LAMINE
Antichità. - Tavolette rettangolari di metallo che servivano nell'antichità greco-romana a varî usi; il più diffuso era quello di porre lamine di piombo con formule magiche nelle tombe per consacrare un nemico alle divinità infernali (v. defixiones), o per indicare al morto la via dell'al di là. Su lamine di piombo venivano redatte anche le domande che i consultori facevano all'oracolo e le risposte del tempio. Di queste, soprattutto delle prime, si son trovati esemplari a Delfo e a Dodona, sedi di oracoli famosi. Si usavano anche come materia scrittoria usuale. Plinio ricorda dei volumi scritti su piombo (plumbea volumina). Il decreto con cui si accordavano speciali privilegi ai veterani veniva inciso su due lamine di bronzo unite con cordicelle: tali documenti eran detti diplomi. I Romani credevano che, legando lamine di piombo intorno ai lombi, s'impedisse l'eccitazione durante il sonno e, ponendole sul petto, si conservasse la voce. Una delle più atroci torture inflitte agli schiavi era il supplizio delle lamine, consistente nel porre delle sottili lastre di ferro arroventato sulle carni. A Pompei si son trovate lamine di piombo poste sulle pitture parietali per preservarle dalle ingiurie del tempo. Sono dette lamine (lamnae) anche le impiallacciature di ricco legno, con cui si rivestiva un legno più comune, e le tavolette di metallo (propr. bratteae) per intarsiare mobili.
Bibl.: H. Thédenat, in Daremberg e Saglio, Dictionn. d. ant. gr. et rom., II, p. 266 segg.; P. Monceaux, ibid., IV, pp. 214 segg., 246 segg.; G. Lafaye, ibid., V, pp. 1 segg., 125 segg.; H. Blümner, Römische Privataltertümer, Monaco 1911, pp. 117 e 293; Th. Birt, Kritik und Hermeneutik nebst Abriss des antiken Buchwesens, Monaco 1911, p. 258; Hug, in Pauly-Wissowa, Real-Encykl., XII, col. 561.