Lesbo, la vocazione per l’ospitalità
L’accoglienza che i migranti hanno avuto sull’isola richiama l’idea già omerica della sacralità dell’ospite come gesto dovuto e riporta l’attenzione sulla patria di Saffo e Alceo, una terra sempre al centro di complesse vicende storiche.
Prima che l’UE comprasse, al prezzo di alcuni miliardi di euro, dall’attuale ‘sultano’ turco il desiderato blocco dei migranti entro il recinto della Penisola anatolica, masse di persone tentavano il passaggio in Europa alla ricerca di una vita migliore, raggiungendo, dalla costa turca, l’isola di Lesbo. In quelle settimane, l’esodo e l’accoglienza generosa, ancorché ardua, che i migranti hanno ottenuto in terra greca richiamarono alla mente fatti e traumi storici di un passato apparentemente lontano. Innanzi tutto l’idea greca – e già omerica – dell’ospitalità. Non paia singolare questa formulazione, giacché Omero racconta non uno ma due mondi, quello greco (gli Achei) e quello della Troade (che i Greci intendono conquistare e saccheggiare): ebbene, su entrambi egli proietta le stesse usanze, la stessa sacralità dell’ospite, dello straniero. Glauco (licio alleato dei Troiani) e Diomede (greco) si scambiano le armi perché i loro antenati erano stati in rapporto di ospitalità. Ma quel passaggio, quel minuscolo braccio di mare, poi precluso a suon di euro, alludeva anche ad altro: ai rapporti, mutevoli nel tempo, tra le due sponde (Lesbo di fronte ad una costa ormai asiatica, un tempo greca). E alludeva anche – in antitesi alla miseria dell’oggi – al grande secolo per eccellenza, al 5° a.C., segnato dall’impero ateniese, di cui Lesbo, Chio e Samo – le 3 grandi isole antistanti l’Asia – erano il nerbo.
Se la storia della civiltà greca è stata, talvolta, raffigurata come un ‘viaggio dello spirito’, si potrebbe dire che tale viaggio era incominciato proprio nell’area ionico-eolica: nella grecità della costa asiatica (Efeso, Mileto, Smirne) e delle grandi isole che abbiamo prima ricordato.
La forma politica dominante era stata, lì, come nel resto della Grecia (tranne Sparta) e in Magna Grecia, quella della ‘tirannide’. Ma il ‘tiranno’ non era ciò che la retorica dei secoli seguenti creò: era innanzi tutto un ‘mediatore’ e aveva dietro di sé, oltre a un clan familiare o interfamiliare, anche una base popolare. Per i clan avversi, ovviamente, egli era il nemico, e quando moriva (non sempre di vecchiaia) si festeggiava. Lesbo, la cui fioritura si pone nei secoli 7° e 6° a.C., fu, a quel tempo, una grande potenza: colonizzò la Troade e il Chersoneso tracio. E vide anche una notevole fioritura culturale, rappresentata per noi soprattutto da 2 grandi nomi, Saffo e Alceo. Figure più diverse sarebbe difficile immaginare: il quasi completo disinteresse di Saffo per ciò che accade intorno (non solo nel «mondo grande e terribile» ma addirittura fuori della porta di casa) ci sconcerta, rinvia a un mondo autosufficiente e socialmente privilegiato; la violenza verbale, il tuffarsi nella lotta politica (cioè nella guerra civile), che i componimenti di Alceo testimoniano, stanno invece a dimostrare quanto periglioso e conflittuale fosse il contesto nel quale la poetessa sognava.
Poi si abbatté su tutti quella crisi epocale, protrattasi per quasi un venticinquennio, che può considerarsi un unico processo – rivolta ionica, prima e seconda invasione persiana miranti a colpire innanzi tutto Atene –, al termine del quale si forma e si impone sulla scena internazionale quell’unicum ideologico-politico-economico che fu l’impero ateniese (478-404 a.C.).
Lesbo, come del resto gran parte degli ‘isolani’, entrò presto a farne parte. E presto si rese conto, sulla propria pelle, di quanto veridica fosse la celebre definizionediagnosi dell’impero (di ogni impero) che Pericle affida (nel II libro tucidideo) al suo ultimo discorso: «L’impero è tirannide». In altre parole: chi tenta di andarsene, magari sbarazzandosi preventivamente e con la forza del governo democratico imposto da Atene, va riportato all’ordine, senza mollezza. Tre episodi memorabili vanno qui ricordati e riguardano la repressione di Samo (441440 a.C.), di Lesbo (428 a.C.) e di Melo (416 a.C.). Tre casi diversi con esiti diversi. Il primo fu trattato direttamente da Pericle e fu una vera e propria guerra, durissima, al termine della quale Samo, tornata sotto il potere ‘popolare’, divenne l’alleato più fedele di Atene.
Il secondo – Lesbo (Mitilene) – esplose poco dopo l’inizio della guerra del Peloponneso (431404 a.C.) e fu determinato dall’illusione, a Mitilene epicentro della secessione, che Sparta sarebbe intervenuta a sostegno del nuovo potere oligarchico, promotore della secessione. Questo non avvenne: Sparta aveva un’idea molto prudente e realpolitica dell’‘internazionalismo’ tra oligarchie. Lo scontro ci fu invece – dopo la sconfitta dei ribelli – all’interno della stessa capitale dell’impero, in Atene davanti all’assemblea. Due linee si affrontarono e l’assemblea popolare votò, in sequenza, due delibere tra loro opposte in merito al trattamento da infliggere ai ribelli: la linea durissima, periclea, propugnata da Cleone, leader della democrazia, fu ribaltata e il massacro in massa dei ribelli non ci fu. Comunque Atene impose nell’isola una cleruchia, cioè vi installò un cospicuo gruppo di coloni, in genere cittadini pleno iure ma non possidenti, ai quali venivano assegnati lotti di terra tolti d’autorità ai vinti. A Melo, nel 416, repressione invece ci fu e anche insediamento di cleruchi. Tutto ciò fu cancellato dalla vittoria spartana al termine della quasi trentennale guerra (aprile 404). L’impero fu sciolto, i cleruchi furono cacciati e tornarono ad Atene come massa immiserita e socialmente inquietante, le terre – a Lesbo, a Melo, a Egina e altrove – furono restituite agli antichi proprietari (quelli ancora in vita, è il caso di dire).
Quando poi l’impero di Atene risorse, a 100 anni dalla nascita del precedente, dopo che le città greche avevano fatto esperienza di quanto aspro fosse il dominio di Sparta, subentrato a quello di Atene per un ventennio, i rapporti di collaborazione si ripristinarono e durarono, in alcuni casi, ben oltre la fine del ‘secondo’ impero. Lesbo aderì anche alla seconda Lega. Nel 334 si alleò con Alessandro Magno.
Quando ormai l’impero di Atene era un ricordo letterario e grandi potenze erano ormai i regni sorti dalla frantumazione dell’impero multinazionale di Alessandro, Lesbo entrò nell’orbita dell’Egitto tolemaico e vi rimase a lungo, per gran parte dell’età ellenistica, finché Roma non sconfisse Antioco III, re di Siria (190 a.C.), impiantandosi via via sempre più saldamente a oriente fino alla creazione, nell’ex regno di Pergamo, della provincia d’Asia.
Ma quando Mitridate sollevò l’Asia contro Roma, Lesbo si schierò con lui, ultimo grande sovrano ellenistico (88 a.C.). E mal gliene incolse (79 a.C.). Da allora si snodò una lunga decadenza, durata tra alti e bassi oltre un millennio. A Lesbo toccò persino l’umiliazione di entrare a far parte del cosiddetto, effimero, impero latino d’Oriente creato nel 1204 dai famelici ‘crociati’ che, anziché in Terrasanta, si sfogarono contro Costantinopoli. Dal 1462 al 1913 Lesbo fu quasi sempre sotto i turchi. E per non farsi mancare nulla subì anche l’occupazione italiana dal 1941 al 1944.
L’isola di tutti
Alaa ha 11 anni ed è di Damasco, Finn ne ha 9 e viene dall’isola di Jersey. Entrambi prendono buoni voti a scuola, amano il rap e giocano al computer. Li divide la fede calcistica: Alaa tifa Real Madrid, Finn è del Manchester United. Anne- Marijn è una 14enne olandese, Birvan ha 24 anni ed è scappata da Aleppo con suo marito e sua madre, che però arrivata a Istanbul non ha potuto proseguire il viaggio. Vuole continuare a studiare archeologia e, un giorno, tornare a fare l’archeologa in Siria. Anche Joana – 7 anni – è di Aleppo e anche Monique – maestra elementare di 54 anni – è olandese: ciascuna ha cantato all’altra una canzone del proprio paese.
12 coppie, ciascuna formata da un turista e un profugo, simbolici ‘rappresentanti’ di 2 universi che si sono incrociati sull’isola di Lesbo. Per gli uni, il luogo delle vacanze e del riposo, per gli altri la Terra promessa che spalancherà le porte dell’Europa.
Dai loro dialoghi è nato The island of all together («L’isola di tutti») dei registi Philip Brink e Marieke van der Velden, un documentario di 23 minuti sottotitolato in 10 lingue che è un incrocio di storie di vita o, come recita il sito dedicato, «un’ode all’umanismo» che mostra «cosa succede quando ci prendiamo il tempo per sederci e parlare l’uno con l’altro, piuttosto che l’uno dell’altro».
2 sedie, un’altalena, una panchina, una sdraio, il mare e le storie di Alaa e di Finn, di Anne-Marijn e di Birvan, di Joana e di Monique, di Archie e di Wissam, di Safi e di Kea. Raccontate a Lesbo, l’isola di tutti come la Lampedusa di Fuocoammare.
Passaggio per l’Europa
L’umanità semplice di Militsa.
Efstratia Mavrapidi (89 anni) e sua cugina Maritsa (85) sono sedute su una panchina: stanno cantando una ninna nanna assieme alla loro amica Militsa Kamvisi (83 anni), che tiene in grembo un neonato siriano e gli porge il biberon. La loro foto, nell’ottobre del 2015, è diventata virale sul web. Gommoni che rompevano le onde e riversavano sulle spiagge fiumi di profughi: a Lesbo – dove Militsa risiede –, a Chio, a Samo, a Kos, isole greche distanti un fazzoletto di mare dalla Turchia, queste scene erano diventate triste e ordinaria quotidianità, soprattutto nella seconda metà del 2015. Massiccio l’afflusso dei siriani, quasi 480.000 nel solo 2015 secondo i dati UNHCR: sono loro che hanno ingolfato la rotta del Mediterraneo orientale, trovando però lungo il tragitto anche tantissimi afghani (più di 209.000), iracheni (poco meni di 88.000) e in misura minore pakistani (oltre 23.000) e iraniani (22.000 ca.). In totale, 856.723 arrivi.
L’accordo con la Turchia.
Non c’è volontà di permanenza in Grecia, l’obiettivo è risalire la rotta balcanica e arrivare nei paesi dell’Europa del Nord, in Germania o magari in Svezia, dove non di rado ci sono parenti emigrati in precedenza. Lungo quel tragitto, però, le speranze dei profughi si sono scontrate con le paure di un’invasione, un fuoco su cui i partiti estremisti hanno spesso versato ulteriore benzina. Così, chi in passato aveva infranto i muri adesso si è messo a erigerli, senza che si riuscisse a dare una risposta a un’emergenza di giorno in giorno più preoccupante. Nonostante le sollecitazioni di Bruxelles, i piani di ricollocazione sono rimasti lettera morta, e anzi più volte Grecia e Italia sono state richiamate a intervenire sulle loro carenze nella gestione della crisi.
Per controllare gli arrivi da Oriente, nel marzo del 2016 l’Unione Europea ha raggiunto un accordo con la Turchia: rimpatrio nello Stato anatolico di tutti coloro che hanno attraversato illegalmente il mare, esame delle domande d’asilo da parte delle autorità di Atene e poi – contenuti i flussi – attivazione di un programma volontario di ammissione umanitaria. Nei primi mesi del 2016, il numero degli arrivi è stato ancora importante; dopo l’accordo, poi, il calo è stato pronunciato:
nella sola Lesbo, le persone sbarcate a luglio 2015 erano state 26.054, diventando poi 51.592 ad agosto e 89.690 a settembre, mentre negli stessi 3 mesi del 2016 sono approdati sull’isola rispettivamente 1115, 1501 e 1095 migranti.
Una situazione ancora difficile.
L’accordo con la Turchia ha però suscitato reazioni da parte delle organizzazioni a tutela dei diritti umani, con l’UNHCR e Medici senza frontiere che hanno annunciato la sospensione di alcune delle loro attività negli hotspot diventati centri di detenzione. Dopo aver avuto accesso agli hotspot/centri di Moria a Lesbo e Vial a Chio, dove a inizio aprile si trovavano circa 4200 profughi, Amnesty International ha denunciato condizioni agghiaccianti anche per categorie di persone particolarmente vulnerabili come le donne incinte, i bambini e le persone con disabilità. Un messaggio di vicinanza è arrivato poi il 16 aprile da papa Francesco, che ha voluto visitare i profughi a Lesbo e ha deciso di portarne con sé 12 a Roma. Gli amministratori locali hanno provato a rassicurare i turisti per la stagione estiva. A Lesbo non sembra essere andata bene: nel mese di agosto, gli arrivi di turisti all’aeroporto di Mitilene sono stati 8078 per 58 voli charter, a fronte dei 16.588 su 124 voli dello stesso periodo del 2015; mentre a luglio si è passati dai 18.373 turisti per 130 voli del 2015 a 6841 arrivi su 47 charter.
Il 20 settembre 2016, nel centro di Moria è divampato un incendio che ha distrutto prefabbricati e tende: alla base di quanto accaduto, ci sarebbero stati gli scontri tra alcuni profughi dopo la diffusione di notizie su un possibile ampio rimpatrio in Turchia. A Moria c’erano allora 4400 migranti, mentre quelli presenti sull’intera isola erano 5300: le capacità di accoglienza di Lesbo non superano però le 3500 unità.