laido (lado)
L'aggettivo, sempre nel senso di " brutto ", " turpe ", " sconveniente ", ricorre, con non alta frequenza, nel Convivio, nella Commedia e nelle Rime (nella forma toscana ‛ lado '), come qualificativo di ordine estetico o morale, secondo un uso ben vivo nella lingua dell'epoca.
Per il primo significato cfr. Cv I X 10 temendo che 'l volgare non fosse stato posto per alcuno che l'avesse laido fatto parere..., e III IV 7 noi non dovemo vituperare l'uomo perché sia del corpo da sua nativitade laido, luogo che ricalca, anche linguisticamente, un'analoga sentenza di s. Tommaso (Comm. Ethic. III lect. XII): " Nullus iuste increpat eos qui sunt turpes naturaliter, sed solum eos qui sunt turpes propter aliquam negligentiam debiti cultus... ". la sfumatura etica è quella che gode invece di vita più complessa, inglobando in sé le rimanenti attestazioni. Così in rime CVI 131 troppo è più ancor quel che s'asconde / perché a dicerne è lado, e nel Convivio: I II 4 qualunque cosa è per sé da biasimare, è più laida che quella che è per accidente; IV I 10 la quale [sanitade] corrotta, a così laida morte si correa; VIII 5, XXV 7 e 9 quante laide parole ritene! ... Nullo atto è laido, che non sia laido quello nominare. Proprio quest'ultima battuta apoftegmatica ci riporta ancora, tramite una fonte dichiarata dal poeta (Tullio nel primo de li Offici) alla matrice del nostro aggettivo: " quodque facere non turpe est, modo occulte, id dicere obscenum est " (Off. I XXXV 127). Cfr. anche la laida opra del pastor sanza legge (If XIX 82), nella profezia di Niccolò III in cui si " disse che dietro al papa Bonifazio dovea venire un altro piggiore di lui " (Chiose Vernon); e le laide colpe (Pg XXXII 121) di cui Beatrice ‛ riprende ' la volpe che simboleggia l'eresia.