedentemente, in quella del sogno). Questo passo, peraltro, precede il racconto dell’attacco di Costantino a Licinio come Nm 12 precede quello dell’invasione mosaica della terra di Canaan. Tale presentazione, infine, è coronata dalla descrizione dei decennali del regno (I 48). Ciò che rimane al termine di un simile racconto dell’infanzia e dell’ascesa al potere di Costantino – che altro non sono se non il pretesto per introdurre il tema della battaglia costantiniana per la pietà religiosa, resa, almeno in parte, secondo gli schemi apologetici della lotta alle eresie e alla superstizione – è l’idea del Costantino vescovo comune che si adopera per realizzare nel tempo di mezzo l’immagine del regno dei cieli116 e per conservare l’amicizia di Dio.
Subito dopo, Eusebio passa a trattare della guerra tra Costantino e Licinio117, un tema che, per il vescovo di Cesarea, rientra nella descrizione dell’operato di Costantino nei confronti della Chiesa, nel corso della quale l’imperatore è paragonato a un guerriero dell’ἐυσέβεια; questa macroarea tematica si conclude con la lettera indirizzata ad Alessandro e Ario (documento 16 Kraft). I tratti principali di tale esposizione possono essere riassunti in tre punti: l’accostamento di Licinio a Massenzio; le colpe di Licinio nei confronti dei cristiani; il paragone fra Costantino e Mosè. Per quanto concerne la prima mossa del resoconto eusebiano, va notato innanzitutto che il vescovo di Cesarea interrompe la narrazione diacronica degli eventi del 312-313 cui era appena giunto (sconfitta di Massenzio a ponte Milvio nel 312 e vittoria di Licinio su Massimino Daia – personaggio decisamente eclissato nella Vita Constantini.– nel 313) e, contrariamente a quanto si legge in Zosimo118 e Lattanzio119 circa la distanza temporale tra la guerra costantiniana contro Massenzio e quella intrapresa contro Licinio, parla della guerra con Licinio subito dopo aver trattato di ponte Milvio. Non solo, ma, analogamente a quanto fatto con Massenzio nella Historia ecclesiastica120, Eusebio esordisce proprio enunciando i crimini di Licinio121, che, in questo specifico caso, è descritto secondo i tratti dell’alleato infedele che trama alle spalle di Costantino122. Per venire al secondo elemento caratteristico di questa sezione dell’opera, cioè le colpe di Licinio verso i cristiani123, va constatato che, in linea di massima, i contenuti della Vita Constantini.corrispondono a quelli di h.e. X 8,8-19. La differenza tra i racconti, rispettivamente, della Vita Constantini.e della Historia ecclesiastica risiede nell’accento posto sull’attacco ai vescovi: nella Historia ecclesiastica lo storico di Cesarea si limita a pochi cenni in un paragrafo124, nella Vita Constantini invece Eusebio fa un’ampia digressione in cui emerge che i vescovi (ma anche i sinodi e le riunioni dei fedeli) sono i primi destinatari della ferocia di Licinio; su di essi il vescovo di Cesarea ritorna anche in v.C. I 56125. Altro errore di Licinio su cui Eusebio insiste poco oltre, nella Vita Constantini, consiste nell’avere dimenticato le punizioni divine, tema richiamato anche in I 23, II 11, III 55,5, III 58,1, nei confronti degli imperatori che avevano avversato il cristianesimo126; questo elemento concorre ad approssimare le differenze specifiche tra i singoli avversari di Costantino, che non interessano in quanto tali bensì come ‘volti’ dell’unico nemico dell’imperatore cristiano: il ‘paganesimo’. La narrazione delle misure anticristiane di un Licinio, descritto come «belva» e «fiera», contrassegna l’incipit del secondo libro della Vita Constantini127; il testo di riferimento per Eusebio è sempre h.e. X128, pur con qualche variante129. La guerra tra Costantino e Licinio è raccontata in v.C. II 3-10 ed è descritta attraverso lo schema della lotta del pagano contro il cristiano; di questa sezione si segnalano II 4,2-4, che, come l.C. 9, schernisce profezie e oracoli pagani di cui Licinio, a detta di Eusebio, si avvarrebbe, e II 6,1 che, similmente al panegirico di Nazario130, racconta la visione, nei territori amministrati da Licinio, di segni premonitori della vittoria dell’esercito costantiniano. Segue dunque la narrazione eusebiana delle battaglie di Cibale (316) e Crisopoli (324). La descrizione della fuga di Licinio, in II 11, ricalca quella della fuga di Massimino, di cui Eusebio tratta in h.e. IX 10,13-14. In questa cornice Licinio è caratterizzato da codardia, mentre Costantino emerge come riluttante alla violenza delle battaglie e di conseguenza misericordioso nei confronti dei nemici. Il resto della guerra131 è dominato da un lato dalla succitata tipologia Mosè-Costantino132 – con riferimento a Es 33,4 –, che combatte avendo le Scritture come oracolo133, nei termini suggeriti da 2Sam 5,17-25, cioè spinto da divina rivelazione134 e dall’altro da quella di Licinio-faraone a cui Dio indurisce il cuore con riferimento a Es 9,12135, apostata nei confronti della religione cristiana136, infedele ai trattati137 e legato ai defunti dei pagani138, mentre Costantino riveste la corazza della εὐσέβεια – un’immagine allusiva di Ef 6,14. A guerra finita seguono i festeggiamenti per la vittoria139 e le disposizioni costantiniane in favore delle Chiese140. A partire da v.C. II 61,2 e fino al termine del secondo libro Eusebio tratta dell’emergere di controversie di fede in Egitto, da subito descritte come causate dall’«invidia» e da «un demone maligno, che provava gelosia per i beni di cui godeva la Chiesa»141: una trattazione corredata dalla lettera di Costantino ad Alessandro e Ario (II 64-72). Il secondo libro della Vita Constantini.si chiude così una volta portata a compimento la descrizione di Costantino quale campione della pietà religiosa: guerriero di εὐσέβεια, al modo in cui aveva contrastato – militarmente – la ferocia dell’empietà pagana, e che in quanto campione della pietà religiosa favorisce i vescovi e le riunioni di fedeli e appiana le divergenze dottrinali.
I primi due libri della Vita Constantini.pongono così le premesse dell’esposizione eusebiana di v.C. III e IV, che vertono per lo più sull’immagine di Costantino che lotta contro le eresie interne alla Chiesa mediante i concili e nella descrizione della sua devozione e della sua pietà religiosa. Il terzo libro si apre con il richiamo all’invidia che turba la Chiesa dal suo interno in tempo di pace142, si interrompe per il confronto tra Costantino e i sovrani suoi predecessori descritti come tiranni ed empi143, e riprende in III 4. In questo modo Eusebio accenna alle controversie riguardanti la Chiesa in Egitto – lo scisma dei meliziani («disastroso scisma che infuriava nella Tebaide»), la controversia ariana («l’invidia e la gelosia che in Alessandria provocavano tremendi sconvolgimenti nelle Chiese di Dio») – e quelle relative alla datazione della Pasqua144. La sezione di v.C. III 4-24 è dedicata al concilio di Nicea (325)145.
Sulla stessa linea va compresa anche la sezione di v.C. III 25-59 dedicata alla politica edilizia di Costantino, con una digressione sulla madre dell’imperatore, Elena146, della quale si mettono in luce la devozione religiosa, il ruolo avuto nell’educazione del figlio147, la morte148. Eusebio intende accostare all’immagine del pio Costantino che opera in contrasto rispetto agli imperatori pagani, l’idea che essa sia già la realizzazione della «nuova e seconda Gerusalemme» cui allude Ap 3,12 e 21,2149, in accordo con i propri presupposti teologico-politici. Egli vuole collocare le azioni di Costantino all’interno di un orizzonte temporale che vede nell’impero costantiniano la parziale realizzazione del regno di Dio, destinata a compiersi soltanto alla fine dei tempi. Queste azioni, in ultima analisi – sebbene ciò sia molto esplicito soprattutto nel De laudibus Constantini –, vanno concepite come imitazione del Logos di Dio150.
La prima parte della seconda sezione del terzo libro della Vita Constantini è dedicata alla costruzione del tempio del Santo Sepolcro a Gerusalemme151, cui Eusebio connette in secondo piano152 un «tempio» dedicato alla Natività, a Betlemme – in adempimento a quanto, a detta del vescovo di Cesarea, corrispondeva a una profezia espressa in Sal 131 (132),7153 –, e uno sul monte degli Ulivi (41,1)154. È infine possibile ricostruire un sostrato polemico alla base del resoconto di Eusebio. Il vescovo di Cesarea, infatti, inquadra la politica religiosa di Costantino a Gerusalemme all’interno dello spirito antipagano prima emerso nell’invettiva contro Licinio: lo provano la riscoperta dei luoghi santi cristiani laddove i pagani avevano in seguito costruito propri edifici di culto, descritta da Eusebio attraverso un topos della polemica antipagana da lui già impiegato, cioè quello della «sconfitta dei morti idoli»155, e la politica di Costantino nei confronti dei templi è riportata da Eusebio in III 54-58 (in particolare la distruzione del santuario di Afrodite presso Afaca, quella del tempio di Asclepio in Cilicia e del tempio di Afrodite a Eliopoli)156. A ciò Eusebio contrappone la pietà religiosa di Costantino, trasmessagli, secondo lui, dalla madre Elena157. In v.C. III 48,1-III 49 Eusebio tratta delle costruzioni sacre che l’imperatore innalzò a Costantinopoli158, insistendo sullo sforzo da parte di Costantino di eliminare i culti pagani159.
In III 50-53 Eusebio descrive gli edifici religiosi fatti costruire a Nicomedia160, Antiochia161 e Mamre (luogo in cui Abramo ricevette i tre visitatori divini, secondo il racconto di Gen 18,1-33). Questa esposizione è corredata anche da una confutazione delle visioni e dei miracoli pagani, oggetto di venerazione nei culti associati a edifici, altari, simulacri distrutti da Costantino162, di cui Eusebio mette in luce soltanto la natura mite e filantropica. La sezione conclusiva del terzo libro della Vita Constantini, infine, sempre in linea con il ritratto di Costantino-combattente della pietà religiosa, descrive rispettivamente l’imperatore che interviene nella disputa tra i vescovi per l’assegnazione del seggio di Antiochia163 – producendo, secondo Eusebio, «concorde armonia»164 – e ne riporta il documento 28 Kraft (‘editto contro gli eretici’)165, accostandolo a «un ordine» inviato «ai governatori delle province»166 concernente il tentativo di sopprimere le eresie.
I contenuti di v.C. IV si possono articolare in due parti. La prima si apre con una descrizione della prosperità dell’Impero, che comprende da un lato, rispettivamente, la ‘filantropia’167 – cioè, di fatto, riforme in campo di politica interna – e la politica estera di Costantino168, dall’altro l’elenco degli atti della sua ‘pietà’169. La seconda parte del libro tratta invece del ‘concilio di Tiro-Gerusalemme’170 (335-336) e delle ultime fasi della vita dell’imperatore. Le prime due sottosezioni di questa scansione tematica (filantropia-politica estera-pietà) sono a loro volta intervallate dalla lettera di Costantino al re Shabur II (documento 40 Kraft), che Eusebio legge verosimilmente in una fonte comune anche all’Anonimo Valesiano171. Per quanto riguarda la parte relativa alle riforme costantiniane in politica interna, non stupisce incontrare, nelle fonti pagane172, opinioni diverse dall’interpretazione eusebiana che le vuole manifestazione della filantropia dell’imperatore173. Esse, in ogni caso, concernono l’istituzione di nuove cariche e nuovi senatori – «moltissimi» (μυρίοι), a detta del vescovo di Cesarea che li definisce διασημότατοι (= clarissimi)174 – e la concessione di privilegi fiscali175, anche nei confronti di coloro che risultavano perdenti nelle controversie da lui arbitrate176. La politica estera costantiniana è presentata, a partire da v.C. IV 5-6, nella cornice del motivo panegiristico dell’imperatore portatore di pace177, anche se costretto ad agire per mezzo di guerre, combattute rispettivamente, afferma Eusebio, contro gli ‘sciti’ (in realtà i goti) e i sarmati178. In v.C. IV 7-8 Eusebio elenca invece i rapporti diplomatici di Costantino con altre popolazioni, tra cui è privilegiato il caso dei persiani179. In merito a questa sezione si consideri che l’immagine di Costantino che riceve doni da tutto il mondo, che compare in v.C. IV 7 e, più oltre, in IV 50 e in parte già in I 8, è un topos letterario180, un motivo frequente anche nell’arte imperiale tardoantica. I rapporti pacifici di Costantino con la Persia, quali li descrive il vescovo di Cesarea, invece, contraddicono quanto afferma Optaziano Porfirio, cioè che già nel 324-325 Costantino progettasse di attaccare la Persia181. Per quanto concerne la dimostrazione della pietà religiosa costantiniana, nella sezione di v.C. IV 14,2-IV 39,2 Eusebio adduce diciassette argomenti182: il conio di monete con l’immagine di Costantino in preghiera183, la cui iconografia richiama quella di medaglioni e monete che riproducono il tipo di Alessandro Magno, che era stato già adottato da Gallieno184 e che influenza la percezione del vescovo di Cesarea, che vuole vedere in ciò una prova della fede cristiana di Costanino, in l.C. 3,5; l’organizzazione del palazzo imperiale come una chiesa in cui l’attività principale condotta da Costantino sarebbe stato lo studio delle Sacre Scritture185; l’istituzione di giorni di riposo per tutti i cittadini dell’Impero, che Eusebio ritiene dedicati al Salvatore186, in cui sono inclusi anche i sabato187; l’insegnamento di preghiere ai soldati188; l’impressione del «simbolo del trofeo salvifico» sulle armi189; la descrizione della devozione costantiniana personale, sia quotidiana sia relativa alla Pasqua, secondo il modello del «sacerdote addetto ai sacri misteri»190; la proibizione dei sacrifici pagani191; il divieto delle lotte dei gladiatori, dei riti occulti, di costruire simulacri pagani, in Egitto di adorare il Nilo e l’omosessualità di ministri di culto (pagano)192; l’autodefinizione costantiniana di τῶν ἐκτὸς ἐπίσκοπος193; la riforma legislativa194 che concerne in particolare la legislazione augustea sul matrimonio, penalizzante nei confronti di chi fosse sterile per natura, delle donne dedite al servizio di Dio e di chi non voleva avere figli «per amore della filosofia»195; il divieto per i giudei di schiavizzare cristiani196; l’approvazione delle scelte sinodali con ‘sigillo imperiale’ – alludendo così al pari valore e forse alla superiorità delle decisioni dei vescovi sui tribunali secolari197 – e una serie di altre leggi «simili» generalmente rivolte ai sudditi e specificamente alle Chiese e a coloro «che avevano dedicato la propria vita alla filosofia divina (κατὰ θεὸν φιλοσοφία)»198; la sensibilità spirituale e letteraria di Costantino (che ascolta attentamente il discorso di Eusebio199 sulla base del quale dispone la copiatura di cinquanta esemplari dei testi sacri – documento 38 Kraft –; che trascorre le notti a studiare le Sacre Scritture200; che scrive per i membri della sua corte discorsi filosofici e teologici201), di cui Eusebio pone in risalto peraltro il senso di responsabilità202; la cristianizzazione della città di Maiuma, denominata da Costantino Costanza e corrispondente all’attuale città portuale di Gaza, e di altre città203, che Sozomeno repertoria tra i casi di soppressione dell’idolatria204.
Giunti a v.C. IV 39,3, è Eusebio stesso a dichiarare conclusa una parte della sua esposizione e a esplicitare l’intento di raccontare la fase conclusiva del regno di Costantino. L’ultimo momento della narrazione di Eusebio può essere suddiviso a sua volta in due sezioni: la prima va da v.C. IV 40 a IV 52,3 e accorpa la celebrazione del trentennale e la trattazione degli eventi relativi ai concili di Tiro (335) e Gerusalemme (336), di cui in questa sede si tralascerà l’analisi205; la seconda va da IV 52,4 al termine della Vita Constantini e comprende quelli che per Eusebio sono gli ultimi fatti della vita dell’imperatore, cioè la malattia, il battesimo e la morte. Eusebio introduce il tema della prosecuzione del regno di Costantino per mezzo dei suoi tre figli – corona naturale del trentesimo anniversario del suo Impero – come figura della Trinità206. Così facendo il vescovo di Cesarea prosegue l’assimilazione del regno costantiniano, nell’auspicata sua continuazione oltre la morte stessa del sovrano, al regno di Dio in questo tempo e nel mondo.
Nella parte conclusiva della Vita Constantini.sono rintracciabili elementi che Eusebio intende porre in evidenza e altri che rimangono invece poco chiari, in alcuni casi volutamente taciuti. Tra questi ultimi, nello specifico, vi è la menzione della spedizione contro la Persia207 e l’accenno fugace al battesimo dell’imperatore, avvenuto in prossimità della sua morte208. La sezione della Vita Constantini.che tratta dell’intenzione di Costantino di attaccare i persiani è lacunosa, interrompendosi bruscamente con v.C. IV 56,3209 per passare a parlare del mausoleo di Costantino: altri, successivamente a Eusebio, potrebbe aver espunto dal testo tale parte210, o forse lo scarso interesse di Eusebio stesso per le vicende militari della vita di Costantino potrebbe averlo spinto a non indugiare su questi fatti. I problemi storiografici che pone il silenzio eusebiano sul battesimo di Costantino riguardano essenzialmente il carattere cattolico o ariano della fede cristiana dell’imperatore (essendo esso avvenuto nei pressi di Nicomedia, sede episcopale in mano alla fazione ariana più integralista), e sono oggetto di un altro saggio nella presente opera211. I restanti argomenti messi a fuoco dalla conclusione della Vita Constantini.configurano infine il tema dell’esaltazione della grandezza di Costantino, di cui è possibile individuare le componenti più propriamente eusebiane e quelle comuni invece alla tradizione encomiastica o panegiristica. Essi sono per lo più relativi alla descrizione del carattere eccezionale di Costantino in virtù della ‘perfezione’ raggiunta nel corso della sua vita e coronata dalla sua morte212; la descrizione dell’apparenza fisica e dei tratti del temperamento dell’imperatore213 richiama inevitabilmente quella del suo ingresso a Nicea214, dove Costantino veniva paragonato a un angelo215, similmente a quanto accade ora, quando, prendendo le mosse dalla descrizione del mausoleo che l’imperatore fa costruire a Costantinopoli216, il vescovo di Cesarea parla di Costantino come del tredicesimo apostolo217. Proprio qui sta la differenza tra la Vita Constantini.e certi contenuti o anche certe forme letterarie di opere per alcuni aspetti simili: è il caso del pur pagano Libanio, per la descrizione della mitezza costantiniana218, o di Atanasio, per il parallelo tra il Costantino che muore conversando con i membri della sua corte e il ‘suo’ Antonio, che si spegne mentre dialoga con alcuni monaci219, o ancora della forma panegiristica in cui Eusebio descrive il corteo funebre di Costantino220. Dietro tutto questo c’è il lessico dell’iniziazione con cui la Vita Constantini.parla della morte di Costantino221, a coronare la natura profetica della vita dell’imperatore cristiano, che si spegne nel giorno di Pentecoste222 attorno a mezzogiorno223, cioè nella stessa ora in cui, tempo addietro, Costantino aveva avuto la visione della croce descritta in v.C. I 28,2. Nel racconto del funerale dell’imperatore, soprattutto, si misura lo scarto rispetto alla letteratura panegirica – l’immagine di Costantino in paradiso è analoga a quella pagana di Paneg. 7(6)7,3 – e alla stessa ideologia costantiniana dell’autorappresentazione: è lo stesso Eusebio che descrive le monete coniate immediatamente dopo la morte dell’imperatore, che lo ritraggono con la testa velata da un lato e alla guida di una quadriga dall’altro mentre una mano gli viene tesa dal cielo. Infatti, il vescovo di Cesarea mette qui a tema l’inevitabilità della successione dinastica224, da cui dipende una certa distorsione cronologica nel suo stesso resoconto, perché i figli di Costantino sarebbero stati dichiarati Augusti soltanto nel settembre del 337, mentre Eusebio li presenta già come tali immediatamente dopo la dipartita del padre225, a perpetuarne l’opera oltre il limite della morte: quella che Eusebio ci mostra come impronta cristiana data da Costantino al suo regno rende quest’ultimo il corrispettivo, l’‘immagine’ di quello celeste226, che in certa misura esso già realizza. Gli ultimi due capitoli concludono l’opera illustrando la figura del primo imperatore cristiano come colui in cui Dio «volle manifestare quanta differenza ponesse tra chi aveva meritato l’onore di venerare la sua persona [= Dio padre] e il Cristo»227 – per i quali, così, Eusebio lo pone a modello – e i nemici della Chiesa, come distruttore dell’idolatria e del politeismo, araldo di Cristo, campione della Chiesa, impareggiato tra greci, barbari e antichi romani; in altri termini come mediatore tra Dio e gli uomini, in virtù di ciò che ha compiuto e cioè, in sostanza, di una vita trascorsa nell’imitazione228 e nella sequela di Dio.
Per terminare la panoramica sui contenuti della Vita Constantini.bisogna accennare alla sua suddivisione in capitoli: la tradizione manoscritta, infatti, articola l’opera in κεφάλαια (capitoli, appunto) che ne riassumono i contenuti alla luce, però, del resoconto dell’Historia ecclesiastica. Simili casi, nell’antichità, sono in realtà frequenti e riguardano soprattutto testi scritti per essere consultati, più che letti per intero229. Tra gli esempi più celebri bisogna ricordare almeno la Bibliotheca di Diodoro Siculo, la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, le Antiquitates Iudaicae di Flavio Giuseppe, le Noctes Atticae di Aulo Gellio, ma anche altri tipi di opera come il De aeternitate mundi di Giovanni Filopono, nonché infine, tra gli scritti dello stesso Eusebio, p.e. e d.e. Nel caso della Vita Constantini.quest’articolazione lascia pensare a un’opera testimone di un modo peculiare di intendere la narrazione storiografica: non come racconto di eventi, ma piuttosto quale fucina di miti e agiografie, fatte di motivi ricorrenti, alla cui definizione si rendono necessari repertori ai quali attingere.
Il tipo di informazioni fornito esclusivamente dai titoli dei capitoli della Vita Constantini.e non dal suo testo riguarda per lo più una serie di nomi propri, che identificano talvolta un oggetto generico (come un animale ed è il caso, per esempio, della fenice230), altre volte luoghi geografici (fiumi o città), altre volte ancora persone e gruppi eretici o scismatici. In quest’ultimo caso, l’identificazione di figure volutamente non specificate nel testo ne snatura in certa misura le finalità, qualora Eusebio abbia preferito, seguendo lo schema dei discorsi panegirici, ometterne il nome o passare del tutto sotto silenzio, in una sorta di damnatio memoriae, determinate caratteristiche, fatti o persone relativi agli oppositori di Costantino. Il contrasto tra quanto enunciato dai κεφάλαια e i contenuti della Vita Constantini.è particolarmente evidente a proposito del concilio di Nicea. Da quanto riporta Eusebio, infatti, sembra che i dissidi interni alla Chiesa della prima frazione del IV secolo riguardassero prevalentemente la controversia sulla datazione della Pasqua, poiché il vescovo di Cesarea, in parte compromesso con l’arianesimo, vuole sminuire la portata della crisi sul piano della prassi e della dottrina ecclesiastiche. Nei titoli, al contrario, il nome di Ario compare a riguardo dei capitoli II 61, II 64, II 69, III 4, che ne parlano come della causa delle dispute ecclesiastiche alessandrine, sia nell’ambito dello scisma meliziano sia in quello della crisi ariana. Altro caso analogo può essere considerato, infine, la specificazione del nome del notario Mariano, il funzionario imperiale che accoglie, dando indirettamente inizio ai lavori, i convitati al sinodo di Gerusalemme (336) in v.C. IV 44. Eusebio si affretta a descriverne la pietà e le virtù, e sembra voler porre in secondo piano l’assenza di Costantino, alla luce del fatto che, in v.C. I 41, l’imperatore era innanzitutto colui che convocava i sinodi. Nonostante questo tipo di incongruenza sembri inficiare l’autenticità dei capitoli231, questi in realtà, non contraddicendo nella sostanza il contenuto dell’opera232, devono essere ritenuti scritti da un contemporaneo di Eusebio, un editore o uno dei primi copisti della sua opera233.
Eusebio parla del suo testo in modo piuttosto vago – ὑπόθεσις, διήγημα/διήγησις/ὑφήγησις, ἱστορία, λόγος, πραγματεία – e, dove utilizza termini tecnici come βίος, ἔπαινος, ἐγκώμιον, πανηγυρικός, non lo fa con l’intento di descrivere il genere letterario dell’opera235. Di norma, si ritiene che il genere di questo singolare scritto sia misto236. Vi sono, infatti, innanzitutto elementi che richiamano le biografie237: l’oggetto stesso della Vita Constantini.è biografico, poiché Eusebio racconta la vita e la carriera di Costantino dalla giovinezza fino alla sua morte. La Vita Constantini.come biografia, inoltre, si allinea al modo di intendere la storia in età imperiale, cioè essenzialmente come storia degli imperatori238, e a dare un valore storico alla forma biografica della Vita Constantini.concorrono poi tutti i documenti che Eusebio riporta nel corpo dell’opera e di cui si è trattato precedentemente239. Alla forma letteraria della biografia e al suo impiego a fini storici, però, si mescolano elementi stilistici caratteristici di generi letterari che apparentemente non hanno a che vedere né con quello storico né con quello biografico, rientrando invece in quello encomiastico, come i panegirici e quei discorsi che più tardi saranno definiti specula principis. Le affinità di v.C. con la letteratura encomiastica sono note già a Socrate240 e Fozio241; nello specifico vi sono forti legami tra v.C. e quel particolare tipo d’encomio che è il basilikos logos, la cui struttura ci è nota grazie a Menandro Retore. In primo luogo, un tratto caratteristico del prologo a simili encomi si riscontra anche nell’incipit della Vita Constantini: è il tema della difficoltà a intraprendere il discorso242 cui si lega purtuttavia la necessità di parlare243. Ma il paragone tra il basilikos logos e la Vita Constantini.non si arresta ai loro rispettivi prologhi, e infatti si riconoscono, nello scritto eusebiano, almeno altre due caratteristiche costanti degli encomi prescritte da Menandro. La prima è riscontrabile nella menzione del padre di Costantino, Costanzo Cloro, in v.C. I 13-16, che corrisponde alla descrizione, tipica dell’encomio244, della famiglia del sovrano di cui si intende tessere l’elogio245. Proseguendo la lettura della Vita Constantini, la seconda caratteristica del discorso encomiastico si incontra nel confronto con Ciro e Alessandro246 e nel parallelismo Costantino-Mosè247. Queste sezioni dell’opera, infatti, possono essere intese come due varianti della σύγκρισις, la figura retorica che prevede la comparazione, in positivo o in negativo, tra il destinatario dell’encomio e altri personaggi248. Accanto a questi primi punti di contatto tra la Vita Constantini.e il basilikos logos vanno poi annoverati i riferimenti eusebiani, sopra menzionati, al temperamento di Costantino e all’educazione ricevuta, assimilabili alla descrizione della φύσις del sovrano di cui parla Menandro249. Può essere ravvisato, infine, un riferimento alla fortuna (τύχη) dell’imperatore nel motivo della prosecuzione del suo regno attraverso i suoi figli250. Non v’è dubbio dunque che Eusebio conosca lo schema dei discorsi encomiastici e, a riprova di ciò, egli stesso afferma di voler rinunciare a trattare delle gesta e dei successi dell’imperatore in battaglia251, parte che occupa un’ampia sezione nei discorsi regali prescritti da Menandro, al contrario di quanto altri scrittori hanno fatto nei confronti di precedenti imperatori, preferendo esporre solo ciò che – dice Eusebio – nella vita di Costantino porta il segno della sua amicizia con Dio. Di qui deriva il reiterato accento posto dal vescovo di Cesarea sulla θεοσέβεια/εὐσέβεια di Costantino e sulla sua φιλανθρωπία, intesa non tanto come atteggiamento mite e benevolo nei confronti dei soldati sconfitti – come accadeva nell’encomio menandrico –, ma soprattutto come prossimità dell’imperatore a Dio in virtù di quanto da lui operato; in virtù, cioè, di una vita trascorsa alla sua sequela, nel farsi immagine divina a beneficio dei suoi sudditi252.
Lo scritto identificato con le – convenzionali – formulazioni latine di laus/laudes/De laudibus Constantini si compone di due diversi discorsi, entrambi legati alla Vita Constantini.e noti rispettivamente come Discorso per il trentennale e Discorso regale253. È la tradizione manoscritta che, per prima, lega il De laudibus Constantini e la Vita Constantini.tramandando De laudibus Constantini sotto il titolo di «discorso di Eusebio di Panfilo per il trentennale del regno di Costantino»254, inclusi i casi particolari del codice Moscoviensis 50 (XII secolo)255, che, oltre a non riportare l’intero prologo del De laudibus Constantini, non ne tramanda nemmeno i capitoli 11-18, e del Parisinus 1431 (XI secolo) che al termine di l.C. 10, dopo uno spazio vuoto, presenta la parola τριακονταετηρικός e fa inoltre precedere i capitoli l.C. 11-18 dalle parole εὐσεβίου τοῦ παμφίλου. Βασιλικός256. Definendo l’opera come «discorso per il trentennale», si lega, di fatto, all’unico passo dell’intero corpus di scritti eusebiani in cui il vescovo di Cesarea menzioni tale discorso, è bene ricordarlo, cui allude anche nelle primissime parole di v.C. (I 1,1)257:
In seguito, con un apposito discorso da noi pronunciato alla presenza dell’imperatore, gli riferimmo, come meglio ci fu possibile, una descrizione precisa del tempio del Salvatore, dell’antro salvifico [τὸ σωτήριον ἄντρον], dei magnifici edifici da lui stesso voluti e del gran numero dei monumenti in oro, argento e pietre preziose che erano stati colà innalzati. Codesto scritto sarà da noi a suo tempo riprodotto alla fine del presente libro, e ad esso uniremo anche il discorso celebrativo del trentennale (τὸν τριακονταετηρικόν), discorso che poco dopo, partiti per Costantinopoli, pronunciammo dinanzi all’imperatore.
Oggi, sulla base dell’analisi dei suoi contenuti, gli studiosi concordano nel ritenere il De laudibus Constantini composto di due differenti discorsi, rispettivamente l.C. 1-10 (dotato di un Prologo) e l.C. 11-18. La sezione di l.C. 1-10, contenendo alcuni passi che si riferiscono al trentennale258, è facilmente identificabile con il discorso scritto da Eusebio in occasione dei festeggiamenti dei trent’anni del regno di Costantino, cui il vescovo di Cesarea accenna in v.C. I 1,1 e IV 46 o, al più, con uno di quelli nominati al termine di v.C. IV 45259, dove Eusebio parla comunque delle celebrazioni in occasione del trentennale del regno, a meno di dimostrare che l.C. 1-10 sia l’esito della composizione di testi eterogenei. Più complessa è l’identificazione del discorso di l.C. 11-18, per il quale mancano riferimenti certi in v.C. e in altri scritti di Eusebio. In realtà questa seconda parte del De laudibus Constantini è quello (denominato impropriamente basilikos logos) cui si alludeva in v.C. IV 33, dove si accennava un discorso che semplicemente ‘prendesse spunto’, perché doveva trattare anche di «dogmi teologici», dal Sacro Sepolcro e dall’opera di edilizia sacra fatta erigere da Costantino sulle sue vestigia – condizione comunque soddisfatta da l.C. 11-18260 –, che contenesse un’esposizione dottrinale, come di fatto avviene anche in l.C. 11-18261, e che fosse infine assai lungo e pronunciato al cospetto dell’imperatore262.
Il Discorso per il Trentennale (l.C. 1-10) si ritiene sia stato tenuto a tricennalia soluta, il 25 luglio 336263. Per l.C. 11-18 va invece considerata terminus post quem la dedicazione del complesso del Santo Sepolcro (17 settembre 335)264 e, vista la centralità della riflessione teologica ivi espressa, la quale per molti aspetti è certamente di tenore apologetico265 ma per altre caratteristiche è anche fortemente antimonarchiana266, va tenuto conto delle vicende teologiche di quegli anni e cioè, nello specifico, di quanto accaduto tra il concilio di Tiro (335), quello di Gerusalemme (336) e quello (o forse più d’uno) di Costantinopoli (336), vale a dire la condanna, oltre che di Atanasio, anche di Marcello di Ancira, esponente monarchiano di spicco e forte oppositore di Eusebio di Cesarea267. Nello specifico, bisogna tenere conto del fatto che uno dei punti nodali del discorso di l.C. 11-18 sta nella definizione del Logos come autore/causa dell’Impero268. Questo è appunto uno dei motivi antimarcelliani269 e antisabelliani che rientrano nella presa di distanza eusebiana dal monarchianesimo, concretizzatasi, da ultimo, nel Contra Marcellum. Ciò aiuta a postdatare ulteriormente l.C. 11-18 rispetto alle celebrazioni del trentennale e, se il sinodo che condannerà definitivamente Marcello di Ancira si tenne a Costantinopoli nel 336, è possibile che questo discorso sia stato tenuto alla presenza dell’imperatore proprio in un’occasione prossima a quegli eventi, o almeno sufficientemente vicina alle celebrazioni del trentennale e, nello specifico, all’inaugurazione di quanto costruito sulla tomba di Cristo a Gerusalemme, in modo da poterne trattare, seppure marginalmente.
Evidentemente la tradizione manoscritta ha come archetipo un testo che identifica le parti di cui è composto il De laudibus Constantini con le due orazioni che Eusebio menziona in v.C. IV 46. Ci si può chiedere per quale ragione sia stata scelta, assieme al Discorso per il Trentennale, proprio l.C. 11-18, così distante dalla prima delle due descritte in v.C. IV 46, che doveva vertere solamente sull’«antro salvifico», sui «magnifici edifici» e sul «gran numero dei monumenti in oro, argento e pietre preziose che erano stati colà innalzati». Escludendo ragioni accidentali, chi ha accorpato il secondo discorso di l.C. a quello che porta il titolo di (e che effettivamente è il) τριακονταετηρικός – evidentemente non Eusebio, che non avrebbe dichiarato di accluderle al termine della Vita Constantini.se essi non fossero stati in realtà quelli cui v.C. IV 46 si riferiva – ha giocoforza voluto rapportarli al contesto storico segnato dalle vicende intraecclesiali degli anni 335-336, ossia alla controversia antimarcelliana, così vicina a Eusebio e presente agli storici del V secolo270.
Il nucleo tematico del Discorso per il Trentennale, cioè la teoria del sovrano-immagine di Dio271, sebbene compaia già in l.C. 1,6, è sviluppato sistematicamente solo a partire da l.C. 3272. La centralità di questa sezione dell’opera può essere apprezzata anche sotto il profilo stilistico – come si vedrà in seguito – essendo questa l’unica parte del discorso a non rientrare nello schema di un genere letterario particolare. Qui si trova esplicitata infatti la «prima conseguenza»273 della dottrina del sovrano-immagine di Dio, ossia lo stretto legame274 tra Impero romano e ‘monoteismo’ concretizzato nell’origine divina della monarchia imperiale. Qui sta il fondamento della teologia politica di Eusebio e, nella sezione in esame, esso è illustrato come compimento della profezia di Dn 7,18 («i santi del Signore otterranno il regno e lo possederanno per sempre, per l’eternità»), quasi a dire che Costantino è già uno degli «eredi» o dei «coeredi» cui allude Rm 8,17 e che in d.e. ΧV 5 avrebbero ottenuto il regno dei cieli275. I contenuti del capitolo riprendono, sul piano tematico, un elemento-chiave della propaganda costantiniana e del corrispondente modello di amministrazione del regno, cioè la rottura con l’ideologia tetrarchica e il ritorno al principio dinastico nella successione al trono276. Eusebio correda questo principio teorico-politico con motivi e immagini quali l’idea di Costantino sacerdote277, la figura del lungo regno con cui Dio ricompensa Costantino278, il paragone con il sole alla guida di una quadriga composta dai Cesari (i tre figli di Costantino, cioè Costantino II, Costanzo II, Costante, e il nipote Dalmazio, che verrà assassinato subito dopo la morte dell’imperatore279). A questi motivi Eusebio imprime una svolta a partire da l.C. 3,5: li trova riassunti nell’immagine, tradizionale e non necessariamente cristiana – peraltro attestata da fonti numismatiche280 –, dell’imperatore che guarda verso l’alto. Di qui Eusebio afferma: «In tal modo, avendo disposto tutto a immagine del regno dei cieli […], raddrizza ogni cosa terrena governando secondo l’idea archetipica e si rafforza nell’imitazione del potere monarchico: infatti il re onnipotente ha donato al solo genere umano questo privilegio. Tale è la legge dell’autorità regale che determina un solo potere sopra tutto»281.
Un repertorio di motivi tradizionali e soprattutto rilevanti per la propaganda costantiniana viene così impiegato per veicolare il messaggio che Eusebio intende trasmettere: l’imperatore, in quanto uomo e in tal senso creatura privilegiata – perché l’uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio – può e deve impegnarsi a imitare il re celeste per rendere il suo regno immagine di quello divino282. Quest’idea è poi sviluppata nel corso di l.C. 4, la cui argomentazione ruota attorno all’interpretazione di Gen 1,26-27 ed è una riflessione sulla creazione dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio, in cui risulta centrale il ruolo della mediazione del Logos.
Gli altri capitoli del Discorso per il Trentennale rientrano invece all’interno di schemi espositivi definiti da ben determinati topoi e figure retoriche; caratteristici di precisi generi letterari. Si prendano in esame dapprima i capitoli secondo, settimo, ottavo, nono e decimo: essi corrispondono alle parti di cui è composto il panegirico tardoantico. I capitoli secondo e settimo contengono la σύγκρισις, una costante dei discorsi encomiastici283, di cui si è parlato a proposito della Vita Constantini: l.C. 2 raffronta infatti Costantino e il Logos, mentre l.C. 7 oppone quest’ultimo alle figure dei «tiranni» persecutori dei cristiani. Una variante di questa figura retorica può essere ritenuta la riproposizione del medesimo confronto tra il regno di Costantino e quello dei «tiranni»284 che lo hanno preceduto, in l.C. 9,1-9, nella forma, attestata anche nei Panegyrici, di un’opposizione tra i mali passati e il bene presente285. Proseguendo con l.C. 9, si segnala la possibile presenza della figura dell’ἔκφρασις – la descrizione, in forma letteraria, di opere d’arte286 – nella menzione presente in l.C. 9,12-17 degli edifici sacri fatti costruire da Costantino287. Altra peculiarità, pur non estranea allo schema del βασιλικὸς λόγος teorizzato da Menandro, ma che tende a divenire centrale nell’evoluzione del panegirico imperiale tardoantico, è la cosiddetta αὔξησις o amplificatio288, cioè la figura retorica che caratterizza la parte del discorso in cui si elogiano in modo iperbolico le qualità positive del destinatario dell’encomio tacendone i lati negativi, come avviene in effetti in l.C. 4-10, sezione che giunge addirittura a garantire all’imperatore la beatitudine celeste289. La menzione delle opere volute da Costantino, congiunta alla descrizione dei provvedimenti antipagani290 e specificamente di quelli rivolti alla spoliazione dei templi291, può essere annoverata in un’ulteriore caratteristica dei discorsi panegirici e, più in generale, encomiastici: la narrazione delle πράξεις292 (gesta).
Proseguendo la disamina dei contenuti del Discorso per il Trentennale articolati secondo le regole retoriche di determinati generi letterari, si prendano ora in esame i capitoli quinto e sesto del De laudibus Constantini, che ricordano la struttura di uno speculum principis293. Gli specula principum sono discorsi di celebrazione di un sovrano che troveranno una prima definizione di genere soltanto in ambito carolingio, ma i cui tratti principali possono essere riconosciuti in alcune varianti dei discorsi encomiastici. Tale tipo di encomi si caratterizza soprattutto per il fine specifico: identificare discorsi volti a creare un modello di sovrano e a educare futuri regnanti294. Questi due capitoli vanno considerati separatamente da quelli affini al panegirico, perché si aprono295 con un elogio delle virtù dell’imperatore distinto e aggiuntivo rispetto a quello che si trova nella parte dell’opera che contiene elementi stilistici dei discorsi panegirici. Questo elogio delle virtù, infatti, è soprattutto prescrittivo: è finalizzato a elaborare l’idea di un «sovrano istruito nelle nozioni divine, di pensiero elevato», che «brama quanto vi è di migliore, invoca il padre celeste e desidera il suo regno»296, e fondamentalmente è maestro dei suoi sudditi in materia di religione297. La celebrazione delle virtù dell’imperatore pertanto procede confrontando la sua «anima» che, come dice Eusebio, rappresenta in sé l’imitazione del regno celeste, con quella dei tiranni, la quale è ricettacolo di turpitudine e deformazione, in cui la parte timica298 (desiderativa) ha il sopravvento su quella intellettiva299. Ne consegue il ritratto di un Costantino imperatore-filosofo, schema in cui s’inquadrano: la solidità dei suoi comportamenti e la sua formazione300, il primato della διάνοια (componente razionale dell’anima) e delle virtù della saviezza, della giustizia e della pietà religiosa301, l’atteggiamento disinteressato nei confronti delle ricchezze302 e attento a preservare la parte noetica, intellettiva, dell’anima di fronte alle ebbrezze. A ciò segue una digressione, con echi biblici e filoniani303, sul tema del tempo304, a partire dalla simbologia del numero tre e dei suoi multipli. Si tratta di una chiara allusione al trentennale che, come si è visto a proposito dell’elogio delle virtù dell’imperatore, non è certo un hapax nell’orazione, trovandosi un riferimento esplicito alle tre decadi di regno anche in l.C. 2305. Ciò costituisce una prova puntuale del legame tra le varie parti di l.C. 2-10 e quella comprendente i capitoli quinto e sesto, che, si è detto, è finalizzata a elaborare il modello ideale di sovrano.
Infine sono soprattutto l’apertura e la chiusura del Discorso per il Trentennale a terminare l’elenco dei passi dell’orazione in cui si possono trovare tracce di generi letterari classici. Essi si legano specialmente alla finalità educativo-parenetica caratteristica degli specula principum e definiscono il carattere unitario dell’opera. l.C. 1 introduce la figura del Costantino-maestro di fede che sarà poi sviluppata nella sezione che richiama quanto abbiamo definito lo speculum di Costantino: l’imperatore, intessendo inni a Dio306, istruisce dapprima i «pii Cesari», poi i soldati e infine le popolazioni e i governanti a «proclamare la divinità dell’unico e solo attraverso ragionamenti innati e spontanei e ispirati da pensieri naturali»307. Grazie a quest’attività di formazione tutti hanno coscienza del fatto che Dio è autore primo anche del regno terrestre308. L’idea qui definita dell’imperatore e maestro si congiunge all’appello a riconoscere in Costantino il modello autentico della regalità e a divenire «sacerdoti iniziatici»309: questo è a sua volta il senso del Prologo del Discorso per il Trentennale, scritto con una terminologia allusiva ai culti misterici e composto secondo le indicazioni relative alla stesura dei discorsi elaborati anche nel Corpus Hermeticum310. La terminologia misterica impernia anche il decimo e ultimo capitolo del Discorso per il Trentennale311. Sempre rimanendo nell’esordio del Discorso, si può notare come questo si apra nell’opposizione tra «vecchio» e «nuovo». Sebbene in ciò debba essere riconosciuto, ancora una volta, innanzitutto il ricorso a motivi della retorica encomiastica312, l’opposizione tra vecchio e nuovo non può essere separata dall’invito ad abbandonare la consuetudine, che è una caratteristica degli esordi delle opere protrettiche che, nell’articolazione dei generi offerta, per esempio, da Clemente Alessandrino a cominciamento del suo Pedagogo, occupa la prima fase della formazione di chi intraprende una vita cristiana313. Al di là delle fonti che Eusebio utilizza effettivamente per comporre il suo Prologo, non va infatti trascurata la presenza dell’invito a non lasciarsi ammaliare dal canto delle sirene314, che si ritrova anche nel Protrettico di Clemente d’Alessandria315 – una delle pochissime opere di questo genere che ci siano giunte – e che pertanto prova l’affinità del De laudibus Constantini (e, nello specifico del Discorso per il Trentennale) con testi, o più precisamente con un genere, il cui scopo è indirizzare la formazione di un discepolo nelle sue fasi iniziali o addirittura propedeutiche316.
Nonostante la tradizione manoscritta del De laudibus Constantini riconosca in quest’opera due differenti discorsi, dei quali quello edito nei capitoli 11-18 viene denominato βασιλικὸς λόγος, quest’ultimo non ha nulla a che vedere con tale tipo di orazione encomiastica, codificata dal retore Menandro nel III secolo d.C. Questa sezione del De laudibus Constantini infatti riporta, in forma semplificata, molti passi dei primi tre libri della Teofania, un’opera apologetica di Eusebio giuntaci in una più tarda versione siriaca317. Del resto questi capitoli del De laudibus Constantini presentano tutte le caratteristiche delle opere apologetiche: esposizione dei temi-chiave della fede cristiana e critica ai miti e ai riti pagani318.
Accanto ai temi trattati bisogna anche considerare la struttura del discorso. Le opere apologetiche cristiane, infatti, sono scritti volti a presentare e difendere la loro religione di fronte ai non-cristiani e, a tal fine, caratterizzano il cristianesimo come, per certi aspetti, parallelo e, per altri, superiore rispetto all’universo delle credenze pagane319. La contrapposizione simmetrica di ‘cristianesimo’ e ‘paganesimo’ costituisce l’impalcatura retorica dell’argomentazione apologetica, in cui si vede spesso il tentativo degli autori di mettere in luce elementi comuni a ‘paganesimo’ e fede cristiana, per poi dimostrare la superiorità di quest’ultima sul primo. I capitoli centrali del discorso, l.C. 13-14, presentano proprio questo tipo di articolazione, la quale tiene uniti, per sommi capi, tutti i contenuti del discorso stesso. Il capitolo 13 si apre con il raffronto tra il Logos e le divinità adorate dai pagani (e i loro culti), che, con spirito vagamente evemerista, elenca come: astri, pensieri e passioni, uomini mortali, animali e vegetali, demoni e potenze. È proprio per filantropia e pietà nei confronti degli uomini abbandonatisi a turpitudini e a condotte irrazionali a causa di questi culti320 che il Logos «si è servito del corpo come strumento»321. In questo modo Eusebio instaura un confronto tra il culto di quanti adorano il Logos, che, sebbene «reggitore di cielo e terra», è «disceso»322 e quello di «coloro che cercano Dio nella generazione in basso sulla terra e […] non possono né vogliono considerare in altro modo il creatore e il realizzatore di tutto il creato se non attraverso una forma e un aspetto umano»323.
Di qui prendono avvio almeno due delle tre direttrici lungo cui Eusebio sviluppa la superiorità del Logos324. La prima concerne la risposta a una delle principali polemiche pagane attestate nel Contra Celsum di Origene325, la critica di contraddittorietà che il filosofo platonico Celso (e con lui verosimilmente altri, come «il giudeo» cui Origene si riferisce nel Contra Celsum) muove al cristianesimo: risultano assurdi l’idea dell’incarnazione e il culto rivolto a un Dio-uomo, per di più crocifisso e dunque impotente326. A tal riguardo l.C. 14,4 cerca di mostrare che l’assunzione del corpo da parte del Logos non ha contestualmente comportato l’assunzione della passionalità corporea. Anzi il Logos, afferma Eusebio, si è servito del corpo come strumento per mostrare il divino a «occhi di carne» e insegnare con «una lingua di carne a orecchie carnali»327. Ne deriva un Logos che è impassibile328, ma si è incarnato per fini pedagogici, perché è innanzitutto maestro (e medico, come si afferma in l.C. 11,5) che istruisce l’umanità intera a una vita filosofica329, potente330 e intelligibile331. Questi temi, che peraltro compaiono anche nella preparatio evangelica, saranno sviluppati e approfonditi nel corso del capitolo 15, in cui Eusebio espliciterà le ragioni della paradossale sensatezza della morte del Salvatore332.
La seconda motivazione della superiorità del cristianesimo concerne il fatto che il Logos adorato dai cristiani è, in realtà, il Logos divino333, tema le cui basi concettuali sono poste a partire da l.C. 11,13 e nel corso dell’intero l.C. 12, dove Eusebio tratta del Logos come principio.
Il terzo argomento a favore della superiorità del cristianesimo, infine, è sviluppato soprattutto a partire da l.C. 16 e consiste nell’idea che sia proprio il Logos la causa dell’Impero334. A questo si lega un motivo classico dell’apologetica eusebiana335, cioè quello del regno costantiniano come realizzazione di un’implicita vocazione cristiana – a detta di Eusebio – dell’Impero romano, da cui dipendono sia la descrizione dei tratti profetici attribuiti alla figura di Costantino e a quanto da lui compiuto – si pensi al paragone tra Paolo e l’imperatore che si trova in l.C. 11,1336 –, sia il tema della prossimità di Dio a Costantino337. Tale terza motivazione della superiorità del cristianesimo sul ‘paganesimo’ si accompagna alle altre due, in quanto tutte e tre sono inserite nella medesima cornice concettuale relativa all’uso che il Logos fa della corporeità (cioè il corpo come mezzo pedagogico e salvifico e non come limite mortale): il Logos come causa dell’Impero e la sua potenza, la sua impassibilità e la sua natura intelligibile e divina sono tutte prove del fatto che le opere del Salvatore sono opere di un vivente. Per Eusebio, cioè, sono tutte dimostrazioni del fatto che l’azione del Logos prosegue anche dopo la morte corporea del Salvatore, del ‘Cristo’338, come appare chiaro da l.C. 16,9-12339. Questa è, in ultima analisi, la superiorità del cristianesimo secondo Eusebio, che il vescovo di Cesarea articola in dieci punti come risposta al suo non meglio specificato interlocutore pagano iniziale, «colui che ci ha rimproverati all’inizio del discorso»340.
A chi sta parlando Eusebio in l.C. 11-18? Chi è il suo interlocutore, al di là del suo destinatario più esplicito, cioè dell’imperatore Costantino341? Eusebio in v.C. IV 33 (il passo in cui richiama il discorso in esame) parla di «una gran folla di ascoltatori», in cui si devono immaginare figure cristiane e pagane. Quanto visto finora è rivolto primieramente a un uditorio pagano. All’«inizio del discorso», ossia in l.C. 11,4, del resto, Eusebio parla di alcuni «ignari delle nozioni divine» che potrebbero chiedersi: «Non sarebbe meglio conservare i riti patri, propiziarsi gli eroi e gli dei venerati presso ciascun popolo invece di respingerli e fuggirli?»342. Nonostante le apparenze, probabilmente non si sta parlando di filosofi impegnati in prima linea quali strenui avversari intellettuali del cristianesimo, perché, anche qualora pagani, bisogna immaginare coloro di cui Eusebio parla come figure in grado di condividere la prospettiva politica del sovrano. Inoltre è Eusebio stesso che, in v.C. IV 29, attesta che i membri pagani della corte di Costantino non erano affatto estranei, né in linea di principio sfavorevoli, alla cultura cristiana, dal momento che l’imperatore rivolgeva loro discorsi di finalità parenetica o esortativa nei confronti – stando sempre a Eusebio – del cristianesimo. Si può dunque pensare a una sorta di paganesimo sincretistico in grado di convivere con il cristianesimo, verosimilmente ambiguo343, di Costantino.
Se dunque i pagani alla corte di Costantino non sono necessariamente estranei al cristianesimo, non ci si stupisca se talora emergono tracce, nei contenuti di l.C. 11-18, di una qualche speculazione teologica. Va rilevato tuttavia che le riflessioni teologiche di questa parte del De laudibus Constantini non sembrano direttamente pensate per questo discorso e pare siano state semplicemente impiegate, in un secondo momento, per il contesto apologetico che esso configura. Nello specifico, l’idea del Logos come causa dell’Impero, al centro della riflessione di Eusebio nei capitoli in esame, è un motivo elaborato all’interno di una polemica teologica, precipuamente intra-cristiana. Questa, infatti, si fonda sull’esegesi di Pr 8,12-15344, un passo che ricorre, tra gli altri luoghi, in contesti antisabelliani345 e antimarcelliani (una volta in Marcell. e tre volte in e. th.346) – e, in quest’ultimo caso, è accostato in almeno tre occasioni a Pr 8,22 («Il Signore mi ha creato inizio delle sue vie per le sue opere»), un brano usato spesso in contesti antimonarchiani e impiegato da Eusebio in l.C. 12,4 per parlare dei rapporti Logos-Padre. Questa polemica, in cui Eusebio è protagonista in prima persona, inserisce il vescovo di Cesarea nel contesto teologico del suo tempo: egli infatti, esponente di una tradizione antica di almeno due secoli ed ereditata in parte da Origene, usa l’esegesi di Pr 8,12-15/8,22 per contrastare la dottrina monarchiana dei rapporti intradivini in linea con il suo appoggio, pur moderato, alla fazione filoariana assestatasi soprattutto in seguito al concilio di Nicea (325).
Da quanto visto emerge l’intima connessione tra i contenuti della Vita Constantini.e almeno parte del De laudibus Constantini, cioè il cosiddetto Discorso per il Trentennale che corrisponde a l.C. 1-10. È lo stesso Eusebio che lo afferma in v.C. IV 46, dove si ripromette di accludere, al termine della Vita Constantini, il discorso composto in occasione delle celebrazioni del trentesimo anno del regno di Costantino. Anche il secondo discorso contenuto nel De laudibus Constantini, in ogni caso, è da considerarsi legato alla Vita Constantini, per lo meno in quanto anch’esso richiamato in v.C. IV 33, sebbene il suo accorpamento al Discorso per il Trentennale – quale risulta dalla tradizione manoscritta – non vada attribuito a Eusebio ma, verosimilmente, a qualcuno vissuto non per forza molto dopo lo storico di Cesarea e che aveva familiarità con i problemi del IV secolo o con gli storici del V che di essi trattano.
Lo stesso incipit della Vita Constantini, inoltre, suggerisce una certa continuità con l.C. 1-10, dipingendo Costantino mentre festeggia prima i ventennali e poi i trentennali del suo regno assieme ai vescovi in concilio, nonché, nel secondo caso, assieme allo stesso Eusebio che, «negli stessi palazzi regali», gli «intreccia corone di parole per il trentennale»347. In questa scena è contenuto almeno un cardine della teologia politica di Eusebio, che si esprime da un lato nella vicinanza di Dio all’imperatore e dall’altro in quella dell’imperatore a Dio. Già nei panegirici e, più in generale, nell’ideologia ellenistica sviluppatasi in Oriente, il sovrano era presentato o concepito con tratti divini, ma la peculiarità dell’operazione di Eusebio si scorge nel legare gli ‘elementi divini’ dell’imperatore – nonostante il suo esplicito tentativo di prorogare a dopo la sua morte ogni forma di divinizzazione – alla sua partecipazione ai concili. Questo perché, così facendo, Eusebio lega la fortuna, la pace e la prosperità caratteristiche del regno di Costantino al suo essere ἐπίσκοπος τῶν ἐκτός in qualche modo sottoposto ai vescovi, soli autentici liturghi di Dio, sebbene questi lo facciano loro «vescovo comune», attribuendogli quasi un ruolo primaziale. Ma vi è un secondo elemento di originalità eusebiano, altro cardine della teologia politica di Eusebio, che sottende l’intera Vita Constantini, e viene però esplicitato soltanto nel Discorso per il Trentennale: cioè la sottolineatura di una tensione di Costantino verso la pietà religiosa, la θεοσέβεια/εὐσέβεια, perseguita nell’arco di un’intera vita, al fine di realizzare, come modello a beneficio dei suoi sudditi, un regno terrestre a immagine e somiglianza del regno di Dio348. Questo è, del resto, a sua volta il fine ultimo degli sforzi prodotti da Costantino, a detta di Eusebio, per contraccambiare l’amicizia di Dio.
Con queste due operazioni Eusebio tramanda alla posterità – a partire dai membri stessi della corte di Costantino ai quali egli rivolge, con sicurezza almeno in un caso349, un discorso – l’immagine dell’imperatore cristiano, mediatore diretto di Dio in questo mondo e in questo tempo, al prezzo di una forma di sottomissione ai vescovi, sottomissione che Costantino, in vita, cercò tuttavia di evitare procrastinando la propria divinizzazione a dopo la morte.
1 Per i manoscritti e i testimonia noti della Vita Constantini.si rimanda all’introduzione dell’edizione critica di Friedhelm Winkelmann (Über das Leben des Kaisers Konstantin, hrsg. von F. Winkelmann, Berlin 1975, pp. IX-XXXIII), che sostituisce l’edizione di Ivar A. Heikel del 1902 (Über das Leben Constantins. Constantins Rede an die Heilige Versammlung. Tricennatsrede an Constantin, hrsg. von I.A. Heikel, Leipzig 1902). Le traduzioni di v.C. in lingue moderne sono: Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, a cura di L. Tartaglia, Napoli 1984 (20012; per una traduzione italiana più recente, si veda anche Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, a cura di L. Franco, Milano 20102); Eusebius, Life of Constantine, ed. by Av. Cameron, S.G. Hall, Oxford 1999; Eusebius von Caesarea, De vita Constantini. Über das Leben Konstantins, hrsg. von B. Bleckmann, H. Schneider, Turnhout 2007; Eusebios, Über das Leben des glückseligen Kaisers Konstantin, hrsg. von P. Dräger, Oberhaid 20072; si segnala infine, in preparazione, una traduzione commentata francese di v.C. a cura dell’Institut des Sources Chrétiennes. In relazione all’autenticità di v.C. si vedano: O. Seeck, Die Urkunden der Vita Constantini, in Zeitschrift für Kirchengeschichte, 18 (1898), pp. 321-345; I. Daniele, Documenti Costantiniani della “Vita Constantini” di Eusebio di Cesarea, Roma 1938; H. Dörries, Das Selbstzeugnis Konstantins, Göttingen 1954; H.A. Drake, Playing with Words: Is There a Corpus in the Vita Constatini, in Studia Patristica, 46 (2010), pp. 339-345 (tra le posizioni contrarie all’autenticità dell’opera, da un lato va ricordata quella di H. Grégoire, Eusèbe n’est pas l’auteur de la ‘Vita Constantini’ dans sa forme actuelle et Constantin ne s’est pas ‘converti’ en 312, in Byzantion, 13 (1938), pp. 561-583 – che è la storica confutazione della tesi dell’autenticità di v.C. sostenuta da Lenain de Tillemont già nel XVII secolo – e, dall’altro, le perplessità espresse da Michele R. Cataudella circa la persecuzione licinana di cui sembra parlare v.C., cfr. M.R. Cataudella, La ‘persecuzione’ di Licinio e l’autenticità della “Vita Constantini”, in Athenaeum, 48 (1970), pp. 46-83 e 229-250). In relazione al genere (tesi del genere misto), si vedano G. Pasquali, Die Composition der Vita Constantini des Eusebius, in Hermes, 45 (1910), pp. 369-386, e, da un lato, T.D. Barnes, The Two Drafts of Eusebius’ Life of Constantine, in Id., From Eusebius to Augustine, Aldershot 1994, n. XII, pp. 1-11, dall’altro cfr. Av. Cameron, Eusebius’ Vita Constantini and the Construction of Constantine, in Portraits. Biographical Representation in the Greek and Latin Literature of the Roman Empire, ed. by M.J. Edwards, S. Swain, Oxford 1997, pp. 145-174 e soprattutto L. Tartaglia, La forma letteraria della Vita Constantini di Eusebio di Cesarea, in Forme letterarie nella produzione latina di IV-V secolo con uno sguardo a Bisanzio, a cura di F.E. Consolino, Roma 2003, pp. 7-17. Per i rapporti tra Eusebio e Costantino cfr. H.A. Drake, What Eusebius Knew: The Genesis of the ‘Vita Constantini’, in Classical Philology, 83 (1988), pp. 20-38, in partic. 34-35 e F. Winkelmann, Euseb von Kaisareia: Der Vater der Kirchengeschichte, Berlin 1991, pp. 153-154. Per avere un quadro completo sulla discussione intorno al cristianesimo di Costantino e sul ruolo cruciale di v.C., cfr. M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005 (ancor più in particolare, M. Amerise, Considerazioni sulla Vita Constantini: il battesimo di Costantino, in Bizantinistica, 5 (2003), pp. 1-11) e, più a monte, le posizioni di Averil Cameron (dapprima nell’articolo, di recensione ma paradigmatico per gli studi successivi, Constantinus Christianus, in Journal of Roman Studies, 73 (1983), pp. 184-190 in partic. 189-190); cfr. M. Wallraff, Christus verus sol: Sonnenverehrung und Christentum in der Spätantike, Münster 2001, in partic. pp. 126-143; A. Marcone, Pagano e cristiano: vita e mito di Costantino, Roma-Bari 2002 e R. Van Dam, The Roman Revolution of Constantine, Cambridge 2009 che tendono a problematizzare le posizioni evolutesi sulla linea interpretativa che vede nella ‘conversione al cristianesimo’ dell’Impero romano il tratto principale del regno costantiniano e che si fa partire almeno da Norman H. Baynes (Constantine the Great and the Christian Church, London 19312) e giungere a Charles M. Odahl (Constantine and the Christian Empire, London 2004) passando per Andreas Alföldi (The Conversion of Constantine and Pagan Rome, Oxford 1948), Arnold H.M. Jones (Constantine and the Conversion of Europe, New York 19622), Timothy D. Barnes (Constantine and Eusebius, Cambrige-London 1981) Thomas G. Elliott (The Christianity of Constantine the Great, Scranton 1996) e Harold A. Drake (Constantine and the Bishops: The Politics of Intolerance, Baltimore 2000). Ulteriori informazioni bibliografiche, di maggior dettaglio, saranno fornite in corso d’opera. Per la bibliografia recente completa su Eusebio di Cesarea, si faccia infine riferimento ai repertori della sezione bibliografica della rivista Adamantius. Molti degli ultimi studi qui riportati sono basilari anche per quanto concerne il De Laudibus Constantini. In aggiunta ai contributi particolari che si citeranno nel corso del saggio, si elencano qui di seguito soltanto le edizioni dell’opera rispettivamente in inglese, francese e italiano: H.A. Drake, In Praise of Constantine. A Historical Study and New Translation of Eusebius’ Tricennal Orations, Berkeley-Los Angeles 1976; P. Maraval, La Théologie politique de l’Empire chrétien. Louanges de Constantin, Paris 2001; Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino. Discorso per il trentennale. Discorso Regale, a cura di M. Amerise, Milano 2005. Per le traduzioni dei brani di v.C. e l.C. riportati in questo saggio cfr. le versioni, rispettivamente, di L. Tartaglia, Milano 20012 e M. Amerise, Milano 2005.
2 Su cui si rimanda al contributo di R. Cristofoli in questa stessa opera.
3 In ogni riferimento a v.C. come opera, Socrate, nella seconda edizione della sua Storia Ecclesiastica, non ne specifica mai il numero dei libri complessivi, cfr. Socr., h.e. I 1,2; I 7,2; I 8,4; I 8,12; I 8,20.
4 Phot., cod. 127.
5 In accordo, del resto, con il titolo riportato dai manoscritti VJMA: Bασιλέως Κωνσταντίνου λόγος ὃν ἔγραψε τῷ τῶν ἁγίων συλλόγῳ.
6 Cfr. l’introduzione all’edizione di I.A. Heikel, Über das Leben Constantins, cit., p. CII.
7 Ma aveva progettato l’edizione del discorso, cfr. F. Winkelmann, Annotationes zu einer neuen Edition der Tricennatsreden Eusebs und der Oratio ad sanctorum coetum in GCS (CPG 3498.3497), in ΑΝΤΙΔΩΡΟΝ. Ηommage à Maurits Geerard pour célébrer l’achèvement de la Clavis Patrum Graecorum, I, Wetteren 1984, pp. 1-7.
8 Per le posizioni più critiche cfr. innanzitutto J.-P. Rossignol, Virgile et Constantin le Grand, Paris 1845, pp. VII-XXXVI; J. Burkhardt, L’età di Costantino il Grande, Firenze 1957 (traduzione italiana dell’edizione del 1880), pp. 373-374; A. Mancini, La pretesa Oratio Constantini ad sanctorum coetum, in Studi storici, 3 (1894), pp. 92-117 e 207-227; l’introduzione di Heikel all’edizione critica di or. s.c. del 1902, pp. XCI-CII. Tra le posizioni di chi è a favore della paternità costantiniana dell’Oratio ad sanctorum coetum ma dubita della sua inclusione in v.C., va ricordato almeno T.D. Barnes, Constantine’s Speech to the Assembly of the Saints: Place and Date of Delivery, in Journal of Theological Studies, 52 (2001), pp. 26-36 (il quale, prendendo le mosse dalle analisi di Bruno Bleckmann, ritiene che il discorso appartenesse ai materiali ritenuti da Eusebio costantiniani e che probabilmente sarebbe stato incluso nella versione finale di v.C., se non fosse sopravvenuta la morte del vescovo di Cesarea). Nettamente avverso alla tesi secondo cui l’opera sarebbe stata un falso fu, in ogni caso, dapprima A. Kurfess, Observatiunculae ad P. Vergilii Maronis eclogae quartae interpretationem et versionem Graecam, in Mnemosyne, 40 (1912), pp. 277-284; Id., Das Akrostichon ’Iησοῦς Κρειστὸς Θεοῦ ῾Υιὸς Σωτὴρ Σταυρός, in Sokrates, 6 (1918) pp. 99-105; Id., Kaiser Konstantis Rede an die Versammlung der Heiligen, in Pastor Bonus, 41 (1920), pp. 90-96; Id., Vergils vierte Ekloge in Kaiser Konstantins Rede an die Heilige Versammlung, in Sokrates, 8 (1920), pp. 30; Id., Ad Vergilii eclogae IV versionem Graecam, in Philologische Wochenschrift, 13 (1936), pp. 364-368; Id., Die grieschische Übersetzung der vierten Ekloge Vergils, in Mnemosyne, 5 (1937), pp. 283-288; in seguito N.H. Baynes, Constantine the Great and the Christian Church, in Proceedings of the British Academy, 15 (1929), pp. 341-368 e 388-394, in partic. 388-394 e poi P. Fabbri, L’ecloga quarta e Costantino il Grande, in Historia, 4 (1930), pp. 228-235. Recentemente Roberto Cristofoli, sulla scia di Harold Drake, propone di ritenere che «Eusebio accluse» l’Oratio ad Sanctorum Coetum «di seguito alla Vita Constantini», redatta come «la leggiamo oggi noi», cfr. R. Cristofoli, Costantino e l’Oratio ad Sanctorum Coetum, Napoli 2005, p. 28.
9 Cfr. Hier., vir. ill. 81. Si vedano F. Winkelmann, Zur Echtheitsfrage der Vita Constantini des Eusebius von Cäsarea, in Studii Clasice, 3 (1961), pp. 405-412 e F. Winkelmann, Zur Geschichte des Authentizitätsproblems der Vita Constantini, in Klio, 40 (1962), pp. 187-243, in partic. 189-191.
10 Cfr. P. Franchi de’ Cavalieri, Eusebio non è l’autore della Vita Constantini, in Constantiniana, a cura di Id., Città del Vaticano 1953, pp. 51-65 e pp. 158-179, dove l’autore confuta le posizioni di H. Grégoire, Eusèbe n’est pas l’auteur, cit. (cfr. anche Id., Nouvelle recherches constantiniennes, in Byzantion, 13 (1938), pp. 561-583 e La Vie de Constantine attribuée à Eusèbe ne daurait être de cet historien, in Comptes-rendus des séances de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres, 83 (1939), pp. 183-184). Le posizioni di Franchi de’ Cavalieri sono riprese e arricchite da F. Vittinghoff, Eusebius als Verfasser der “Vita Constantini”, in Rheinisches Museum für Philologie, n.f. 96 (1953), pp. 330-373, in partic. 352-358 e da J. Vogt, Die Vita Constantini des Eusebius über den Konflikt zwischen Constantin und Licinius, in Historia, 2 (1954), pp. 463-471, in risposta a P. Orgels, À propos des erreurs historiques de la Vita Constantini, in Annuaire de l’Institut de Philologie et d’Histoire Orientales et Slaves de l’Université libre de Bruxelles, 12 (1952), pp. 575-611, e alla reazione di Grégoire (H. Grégoire, L’authenticité et l’historicité de la Vita Constantini attribuée à Eusèbe, in Bullettin de la Classe des lettres de l’Académie Royale de Belgique, 39 (1953), pp. 462-479) alla confutazione di Franchi. Per una ricostruzione del dibattito cfr. F. Vittinghoff, Eusebius als Verfasser, cit., pp. 345-358.
11 Cfr. F. Vittinghoff, Eusebius als Verfasser, cit., pp. 358-364.
12 Ivi, pp. 371-373.
13 Ivi, pp. 345-370 e l’introduzione di Winkelmann alla sua edizione, pp. LVII-LXIV. Le ultime posizioni critiche al proposito risalgono a M.R. Cataudella, Sul problema della Vita Constantini attribuita a Eusebio di Cesarea, in Miscellanea di studi di Letteratura Cristiana Antica, 13 (1963), pp. 553-571 e Id., La persecuzione, cit.
14 Cfr. F. Vittinghoff, Eusebius als Verfasser, cit., pp. 365-373; H. Dörries, Das Selbstzeugnis Kaiser Konstantins, Göttingen 1954; H. Kraft, Kaiser Konstantins religiöse Entwicklung, Tübingen 1955. Con la scoperta di P.Lond. 878, anche la vexata quaestio dei documenti costantiniani dell’opera si può dire risolta. Risalente a poco dopo il 320 d.C., questo papiro riporta in forma originale l’editto conservato in v.C. II 24-42 e contiene frammenti tratti da v.C. II 27-29.
15 Cfr. P. Franchi de’ Cavalieri, Eusebio non è l’autore della Vita Constantini, cit., p. 51; analogamente F. Vittinghoff, Eusebius als Verfasser, cit., p. 333. Fermo sostenitore dell’autenticità di v.C. è invece Timothy D. Barnes che, sviluppando l’ipotesi dell’interpolazione formulata da G. Pasquali, Die Composition, cit. (Panegyric, History ad Hagiography in Eusebius’ Life of Constantine, in The Making of Orthodoxy: Essays in Honour of Henry Chadwick, ed. by R. Williams, Cambridge 1989, pp. 94-123, in partic. 101), sostiene che l’interpolazione non infici l’autenticità dell’opera permettendo, al più, di individuare due stadi nella sua composizione (così T.D. Barnes, Two Drafts, cit.). Sulle tesi di Barnes si vedano Av. Cameron, Eusebius’ Vita Constantini and the Construction of Constantine, cit., pp. 145-174, e P. Dräger, Einleitung, cit., pp. 390-391.
16 Cfr. Eusebius, Life of Constantino, cit., pp. 13-16.
17 Eus., l.C. 3,1 e cfr. prol.
18 Eus., l.C. 7,12.
19 Accanto a quelle segnalate da R. Farina, L’impero e l’imperatore cristiano in Eusebio di Cesarea. La prima teologia politica del cristianesimo, Zürich 1966, pp. 166-205.
20 Cfr. Eus., v.C. IV 29,4. Si veda D. Dainese, Concili e sinodi in questa stessa opera. Sulla teologia politica di Eusebio si vedano anche M. Amerise, Il battesimo, cit., pp. 56-57 e M. Rizzi in questa stessa opera.
21 Le immagini del Costantino-vescovo e del Costantino-soldato configurano la nozione di εὐσέβεια che caratterizza il genere biografico della Vita Constantini.nella descrizione offerta da A. Monaci Castagno nella presente opera.
22 Eus., v.C. IV 24.
23 Cfr. V. Poggi, Costantino e la chiesa di Persia, in Bizantinistica, 5 (2003), pp. 61-95. Sull’immagine del Costantino-vescovo in Eusebio si vedano almeno: F. Winkelmann, Zur Geschichte des Authentizitätsproblems, cit., pp. 236-238; D. de Decker, G. Dupuis-Masay, L’‘épiscopat’ de l’empereur Constantin, in Byzantion, 50 (1980), pp. 118-157; A. Marcone, Pagano e cristiano, cit., pp. 125-178 e 205-208; W. Seston, Constantine as a Bishop, in Journal of Roman Studies, 37 (1947), pp. 127-131; cfr. anche R. Farina, L’impero e l’imperatore cristiano, cit., pp. 236-251. Per aspetti di dettaglio, si vedano: S. Calderone, Costantino e il cattolicesimo, Firenze 1962, pp. XI-XLV; J. Straub, Regeneratio Imperii. Aufsätze über Roms Kaisertum und Reich im Spiegel der heidnischen und christlichen Publizistik, Darmstadt 1972, pp. 118-157; J.M. Sansterre, Eusèbe de Césarée et la naissance de la théorie ‘césaropapiste’, in Byzantion, 42 (1972), pp. 131-195 e 532-593; G. Fowden, Empire to Commonwealth: Consequences of Monotheism in Late Antiquity, Princeton 1994, pp. 91-93; G. Dagron, Empereur et prêtre: Étude sur le “césaropapisme” byzantin, Paris 1996, p. 147; C. Rapp, Holy Bishops in Late Antiquity: The Nature of Christian Leadership in an Age of Transition, Berkeley 2005.
24 Cfr. Eus., v.C. IV 42.
25 Su questo tema si veda F. Vittinghoff, Eusebius als Verfasser, cit., pp. 361-364. Cfr. più recentemente S.N.C. Lieu, D. Montserrat, M.H. Dodgeon et al., The Sons of Constantine: Libanius, Oratio LIX (Royal Discourse upon Constantius and Constans), in From Constantine to Julian: Pagan and Byzantine Views. A Source History, ed. by S.N.C. Lieu, D. Montserrat, London-New York 2005, pp. 147-209.
26 Cfr. P. Van Nuffelen, Un héritage de paix et de piété. Étude sur les histoires ecclésiastiques de Socrate et de Sozomène, Leuven 2004, pp. 10-14.
27 Soprattutto in Socr., h.e. I 7,3-20. Cfr. Über das Leben des Kaisers Konstantin, cit., p. XX.
28 Nella prima edizione le somiglianze sono ancora maggiori. Cfr. ibidem.
29 Cfr. F. Winkelmann, Die Textbezeugung der Vita Constantini des Eusebius von Caesarea, Berlin 1962, pp. 89-94.
30 Ivi, pp. 80-83. Si veda in proposito A. Martin, Les continuateurs grecs d’Eusèbe de Césarée: le cas de Théodoret, in Adamantius, 16 (2010), pp. 88-100, in partic. 98.
31 Socr., h.e. I 1,2; I 7,2; I 8,4; I 8,12; I 8,20; II 21,2; V 22,24; VII 32,14. Accanto a Socrate va poi ricordato Gelasio, che presenta due passi di v.C. noti anche a Socrate nella sua medesima forma: in h.e. II 5,2 (= Socr., h.e. I 8,4) e II 29,4 (= Socr., h.e. I 8,20).
32 F. Winkelmann, Die Textbezeugung, cit., pp. 83-86.
33 Su cui si veda il recente contributo di M. Fédou, L’écriture de l’histoire dans le Christianisme ancien, in Revue des Sciences Religieuses, 92 (2004), pp. 545-547.
34 Cfr. l’introduzione di Annick Martin all’edizione del primo tomo della Historia Ecclesiastica di Teodoreto per la collana Sources Chrétiennes, pp. 31-37.
35 Thdt., h.e. I 13,1.
36 Su Filostorgio si vedano: M. Mazza, Costantino nella storiografia ecclesiastica (dopo Eusebio), in Costantino il Grande dall’Antichità all’umanesimo, Colloquio sul cristianesimo nel mondo antico (Macerata 18-20 dicembre 1990), a cura di G. Bonamente, F. Fusco, II, Macerata 1993, pp. 659-692, in partic. 691; B. Bleckmann, Die Vita BHG 365 und die Rekonstruktion der verlorenen Kirchengeschichte Philostorgs. Der Kampf zwischen Konstantin und Licinius, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 46 (2003), pp. 7-16; Id., Konstantin in der Kirchengeschichte Philostorgs, in Millennium, 1 (2004), pp. 185-231; Philostorge et l’Historiographie de l’Antiquité tardive / Philostorg im Kontext der spätantiken Geschichtsschreibung, Stuttgart 2011. Sui problemi dell’edizione della sua Storia ecclesiastica cfr. H.C. Brennecke, Probleme einer Fragmenten-Edition, in Zeitschrift für Antikes Christentum, 8 (2004), pp. 88-106.
37 Cfr. Eus., v.C. I 3,4 e i brani che si citeranno, su questo argomento, nel corso del presente saggio.
38 Cfr. H. Leppin, Von Constantin dem Grossen zu Theodosius II. Das christliche Kaisertum bei den Kirchenhistorikern Socrates, Sozomenus, Theodoret, Göttingen 1996, pp. 194-197 e 227-259. Per il ruolo dell’eredità di Eusebio (Costantino sacerdote – nella Vita Constantini.e nel Laudes Constantini – e profeta – prevalentemente in De laudibus Constantini) all’interno di questa discussione, cfr. R. Farina, L’impero e l’imperatore cristiano, cit., pp. 238-239 e Id., Eusebio di Cesarea e la “svolta costantiniana”, in Augustinianum, 26 (1986), p. 321.
39 Cfr. ACO II 1,1, p. 138, l. 28.
40 Per cui si vedano M. Fédou, L’écriture de l’histoire, cit., e H. Leppin, Von Constantin dem Grossen zu Theodosius II, cit. pp. 49-53.
41 La ricezione della descrizione del concilio di Nicea fornita da Eusebio non dipende invece dalla posizione dei tre storici in merito alla ‘tradizione’ atanasiana (cfr. H. Leppin, Von Constantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., pp. 53-57) e si attiene, in linea di massima, al racconto del vescovo di Cesarea. L’unica differenza si individua proprio nella difficoltà (soprattutto da parte di Sozomeno e Teodoreto) di attribuire a Costantino la funzione episcopale menzionata da Eusebio.
42 Riguardo alla percezione socratica della figura di Costantino, va tenuto conto dell’analisi di M. Mazza, Costantino nella storiografia ecclesiastica, cit., pp. 672-676, che ne evidenzia un accento velatamente polemico nei confronti di Costantino e di H. Leppin, Von Constantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., che, in polemica con Mazza, invita invece a leggervi il tentativo di descrivere un pioniere dell’ortodossia (cfr. p. 58, in partic. nota 149). In realtà dopo quanto espresso da P. Maraval, Socrate et la culture grecque, in L’historiographie de l’église des premiers siècles, éd. par B. Pouderon, Y.-M. Duval, Paris 2001, pp. 281-291, in partic. 290, l’interesse polemico di Socrate va ridimensionato; su questo aspetto si veda M. Fédou, L’écriture de l’histoire, cit., pp. 543-545.
43 Cfr. Soz., h.e. II 32,2.
44 Su questo tema si veda il contributo di M.V. Escribano Paño in questa stessa opera. Per la ricezione nella storiografia del V secolo si veda M. Mazza, Costantino nella storiografia, cit., p. 685 e, in generale, pp. 676-685.
45 Cfr. A. Martin, L’origine de l’arianisme vue par Thédoret, in L’historiographie de l’église, cit., pp. 349-359, in partic. 349.
46 Cfr. Socr., h.e. I 2,3-7.
47 Cfr. Soz., h.e. I 3, peraltro, singolarmente, riferendosi anche al resoconto di Rufino, h.e. IX 9.
48 Cfr. Eus., v.C. I 28-32.
49 Cfr. Lact., mort. pers. 44.
50 Thdt., h.e. I 2,2.
51 Cfr. H. Leppin, Von Constantin dem Grossen zu Theodosius II, cit., p. 48. Per la riflessione sui comportamenti errati di Costantino, cfr. pp. 49-53.
52 Ad eccezione di Leonzio di Gerusalemme, che si riferisce a v.C. III 13, ma tratto da Socr., h.e. I 8,20.
53 Cfr. Carmen Ebedjesu metropolitae Sobae et Armeniae continens catalogum librorum omnium ecclesiasticorum, ed. J.S. Assemanus, Romae 1725, cap. 11, pp. 18-19 da cui si può ipotizzare l’esistenza di una traduzione siriaca della v.C.
54 Sulle agiografie bizantine in generale, si veda S.N.C. Lieu, Constantine in Legendary Literature, in The Cambridge Companion to the Age of Constantine, ed. by N. Lenski, New York 2006, pp. 298-321, in partic. 305-316.
55 Per queste due e le altre Vitae si veda l’introduzione all’edizione di Winkelmann, pp. XXI-XXV. Le ragioni di questa lacuna nei testimonia dell’opera vanno ricercate o, come suggerisce Fozio, nel brano sopracitato, nella percezione di Eusebio come ariano, oppure nel fatto che la v.C. non contiene, in effetti, quelle leggende per cui Costantino diverrà famoso nei secoli successivi (soprattutto il battesimo a opera di Silvestro, la ‘donazione’, la leggenda della conversione di Elena e del ritrovamento, da parte sua, della croce di Cristo, certi particolari della fondazione di Costantinopoli, cfr. S.N.C. Lieu, Constantine in Legendary Literature, cit.).
56 Su cui si veda anche S.N.C. Lieu, F. Beetham, D. Montserrat, Constantine Byzantinus. The Anonymous Life of Constantine (BHG 364), in From Constantine to Julian: Pagan and Byzantine Views. A Source History, ed. by S.N.C. Lieu, D. Montserrat, London-New York 2005, pp. 97-146.
57 Trasmesse da varie fonti, repertoriate dapprima da H. Kraft, Kaiser Konstantins religiöse Entwicklung, Tübingen 1955 (d’ora in avanti Kraft), studiate nel loro complesso da H. Dörries, Das Selbstzeugnis Kaiser Konstantins, cit., e aggiornate da Constantine le Grand, Lettres et discours, éd. par P. Maraval, Paris 2010 (cui si rimanda anche per riferimenti bibliografici).
58 Cfr. S. Mazzarino, Il basso impero. Antico, tardoantico ed età costantiniana, Bari 1974. Su questi materiali, si veda anche A.J. Carriker, The Library of Eusebius of Caesarea, Leiden-Boston 2003, pp. 286-298.
59 Socr., h.e. I 9,47-49.
60 Così S.G. Hall, Some Constantinian documents in the Vita Constantini, in Constantine. History, Historiography and Legend, ed. by S.N.C. Lieu, D. Montserrat, London-New York 1998, pp. 86-103, in partic. pp. 87-97. Sul sinodo antiocheno si veda il contributo di D. Dainese, Concili e sinodi, in questa stessa opera.
61 Eus., v.C. II 69-72.
62 Eus., v.C. III 17-20 (19 Kraft).
63 Cfr. Socr., h.e. I 9,32-46.
64 Cfr. Thdt., h.e. I 10,1-12.
65 Cfr. Gel., h.e. II 37,10-22.
66 Eus., v.C. III 30-32 (26 Kraft).
67 Cfr. Socr., h.e. I 9,55-63.
68 Eus., v.C. III 52-53 (27 Kraft).
69 Cfr. Soz., h.e. II 32,2.
70 Cfr. Socr., h.e. I 9,51-55.
71 Cfr. Eus., v.C. III 22.
72 Cfr. Eus., v.C. III 23.
73 Cfr. Eus., v.C. III 24,1.
74 Eus., v.C. III 12.
75 Cfr. Eus., v.C. IV 32.
76 Cfr. Eus., v.C. III 21,1 e III 21,4.
77 Eus., v.C. IV 30,1: «“ehi tu, fin dove vogliamo spingere l’avidità?”; poi, con l’asta che in quel momento aveva tra le mani delineò sul pavimento la figura di un corpo umano, dicendo: “anche se tu riuscissi a procurarti tutte le ricchezze della terra e il mondo intero, alla fine non otterrai altro che questo piccolo fazzoletto di terra che io ho qui tracciato, se pure ti sarà concesso”».
78 Eus., v.C. IV 29,5.
79 Cfr. Eus., v.C. IV 29,3-5. Sulla struttura dei discorsi protrettici si veda la recente messa a punto di D. Dainese, Passibilità divina. La dottrina dell’anima in Clemente Alessandrino, Roma 2012, pp. 26-31. Al termine di questa rassegna andrebbe anche ricordato il discorso che Eusebio attribuisce a Costantino in occasione della sua decisione di farsi battezzare a Nicomedia (ma per Eusebio è «nelle acque del Giordano») in v.C. IV 62,1-3, ma il testo è problematico, perché si trova in una sezione in cui non è chiaro quanto Eusebio taccia o manipoli per nascondere l’eventualità di un battesimo ariano dell’imperatore.
80 Cfr. Eus., v.C. I 1,1-I 9,2.
81 Cfr. Eus., v.C. I 10-11.
82 Similmente in Eus., l.C. 1,6 e 3,4.
83 Su cui si veda Paneg. 10(4)16,4.
84 Così infatti era stato definito Abramo in Is 41,8 e Gc 2,23.
85 Analogamente in Eus., l.C. 2,1-3; 5,1-4.
86 Cfr. Eus., v.C. IV 6. Cfr. anche Eus., l.C. 1,1.
87 Cfr. Eus., v.C. I 9,2.
88 Si pensi alla figura della recusatio con la quale l’autore dichiarava la propria inadeguatezza e al confronto (presente anche in Paneg. 12(9)5) con tiranni dipinti come sovrani di regni effimeri e turpi (similmente si veda anche Lact., mort. pers. 33).
89 Cfr. Eus., h.e. VI 1-32.
90 Cfr. Eus., v.C. I 3,4 e anche Eus., l.C. prol. 5.
91 Cfr. Eus., v.C. I 11,2-26.
92 Cfr. Eus., v.C. I 27-II 19.
93 Cfr. Eus., v.C. I 12-24.
94 Cfr. Lact., mort. pers. 8,7.
95 Cfr. Gen 49,1, 1 Re 28-35 e 2 Re 10,18-25.
96 In Paneg. 10(4).
97 Cfr. Eus., v.C. I 18.
98 Cfr. Eus., v.C. I 11,2.
99 Cfr. Eus., v.C. I 3,4.
100 Sulla cui importanza si veda C. Rapp, Imperial Ideology in the Making: Eusebius of Caesarea on Constantine as ‘Bishop’, in The Journal of Theological Studies, 49 (1998), pp. 685-695.
101 Cfr. Eus., v.C. I 27. Ne deriva che gli aspetti di politica estera vengono sostanzialmente relegati alla sommaria descrizione del capitolo I 25 (che peraltro deve essere considerato alla luce delle pur indirette immagini scritturistiche – cfr. At 4,29 e 28,31 – di v.C. I 8,4), e a quelli di politica interna si allude vagamente in I 26, mentre Eusebio dedica tutto il resto del primo libro quasi esclusivamente alla guerra contro i «tiranni» Massenzio e Licinio, che, come di regola nel genere panegirico, sono nominati di rado e di cui evita di chiarire il titolo (cfr. Eusebius von Caesarea, De vita Constantini. Über das Leben Konstantins, cit., pp. 29-30).
102 Cfr. Eus., v.C. I 28-32.
103 Cfr. Ex 3,6 e 3,13-15; 25-7, 36-39; 25,9; 35,4; 35,30-36; 25,10-13; Eb 8,3-6; 1 Cor 15,20-22; Col 1,13-15.
104 Cfr. S.G. Hall, Eusebian and Other Sources in Vita Constantini I, in Logos: Festschrift für Luise Abramowski zum 8 Juli 1993, hrsg. von H.Ch. Brennecke, E.L. Grasmück, C. Markschies, Berlin 1993, pp. 239-263, in partic. 245-247.
105 Cfr. Eus., v.C. I 38-40.
106 Eus., h.e. IX 9.
107 In I 38 si dice che Massenzio costruisce male il ponte Milvio, così come predisposto dalla Provvidenza.
108 Cfr. Eus., I 39-41,2.
109 Con un probabile riferimento alle parole incise sull’arco di trionfo, cfr. Eusebius, Life of Constantine, cit. p. 216.
110 Cfr. Eus., v.C. I 42,1-2.
111 Eus., v.C. I 44-45.
112 Con possibili allusioni a Sal 8,6; 8,18; 8,38; 17,39; 1 Cor 15,27; Eb 2,7.
113 Cui forse allude v.C. I 50,2.
114 Su v.C. I 47 si veda F. Winkelmann, Zur Geschichte des Authentizitätsproblems, cit., pp. 217 e 230-232 ed Eusebius, Life of Constantine, cit., pp. 7-8.
115 Si veda S.G. Hall, Eusebian and Other Sources, cit., pp. 261-262.
116 Concetto esplicito fin da subito, in Eus., v.C. I 5.
117 Cfr. Eus., v.C. I 49-II 19.
118 Cfr. Zos., II 18-20.
119 Cfr. Lact., mort. pers. 43-47 e 49.
120 Cfr. Eus., h.e. VIII 14.
121 Di cui si trova attestazione anche in Eus., h.e. X 8.
122 Cfr. Eus., v.C. I 49,1-2.
123 Cfr. Eus., v.C. I 51-54,1.
124 Cfr. Eus., h.e. X 8,14.
125 Poi Eusebio prosegue trattando degli aspetti generali della legislazione liciniana (I 54,2-I 56,1) riproducendo quasi letteralmente h.e. X 8,11-16. Toni simili a quelli di favore nei confronti di Costantino mostrati da Eusebio sono attestati anche in Lact., mort. pers. 50 e Aur. Vict., Caes. 41; di contro si può vedere Zos., II 38 e Anon. de reb. bell. 2. Gli aspetti secondari rispetto alle violenze e alle ingiustizie perpetrate, a detta di Eusebio, da Licinio nei confronti dei vescovi concernono invece le riforme militari o giuridiche di Licinio (I 54,1 e I 55,1) per le quali Eusebio usa lo schema retorico della praeteritio (cfr. Eusebius, Life of Constantine, cit., p. 228).
126 Il riferimento è a Galerio e Massimino, e il racconto di Eusebio si basa su quanto attesta di conoscere già in h.e. VIII 14,13-14; VIII 16,3-4; VIII 17,1; IX 10,2-IX 15,4.
127 Cfr. Eus., v.C. II 1-2.
128 Cfr. Eus., h.e. X 8-9.
129 A proposito della battaglia di Amasea, nel Ponto, e della persecuzione menzionata in II 2,3, per esempio, v.C. è l’unica fonte.
130 Cfr. Paneg. 10(4)14.
131 Cfr. Eus., v.C. II 12-18.
132 Cfr. Eus., v.C. II 12.
133 Secondo Es 33,7-11.
134 Di qui il ritorno del labaro in v.C. II 7-9 e II 16.
135 Cfr. Eus., v.C. II 11,2.
136 Già detto di Massimino in h.e. IX 10, 6.
137 Come Massimino in h.e. IX 10,2.
138 In greco εἴδωλα νεκρῶν, v.C. II 16, terminologia tratta da l.C. 9,8.
139 Cfr. Eus., v.C. II 19, i cui contenuti richiamano h.e. X 9,7-8.
140 Cfr. Eus., v.C. II 20-22 e anche II 61,1, con i documenti 12-15 Kraft.
141 Eus., v.C. II 73.
142 Cfr. Eus., v.C. III 1,1. Questo motivo, già ricorrente in precedenza (I 45,2-3 e I 49,2), tornerà nuovamente in III 59 e IV 41. Si può approfondire la questione con la lettura di G.J.M. Bartelink, Μισόκαλος, epithète du diable, in Vigiliae Christianae, 12 (1958), pp. 37-44.
143 Cfr. Eus., v.C. III 1,2-III 3; nell’ambito di questa descrizione, Eusebio racconta di un affresco raffigurante la vittoria su Licinio, visto all’interno del palazzo imperiale (che Eusebio abbia avuto accesso al palazzo imperiale si deduce anche da v.C. III 49, probabilmente da IV 33 e, forse, anche da IV 22 e l.C. 9,11).
144 Eus., v.C. III 5.
145 Per cui si rimanda al contributo di D. Dainese, Concili e sinodi, in questa stessa opera. Si veda anche infra.
146 Cfr. Eus., v.C. III 41,2-47,3.
147 Cfr. anche in Thdt., h.e. I 18.
148 Cfr. Eus., v.C. III 46,2-47,3.
149 Eus., v.C. III 33,2.
150 Si veda per esempio l’analisi dei termini usati da Eus., l.C. 4-5, per esprimere, con più enfasi rispetto a v.C., che l’opera del ‘Costantino-costruttore’ realizza gli «oracoli delle Scritture» (l.C. 5) in S. Calderone, Eusebio e l’ideologia imperiale, in Le trasformazioni della cultura nella Tarda Antichità, Atti del Convegno tenuto a Catania (27 settembre-2 ottobre 1982), Roma 1985, pp. 1-28, in partic. 7.
151 Introdotta in v.C. III 25-29 (dove è possibile reperire un raffronto tra quanto Eusebio afferma a proposito della riduzione in macerie dei templi pagani costruiti sui luoghi sacri al culto cristiano in v.C. III, 26,7-III 27 e l.C. 9,5), corredata dalla lettera indirizzata da Costantino a Macario – la numero 26 Kraft, su cui cfr. supra – e descritta ampiamente in v.C. III 33,1-III 40. Nel luogo del Santo Sepolcro, della cui scoperta e ‘ristrutturazione’ Eusebio ci informa in v.C. III 28 e, indirettamente, in l.C. 9,16 e 11,2, vengono fatti costruire due edifici, l’Anastasis e il Martyrium, ma Eusebio si riferisce a un’unica chiesa (e, del resto, Eusebio è sempre attento a mostrare che tutto ciò che viene costruito sul Santo Sepolcro funge da ornamento a quanto già esistente). Cfr. S. Heid, Eusebius von Cäsarea über die Jerusalemer Grabeskirche, in Römische Quartalschrift für christliche Altertumskunde und Kirchengeschichte, 87 (1992), pp. 1-28.
152 «Una volta appreso che nella regione erano state oggetto di venerazione altre due ‘grotte mistiche’» (Eus., v.C. III 41,1). Per questa terminologia, cfr. S. Calderone, Teologia politica, successione dinastica e consecratio in età costantiniana, Vandoeuvres-Genève, 1973, p. 221 e Eus., l.C. praef. 4; l.C. 9,17.
153 Cfr. Eus., v.C. III 42,2.
154 Su questi edifici sacri, cfr. Eus., l.C. 9,15-17. Per la chiesa sul monte degli Ulivi, cfr. Eus., v.C. III 43,3 (con possibile allusione a Mt 24,4-25, come Eusebio attesta anche in d.e. VI 18, 23).
155 Cfr. Eus., v.C. III 26,3 e, più avanti III 54,7. Per la natura apologetica di questo tema, si veda Clem., prot. 1,2,3 e 2,11,1.
156 L’accanimento dell’imperatore nei confronti dei luoghi e delle statue di culto pagani è un tema che occupa ampi passaggi di l.C. 8. Cfr. su questo tema S. Margutti in questa stessa opera.
157 Cfr. soprattutto Eus., v.C. III 42,2.
158 Cfr. l.C. 9,14. Socrate gli attribuisce Sant’Irene (h.e. VI 23), mentre Sozomeno la basilica di Mocio, martire locale, h.e. VIII 17,5.
159 Il cui accanimento in proposito è asserito da Libanio, Or. 30,6, ma il tema sarà approfondito in III 54-58 ed è già stato accennato in II 45. Di contro si tenga presente che Filostorgio parla dell’istituzione di un culto alla statua di Costantino (h.e. II 17) e Aurelio Vittore attesta presenze di culto imperiale (Caes. 40, 28); mentre Zosimo attribuisce a Costantino la costruzione di due templi pagani (Zos. II 31,1-2). Di contro Eusebio in v.C. IV 16 attesta come l’imperatore critichi il culto della sua persona.
160 Anche Eus., l.C. 9,14.
161 Anche Eus., l.C. 9,15.
162 Cfr. Eus., v.C. III 56-57 e l.C. 9.
163 Cfr. Eus., v.C. III 59-62.
164 Eus., v.C. III 63,1.
165 Cfr. Eus., v.C. III 64-65.
166 Cfr. Eus., v.C. III 63,3: τι κέλευσμα τοῖς κατ’ἔθνος ἡγεμόσι.
167 Cfr. Eus., v.C. IV 1-4.
168 Cfr. Eus., v.C. IV 5-IV 14,1.
169 Cfr. Eus., v.C. IV 14,2-IV 39,2.
170 In realtà si tratta di due sinodi distinti, ma nel resoconto di Eusebio essi appaiono come unico. Per un approfondimento, si veda il contributo di D. Dainese, Concili e sinodi in questa stessa opera.
171 L’ordine degli argomenti trattati nella prima sottosezione (v.C. IV 1-4), infatti, è lo stesso di Anon. Vales. XXX-XXXII, cfr. Eusebius, Life of Constantine, cit., p. 309.
172 Cfr. Aur. Vict., Caes. 40,15; Iul., Or. 1,6,8; Iul., Or. 7,22,228; Iul., Caes. 335; Anon. de reb. bell. 2,1; Amm. XVI 8,12; Ps. Aur. Vict., epit. 41,16; Zos. II 38,1.
173 Cfr. anche Paneg. 4(10)35.
174 Cfr. Anon. Vales., XXX; Soz., h.e. II 3,6; solo Zos., III 11,3 la attribuisce a Giuliano.
175 Cfr. Aur. Vict., Caes. 40-41, Zos. II 38 e Lib., Or. 2,38,1.
176 Cfr. Eus., v.C. IV 4.
177 Similmente anche in Rufino (h.e. X 8) e nella lettera di Costantino ai vescovi di Tiro, documento 37 Kraft.
178 Eus., v.C. IV 5-6.
179 Cfr. Eus., v.C. IV 8-14, con il documento 40 Kraft riportato in IV 9-13.
180 Cfr. Verg., Aen. VIII 720-731.
181 Opt. Porf., carm. 18,4. Su questo tema si veda V. Poggi, Costantino e la chiesa di Persia, in Bizantinistica, 5 (2003), pp. 61-95.
182 Per Giuliano, al contrario, si tratta di prove della sua empietà, cfr. Iul., Caes. 336.
183 Cfr. Eus., v.C. IV 15-16.
184 Cfr. F. Kolb, La storia del diadema da Costantino fino all’età protobizantina, in Bizantinistica, 5 (2003), pp. 51-59, in partic. p. 53 e bibliografia relativa; si veda anche il contributo di G. Traina in questa stessa opera.
185 Come Eusebio aveva già detto in v.C. I 32,3 e II 12,1; le Scritture, inoltre, sono definite oracoli, così come I 3,4; II 12,1; IV 43,3.
186 Cfr. Eus., v.C. 18,1 e 19. È bene precisare che potrebbe trattarsi anche della festa per il dies solis (cfr. E. Moreno Resano, El Dies Solis en la legislación constantiniana, in Antiquité Tardive, 17 (2009), pp. 289-305).
187 Cfr. Eus., v.C. IV 18,2, attestato anche da Sozomeno, h.e. I 8,11-12.
188 Cfr. Eus., v.C. IV 18,3 e 20. Una prassi che Teodoreto (in h.e. IV 1,4) e Lattanzio (mort. pers. 46-47) attestano anche per Licinio.
189 Cfr. Eus., v.C. IV 21.
190 Cfr. Eus., v.C. IV 22.
191 Smentita da Libanio (Or. 30) e da Temistio (Or. V 70-71).
192 Cfr. Eus., v.C. IV 25. Di questa serie di leggi, il Cod. Theod. conferma il divieto delle lotte di gladiatori (in XV 12,1).
193 Cfr. Eus., v.C. IV 24.
194 Cfr. Eus., v.C. IV 26-28. Su questo tema si veda in questa stessa opera il contributo di S. Puliatti, Il diritto prima e dopo Costantino.
195 Eus., v.C. IV 26,3. Si tenga conto che queste leggi (cfr. Cod. Theod. VIII 16,1) sono del 320 e quindi tecnicamente firmate sia da Costantino sia da Licinio. Per comprendere i problemi legati a questo passo di v.C. e ai fini e metodi del procedere dell’argomentazione di Eusebio, si vedano Eus., h.e. X 8,11-12, e S. Corcoran, Hidden from History: The Legislation of Licinius, in The Theodosian Code: Studies in the Imperial Law of Late Antiquity, ed. by J. Harries, I. Wood, London 1993, pp. 97-119, in partic. 102.
196 Cfr. Cod. Theod. XVI 9,1.
197 Cfr. Eus., v.C. IV 27,2: τοὺς τῶν ἐπισκόπων δὲ ὅρους τοὺς ἐν συνόδοις ἀποφανθέντας ἐπεσφραγίζετο. Cfr. J. Gaudemet, L’Église dans l’empire romain (IVe-Ve siècles), Paris 1958, p. 232 nota 2 e p. 240 nota 5; D. Hunt, Christianising the Roman Empire. The Evidence of the Code, in The Theodosian Code, cit., pp. 143-158 e (Soz., h.e. I 9,5); al contrario, cfr. T.D. Barnes, Constantine and Eusebius, cit., p. 51.
198 Eus., v.C. IV 28.
199 Cfr. Eus., v.C. IV 33-34.
200 Cfr. Eus., v.C. IV 29,1.
201 Cfr supra, ed Eus., v.C. IV 29.
202 Cfr. Eus., v.C. IV 29,4 e, similmente, Optat., app. 3,314.
203 Cfr. Eus., v.C. IV 37-39.
204 Cfr. Soz., h.e. II 5.
205 Cfr. D. Dainese, Concili e sinodi in questa stessa opera.
206 Cfr. Eus., v.C. IV 40 e IV 51-52,3. Così facendo, Eusebio applica la tecnica dell’omissione, caratteristica della letteratura panegiristica, perché tace dell’assassinio di Crispo, avvenuto per volere di Costantino nel 326.
207 Cfr. Eus., v.C. IV 56-57.
208 Sostanzialmente gli eventi tra la Pasqua e la Pentecoste del 337, cfr. v.C. IV 60,5-IV 64.
209 E gli eventi che la concernono possono comunque essere ricostruiti a partire da Gelasio (h.e. III 10,26-27), Libanio (or. 59,126), Rufino (h.e. X 12), Filostorgio (h.e. II 16), Socrate (h.e. I 39), Sozomeno (h.e. II 34,21) e Teodoreto (h.e. I 32).
210 Cfr. G. Fowden, The Last Days of Constantine: Oppositional Versions and Their Influence, in Journal of Roman Studies, 84 (1994), pp. 146-170, in partic. 146-153 e Id., Empire to Commonwealth, cit., pp. 94-97.
211 P. Maraval, Battesimo di Costantino. Per un ulteriore approfondimento si veda la monografia di M. Amerise, Il battesimo di Costantino, cit.
212 Eus., v.C. IV 52,4-IV 55.
213 Eus., v.C. IV 54,3. Cfr. anche IV 31.
214 Cfr. Eus., v.C. III 10,3-4.
215 Si veda D. Dainese, Concili e sinodi in questa stessa opera.
216 Eus., v.C. IV 58-60,1.
217 Eus., v.C. IV 60,2-4.
218 Lib., Or. 19,19 e 20,24.
219 Ath., v. Ant. 89-91. Cfr. Eus., v.C. IV 55,1.
220 Con immagini che ritornano anche in l.C. 8,10, cfr. Eusebius, Life of Constantine, cit., pp. 343-344. Il vescovo di Cesarea, per il resto, articola il funerale in due momenti, dapprima nel palazzo imperiale, in seguito con una processione volta a concludersi con la sepoltura all’interno del tempio dedicato alla memoria degli apostoli descritto poco sopra. Nulla sappiamo, invece, della liturgia specifica celebrata.
221 Come prima in Eus., v.C. III 25-28, cfr. Eusebius, Life of Constantine, cit., p. 340.
222 Cfr. Eus., v.C. IV 64,1.
223 Cfr. Eus., v.C. IV 64,2.
224 Cfr. Eus., v.C. IV 71-73 e, prima, in I 1-11 e IV 51-52.
225 Cfr. Eus., v.C. IV 68.
226 Come Eusebio afferma in v.C. I 5 (cfr. anche IV 29,4).
227 Eus., v.C. IV 74
228 Cfr. Eus., v.C. IV 29,4.
229 Si vedano: M. Mutschmann, Inhaltsangabe und Kapitelürberschrift im antiken Buch, in Hermes, 46 (1911), pp. 93-107; E. Castelli, Saggio introduttivo. L’Elenchos, ovvero una “biblioteca” contro le eresie, in Ippolito, Confutazione di tutte le eresie, traduzione italiana con commento, a cura di A. Magris, Brescia 2012, pp. 21-56.
230 Eus., v.C. κ. IV 72.
231 Per altre prove, basate su analisi linguistiche cfr. Über das Leben des Kaisers Konstantin, cit., p. XLVIII ed Eusebios, Über das Leben des glückseligen Kaisers, cit., p. 392.
232 Eccezione fatta, se si vuole, per un verosimile errore che porta l’autore dei capitoli a scambiare Massimino con Massimiano in cap. I 47, cfr. supra.
233 Così Winkelmann (Über das Leben des Kaisers Konstantin, cit., pp. III-XIII), Tartaglia (Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, cit., pp. 27-38), Cameron-Hall (Eusebius, Life of Constanine, cit., pp. 54-66) e Dräger (Eusebios, Über das Leben des glückseligen Kaisers, cit., p. 393) e Bleckmann (Eusebius von Caesarea, De vita Constantini, cit., pp. 108-109 che cita espressamente Dräger).
234 Per una panoramica complessiva si vedano: Über das Leben des Kaisers Konstantin, cit., pp. XLIX-LIII; Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, cit., pp. 7-13; Eusebius, Life of Constanine, cit., pp. 30-34; Eusebius von Caesarea, De vita Constantini. Über das Leben Konstantins, cit., pp. 27-38 ed Eusebios, Über das Leben des glückseligen Kaisers, cit., pp. 384-386-393.
235 Cfr. Eusebios, Über das Leben des glückseligen Kaisers, cit., p. 385.
236 Questa è la tesi di G. Pasquali, Die Composition, cit. Tartaglia ha molto contribuito a rafforzare tale posizione, cfr. Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, cit. e soprattutto L. Tartaglia, La forma letteraria, cit. In generale si può dire che la storiografia ha inteso il genere misto di v.C. in due modi: si tratta delle interpretazioni di T.D. Barnes e Av. Cameron (per un riepilogo di queste prospettive storiografiche cfr. Eusebio di Cesarea, La Vita Constantini, cit., pp. 8-9). Barnes (Two Drafts, cit.), che recupera l’idea di Pasquali secondo cui la v.C. sarebbe stata originariamente pensata da Eusebio come encomio e le sue incongruenze o stranezze sarebbero spiegabili come interpolazioni successive da parte verosimilmente del suo successore sul seggio di Cesarea, Acacio – ritiene di poter riconoscere due redazioni dell’opera: la prima sarebbe un panegirico scritto da Eusebio poco dopo la morte di Costantino; la seconda sarebbe invece un trattato sulla politica religiosa costantiniana come continuazione di h.e. e steso attorno al 325. Averil Cameron (cfr. Av. Cameron, Construction of Constantine, cit.) propone invece di leggere v.C. in modo unitario, alla luce dei motivi dell’apologetica di Eusebio. Peraltro, sotto questo profilo non risulterebbe strano che una consistente sezione dell’opera, cioè la σύγκρισις tra Costantino e Alessandro e Ciro da un lato e, per certi aspetti, quella tra Costantino e Mosè dall’altro, sia esplicitata all’inizio dell’opera e non al termine, come dovrebbe essere secondo Menandro (cfr. Men.Rh. 376,31-377,10). Infatti – si vedrà oltre, trattando dell’orazione di tema prettamente apologetico conservata in l.C. 11-18 – il paragone tra due soggetti costituisce il tema principale, e non finale o secondario, come accade negli encomi, delle opere apologetiche. Oggi gli studiosi tendono a essere concordi più con la tesi di Cameron che con quella di Barnes (anche se con le dovute cautele poste da A. Monaci Castagno, Eusebio biografo, in questa stessa opera); si ritiene che, in un contesto apologetico, le tendenze storico-biografiche ed encomiastico-agiografiche si concilino sotto l’unico e medesimo scopo di elaborare un modello cui i futuri regnanti possano ispirarsi. Un modello volto a prendere una precisa posizione teologico-politica, che, come ricordano dapprima Averil Cameron (Eusebius, Life of Constantine, cit.) e in seguito Bleckmann (Eusebius von Caesarea, De vita Constantini. Über das Leben Konstantins, cit., p. 37), deve tenere conto della contrapposizione tra Eusebio e, soprattutto, quel contesto teologico ‘asiatico’ rappresentato da Marcello di Ancira, nel tentativo di esercitare influenza sulla politica religiosa dei figli di Costantino, in particolar modo quella di Costanzo II.
237 Cfr. F. Leo, Die griechisch-römische Biographie nach ihrer litterarischen Form, Leipzig 1901; H. Gerstinger, Biographie, in RAC, II, c. 390. Un ragguaglio completo e aggiornato sul genere biografico in Eusebio è reperibile in questa stessa opera nel saggio di A. Monaci Castagno, Eusebio biografo. Per il paragone tra v.C. e le biografie di Plutarco cfr. G. Ruhbach, Apologetik und Geschichte. Untersuchungen zur Theologie Eusebs von Caesarea, Heidelberg 1962, pp. 201-203 ed Eusebio di Cesarea, Sulla vita di Costantino, cit., pp. 9-11.
238 Come Eusebio attesta di sapere in v.C. I 10-11. Così si potrebbe intendere v.C. come prosecuzione di h.e. dopo il 324 (cfr. B. Bleckmann, Konstantin in der Kirchengeschichte Philostorgs, in Millennium, 1 (2004), pp. 185-231, in partic. 193-231). Sul genere storico in Eusebio si veda in questa stessa opera il contributo di E. Prinzivalli.
239 Attestato appunto dalla definizione eusebiana della v.C. come ἱστορία e πραγματεία (I 11,1).
240 Cfr. Socr., h.e. I 1,2.
241 Cfr. Phot., cod. 127. È soprattutto a partire da Heikel che nella storiografia contemporanea si impone la tesi del genere misto.
242 Cfr. Men.Rh. 368, 9-15; Eus., v.C. I 1,2; I 2,1; I 2,3; I 10,1.
243 Cfr. Eus., v.C. I 10,1-10,4.
244 Cfr. Men.Rh. 370,8-371,3.
245 Cfr. il contributo di J. Wienand, La famiglia e la politica dinastica di Costantino in questa stessa opera.
246 Cfr. Eus., v.C. I 7-8.
247 Cfr. Eus., v.C. I 12 (su cui si veda M.J. Hollerich, Myth and History in Eusebius’s De vita Constantini: Vit. Const. 1.12 in its contemporary setting, in Harvard Theological Review, 82 (1989), pp. 421-445) e I 19.
248 Cfr. Men.Rh. 376,31-377,10. Per Winkelmann (Über das Leben des Kaisers Konstantin, cit., p. L) si può reperire in v.C. IV 74-75, ma dopo le analisi di Hollerich (cfr. M.J. Hollerich, Myth and History, cit.) e le osservazioni di Poggi (V. Poggi, Persia, cit., p. 63-67) è soprattutto al paragone di Costantino con Ciro e Alessandro che bisogna guardare per rintracciare la σύγκρισις di cui parla Menandro.
249 Cfr. Men.Rh. 371,17-372,2.
250 Cfr. Men.Rh. 376,24-31; Eus., v.C. IV 51-52 per Winkelmann (Über das Leben des Kaisers Konstantin, cit., p. L); si tenga anche conto di v.C. I 1,3. Si esclude che i riferimenti alla φιλανθρωπία di Costantino, di cui si è detto in precedenza, possano essere paragonabili a quanto teorizzato da Menandro in 374,26-375,6 dove si prescrive al basilikos logos di trattare della medesima caratteristica del sovrano di cui s’intesse l’elogio, perché in quest’ultimo caso si tratta di una delle caratteristiche del re in battaglia (mitezza nei confronti degli sconfitti), mentre, come si è detto e si ribadirà oltre, Eusebio non è interessato a raccontare le vicende militari che purtuttavia costellano la biografia dell’imperatore.
251 Cfr. Eus., v.C. I 11,1. La narrazione delle virtù del sovrano in battaglia è una costante negli encomi imperiali (cfr. Men.Rh. 373,15-374,26).
252 Cfr. Eus., v.C. I 10,2.
253 L’edizione critica di riferimento è quella di Heikel (Über das Leben Constantins, cit.), cui si rimanda per informazioni sui manoscritti che hanno tramandato l’opera. Per le principali referenze bibliografiche cfr. supra, nota 1.
254 Εὐσεβίου τοῦ Παμφίλου εἰς Κωνσταντῖνου τὸν βασιλέα τριακονταετηρικός.
255 Su questo manoscritto cfr. F. Winkelmann, Die Textbezeugung, cit.
256 Cfr. I.A. Heikel, Kritische Beiträge zu den Constantin-Schriften des Eusebius, Leipzig 1911, p. 82. Analogamente si legge «εὐσεβίου τοῦ παμφίλου βασιλικός» al termine del capitolo 18 di l.C. nel manoscritto Marcianus 340.
257 Eus., v.C. IV 46.
258 Eus., l.C. 6,1,1 (con menzione delle corone tricennali di cui tratta anche Paneg. 7(6),21,4) e 6,16-18.
259 Così secondo T.D. Barnes, Two Speeches by Eusebius, in Greek Roman and Byzantine Studies, 18 (1977) pp. 341-345. Di diversa opinione è invece Amerise in Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, cit., pp. 22-23.
260 Quale ulteriore prova rispetto a quanto già riportato dagli studiosi, si consideri che Eusebio, in l.C. 11,2, menziona esplicitamente «case di preghiera» e «templi consacrati […] al Salvatore, eccelse e magnifiche opere regali di imperiale sollecitudine stabilite intorno al memoriale salvifico», alludendo al complesso ecclesiastico del Santo Sepolcro.
261 Per Drake, si tratta della prima orazione menzionata in v.C. IV 46, la quale coinciderebbe con quella di IV 33 (cfr. H.A. Drake, In Praise of Constantine, cit., pp. 345-346). Barnes, invece, ritiene che il discorso di l.C. 11-18 sia uno di quelli nominati in v.C. IV 45 e che invece la prima orazione di IV 46 sia andata perduta (cfr. T.D. Barnes, Two Speeches, cit., pp. 341-345). Nell’ipotesi di Barnes, l’orazione di l.C. 11-18, pronunciata a Gerusalemme, sarebbe stata poi ripetuta in IV 33. Amerise ritiene insostenibile la posizione di Barnes perché il discorso di v.C. IV 45 è un discorso di dedica impostato su canoni stilistici determinati, che Eusebio conosce e che non sono gli stessi di l.C. 11-18 (cfr. Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, cit., pp. 22-23). In più si può aggiungere che il testo di v.C. IV 45 mette in relazione l’orazione di dedicazione di una chiesa con il trentennale, per cui ci si aspetterebbe di ritrovare questo accostamento anche all’interno dell’orazione stessa: cosa che non avviene in l.C. 11-18. Maraval per primo recupera in parte la proposta di Drake sostenendo che in ogni caso, sebbene non identificabile con il discorso di v.C. IV 46, l.C. 11-18 si riferisce all’orazione di v.C. IV 33 (cfr. P. Maraval, La Théologie politique, cit., pp. 33-34, e Id., Sur un discours d’Eusèbe de Césarée (Louanges de Constantin, XI-XVIII), in Revue des études augustiniennes, 43 (1997), pp. 239-246). Come detto, dunque, non occorre ritenere che Eusebio in l.C. 11-18 tratti della tomba del Salvatore, ma che prenda spunto da essa per poi presentare esposizioni teologiche e dottrinali: esattamente quanto avviene in l.C. 11-18.
262 Così Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, cit., p. 24.
263 Cfr. H.A. Drake, When Was the De laudibus Constantini Delivered, in Historia, 24 (1975), pp. 345-356.
264 Amerise, con Heikel, ipotizza possa essere stato scritto di ritorno dalle celebrazioni del trentennale, in risposta alle contestazioni da parte di pagani nei confronti della costruzione delle basiliche gerosolimitane. Cfr. Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, cit., p. 23.
265 Si vedano: H. Gressmann, Die Theophanie. Die griechischen Bruchstücke und Übersetzung der syrischen Überlieferung, Leipzig 1904, pp. XIV-XX; Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, cit., pp. 245-248; S. Morlet, L’opera apologetica di Eusebio di Cesarea, in questa stessa opera.
266 Cfr. in partic. Eus., l.C. 16,8-9; si veda R. Farina, L’impero e l’imperatore, cit., p. 115 e p. 119.
267 Sui concili di Tiro e Gerusalemme e sul resoconto eusebiano si veda in questa stessa opera D. Dainese, Concili e sinodi.
268 Cfr. Eus., l.C. 16,9-10, dove si esprime un concetto – è bene ribadirlo – in ogni caso non estraneo a l.C. 1-10 (e, più precisamente, attestato in l.C. 1,6).
269 Cfr. anche Eus., l.C. 2.
270 Soz., h.e. II 3 e Socr., h.e. I 36.
271 Cfr. N. Baynes, Eusebius and the Christian Empire, in Annuaire de l’Institut de Philologie e d’Histoire Orientales (et Slaves), 22 (1939), pp. 13-18; cfr. anche J.A. Straub, Vom Herrscherideal in der Spätantike, Stuttgart 1939, pp. 113-114.
272 Così M. Amerise, in Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, cit., p. 31: «I primi tre capitoli […] forniscono la struttura fondamentale del discorso in quanto definiscono non solo le caratteristiche di […] Dio, Logos e imperatore», tema del primo e del secondo capitolo, «ma anche il rapporto di immagine-imitazione che esiste tra loro», argomento del terzo (e quarto) capitolo. Per una problematizzazione del rapporto Dio-Logos-imperatore cfr. M. Rizzi, Cesare e Dio. Potere spirituale e potere secolare in Occidente, Bologna 2009, pp. 73-78 e M. Rizzi, Filosofia, teologia e potere in questa stessa opera. Per la struttura dell’opera si veda già H.A. Drake, In Praise of Constantine, cit., pp. 36-37.
273 Così P. Maraval, La Théologie politique, cit., p. 55.
274 Tema su cui Eusebio tornerà, almeno, in: l.C. 7,13; 8,9; 10,2; 10,4; 16,1-8.
275 Cfr. Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, cit., p. 117.
276 Su questo tema si veda I. Tantillo, “Come un bene ereditario”: Costantino e la retorica dell’impero patrimonio, in Antiquité Tardive, 6 (1998), pp. 252-264; cfr. anche S. Calderone, Teologia politica, successione dinastica e consecratio in età costantiniana, in Le culte des souverains dans l’Empire Romain, Vandoeuvres-Genève 1972, pp. 213-262, e P. Piccinini, Ideologia e storia in termini del lessico politico eusebiano: il tempo eterno della basileia di Costantino, in Costantino il Grande dall’Antichità all’Umanesimo, cit., I, pp. 769-790. Per Filippo Carlà (cfr. F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche. Storia e mito della “svolta costantiniana”, Roma 2010) il principio dinastico è connaturato, seppure in modo problematico, all’idea costantiniana della regalità. Per le stragi nella famiglia di Costantino alla sua morte, cfr. R.W. Burgess, The Summer of Blood. The “Great Massacre” of 337 and the Promotion of the Sons of Constantine, in Dumbarton Oaks Papers, 62 (2008), pp. 5-51 e il contributo dello stesso autore nella presente opera.
277 Eus., v.C. III 1. Su quest’immagine si veda D. Dainese, Concili e sinodi in questa stessa opera. In aggiunta cfr. K.M. Girardet, Das christliche Priestertum Konstantins der Grosse. Ein Aspekt der Herrscheridee des Eusebius von Caesarea, in Kiron, 10 (1980), pp. 569-592; M. Amerise, Costantino il nuovo Mosè, in Salesianum, 67 (2005), pp. 671-700.
278 Cfr. S. Calderone, Il pensiero politico di Eusebio di Cesarea, in I cristiani e l’impero nel IV secolo, a cura di G. Bonamente, A. Nestori, Macerata 1988, pp. 45-54.
279 Quest’ultimo, in verità, è nipote di Costantino da parte del padre in seconde nozze e verrà assassinato subito dopo la morte di Costantino.
280 Cfr. F. Carlà, M.G. Castello, Questioni tardoantiche, cit., p. 114-115.
281 Eus., l.C. 3,5.
282 Preparando il regno del Logos per mezzo dell’imitazione delle sue virtù, l’imperatore imita perfettamente il Logos che è immagine del Padre, e di qui diviene egli stesso immagine del Padre. Cfr. R. Farina, L’impero, cit., p. 126.
283 Cfr. Men.Rh., 376,31-377,10.
284 Eus., l.C. 9,2.
285 Cfr. Paneg. 4(8)10-12; 8(5)3-7; 10(4)6,2; 11(3)4,1-2.
286 Per Sabine MacCormack il panegirico imperiale è il luogo in cui più naturalmente si fondono l’arte figurativa ed elementi retorico-encomiastici proprio nella descrizione dell’opera d’arte (ἔκφρασις appunto), cfr. S.G. MacCormack, Art and Ceremony in Late Antiquity, Berkeley 1981.
287 Si veda in particolare la descrizione della chiesa di Antiochia in Eus., l.C. 9,15.
288 Cfr. infatti Men.Rh. 368,3-4: «῾O βασιλικὸς λόγος ἐγκώμιόν ἐστι βασιλέως· οὐκοῦν αὔξησιν [...]»; similmente anche Quint., Inst. III 7,5-6 e L. Pernot, La rhétorique de l’éloge dans le monde gréco-romain, II, Les Valeurs, Paris 1993, pp. 675-679 e D.A. Russell, The Panegyrists and Their Teachers, in Propaganda of Power: The Role of Panegyric in Late Antiquity, ed. by M. Whitby, Leiden 1998, pp. 17-50, in partic. 49. Su questo tema, in generale, si veda il contributo di G. Marconi in questa stessa opera.
289 Cfr. Eus., l.C. 10,7.
290 Cfr. Eus., l.C. 8,1.
291 Cfr. Eus., l.C. 8, 2-7.
292 Cfr. Men.Rh. 372,25-373,6.
293 Così Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, cit., pp. 28-29.
294 Si rimanda al saggio di Y. Hen questa stessa opera.
295 Cfr. Eus., l.C. 5,1.
296 Eus., l.C. 5,8.
297 Così anche in v.C. I 4 (modello di devozione); III 47,2 (nei confronti della madre); IV 18-20; IV 29.
298 Cioè ὁ θύμος, la parte irascibile.
299 Cfr. Eus., l.C. 2-4.
300 Cfr. Eus., l.C. 5,5.
301 Cfr. Eus., l.C. 5,6.
302 Cfr. Eus., l.C. 5,7.
303 Per quanto concerne l’apporto delle Sacre Scritture alla riflessione di Eusebio, si consideri il ruolo preponderante di Gen 1,26 quando si riferisce alla creazione della scansione del tempo in periodi determinati. Nei confronti di Filone, invece, il ragionamento di Eusebio è debitore, in merito alla riflessione sul numero trenta, degli anni di durata del regno di Costantino.
304 Cfr. Eus., l.C. 6.
305 Preceduto da uno più implicito in Eus., l.C. 1,1.
306 Cfr. Eus., l.C. 1,3.
307 Eus., l.C. 1,3. Cfr. anche l.C. 1,3-5, in cui si parla di Dio come creatore. A ciò Eusebio connette, in l.C. 6, un’esposizione del ruolo del Logos.
308 Un’idea che sarà sviluppata anche in l.C. 11-18, accentuando tuttavia maggiormente il ruolo del Logos.
309 Cfr. Eus., l.C. praef., 5.
310 Cfr. Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, cit., p. 26. Cfr. anche p. 30 per la struttura a gradi progressivi con cui l’orazione è composta.
311 Cfr. Eus., l.C. 10,1.
312 In una sorta di σύγκρισις (per quanto questa di regola riguardi il personaggio lodato, non l’elogio in sé) tra il «vecchio» – l’oratoria precedente che, a detta di Eusebio, celebra imprese di secondaria importanza – e il «nuovo» che antepone le virtù e le azioni care a Dio che l’imperatore ha compiuto. Sul prologo di l.C. si veda in generale L. Tartaglia, Sul prologo del De Laudibus Constantini di Eusebio di Cesarea, in Koinonia, 9 (1985), pp. 67-73, in partic. 69-70.
313 Si rimanda a D. Dainese, Passibilità divina, cit., pp. 16-38.
314 Cfr. Eus., l.C. praef.,1.
315 Cfr. Clem., prot. 12,118,1-3.
316 Soprattutto considerato che l’incipit e la conclusione dei discorsi protrettici costituiscono le parti dell’opera che più di tutte formano l’appello a optare per ciò cui si esorta.
317 Cfr. Die Theophanie. Die griechischen Bruchstücke und Übersetzung der syrischen Überlieferung, hrsg. von H. Gressmann, Leipzig 1904 ed Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, cit., pp. 68-73 e 77-78.
318 Cfr. Eusebio di Cesarea, Elogio di Costantino, cit., pp. 77-78.
319 Come spiegato in D. Dainese, Il Protrettico ai Greci di Clemente Alessandrino. Una proposta di contestualizzazione, in Adamantius, 16 (2010), pp. 256-285, in partic. 262-272.
320 Cfr. Eus., l.C. 13,15.
321 Eus., l.C. 14,1.
322 Eus., l.C. 13,1.
323 Cfr. Eus., l.C. 14,1.
324 La tensione a mostrare la superiorità è rilevabile anche in l.C. 17,13-15.
325 Cfr. C.T.H.R. Ehrhardt, Eusebius and Celsus, in Jahrbuch für Antike und Christentum, 22 (1979), pp. 40-49.
326 Cfr. Cels. II 54-79; IV 2-99; VI 74.
327 Eus., l.C. 14,6. Qui Eusebio riprende un confronto usato, a fini apologetici, già da Clemente Alessandrino, cioè il paragone Logos-Orfeo e la metafora del cantore, cfr. Clem., prot. 1,1-6. Sempre all’interno di questo contesto apologetico, cioè nel paragone con Orfeo che ammansisce le belve (cfr. Clem., prot. 1,4), va probabilmente intesa l’affermazione secondo cui il Logos ha reso legislatori e maestri di legge alcuni uomini semplici e pescatori (l.C. 17,9), rispondendo così all’accusa di meschinità rivolta a Gesù e alla condizione sociale dei suoi discepoli attestata in Cels. I 62-65 e, indirettamente, 68; II 42-49.
328 Eus., l.C. 14,9.
329 Eus., l.C. 16,9-10 e 17,6-7, contro le obiezioni attestate in Cels. I 2; III 44-55 e VI 12-15.
330 Cfr. Eus., l.C. 14,10.
331 Cfr. Eus., l.C. 14,11. Su questi temi si vedano: H. Frohnhofen, Apatheia tou Theou: Über die Affektlosigkeit Gottes in der griechischen Antike und bei den griechischsprachigen Kirchenvätern bis zu Gregorius Thaumaturgos, Frankfurt 1987; P.L. Gavrilyuk, The Suffering of the Impassible God. The Dialectics of Patristic Thought, Oxford 2004, in partic. p. 9; D. Dainese, Passibilità divina, cit., pp. 101-103.
332 Accanto a ciò, si registra anche la risposta data ai dubbi mossi dai pagani nei confronti del cristianesimo e attestati da Giustino (I apol. 59-60 e 30-51), Clemente Alessandrino (prot. 1,6,4-1,8), Taziano (orat. 36): cioè la maggiore antichità e dunque la maggiore autorevolezza del paganesimo, cui Eusebio controbatte, in linea con la tradizione, che il Logos adorato dai cristiani è niente meno che il Logos preesistente (l.C. 14,7).
333 Cfr. Eus., l.C. 14,4.
334 Tema menzionato anche in l.C. 1,3. E in questo modo Eusebio risponde a un’altra tra le accuse mosse ai cristiani attestate dal Contra Celsum: l’accusa di empietà nei confronti degli dei che proteggono l’Impero e dunque nei confronti dello Stato, cfr. Cels. VII 62-VIII 75.
335 Si veda S. Morlet, L’opera apologetica di Eusebio di Cesarea, in questa stessa opera.
336 Cfr. A. Luzzi, Il dies festus di Costantino il Grande e di sua madre Elena nei libri liturgici della Chiesa Greca, in Costantino il Grande dall’antichità all’umanesimo, cit., II, Macerata 1993, pp. 585-643, in partic. 597. Anche l’elogio per gli edifici sacri fatti costruire in Palestina (l.C. 11,2) rientra in questo motivo come esito concreto, prodotto, quasi, della vittoria contro la morte del Logos Salvatore.
337 Attestata dalle apparizioni in sogno e dalle vittorie nelle battaglie (miracoli che portano Costantino a costruire, per gratitudine, gli edifici sacri in Palestina), con cui questa seconda parte di l.C. si chiude (in l.C. 18,3).
338 Le uniche ricorrenze del termine ‘Cristo’ al posto dell’usuale Logos, sono in l.C. 16,3, a proposito della comparsa della dimensione corporea del Logos.
339 Eus., l.C. 16,9: «Ma queste sono prove insignificanti della vita divina dopo la morte del nostro Salvatore. Osserviamone altre maggiori […]». Alla fine Eusebio conclude, l.C. 16,12: «Si può osservare e giudicare dalle opere la potenza invisibile del nostro Salvatore».
340 Eus., l.C. 16,9. I dieci punti che sviluppano la triplice argomentazione eusebiana della superiorità del cristianesimo sono esplicitati in l.C. 9-10: 1. apertura di scuole in tutto il mondo che hanno consentito il prevalere delle leggi del Logos; 2. liberazione con «sapienza» e «leggi filantropiche» delle «nazioni barbare» e dei «popoli incivili»; 3. capacità di mostrare una virtù oltre i limiti umani; 4. fondazione di una nazione a partire da ogni angolo dell’universo per volontà divina; 5. insegnamento a riconoscere e adorare «il solo Dio al di là del cielo e di tutto il mondo»; 6. illuminazione delle «anime degli uomini con una luce razionale» predisponendoli a confutare l’errore dei politeisti; 7. respingimento dei demoni; 8. conferimento dell’autorità di scacciare gli spiriti malvagi; 9. conferimento della possibilità di compiere sacrifici razionali; 10. estinzione dei sacrifici cruenti.
341 Cfr. Eus., l.C. 1,1.
342 Così più tardi anche Zosimo (Zos., II 7,2 e II 29,4).
343 Cfr. A. Marcone, Pagano e cristiano, cit.
344 In cui spicca particolarmente Pr 15: «Grazie a me i sovrani regnano».
345 Cfr. Eus., De fide adversus Sabellium 1 (PG 24, c. 1051B).
346 Cfr. R. Farina, L’impero, cit., pp. 115-116.
347 Eus., v.C. I 1,1.
348 Gen 1,26-27.
349 Quella conservata in l.C. 11-18, come emerge da v.C. IV 33.