LABARO (λάβαρον, λάβωρον, labărum)
È lo stendardo costantiniano sormontato dal chrismòn (☧), a sua volta circondato da una laurea d'oro. Incerta è l'origine della parola, di cui abbiamo testimonianza soltanto a partire dalla fine del IV secolo.
In sostanza il l. non è altro che il tradizionale vexillum usato dalla milizia romana, caratteristica insegna (v.) delle legioni fin dall'epoca repubblicana (da notare che nell'uso comune la parola italiana, oltre al significato preciso, ha assunto quello di traduzione del latino vexillum: un'asta abbastanza lunga con una sbarra trasversale corta posta in alto, da cui pende una stoffa quadrata, generalmente di porpora). In cima all'asta invece di una mano o di una testa di animale o di un'aquila ad ali spiegate il l. reca il chrismòn incoronato da una laurea d'oro. Da notare che il l. costantiniano aveva il drappo ornato di pietre preziose e che dai margini inferiori di questo pendevano i medaglioni dell'imperatore e dei suoi figli.
Il l. si ricollega al noto racconto della conversione di Costantino e della sua adozione dei simboli cristiani prima dello scontro decisivo con Massenzio. I particolari ci sono forniti da Lattanzio (De mortibus persecutorum, xliv) il quale parla del chrismòn messo sugli scudi, e da Eusebio (Vita Const., xxxviii e xxxi) che descrive il l. visto personalmente.
Sull'adozione del l. da parte di Costantino prima della battaglia dei Saxa Rubra le opinioni degli studiosi non sono concordi. Ci sono comunque testimonianze sicure circa l'esistenza del l. nel 317-320. La storia del l. e della sua fortuna è molto ben documentata dall'archeologia e dalla numismatica. Come il vexillum coll'aquila da emblema di poche legioni si era gradualmente esteso e, soppiantando gli altri simboli, era divenuto l'insegna di ogni legione, così il l., dapprima coesistito agli altri emblemi, si diffonde sempre di più e, un secolo dopo la nascita, al tempo di Onorio (che lo tiene in mano nel dittico eburneo di Anicio Probo, conservato nella cattedrale di Aosta) è usato da tutto l'esercito romano e sopravviverà presso Bisanzio per un altro millennio (v. onorio).
Troviamo il l. in iscrizioni, bassorilievi (specie sarcofagi), monete, ecc. (una rassegna assai ampia di testimonianze archeologiche sul l. è data dal Wilpert). In diversi monumenti il l. appare variamente modificato: senza il drappo; o con le parole della visione (in nomine christi vinces semper) sul drappo (com'è appunto sul dittico di Aosta); o col monogramma, laureato o meno, sul drappo.
Bibl.: P. Franchi de Cavalierti, Il labaro descritto da Eusebio, in Studi Romani, I, Roma 1913, p. 161 ss.; J. Wilpert, Die röm. Mosaiken und Malereien der kirchlichen Bauten, Friburgo, I parte, 1917, p. 28 ss.; Grosse, in Pauly-Wissowa, XII, 1924, cc. 240-42, s. v. Labarum; H. Mattingly, Roman Coins, Londra 1928, tav. LXIII, nn. 7, 9, 10; A. Alföldi, in Journ. Rom. Stud., XII, 1932, p. 9 ss., tav. 4, n. 12.