LAGOPESOLE
Castello a monte dell'omonimo abitato, su una derivazione del massiccio del Vulture tra le valli del Bradano e del Basento, od. frazione del comune di Avigliano (prov. Potenza).Né la raccolta e pubblicazione di quasi tutti i documenti e le testimonianze scritte che riguardano il castello, fatta già al principio del Novecento (Fortunato, 1902), né prolungati restauri avviati con il passaggio del castello alla Regione Basilicata (1969) e da poco conclusi, né scavi archeologici effettuati in quel contesto nel corso degli anni Settanta nell'area del cortile piccolo hanno sino a oggi indotto una plausibile ricostruzione della vicenda costruttiva dell'enorme e allungato quadrilatero murario con i lati maggiori in direzione N-S, con ali di edifici a due piani che ne accompagnano il perimetro interno per i due terzi settentrionali, mentre il terzo meridionale, chiuso da un muro in corte separata, presenta costruzioni solo lungo il lato orientale, ma contiene in posizione decentrata il piccolo mastio quadrato a due piani, impostato su assi leggermente sfalsati rispetto a quelli del castello.Una fortificazione in quel luogo è già ricordata nel 1128 e 1129, quando vi si rifugiava Ruggero II nel corso di ostilità con la feudalità locale; ma pochi anni dopo (1137) pare non fosse agibile perché i nobili e prelati che vi si radunarono con l'imperatore Lotario II e papa Innocenzo II alloggiavano tutti in tende e padiglioni. Questa situazione documentaria ha, in genere, indotto a ritenere la costruzione del castello attuale condizionata da tale preesistenza in corrispondenza del cortile piccolo, nel quale, con sottolineature diverse, veniva individuato il nucleo fortificato più antico, e a giudicare addizione federiciana il grande cortile settentrionale con le costruzioni che lo attorniano.Ma il dato che subito si impone è la sostanziale coerenza del circuito murario esterno di L., attraversato uniformemente, poco al di sotto della metà dell'altezza totale, da una vistosa cesura che lo divide in una zona superiore relativamente ben apparecchiata in modulo costante medio-grande e leggermente bugnato, nella quale si inseriscono coerentemente le aperture, e una zona inferiore in muratura non apparecchiata, in materiale lapideo diverso e non omogeneo, con pietre molto più piccole e sommariamente sbozzate. In questa zona le aperture che fanno riferimento all'assetto duecentesco del castello, prima tra esse la postierla all'estremità settentrionale del lato lungo orientale, con arco acuto accuratamente apparecchiato in grandi conci a martello, si inseriscono in rottura. Poiché tale stratificazione non trova corrispondenza nei prospetti delle ali edificate interne, ove murature irregolari e trasandate, con segni di singole e limitate riprese di epoche diverse, appaiono però sostanzialmente unitarie, la struttura dell'oppidum o dei castra documentati al principio del sec. 12° pare configurarsi come cinta rettangola con spessi rinforzi a dente in corrispondenza degli angoli e degli ingressi che racchiudeva un'area molto estesa, ma sostanzialmente priva di costruzioni interne. È un tipo di struttura che corrisponde a modalità fortificatorie note per l'età mediobizantina in area microasiatica e che ben spiegherebbe perché il papa, l'imperatore, nobili e prelati in essa convenuti con il loro seguito dimorassero in attendamenti. Fatta salva la corretta interpretazione delle risultanze dello scavo, a tutt'oggi poco chiare e non pubblicate, un primo intervento interno pare doversi leggere nell'ala di costruzioni che si addossa al tratto meridionale del lato orientale, comprendendo non solo quanto è interno al cortile piccolo, ma anche la metà orientale dell'attuale cappella e il vano a N di essa. Caratteri tardonormanni, come il gruppo delle tre sale absidate che al piano superiore è costituito dall'invaso orientale della cappella con i due vani attigui coperti a botte, o l'angusto corridoio in spessore di muro che, sempre al piano superiore, collega le successive stanze a S, si mescolano a tratti protosvevi soprattutto nelle imposte dei pilastrini quadrangoli che reggono le volte a crociera nervata e nelle chiavi che le suggellano.Questo era forse lo stato del castello nel 1239, quando risulta affidato a un signore a nome Riccardo che prendeva in consegna il prigioniero milanese Giacomo della Torre. Al principio degli anni quaranta L. passò al demanio e solo da allora è lecito pensare alla ristrutturazione sveva. Nel 1242 e 1250 Federico II e nel giugno del 1259 Manfredi sostarono nei pressi del castello, ciò che potrebbe indicare i lavori non ancora iniziati, o, più probabilmente, in una fase che lo teneva ancora impraticabile; Manfredi vi soggiornò invece nel settembre successivo e diverse altre volte fino al 1265. L'anno dopo vi trascorreva l'estate Carlo d'Angiò, avviando restauri che durarono fino al 1280: si trattava di tetti, allestimenti di scuderie, dello spurgo e rifacimento di un acquedotto, ma, nel 1275, anche del completamento del muro del palazzo regio dalla parte della cappella, quello che separa i due cortili. I lavori che trasformarono L. non in impianto militare, ma in domus, o palatium - come viene spesso definito nei documenti svevi e angioini -, si devono dunque scaglionare in lunghi anni a cavallo tra il regno di Federico II e quello di Manfredi. Furono costruite allora le tre ali che attorniano il cortile maggiore sopralzando i muri perimetrali, ma ritessendo da terra i ringrossi agli angoli, ai lati dell'ingresso principale e nella parte postica della cappella, in elegante bugnato di grande modulo e talora a largo bordo che li stacca quasi come torri dalla allungata massa edilizia. Un simile procedimento a cuci-scuci è documentato nel 1239 per il rifacimento dei cantonali di tre torri del castello vecchio di Lentini ed è evidentissimo nei cantonali del mastio del castello di Milazzo (v. Federico II). Venne innalzato allora il mastio in curatissimo apparecchio che da liscio si fa irregolarmente bugnato proseguendo verso l'alto, con un piano residenziale sopra la cisterna, minuscolo, ma confortevole e di una qualità costruttiva da appartamento reale. Il suo inserimento presso una delle estremità della cinta ha fatto giustamente evocare (Weissmüller, 1979) impianti castellani degli imperatori svevi e dei loro ministeriali in Germania, ma il muro che isola il cortile piccolo acquista senso proprio in funzione del mastio, delimitando con esso una unità difensiva complementare a quella residenziale.Non angioina, come generalmente si ritiene, ma probabilmente presveva, o protosveva, è anche la cappella. Tipologicamente questa cappella, con l'abside inserita in un blocco murario sporgente e fungente quasi da torre, ricalca una soluzione praticata fin dal sec. 12° in Terra Santa, così come in Francia e Spagna, e nulla condivide delle cappelle castrensi angioine, che nelle forme e nel modo di inserimento nelle compagini fortificate imitano la Sainte-Chapelle di Parigi. Essa venne peraltro rimaneggiata nel corso delle ristrutturazioni di metà Duecento, come indicano referenti stilistici inequivocabili, quali il tipo di acanto che decora i mensoloni destinati a reggere il palco reale lungo il lato settentrionale, o il portale archiacuto fregiato da chevrons e inscritto in una cornice a timpano, realizzato in pietre e brecce rosse e paonazze che ricorrono in altre costruzioni federiciane, da Milazzo a Castel del Monte.Che nemmeno alla morte di Manfredi (1266) l'impresa fosse compiuta è indicato dal mutamento di progetto sopravvenuto nel completamento con impalcati e tetti, inseriti senza riguardo per le straordinarie mensole scolpite, destinate a impostare archi-diaframma, che, prive di funzione, impreziosiscono ancora le sale della grande residenza non toccate da rifacimenti posteriori.La funzione principalmente residenziale attribuita al castello di L. dalla ristrutturazione sveva è ribadita dalla qualità della decorazione, che trova il suo momento saliente in quelle mensole. Soprattutto le serie ricche e variate di ambedue i livelli dell'ala settentrionale e del piano superiore dell'ala occidentale costituiscono la riproposizione, sul filo di uno stile consapevolmente univoco, anche se variegato da partecipazioni diverse (Righetti Tosti-Croce, 1980), dei motivi ornamentali più disparati: da formulazioni di crochets, spesso nell'essenzialità della forma gotica, ma a volte rese solenni dall'incurvarsi degli uncini a voluta corinzia e da vegetalizzazioni di acanti a ricciolo, al recupero di temi più remoti come le foglie a colpo di vento, i girali, gli ovuli e i dentelli, a fantasie vegetali e animali dichiaratamente naturalistiche quanto intensamente decorative. Rameggi di fico e di ancor più modeste piante erbacee si alternano ad arborescenze di querce cariche di ghiande tra cui si muovono maialetti selvatici, gazze o ramarri; due serpi distendono simmetricamente le spire tra ordinate pianticelle di vite, vibrando in alto il capo per suggere acini, e un gruppo di pavoni compone le code occhiate parodiando la metrica del capitello corinzio. Rifluiscono nel gioco ambiguo e allusivo della decorazione gli interessi naturalistici che avevano prodotto il De arte venandi cum avibus e le sue illustrazioni; si deve a essi anche la mensola, ove indefinibili mammiferi razzolano tra non meno fantasiose piante latifoglie e fruttifere, da interpretarsi forse come la traduzione in immagine di descrizioni letterarie di bertucce su banani. Il paragone con il manoscritto investe anche lo stile di queste figurazioni, sinteticamente descrittivo nell'uso della linea, che prevale su tersi volumi, sigla sagome e profili caratteristici, o rileva dettagli botanicamente e zoologicamente significativi in una preziosità di cesello, spiegabile con la posizione delle sculture ad altezza d'occhio. Il medesimo tono giocoso e il medesimo dominio della linea che blocca un plasticismo nitido e luminoso informa le due mensole, apparentemente prive di funzione, che fiancheggiano la sommità dell'ingresso del mastio di L., una con la testa di una giovane donna incorniciata da lunghe chiome attorte e lo scollo della camicia a piegoline, come nella c.d. Sigilgaita del pulpito di Ravello (Mus. del Duomo), l'altra con il busto di un uomo ridente dalle lunghe orecchie d'asino, memore, a sua volta, di fantasie metamorfiche in chiavi di volta di Castel del Monte (v.). Il complesso dei rilievi di L., annoverandosi tra le massime espressioni della scultura italiana meridionale dell'età sveva, ne documenta anche il momento della massima maturità, cui solo la fine, con la morte di Manfredi, della dominazione sveva impedì ulteriori sviluppi in terra meridionale.
Bibl.: E. Bertaux, I monumenti medievali della regione del Vulture, NN 6, 1897, suppl., pp. 1-24; G. Fortunato, Il castello di Lagopesole (Notizie storiche della Valle di Vitalba, 5), Trani 1902; E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, Paris 1903 (19682), II; L. Bruhns, Hohenstaufenschlösser. Königstein im Taunus, Leipzig 1937; C.A. Willemsen, Die Bauten der Hohenstaufen in Süditalien. Neue Grabungs- und Forschungsergebnisse, Köln-Opladen 1968; M.S. Calò Mariani, Aspetti della scultura sveva in Puglia e in Lucania, Archivio storico pugliese 26, 1973, pp. 441-474; A.A. Weissmüller, Notes on the Castle of Lagopesole in Basilicata, in Studi castellani in onore di Piero Gazzola, Roma 1979, II, pp. 567-578; M.E. Avagnina, Lagopesole: un problema di architettura federiciana, in Federico II e l'arte del Duecento italiano, "Atti della III Settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma, Roma 1978", a cura di A.M. Romanini, Galatina 1980, I, pp. 153-174; M. Righetti Tosti-Croce, La scultura del castello di Lagopesole, ivi, pp. 237-252; La cultura nei secoli normanno-svevi, Cinisello Balsamo 1983; M. Murro, Il castello di Federico. Note storico-architettoniche sulla residenza di Lagopesole in Basilicata, corredato dalla cartella di rilievi. Le piante del castello, Roma 1987; A. Borghini, Il castello di Lagopesole, Rionero 1988; R. Licinio, Castelli medievali. Puglia e Basilicata: dai Normanni a Federico II e Carlo I d'Angiò, Bari 1994; A. Cadei, Il castello di Lagopesole, in Cultura artistica, città e architettura nell'età federiciana, "Atti del Convegno internazionale di studi, Caserta 1995" (in corso di stampa).A. Cadei