Vedi LABRAUNDA dell'anno: 1961 - 1995
LABRAUNDA (Λάβραυνδα, forma più recente, ma attestata già in epoca antica, per Λάβραυδα)
Località della Caria (Asia Minore) a N di Milasa. Strabone riferendosi a L. (xiv, 659) dice: "L. è un Villaggio lontano dalla città (Milasa), situato in montagna presso il passo che porta da Alabanda a Milasa. A L. c'è un vecchio luogo di culto ed una statua di Zeus Stràtios. Essa è onorata dal popolo di tutta la regione e dagli abitanti di Milasa; c'è pure una strada pavimentata da circa sessanta stadî dal sacello a Milasa, chiamata strada sacra, perché percorsa dalle processioni sacre. Le cariche ecclesiastiche sono tenute dai cittadini più in vista, sempre a vita. Questi templi appartengono alla città ...". Seguendo la descrizione di Strabone, le rovine del santuario sono state scoperte a circa 15 chilometri a N dell'antica capitale della Caria, circa 700 m sul livello della piana di Milasa, sulle pendici meridionali del massiccio del Latmo. La località è situata in un fertile altopiano, ricco di sorgenti di acqua fresca zampillante dalla roccia lungo il limite N del santuario e popolato come ai tempi di Erodoto (v, 119) da platani, i quali con alberi di noci, fichi e pioppi, fanno un acuto contrasto con le foreste di pini circostanti. Le rovine di Amyzon, recentemente messe in luce, possono essere raggiunte attraverso il passo menzionato da Strabone; Eliano (Nat. anim., xii, 30) e Plinio (Nat. hist., xxxii, 16) descrivendo un pozzo sacro con pesci e anguille nel santuario di Zeus Labrandus confermano la primitiva importanza delle sorgenti.
Labrandèus (Λαμβραυνδεύς al tempo di Mausolo) è il corretto appellativo del dio a L.; altrimenti egli è chiamato Stràtios (Erodoto, Eliano) o Cario (Eliano). Secondo Plutarco (Quaest. Gr., 45) la statua era armata con una scure e non con lo scettro o il fulmine; Eliano menziona solo una spada. Probabilmente ha ragione Plutarco perché a L. si trova la doppia scure scolpita su elementi architettonici. La statua può essere stata simile a quelle raffigurate sulle monete della Caria del IV sec. a. C. e su un rilievo votivo da Tegea al British Museum.
Nel 1948 fu iniziata sotto la direzione di A. W. Persson una campagna di scavi svedese. Essa fu continuata dopo la sua morte (1951) dal G. Saflund, ed è ancora in attività.
Malgrado la sospettata relazione linguistica tra L. e labrys, labyrinthos, i resti del periodo minoico-miceneo sono scarsissimi. Il santuario arcaico comprendeva un tempio in pietra del VI sec., una piazza di fronte al tempio ed un propileo della stessa data. In seguito il recinto fu allargato specie verso S e verso E (in tutto 100 × 200 m), e dopo la metà del IV sec. a. C. l'ingresso fu segnato da due nuovi propilei marmorei. Il percorso della via sacra all'esterno del santuario non è ancora stato rintracciato. All'interno esso può essere seguito dai propilei inferiori fino al propileo arcaico, tramite due grandi gradinate. Gli edifici monumentali messi in luce, molti dei quali appartengono al periodo degli Ecatomnidi (Hekatomnos circa 390-377; Mausolo 377-353; Artemisia 353-351; Idrieus 351-344; Ada 344-341; Pixodaro 334) sono disposti su quattro grandi terrazze. Il marmo usato per alcuni di essi fu probabilmente estratto vicino a Milasa.
Nel terrazzo inferiore si notano i propilei meridionali (1; si veda la pianta) costruiti in marmo biancastro, di stile ionico, con due colonne in antis e tre passaggi. Sull'architrave è una dedica di Idrieus.
Attigua ai propilei è la cosiddetta casa dorica (2) probabilmente una fontana, con quattro colonne lisce in antis, facciata di marmo, muri di pietra lisci; spostata per franamento del terreno, la parete occidentale è scivolata verso occidente. Sull'architrave è una dedica di un ignoto, figlio di Hekatomnos (leppesen, 1958, fig. 62). Presso il limite orientale del terrazzo sono i propilei orientali (3) quasi simili a quelli meridionali. Fra la casa dorica ed il propileo orientale fu trovato un complesso (4) di datazione più tarda (terme). Ad occidente dei propilei meridionali sono i resti non scavati di un lungo edificio in conci (5), forse dei magazzini; più ad occidente ancora resti non scavati di una struttura semicircolare (6). Di fronte ai propilei meridionali, a N-O di questi è il cosiddetto òikos (7), formato da una cella ed un porticato con due colonne in antis, costruito in conci lisci. Ancora a N sono i resti non scavati di un lungo edificio (8), in conci grezzi, che forma il lato settentrionale del recinto dei propilei: forse si tratta di magazzini o di botteghe. A S-E dei propilei meridionali è la cosiddetta sala delle abluzioni (9). Tramite una gradinata larga 12 m, accessibile dai propilei, si accede al secondo terrazzo in cui si notano resti di un edificio (10) simile come pianta alle sale marmoree per banchetti della terrazza superiore, ma costruito in conci poveramente lavorati.
Il terzo terrazzo, sostenuto da un muro di terrazzamento in conci lisci, conteneva: l'andron (sala per banchetti) di Mausolo (11), formato da un'aula con esedra rettangolare nel muro di fondo, porticato con due colonne ioniche in antis e trabeazione dorica (ordine composito). La facciata è di marmo biancastro, i muri sono formati da conci lisci, in quelli divisori ed in quello meridionale erano aperte delle finestre. Lungo il muro settentrionale si nota una serie di piccole stanze, forse cucine. Sull'architrave è una dedica di Mausolo a Zeus Labrandèus (Laumonier, 1936, p. 314, fig. 24, tav. xl; Jeppesen 1958, p. 91, fig. 61). Questo edificio era probabilmente usato durante le feste ed i sacrifici che si celebravano ogni anno (in una di queste occasioni si attentò alla vita di Mausolo; cfr. C. I. G., 2691 e). Lungo il bordo meridionale del terrazzo si nota un porticato (14) e un altro (15), dedicato da Mausolo (iscrizione) ma restaurato al tempo di Traiano (iscrizione), lungo il bordo settentrionale.
Tra questi due porticati, addossati all'estremità orientale del secondo, sono le fondamenta del propileo arcaico (16). Di fronte a queste, all'estremità occidentale dei porticati è il tempio di Zeus Labrandèus (17) di cui restano le fondamenta arcaiche in conci irregolari con grappe a coda di rondine. L'elevato arcaico fu demolito e sostituito da un periptero classico, di marmo biancastro, in stile ionico, simile ai propilei meridionali. Sull'architrave è una dedica di Idrieus a Zeus Labrandèus.
Ad occidente del tempio sono gli òikoi (18) consistenti in due celle di dimensioni diverse affacciantisi su un comune porticato con quattro colonne doriche in antis; la facciata è in marmo e le pareti in conci lisci. Sull'architrave è una dedica di Idrieus a Zeus Labrandèus (Dahlen, 1956, p. 41). Attiguo a questo edificio è un altro edificio (19) simile per pianta e alzato all'andron di Mausolo, ma con le finestre su entrambi i lati; all'interno, lungo i muri della cella è una bassa piattaforma su cui forse erano i letti dei cortigiani durante le feste. Iscrizione sull'architrave (Laumonier 1936, p. 312, tavv. 37-39).
Altri trovamenti minori: un capitello ionico, arcaico, forse da un monumento votivo; numerosi blocchi di architettura, che permettono una ricostruzione della maggior parte degli edifici; un'esedra di fronte al propileo arcaico. Sono stati rinvenuti numerosi frammenti di ceramica greca; resti di iscrizioni greche (una delle quali si riferisce ad un trattato fra Mausolo e Cnosso); iscrizioni in lingua caria per lo più graffite; un frammento bronzeo di una kline; un cammeo del IV sec. e poche sculture. Iscrizioni di carattere amministrativo e storico si trovano sulle ante degli edifici principali.
Bibl.: Ganszymiec, in Pauly-Wissowa, XII, 1924, c. 267, s. v. Labraundos; A. Laumonier, Archéologie Carienne, in Bull. Corr. Hell., LX, 1936, pp. 303-317; A. W. Persson, Swedish Excavations at Labranda, 1948, Kungl. Human. Vetenskapssamfundet i Lund, Arsber., 1948-49, pp. 24-32; id., De svenska utgrävningarna i Labranda, Årsbok Kungl. Vetenskaps Societeten i Upsala, 1950, pp. 53-68; G. Säflund, Ett labrandafynd, Arkeologiska forskningar och fynd, 1952, pp. 37-40; id., Karische Inschriften aus Labranda, in Opuscula Atheniensia, I, 1953, pp. 119-205; K. Jeppesen, Labraynda. Swedish Excavations and Researches, vol. I, part I: The Propylaea, in Acta Inst. Ath. Regn. Suec., 4°, V, I: i (cfr. Fasti Arch., XII, 1959, n. 4177); I. Dahlen, Fragments of a Kline from Labranda, in Opuscula Atheniensia, II, pp. 37-46; G. Säflund, The Swedish Excavations at Labranda, 1953, in Türk Arkeoloji Dergisi, VI, i, 1956, pp. 45-56; K. Jeppesen, Paradeigmata, in Jutland Arch. Soc. Publ., IV, Aarhus 1958, p. 91 ss.; J. Crampa, The Greek Inscriptions of Labraynda, in Opuscula Atheniensia, III, 1960, pp. 99-104.