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LAMENTO

di Mario Pelaez - Enciclopedia Italiana (1933)
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LAMENTO

Mario Pelaez

Componimento in prosa e più spesso in versi, il cui carattere è indicato dal titolo.

Gli esempî risalgono a tempi remoti e se ne trovano in tutte le letterature o come composizioni a sé o come parti di opere (nell'Iliade, il lamento di Achille per la morte di Patroclo; di Andromaca per la morte di Ettore). Ce ne sono nella Bibbia, non mancano esempî nella letteratura romana, abbondano nella letteratura latina medievale sacra e profana (lamentationes), nelle letterature romanze, specialmente provenzale (planh), francese (complainte), italiana (pianto). Sono lamentì per avvenimenti dolorosi o per la morte di qualche personaggio illustre e perfino per il decadimento di qualche ramo della scienza o dell'arte, talvolta in tono serio, tal'altra in tono giocoso e satirico. Anche la poesia religiosa popolaresca in volgare ne ha esempî, e basti ricordare i lamenti della Vergine ai piedi della Croce, che sono i più numerosi e diffusi: uno dei più ampi, un vero poemetto, è quello di Enselmino da Montebelluna (v.). Nella poesia popolare e profana si hanno i lamenti amorosi della malmaritata, della fanciulla anelante alle nozze contro la volontà materna, o tradita o abbandonata dall'amante; motivi che si trovano elaborati anche da poeti d'arte, specie nell'antica letteratura portoghese e nell'italiana.

I lamenti sono quasi tutti di forma lirica e della lirica hanno la struttura metrica. Nei secoli XIV-XVI, in Francia e in Italia, fiorì nella poesia del popolo e in quella di tono popolaresco il lamento profano in forma narrativa, di contenuto storico, con una particolare fisionomia, derivata dalla forma, che vi è caratteristica e prevalente, della prosopopea, in quanto vi è introdotta la vittima stessa (persona reale o personificazione) a lamentare le proprie disgrazie, la propria sfortuna, la morte. In Italia, dentro i limiti di tempo sopra indicati, non ci fu, si può dire, avvenimento storico di qualche importanza che non ispirasse il poeta popolare, cioè il cantastorie, a fiere deplorazioni, in componimenti narrativi di vario metro (ottava, terzine, serventese, ma anche canzone, ballata e perfino sonetto), e talvolta in prosa. Raramente se ne conoscono gli autori, e, se mai, se ne sa soltanto il nome. Privi di valore artistico (salvo qualche eccezione fra i più antichi: uno dei più belli, per es., il Lamento di Pisa, del 1406, di Pucino di Antonio), importano allo storico che vi può trovare o testimonianza viva di quel che altre fonti hanno tramandato, o, in qualche caso, opinioni o particolari ignorati. Lo stesso può dirsi dei lamenti della letteratura francese, nella quale però troviamo, nel secolo XIII, un vero poeta: Rutebeuf, che scrisse lamenti sacri e profani di valore artistico. Già nel sec. XVI, così in Italia come in Francia, il genere comincia a illanguidire, anche per le mutate condizioni politiche dell'Italia, che non permettevano la libera espressione del pensiero. Sono un segno di questo decadimento le parodie e il passaggio del lamento dai poeti popolari ai poeti d'arte che se ne servivano per manifestazioni adulatrici. Non però che qualche volta anche per opera di poeti d'arte non tornasse a squillare una voce libera; l'ultimo Pianto degno di nota è anzi quello che compose non senza suo danno Fulvio Testi, in cui è introdotta l'Italia schiava della Spagna a lamentare la sua servile condizione al cospetto di Carlo Emanuele I di Savoia. Fra il popolo il lamento non inaridì del tutto, e nei secoli seguenti fino ai tempi nostri la letteratura popolare dei foglietti a un soldo fa sentire ancora qualche eco del vecchio genere.

Ediz.: A. Medin, Lamenti del sec. XIV, Firenze 1883; A. Medin e L. Frati, Lamenti storici dei secoli XIV, XV, XVI, voll. 3, Bologna 1887 (il vol. IV, Padova-Verona 1894, ha un'introduzione con la storia del lamento). Per altri lamenti anteriori non narrativi, profani e sacri, basta scorrere le raccolte di poesie antiche italiane, provenzali, francesi, ecc. e i laudarî italiani. Una visione-lamento della medicina è la Canzone mandata da Maestro Gregorio d'Arezzo a Maestro Salvio medico d'Ancona (1350), pubbl. da G. Mazzatinti, Forlì 1892; un lamento della musica è in G. Roberti, Due gare musicali a Venezia, 1364-1887, in Rivista contemporanea, I (1888), pp. 61-78; lamenti amorosi popolari in G. Carducci, Cantilene e ballate, strambotti e madrigali dei secoli XIII e XIV, Pisa 1871. Lamenti latini: É. Du Méril, Poésies populaires latines antérieures au XIIe siècle, Parigi 1843; id. Poésies populaires latines du moyen âge, Parigi 1847.

Altri risultati per LAMENTO
  • lamento
    Enciclopedia on line
    Componimento, di solito in versi, scritto in occasione di un fatto doloroso: se ne trovano, come parti di opere, in tutte le letterature; non mancano nelle antiche, abbondano nella letteratura medievale, sia latina (lamentatio) sia romanza, e specialmente nella provenzale (planh), francese (complainte), ...
Vocabolario
laménto
lamento laménto s. m. [dal lat. lamentum]. – 1. a. Voce, parola di dolore, spesso mista al pianto: fare, mandare un l.; emettere lamenti, rompere in lamenti, levare alti l.; l. pietoso, straziante. Anche, séguito di voci o parole di dolore,...
lamentare
lamentare v. tr. e intr. pron. [lat. lamĕntari, lat. tardo lamĕntare] (io laménto, ecc.). – 1. tr. Compiangere, provare dolore o rammarico per qualche cosa: tutti lamentarono la sua morte; l. i proprî errori, la propria incoscienza. Con...
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