Ladri di biciclette
(Italia 1947, 1948, bianco e nero, 92m); regia: Vittorio De Sica; produzione: Vittorio De Sica per PDS; soggetto: Cesare Zavattini, dall'omonimo romanzo di Luigi Bartolini; sceneggiatura: Oreste Biancoli, Suso Cecchi d'Amico, Vittorio De Sica, Adolfo Franci, Gherardo Gherardi, Gerardo Guerrieri, Cesare Zavattini; fotografia: Carlo Montuori; montaggio: Eraldo da Roma; scenografia: Antonio Traverso; musica: Alessandro Cicognini.
Roma, pochi anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Antonio Ricci, disoccupato, vive in un quartiere periferico della città con la moglie Maria, il figlioletto Bruno e una figlia neonata. Finalmente trova lavoro come attacchino municipale, impiego per il quale è necessaria la bicicletta, che Antonio e Maria riescono a riscattare dal monte di pietà. Ma già il primo giorno di lavoro la bicicletta di Antonio viene rubata. Avvilito, l'uomo chiede consiglio a Baiocco, un netturbino che gli promette di aiutarlo. Il giorno seguente Antonio, insieme a Bruno, Baiocco e altri spazzini, inizia a battere i mercati romani dove i ladri vendono la refurtiva. La ricerca è infruttuosa; Antonio e il bambino rimangono soli a Porta Portese, sotto un violento nubifragio. Antonio intravvede il ladro in sella alla sua bicicletta e si lancia all'inseguimento, ma il ragazzo si dilegua. Ormai disperato, Antonio decide di rivolgersi a una veggente cui la moglie è devota: l'incontro è inutile, ma uscendo dalla casa della santona di nuovo Antonio e Bruno si imbattono nel ladro e lo inseguono sino a casa sua, dove vengono accerchiati dalla folla ostile dei vicini. Bruno chiama un carabiniere, che però, senza prove, dichiara di non poter far nulla. Antonio e Bruno se ne vanno umiliati e, dopo un lungo pellegrinare casuale, finiscono di fronte allo stadio, dove si sta disputando una partita. Antonio afferra una delle tante biciclette dei tifosi e scappa, ma viene subito acciuffato dal proprietario e da alcuni passanti: questi vorrebbero denunciarlo, ma, di fronte al pianto del piccolo Bruno, il proprietario decide di lasciar perdere. Padre e figlio si incamminano verso casa, mischiandosi alla folla.
Ladri di biciclette rappresenta, per molti versi, il centro ideale del neorealismo cinematografico italiano. Il film di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini (per quanto alla voce 'sceneggiatura' si affollino molti nomi, il lavoro fu svolto essenzialmente da quest'ultimo, con il quale De Sica formò uno dei sodalizi più duraturi e produttivi nella storia del cinema italiano) possiede tutte le caratteristiche di fondo del movimento: ambienti reali, attori non professionisti, una vicenda drammatica sulla durezza della vita quotidiana delle classi popolari. Non che Ladri di biciclette sia esteticamente più compiuto di altri capolavori neorealisti, da Roma città aperta di Rossellini a La terra trema (1948) di Visconti: ma certo il film di De Sica incarna nell'immaginario collettivo internazionale (vinse l'Oscar come miglior film straniero) la quintessenza del neorealismo. Tale 'centralità' dipende anche dal fatto che il film appare una sorta di radiografia dell'Italia nel cruciale 1948, anno che vide il paese violentemente spaccato in due, tra Fronte popolare e Democrazia cristiana, alle elezioni del 18 aprile. Antonio si imbatte in una serie di situazioni e personaggi rappresentativi del clima sociopolitico dell'epoca: la stazione di polizia, con il reparto Celere che parte alla volta di un comizio; la riunione della cellula sindacale; le dame di carità che offrono un pasto ai poveri, ma solo dopo che questi hanno ascoltato la messa; i ricchi del tavolo accanto nella trattoria, il cui lauto banchetto, innaffiato dallo spumante, lascia esterrefatti Antonio e Bruno. Attraverso la lunga 'passeggiata' romana alla ricerca della bicicletta emerge uno spaccato ricchissimo della vita italiana del dopoguerra, con i suoi drammi e suoi piccoli eroismi, tra i segni del conflitto da poco terminato e i segnali di una rinascita che sta per arrivare. E la vicenda di Antonio è tanto più tragica, quanto più il personaggio sembra essere incapace di far parte di quel 'miracolo italiano' che sta per avere luogo.
Il film fu salutato con particolare entusiasmo da André Bazin: agli occhi del padre spirituale della Nouvelle vague Ladri di biciclette rappresenta un modello di cinema 'senza cinema', capace di far passare la realtà sullo schermo senza mediazioni: "Ladri di biciclette è uno dei primi esempi di cinema puro. Niente più attori, niente più storia, niente più messa in scena, cioè finalmente, nell'illusione estetica perfetta della realtà: niente più cinema". Certo Ladri di biciclette, nel contesto del cinema iperstilizzato degli anni Trenta-Quaranta, presenta inediti elementi di realismo: inoltre, sul piano della costruzione drammaturgica il film obbedisce alla teoria zavattiniana del 'pedinamento', per cui la macchina da presa segue i personaggi come in tempo reale (l'ultima mezz'ora del film è quasi completamente priva di salti temporali). Lo stesso soggetto è di una banalità disarmante, apparentemente materia insufficiente a un film; la grandezza di De Sica e Zavattini è proprio qui, nella loro capacità di conquistare lo spettatore con una vicenda minimale. Ma a ben guardare, Ladri di biciclette non è affatto 'film senza film': se lo spettatore ne viene conquistato è perché dietro c'è un lavoro sapiente di scrittura, una scrittura che ‒ come sempre in ogni forma di arte realista ‒ punta a negare la propria presenza, a travestire l'artificio stilistico da 'realtà'. Dunque l'opera di De Sica, momento nodale dell'esperienza neorealista, è anche un film che preannuncia una svolta. Alcuni personaggi secondari del film (la santona, gli amici di Baiocco) anticipano quell'ibrido tra farsa e tragedia, tra riso e denuncia sociale, che rappresenterà il tratto distintivo della futura commedia all'italiana.
Interpreti e personaggi: Lamberto Maggiorani (Antonio Ricci), Enzo Stajola (Bruno Ricci), Lianella Carell (Maria Ricci), Gino Saltamerenda (Baiocco), Vittorio Antonucci (ladro), Elena Altieri (patronessa di beneficenza), Ida Bracci Dorati ('santona'), Carlo Jachino (vecchio mendicante), Sergio Leone (seminarista), Memmo Carotenuto.
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Sceneggiatura: in "L'avant-scène du cinéma", n. 430, mars 1994.