La vita in streaming
Con i social è caduta la distinzione tra pubblico e privato, tra universale e intimo. E l'avvento di app come Periscope alimentano, insieme al narcisismo, anche conflitti e polemiche. Ormai il web, più che una opinione pubblica, è un inconscio collettivo.
Qualche anno fa, Valérie Trierweiler, all'epoca compagna del presidente francese François Hollande, emise un improvvido tweet in cui invitava a votare contro Ségolène Royal, precedente compagna del presidente nonché precedente candidata alle presidenziali. Una histoire bien parisienne e soprattutto un complicato intreccio tra
pubblico e privato per la miscela tra le relazioni - indubbiamente private - fra i 3 attori principali della vicenda e il profilo arci-pubblico, perché politico ed elettorale, del tweet della Trierweiler. Come è stata possibile una gaffe del genere? Nel caso di Anthony D. Weiner, il politico americano che tempo fa indirizzò a 20.000 persone una propria foto davvero molto informale, all'origine c'è un errore, per cui il politico in mutande ha premuto il tasto sbagliato e ha mandato la mail a un indirizzario foltissimo.
La Trierweiler, invece, sapeva, o più esattamente credeva di sapere, quello che stava facendo.
Diciamo che 'credeva di sapere' perché non siamo sicuri che in un dibattito televisivo avrebbe fatto lo stesso. Lì non avrebbe avuto dubbi sul fatto di trovarsi in un contesto pubblico. Nel caso del tweet, invece, si è innescata la stessa illusione trascendentale che spinge politici e imprenditori indagati a dirsi tutto al cellulare, convinti che nessuno li intercetti o, ancor peggio (per l'incidenza quantitativa del fenomeno), fa sì che - sempre al telefonino - in treno le persone si dicano le cose più intime e imbarazzanti, come non rendendosi conto che intorno quei pochi che non fanno lo stesso li stanno ascoltando. Ora, lo strumento attraverso cui la Trierweiler ha inviato il tweet fatale era un cellulare, un oggetto di confidenze private, di sms che si mandano ad amici, parenti o amanti. Insomma, qualcosa che induce ad abbassare la guardia, e accade spesso, se si considera che di gaffe di varia natura (da affermazioni indiscrete a dichiarazioni eticamente scandalose di fronte a migliaia di follower) la breve storia di Twitter ne ha ormai accumulate parecchie.
Ma il punto non è, ovviamente, Twitter, o Facebook, che è non solo il libro in cui mettere la faccia, ma anche il luogo in cui uno può perderla, bensì per l'appunto l'illusione trascendentale per cui lo stesso strumento, l'sms o la mail, che si adopera per comunicazioni privatissime sia contemporaneamente il mezzo della massima ufficialità e pubblicità. In questo modo, crolla la distinzione tra pubblico e privato, anzi, tra universale e intimo, perfezionando un meccanismo che si era già avviato all'epoca dei mass media, ma che in precedenza si riferiva soltanto alle persone note, mentre oggi riguarda tutti. Non considerando che nel web tutto si crea, nulla si distrugge e tutto si ricicla, proprio come (altro aspetto del web) la frase imprecisa o infelice detta di passaggio e senza concentrazione può fare il giro del mondo. Come risultato: il web, molto più che una opinione pubblica (la quale passa necessariamente attraverso censure, e attraverso la convinzione fondata che ci siano cose che non si possono dire), è un inconscio collettivo.
Così, le relazioni digitali di cui ha parlato Antonio A. Casilli nel suo Les liaisons numériques sono indubbiamente liaisons dangereuses, delle relazioni pericolose, e dopotutto il romanzo di Choderlos de Laclos era una proto-chat, in cui la corrispondenza di Valmont e di Madame de Merteuil è destinata a causare la disgrazia di altre vittime, sacrificate alla vanità crudele dei corrispondenti principali. Si dice che il web alimenti il narcisismo (pensiamo ad app come Periscope, lanciata proprio quest'anno), il che è assai probabile, ma si tratta di un'arma a doppio taglio, visto che può essere fonte di pesantissime disillusioni.
Soprattutto, più che una zona di gratificazione e riconoscimento - l'armonioso dispiegarsi della intelligenza collettiva e dell'universale amore di cui (con un inguaribile ottimismo) si fantasticava quando Internet ha mosso i suoi primi passi -, lo spazio del web è un campo di battaglia, una sfera polemica e politica.
Per quanto riguarda la polemica, abbiamo a che fare con vere e proprie guerre, che confermano l'ipotesi del mediologo e filosofo tedesco Friedrich A. Kittler (1943-2011), secondo cui non è accidentale che lo sviluppo dei computer abbia ricevuto un impulso decisivo nella Seconda guerra mondiale: per Kittler, nel suo Gramophone, film, typewriter, i media non sono tanto una estensione dell'uomo (secondo la visione ottimistica di McLuhan), ma piuttosto l'uomo è il risultato dei media. Il che è molto probabilmente una esagerazione e una forma di fatalismo alla Spengler, che toglie responsabilità agli individui, ma dipinge bene il terreno non armonioso, bensì conflittuale, in cui ha origine il web. Questa conflittualità è anche una dimensione politica, le cui categorie fondamentali sono, almeno se si dà retta a un altro filosofo tedesco, Carl Schmitt (1888-1985), l'amico e il nemico (Le categorie del 'politico').
Entrambe queste dimensioni si manifestano attraverso una dichiarazione pubblica di amicizia o di inimicizia, e Facebook prevede la prima, e dunque implica necessariamente la seconda. La struttura minimale di questa situazione non ha neppure bisogno di social network, basta una esperienza banale, quella delle mail circolari con destinatari multipli: è sufficiente che uno dei destinatari decida di attaccar briga e può far esplodere una guerra di tutti contro tutti, che in genere finisce solo per esaurimento dei contendenti. Per non parlare di che cosa succede quando per sbaglio uno manda a tutti i destinatari una mail (non necessariamente una foto in mutande) che era indirizzata a uno solo fra di essi: difficilmente si potrebbe marcare meglio la differenza tra il parlare a 2 e il rivolgersi a tutti.
In questa polemica e politica il web sembra rendere il senso etimologico della espressione 'quasi': 'come se' (quam si) quasi intimi, quasi amici, anche se poi non necessariamente intimi, né amici per davvero, e anzi pronti ad attaccar briga nella grande arena polemica del web. La situazione che si produce è quella descritta in modo quasi profetico - perché sono riflessioni che risalgono agli albori del web - da Jacques Derrida (1930-2004) che nel suo Politiques de l'amitié ha riflettuto sul carattere ambivalente della figura dell'amico, prendendo l'avvio da una frase che Montaigne attribuisce ad Aristotele: "Amici miei, non c'è nessun amico". Non è, alla fine, qualcosa di simile quello che si produce nel web, dove tutti si danno del tu, come accade agli amici, ma possono esplodere le inimicizie peggiori?
La situazione che viene a crearsi è infatti la seguente: una conversazione a due, come può essere uno scambio di sms, ha sempre come testimone un terzo, che può essere un singolo o anche un milione di follower su Twitter.
Da ciò la conflittualità estrema.
Diversamente dalle parole, gli scritti rimangono, le cose restano lì, non si cancellano, non si può far finta (come avveniva nel mondo pre-web, con uno stratagemma che spesso riusciva e riportava pace) di non averlo detto, di non averlo sentito, o di esserselo dimenticato.
Inoltre, lo scritto - ogni scritto, come insegna La lettera rubata di Poe - ha la caratteristica di poter venire a galla, diversamente da quanto avviene per le conversazioni private, o per i pensieri che ci passano per la mente e che magari noi stessi dimentichiamo. Se però, come nel web, questi scritti arrivano dappertutto, si moltiplica il fenomeno per cui delle interlocuzioni semi-private (e in qualche caso, come per esempio nei blog, dei soliloqui) diventano relazioni pubbliche, anzi, politiche, sebbene in un modo singolare.
Di qui, come ha giustamente sottolineato la filosofa e studiosa di scienze cognitive Gloria Origgi (che si è intrattenuta sul fenomeno dell'aggressività dei post nei blog, tipico esempio di ospitalità ostile: http://gloriaoriggi.blogspot.com/2012/01/la-mort-du-lecteurla-mortedel-lettore.html), l'importanza di una reputation, cioè di un web che garantisca l'affidabilità dell'informazione, è un problema centrale nel momento in cui i social network corrono il serio pericolo di diventare un aggregatore di calunnie e di errori.
Ci si è chiesti a lungo che cosa potrebbe essere l'oggetto dei corsi di 'etica della comunicazione' che proliferarono qualche anno fa.
Adesso forse abbiamo un possibile campo di applicazione. Ma forse basterebbe anche solo un po' di etichetta, anzi, di quello che si chiama netiquette, una guida ai comportamenti sul web. La sua prima regola consisterebbe forse nella richiesta fondamentale di Lello Arena in un vecchio film di Massimo Troisi: se proprio dovete fare degli inciuci, fateli alle spalle, non in faccia, anzi, in Facebook.
YouReporter: giornalismo dal basso
Il sito rivoluzionario di giornalismo che nasce dal basso si chiama YouReporter.
Nato nel 2008 come piccola startup fondata da 2 giornalisti, un avvocato e un informatico, oggi la sua piattaforma di condivisione di video e immagini ha inondato i telegiornali italiani e molte emittenti in tutto il mondo con i resoconti filmati dei fatti di cronaca prodotti da comuni cittadini. Le videotestimonianze postate su YouReporter.it hanno raccontato, prima dell'arrivo degli operatori professionisti delle televisioni, i drammi della Costa Crociera, gli scontri in Val di Susa o i vari terremoti e inondazioni che si verificano nel nostro paese. In questi 7 anni YouReporter ha conosciuto un'inarrestabile crescita, superando nel 2014 i 50 milioni di stream views annue, con oltre 500.000 video caricati e più di 65.000 citizien journalists a lavorare, ripagati solamente dal loro desiderio di informare.
Poi nel marzo 2014 arriva un colosso della borsa a rilevare il pacchetto azionario della piccola azienda. Si tratta in questo caso di RCS che ha acquisito la piattaforma per un'ingente somma, forse 2 milioni e mezzo di euro. Da adesso in poi YouReporter continuerà a esistere come portale autonomo, ma una parte dei suoi contenuti confluirà direttamente sul sito del Corriere della Sera.
Periscope: voyeurismo di massa
In televisione è un fatto scontato che la 'diretta' - magari con i suoi imprevisti, il famoso 'bello della diretta' - venga apprezzata di più dai telespettatori in termini di audience perché percepita come più vera e genuina rispetto alle trasmissioni montate e trasmesse in differita. Anche nei social media adesso sta prendendo piede la diffusione di app per smartphone che permettono il cosiddetto live video streaming ovvero di trasmettere video e audio in diretta. Sono state le startup statunitensi Meerkat prima e poi Periscope che hanno letteralmente sconvolto le regole della piattaforma di microblog Twitter trasformando tutti in videoreporter. Periscope dà lavoro a soli 23 addetti ma trasmette giornalmente 350.000 ore di dirette. Molti i vip che si sono lasciati sedurre dal servizio offerto: fra i suoi 10 milioni di utenti registrati troviamo fra gli altri Fiorello, molto entusiasta e presenzialista, ma anche Jovanotti, Scotti, Zerbi, Savino e lo stesso Emanuele Filiberto, che non si lasciano scappare l'occasione per andare in live video sul web e non in tv come accade di solito.
In realtà la diffusione di queste telecamere perennemente accese sulla nostra vita non fa altro che alimentare, specie nelle nuove generazioni, una sorta di voyeurismo di massa dove viene sacrificata ogni implicazione etica sull'altare della ricerca del successo mediatico: numero di follower e di 'mi piace' insomma sono i nuovi valori in cui credere.