POLENTA, Lamberto da
POLENTA, Lamberto da. – Figlio di Guido Minore o il Vecchio e di una donna di casa Fontana non identificata, Lamberto da Polenta nacque probabilemente agli inizi degli anni Settanta del XIII secolo.
Ebbe un cospicuo numero di fratelli e sorelle imparentatisi, in genere, con i conti di Cunio da Barbiano o con i Malatesta di Rimini: Ostasio, Francesca, Samaritana, Bannino o Bandino, Bernardino, Maddalena, Guiduccio detto Bastardino, Manoele e Nasillo. Lamberto, a sua volta, generò un unico figlio naturale, Folco, che sposò una Gibelli di Ferrara.
Il suo nome compare per la prima volta il 18 gennaio 1288 quando venne associato, con i fratelli Ostasio e Bernardino, al padre Guido nell’accusa mossa dal rettore papale a quest’ultimo di aver violato le sue disposizioni circa l’esportazione del grano facendone incetta per particolari interessi familiari e mettendo così a rischio di carestia la popolazione ravennate. Ciò era indice di un rapporto piuttosto teso fra i Polentani e i rappresentanti della sovranità papale in Romagna che si sarebbe evidenziato clamorosamente nel novembre 1290 quando, con il fratello Ostasio, allora podestà di Ravenna, e in assenza del padre e dell’altro fratello Bernardino, podestà rispettivamente a Firenze e a Milano, Lamberto catturò e imprigionò il rettore Stefano Colonna che sarebbe stato liberato un paio di mesi più tardi. Si saldò così un’alleanza ‘anomala’ in difesa delle autonomie locali e in pura funzione antipapale tra il guelfismo e il ghibellinismo romagnolo di Maghinardo Pagani da Susinana che portò Lamberto da Polenta, nello stesso 1290, alla podesteria di Forlì.
Appena un mese dopo, il 20 dicembre, una robusta coalizione antipapale, della quale Lamberto faceva parte assieme ancora a Maghinardo e ad altri capi romagnoli, prese Forlì inducendo la Chiesa romana a non nominare più degli estranei al mondo locale come suoi funzionari in Romagna, ma a ricorrere, per la carica di rettore, al vescovo di Arezzo Ildebrandino da Romena, assai pratico di quel difficile contesto regionale.
E che i Polentani, pur di tendenza guelfa o filopapale, difendessero con energia assieme alla Chiesa locale interessi familiari e comunitari dall’ingerenza romana lo rivela il testamento dell’arcivescovo ravennate Bonifacio Fieschi, del 9 marzo 1288 e confermato il 9 luglio 1290, in cui Guido Minore e il figlio Lamberto furono nominati suoi vicari e difensori. Le tensioni con i rappresentanti papali e la stretta solidarietà fra Polentani e Maghinardo Pagani durarono fino al 1294 quando si giunse da parte papale a un’assoluzione di tutte le scomuniche contro Ravenna.
I Polentani, che nel frattempo avevano molto ingrandito il loro patrimonio con il possesso di vasti beni prediali nel Ravennate concessi talvolta anche da chiese e monasteri della città, ricoprirono, nell’intesa antipapale tra Ravenna, Faenza e Forlì, importanti podesterie in Romagna; Lamberto da Polenta fu podestà e capitano del Popolo a Faenza nel 1291, podestà a Forlì nel 1292 e ancora capitano del Popolo a Forlì nel 1293 e, di nuovo, podestà a Forlimpopoli nello stesso anno. Si avvicinava, comunque, il momento di una svolta radicale nelle scelte politiche della famiglia che l’avrebbe portata su posizioni di collaborazione con la Chiesa di Roma. Ciò fu all’indomani del giro di vite che il conte e rettore di Romagna, Pietro Guerra, impresse nel 1295 nei riguardi dei suoi vecchi nemici mediante l’imposizione di misure fortemente restrittive nei confronti dei Polentani culminate con l’abbattimento delle case di Guido e di Lamberto, in seguito indennizzati dal Comune.
Cominciò così un nuovo corso che vide i Polentani abbandonare l’opposizione al regime papale e ai suoi rappresentanti e farsene, anzi, sostenitori assieme ai riminesi Malatesta. Ciò comportò scontri con la parte ghibellina, prima alleata, e determinò, in una Ravenna ora direttamente minacciata dal temibile Maghinardo Pagani, un’accelerazione degli eventi; da qui l’emersione di prime forme di potere personale in città quando, nel 1297, Lamberto e Ostasio governarono Ravenna in reciproca alternanza assumendo quella carica consolare già adottata da Guido Minore nel 1275 ed evocativa di situazioni di emergenza.
Alla fine del 1298 Lamberto da Polenta riassunse la carica podestarile, ripristinata nel frattempo a Ravenna, fino al marzo dell’anno successivo; espletato il capitanato del Popolo nel 1300 a Cervia, una città importantissima per via del sale, egli fu podestà a Ravenna, salvo qualche breve intermezzo, fin quasi alla morte, vale a dire dal 1299 al 1310 ininterrottamente e ancora negli anni 1313-14. Sempre nel 1313 fu podestà anche a Cesena con il fratello Bandino e con Ostasio capitano del Popolo. Le interruzioni delle podesterie ravennati negli anni 1311-12 furono originate da diretti interventi dei rettori, di cui ormai i Polentani assecondavano pienamente le linee di azione, oppure da motivi di convenienza in termini di alleanze.
Si può così affermare che con le ripetute podesterie ravennati di Lamberto, ormai indisponibile a proseguire la sua carriera di ufficiale in altre città, ci si trovi di fronte al consolidamento di un vero e proprio potere signorile cittadino, sebbene non ancora formalizzato e dinastizzato. Per quest’ultimo motivo non si può convenire con chi, a partire da Girolamo Rossi, ritiene che Lamberto da Polenta fosse eletto podestà a vita dal Consiglio generale. È assai più probabile che l’elezione venisse reiterata di anno in anno, come sembrerebbe confermare anche il fatto che le ripetute podesterie di Lamberto vennero talvolta interrotte da ufficiali venuti da fuori città.
Di rilievo fu l’opera di bonifica e di riassetto del sistema idraulico cui Lamberto diede particolare impulso e che fu continuata, anche dopo la sua morte, fin verso il 1330. Quest’opera di scavo di fossati, scoli e canali, con particolare attenzione al complesso sistema fiume Montone-canale Lama, aveva un duplice scopo: da un canto occorreva risanare le terre paludose e malariche che circondavano Ravenna, rendendo più regolare l’approvvigionamento idrico di una città situata in mezzo all’elemento liquido, ma cronicamente scarseggiante proprio di acqua potabile; dall’altro, l’opera di bonifica poteva rivelarsi vantaggiosa oltre che per la comunità anche per la famiglia polentana e per Lamberto stesso, dal momento che una migliore regimentazione idrica avrebbe dato più efficienza alla catena di mulini ubicati nei suburbi o nel contado di cui i da Polenta erano venuti in possesso tramite acquisti diretti o concessioni enfiteutiche dall’arcivescovo di Ravenna. Tutto ciò, la cui prima conseguenza fu un’espansione delle colture cerealicole al fine di costituire una risorsa sicura contro il periodico infierire di carestie, fu perseguito da Lamberto anche in funzione dell’incremento di quel consenso politico ormai definitivamente spostatosi dai Traversari ai Polentani.
A partire dagli anni 1303-04, Lamberto ricercò anche il rafforzamento del favore popolare verso di sé e nei confronti della sua famiglia tramite una riforma degli ordinamenti comunali cittadini, di cui si ha una conoscenza soltanto parziale. Tale intervento era rivolto, per quel che risulta, a conseguire uno snellimento in senso autoritario ed efficientistico delle strutture di potere, sempre più concentrate nelle mani del podestà e di una ristretta cerchia di persone a lui fedeli e, al contempo, intendeva realizzare la messa a punto di un rigoroso sistema di controlli sulla produzione e sullo smercio dei prodotti annonari cui si accompagnavano migliorie riservate in primo luogo alla viabilità, che Lamberto voleva più rapida e scorrevole.
Negli anni fra il 1304 e il 1307 Lamberto rafforzò la sua posizione interna ribadendo il rapporto di collaborazione con l’arcivescovo Rinaldo da Concorrezzo e consentendo l’inizio di una monetazione argentea ravennate; agli stessi anni risale anche un’accresciuta partecipazione della famiglia alla vita ecclesiastica cittadina mediante l’entrata di alcuni suoi membri nei ranghi della Chiesa locale. In proiezione esterna, inoltre, Lamberto da Polenta confermò la linea politica di alleanza con i Malatesta nello stesso momento in cui aderiva a una lega extraregionale guidata da Mantova, Parma e Verona contro Azzo VIII d’Este, da cui Ravenna si sentiva minacciata soprattutto riguardo ai territori di Argenta e Comacchio.
La morte di Azzo, il 31 gennaio 1308, aprì la difficile questione successoria a Ferrara con il coinvolgimento di Clemente V, sostenuto da Ravenna, Bologna e da una parte della famiglia estense, a rivendicare diritti sulla città contro le mire di Venezia collegata, invece, ad altri esponenti di casa d’Este. Lamberto, con il fratello Bernardino, intervenne in forze e nell’ottobre dello stesso 1308 le milizie papali, bolognesi e ravennati furono in grado di controllare la città. Bernardino venne nominato podestà di Ferrara, ma per i suoi metodi poco diplomatici fu sostituto, pochi giorni dopo, dallo stesso Lamberto. I Veneziani, comunque, resistettero ancora per parecchi mesi nel castello di Marcabò, a nord dell’attuale Sant’Alberto di Ravenna, finché la fortificazione non venne espugnata nel settembre del 1309. In questa brillante azione si distinsero le milizie ravennati e cerviesi guidate da Lamberto che acquisì, nell’occasione, fama di valoroso combattente oltre a quella già consolidata di buon diplomatico.
Nel 1310, dopo la morte di Guido Minore, avvenuta il 23 gennaio di quell’anno, Lamberto, ormai a capo della famiglia e nella necessità di difendersi dalla potente Venezia sconfitta l’anno prima nella guerra di Ferrara ma non certo vinta, si allineò sulle posizioni di re Roberto d’Angiò, rettore papale in Romagna. Ciò comportò, per Lamberto, una mobilitazione anche di carattere militare contro l’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, disceso nel frattempo in Italia. Lamberto, per ragioni di buona alleanza, dovette così accettare a Ravenna podestà forestieri certamente non graditi e, al tempo stesso, fu obbligato a impegnarsi con uomini e armi a Parma, nel 1312, in aiuto di Ghiberto da Correggio e a Roma, sempre nel 1312 contro lo stesso Enrico VII.
I motivi della fedeltà a Roberto d’Angiò vennero meno dopo la morte di Enrico VII, nel 1313, per una complessa somma di motivi politici che indebolirono la posizione di Lamberto e che finirono per contrapporlo all’ex alleato angioino cosicché il Polentano tentò di rivalersi nel 1314 intervenendo a Forlì con il sostegno di Francesco Manfredi, di Cecco Ordelaffi e dei Calboli per cacciarne gli Argogliosi; questi ultimi però nel novembre dello stesso anno, spalleggiati dal vicario angioino Gilberto de Santillis, ebbero la meglio. Lamberto, con i Calboli, fu sconfitto e ciò ebbe come conseguenza la perdita di ogni influenza polentana su Forlì.
Lamberto, ancora podestà a Ravenna nel 1313 e nel 1314, sentiva nel frattempo la sua salute declinare: al 18 giugno 1316 risale la stesura del suo testamento, realizzata in presenza di alcuni medici. La sua morte avvenne pochi giorni dopo, il 22 giugno 1316; a lui successe il nipote Guido Novello, figlio di Ostasio, uno dei fratelli di Lamberto.
In conclusione, le caratteristiche di fondo di Lamberto, più abile e prudente degli altri Polentani e in particolare dell’impetuoso Bernardino, sono da individuare in una continua attenzione rivolta alla piena affermazione personale e della famiglia in chiave signorile e alla tutela della città; ciò attraverso interventi di carattere legislativo, mediante provvidenze rivolte alla difesa militare e migliorie in campo urbanistico (escavazione di cloache e selciatura di alcune strade) e nel settore agricolo. Da rilevare altresì il fatto che a partire da Lamberto si registra a Ravenna l’inizio di quella fioritura artistica e culturale che sarebbe culminata con la presenza in città di Dante e del cenacolo a lui legato.
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