TRASIMENO, Lago (A. T., 24-25-26 bis)
Il maggiore bacino lacustre dell'Italia centrale, nell'Umbria, situato a una latitudine media di 43°9° N. e a una longitudine media di 12°5′ E., a un livello di circa 258 m. s. m.; esso copre una superficie di 128,66 kmq. ed ha forma irregolare, tondeggiante, con un perimetro di 54 km. e una larghezza massima di km. 15,5. Il Trasimeno è considerato da alcuni come un lago pliocenico o postpliocenico analogo a quelli che coprivano altri bacini intermontani dell'Italia centrale (Val Tiberina, Valle Umbra, bacino di Gubbio, ecc.), e sopravvissuto ad essi. Sembra, invece, che la sua origine sia più recente, e si debba, almeno in parte, al sovralluvionamento di alcuni fiumi e ad un incompleto scolo delle acque. La sua conca è stata soggetta fino a tempi recentissimi a un regime idrografico assai irregolare.
Il Trasimeno ha un bacino imbrifero di 294 kmq., assai piccolo relativamente all'ampiezza dello specchio lacustre. La linea spartiacque, che passa sui colli e sui poggi che lo circondano (meno che a NO.), non si allontana mai dalle rive del lago più di 6-7 km.: per gran parte del perimetro si mantiene, anzi, a una distanza dl soli 2-4 km. Le parti più elevate di tale bacino, che rientra quasi tutto in territorio umbro, sono formate superficialmente da depositi lacustri del Pliocene (Colli di Chiusi), a oriente da arenarie e da argille marnose probabilmente eoceniche. Le parti basse, invece, sono ricoperte da una coltre di depositi fluviali del Quaternario antico, cui sono sovrapposti, nella fascia più prossima alle rive del lago, depositi fluviali recenti. Le maggiori altezze si trovano a nord del lago (M. Castiglione, 802 m.).
Il Trasimeno, privo di emissario naturale, ha un emissario artificiale, il quale attraversa in galleria le colline che cingono il lago tra S. Savino e M. Petreta e per mezzo del fosso dell'Anguillara, il Caina e il Nestore lo mette in comunicazione col Tevere. Prima della costruzione di tale emissario, il quale fu inaugurato nel 1898 e sostituì un antico emissario artificiale che da secoli non funzionava più, la parte più bassa del bacino era soggetta a rovinosissime inondazioni, che distruggevano i raccolti ed erano fomite di malaria; bagnasuga venivano chiamati i terreni periodicamente inondati, da lungo tempo ormai messi stabilmente a coltura.
Il Trasimeno è poco profondo (massimo 6 m. in una piccola zona centrale sull'allineamento Castiglione del Lago-Passignano); la maggior parte del lago, che ha un fondo assai regolare, pressoché orizzontale, non presenta profondità superiori ai 4-5 metri. Vi sorgono tre isolette: Polvese (0,54 kmq.), Maggiore (0,11 kmq.) e Minore (0,05 kmq.). Il lago è soggetto a oscillazioni di livello che al massimo raggiungono l'ampiezza di m. 1,80. P. Frosini ha messo in evidenza come non vi sia corrispondenza tra il regime degli afflussi e quello dei livelli, e pensa che ciò si debba ad un'alimentazione tardiva, prodotta dalle falde acquifere esistenti nelle valli del torrente Macchia e del torrente Tresa, dove un tempo si estendeva il lago e che ora versano i loro deflussi superficiali nell'Arno attraverso la Val di Chiana.
La temperatura delle acque, sia in superficie, sia in profondità, è in media, per tutti i mesi, superiore ai 4°; essa risente molto, come ben s'intende, delle variazioni termiche dell'aria, e così in superficie si hanno 4°,9 a gennaio e 25°,5 a luglio; in profondità le temperature sono lievemente inferiori (pochi decimi di differenza) e presentano anch'esse una forte amplitudine annua; nei mesi freddi è frequente l'inversione delle temperature. La scarsa profondità del lago e la sua alimentazione quasi esclusivamente pluviale (vi si versano una cinquantina di piccoli torrenti tra i quali il torrente Macerone, presso cui avvenne la battaglia tra i Cartaginesi e i Romani; mancano sorgenti di qualche importanza) spiegano le forti variazioni termiche cui esso va soggetto.
Quando spira la tramontana oppure il ponente o il maestro, il Trasimeno è soggetto a forti burrasche. Il ponente nell'estate soffia regolarmente nelle ore pomeridiane fino verso la mezzanotte, e rinfresca l'aria in modo sensibile.
La scarsa influenza che ha sul clima delle regioni circostanti a causa della piccola profondità e le inondazioni che devastavano le zone rivierasche e le rendevano malariche, fecero sì che il Trasimeno non esercitasse attrazione sull'uomo; le parti basse delle zone rivierasche, infatti, sono pochissimo popolate, fuorché nella sezione settentrionale, meglio drenata; i pochi centri sorti sulle rive (Castiglione del Lago, Passignano, Monte del Lago, ecc.) sono tutti costruiti su promontorî rocciosi che le colline circostanti spingono verso il lago.
Più volte, nei tempi passati, si è progettato di prosciugare il Trasimeno o per lo meno di ridurne la superficie; tali progetti diedero luogo a lunghe polemiche, che cessarono dopo la costruzione del nuovo emissario.
Bibl.: A. Minelli, Contributi ad uno studio geografico sul Lago Trasimeno, Roma 1928 (con ricca bibliografia); F. Eredia, La variazione annuale della temperatura del Lago Trasimeno, in Atti del Congresso Intern. di limnologia teorica e applicata, Roma 1927, pp. 292-296; P. Frosini, Studi idrologici sul Lago Trasimeno, ibid., pp. 309-324; O. Polimanti, La limnologia del Lago Trasimeno, ibid., pp. 533-535; L. Luiggi e G. Ugolini, Sul possibile miglioramento delle condizioni idrauliche, agricole e sanitarie del Lago Trasimeno, in Ann. dei lavori pubbl., 1928, pp. 677-709; P. Frosini, Sul regime idraulico del Lago Trasimeno, in Boll. del Comit. naz. ital. geodetico e geofisico, Pisa 1930, pp. 117-148.
Fauna. - La grande superficie e la piccola profondità del Trasimeno, ne fanno una sorta di amplissimo stagno, dalle acque notevolmente pure; poiché il fondo si estende come un grande tavolato uniforme, piatto, con debolissima pendenza, ovunque circuito da rive quasi regolarmente piane e uniformi, la regione ecologica, che corrisponde alla pelagica, vi occupa una notevolissima estensione. L'uniformità corografica del Trasimeno offre una sola eccezione nel Golfo della Valle, con fondo ricco di vegetazione sommersa, acque chiare, trasparentissime, molto ossigenate, quasi deserte di vita. In tutto il resto del lago l'uniformità delle condizioni induce una grande monotonia della fauna, ovunque composta degli stessi elementi, negli stessi periodi dell'anno. Carattere dominante è il piccolo numero delle specie rispetto al grandissimo numero degl'individui che rappresentano la fauna planctonica. Al plancton animale del Trasimeno appartengono le seguenti forme; fra i Rotiferi: Keratella cochlearis e K. quadrata, Asplanchna priodonta, Notholca longispina, Cathypna luna, Monostyla cornuta, Polyarthra platyptera, Triarthra longiseta, Pompholyx sulcata, Pterodina patina, e almeno un Brachionide. Le Keratella (Anuraea) presentano un curioso e interessante ciclo stagionale. Fra i Cladoceri: le Dafnie importate dal Woltereck non hanno sopravvissuto a lungo nel Trasimeno; vi prosperano invece la Leptodora hyalina, la Bosmina longirostris (studiata da T. Stolz Picchio), il Diaphanosoma brachyurum (studiato da E. Di Capua). Fra le specie di Cladoceri rivieraschi sono abbondanti le Alona, che offrono serî problemi sistematici (A. quadrangularis?; A. rectangula?), i Chidoridi, i Simocefali. Rare compaiono le Ceriodafnie. Fra i Copepodi è notevolissima la forma locale di Eudiaptomus vulgaris trasimenicus e molto interesse meritano il Cyclops serrulatus, il C. Leuckarti, il C. albidus (fu anche segnalato il C. fuscus).
Fra questi componenti dello zooplancton (abbiamo ricordato solamente i principali) il posto d'onore spetta alle forme partenogenetiche che tanto fra i Rotiferi quanto fra i Cladoceri presentano annualmente parecchi cicli riproduttivi, talora strettamente sovrapposti; la diffusa spanandria delle forme partenogenetiche trasimeniche sembra costituire uno dei caratteri tipici di quel limnobio, insieme con il carattere di esplosività della loro comparsa. Nel Trasimeno, in conseguenza delle sue stesse condizioni ecologiche, non allignano forme rigorosamente stenotermiche e le specie dotate di una stenotermia relativa, come i Diafanosomi, le Leptodore, i Diaptomi, costituiscono particolari società dotate di una vita effimera. Le altre forme di organismi, dotate di ampia tolleranza, rispondono alle oscillazioni delle medie termometriche con un interessante polimorfismo. Il Trasimeno è dunque un lago planctonicamente ricco; così anche la sua ittiofauna è abbondante e qualitativamente molto pregiata; pesce caratteristico è la Lasca (Leuciscus trasimenicus), apprezzatissima dai buongustai, la cui produzione annua è molto variabile e poté salire anche ai 1700 quintali. Buoni redditi alla pesca dànno anche l'Anguilla, il Luccio, la Carpa, la Tinca, la Scardola (Scarpata, Scardinius erythrophtalmus), l'Albo (Leuciscus aula). Alquanti danni alla compagine ittica del Trasimeno ha portato il Persico sole (Eupomotis aureus), vorace distruttore di uova di Lasca. I Cefali, introdotti nel lago, non hanno potuto sopravvivere a invernate eccezionalmente rigide, in cui l'intero specchio dell'acqua libera si coperse di ghiaccio. Sorge sul Trasimeno una R. Stazione idrobiologica, in Monte del Lago, fondata da O. Polimanti.
Bibl.: P. Pasquini, La distrib. vert. e orizz. del plancton del Lago Trasimeno, in Riv. di biol., V (1923); id., Nuova serie di ricerche sul plancton del Lago Trasimeno, in Boll. Ist. zool. univ. Roma, II (1924); id., Per una maggiore conoscenza della faunap elagica del Lago Trasimeno, in Rend. Lincei, XXXIII (1924); E. Baldi, Il diaptomide trasimenico, in Intern. Rev. Hydrobiol., XXV (1931); id., Società limnetiche nel Trasimeno, in Riv. di biol., XIV (1932); id., Schizzo della fauna limnetica del Trasimeno, in Verh. intern. Ver. f. Limnologie, VI (1933).
Battaglia del Lago Trasimeno.
Nel 217 a. C. i Romani, giudicando perduta con la battaglia della Trebbia la Valle Padana, deliberarono di difendere contro Annibale l'Italia media e, non sapendo da quale parte egli l'avrebbe invasa, postarono con due legioni il console Gneo Servilio a Rimini, con due altre il console Caio Flaminio ad Arezzo. Annibale, varcato l'Appennino a nord dell'Arno e passato l'Arno senza che il console, non bene informato delle sue mosse, vi potesse porre ostacolo, invase e devastò la Toscana movendo in direzione di Cortona, e poi a sud di Cortona, invece di procedere, come si temeva, verso Roma nella direzione della Via Cassia, piegò ad oriente rasentando la sponda settentrionale del Lago Trasimeno in direzione di Perugia. Egli marciava evidentemente alla volta dell'esercito del console Servilio che, messo sull'avviso da Flaminio, moveva a grandi giornate verso il mezzogiorno per la Via Flaminia col proposito di congiungersi col collega e aveva mandato innanzi, a richiesta di lui, la cavalleria. Flaminio infatti, che disponeva di due legioni, forti di circa 24.000 uomini, era numericamente assai inferiore ad Annibale che ne aveva 40.000 o più. E però, pur seguendo da vicino Annibale, aveva dovuto lasciargli devastare impunemente il territorio etrusco nell'attesa di congiungersi con le legioni di Servilio. La mossa di Annibale, incuneatosi arditamente tra i due eserciti romani, l'obbligava a seguire da vicino i Cartaginesi per impedire che essi potessero sorprendere e battere separatamente le truppe di Servilio; Annibale, prevedendo che Flaminio lo avrebbe seguito sulla via tra i monti e il Lago Trasimeno, dispose sopra un punto di questa via un agguato per cogliere di sorpresa i Romani.
Nonostante la chiara ed ampia descrizione di Polibio, si è discusso molto tra i moderni intorno al sito preciso della battaglia. Tutto però sembra mostrare che esso va cercato nella pianura che si stende per una lunghezza di circa cinque km. e una profondità media di tre, tra i monti e la sponda settentrionale del lago. Questa è chiusa ad oriente dal poggio di Montigeto e divisa in due lobi dai contrafforti del Monte Castelluccio, su uno dei quali sorge il villaggio di Tuoro. Vi si accede da occidente per lo stretto Passo di Borghetto tra le falde del Monte Gualandro e il lago.
Annibale all'estremità della valle sulle pendici del colle di Montigeto aveva collocato il grosso della fanteria ibera e libica, sui margini montuosi del lobo orientale della pianura aveva nascosto i fanti leggieri e i frombolieri balearici, su quelli del lobo occidentale tra il Castelluccio e lo sbocco del Passo di Borghetto i Galli e la cavalleria, ordinando a questa di chiudere il passo non appena l'esercito romano fosse penetrato nella valle.
Ignaro delle insidie preparate dal nemico, Flaminio, il quale per la grande superiorità della cavalleria cartaginese (per questo appunto aveva chiesto d'urgenza il rinforzo della cavalleria di Servilio) non aveva apprestato un servizio efficace di ricognizione, si inoltrò di buon mattino oltre il Passo di Borghetto. La mattinata nebbiosa gl'impedì di avvistare gli agguati; e le truppe romane erano ammassate ad oriente del passo, mentre la testa delle legioni in formazione di marcia si accostava al colle di Montigeto, quando finalmente si avvidero del nemico il quale immediatamente sferrò l'attacco cercando di chiudere i due ingressi della pianura. La battaglia era già perduta anche prima che si iniziasse. La sorpresa, l'inferiorità del numero, la posizione sfavorevole, l'impossibilità di ordinarsi regolarmente a battaglia spiegano la sconfitta e solo al singolarissimo valore romano si dovette se la resistenza si protrasse per tre ore. Il console cadde sul campo, 6000 Romani riuscirono ad aprirsi la via oltre il Montigeto, ma poco dopo, raggiunti e circondati dai vincitori cartaginesi, dovettero abbassare le armi. I Romani perdettero 15.000 uomini circa tra morti, feriti e prigionieri; il resto che vien computato a circa 10.000 uomini si salvò alla spicciolata in Roma o nelle città italiche. Dei nemici non perirono che 1500 uomini, per la maggior parte Galli.
La tradizione è unanime nel biasimare l'improntitudine di Flaminio nell'inseguire Annibale e il suo timore dei clamori popolari se lasciava libero il cartaginese di muovere su Roma. In realtà Annibale, abbandonando la direzione della Via Cassia per seguire la via tra Cortona e Perugia, non moveva punto su Roma, e Flaminio non fece che il suo dovere tenendogli dietro per impedire che battesse separatamente il collega. La fretta ansiosa del suo inseguimento, dovuta appunto a questo timore, spiega, non giustifica il difetto assoluto di vigilanza per cui incappò nell'agguato tesogli dal geniale avversario. La battaglia fu combattuta, secondo i Fasti di Ovidio, il 21 giugno del calendario romano. Molte considerazioni dimostrano che questa data non può allontanarsi che di pochi giorni dalla effettiva data giuliana. Le conseguenze morali e materiali della disfatta furono gravissime, ma essa dimostrò anche la saldissima compagine della federazione che si stringeva attorno a Roma, nessuna città alleata avendo ceduto ai vincitori, e l'incrollabile volontà di resistenza del senato e del popolo romano.
Fonti: Polibio, III, 82-85; Livio XXII, 4-7; Appiano, Hannib., 8; Zonara (Cassio Dione), VIII, 25; cfr. G. Egelhaaf, Vergleichung der Berichte des Polybius und Livius über den italischen Krieg der Jahre 218-217, Lipsia 1879, p. 509 segg.; U. Kahrstedt, Geschichte der Karthager von 218-146, Berlino 1913, p. 191 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, 11, Torino 1917, p. 188 seg.
Bibl.: H. Nissen, Die Schlacht am Trasimenus, in Rhein. Museum, XXII (1867), p. 565 segg.; C. Neumann, Das Zeitalter der punischen Kriege, Breslavia 1883, p. 332 segg.; Th. A. Dodge, Hannibal, Boston 1891, p. 299 segg.; G. B. Grundy, The Trebia and lake Trasimene, in The Journal of Philology, XXIV (1896), p. 83 segg.; B. W. Henderson, The site of the battle of lake Trasimene, ibid., XXV (1896-97), p. 112 segg.; XXVI (1898-99), p. 203 segg.; T. Montanari, Annibale, Rovigo 1900, p. 559 segg.; V. E. Pittaluga, Annibale dal Ticino al Trasimeno, in Rivista militare italiana, 1908, disp. 6a; T. Ashby, The battle of lake Trasimene, in The Journal of Philology, XXXI (1908), p. 117 segg.; E. Sadée, Der Frühjahrsfeldzug des Jahres 217 und die Schlacht am trasimenischen See, in Klio, IX (1909), p. 48 segg.; F. Reuss, Das Schlachtfedl am trasimenischen See, in Rhein. Museum, n. s., LXV (1910); J. Fuchs, Die Schlacht am trasimenischen See, in Zeitschrift für die österreich. Gymnasien, LXII (1911), p. 97 segg.; P. Groebe, ibid., pag. 590 segg.; L. Pareti, Contributi per la storia della guerra annibalica, in Rivista di filologia, XL (1912), pagina 383 segg.; J. Kromayer, Antike Schlachtfelder, III, i, Berlino 1912, p. 148 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, III, ii, Torino 1917, pp. 37 segg., 109 segg.; Kromayer-Veith, Schlachten-Atlas, I, Röm. Abt., Lipsia 1922, pp. iv, 2.