Lamma, Frugoni, Manselli e Capitani
Nella sua posizione di direttore, dal 1947, della Scuola storica nazionale di studi medioevali e, pochi anni dopo, di presidente dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, fino al 1982, Raffaello Morghen ha influito sulla formazione e sugli orientamenti di almeno due generazioni di medievisti italiani. Ne sono una prima evidente testimonianza i due voluminosi tomi pubblicati a Roma nel 1974 sotto il titolo di Studi sul Medioevo cristiano offerti a Raffaello Morghen per il 90° anniversario dell’Istituto storico italiano (1883-1973), che raccolgono i contributi di numerosi studiosi venuti in diretto contatto con il maestro romano. Tuttavia, è indubbio che tre sono stati gli storici a lui maggiormente legati, soprattutto a partire dai primi anni Cinquanta del Novecento.
La terna può aprirsi con Paolo Lamma, nato a Bologna nel 1915 e prematuramente deceduto a Padova nel 1961, che con tutta probabilità fu il più vicino all’universo di valori morgheniani, come appare soprattutto negli studi dedicati a Cluny e al monachesimo cluniacense, che Morghen giudicò espressione «notevole di storiografia cattolica, rigorosamente impegnata nella problematica del pensiero storico moderno, pienamente consapevole nello stesso tempo della funzione preminente che la tradizione religiosa ha esercitato nella formazione della nostra civiltà» (Per un senso della storia, a cura di G. Braga, P. Vian, 1983, p. 166).
Con il secondo, Arsenio Frugoni, nato a Parigi nel 1914 da genitori bresciani emigrati e morto in un tragico incidente nel marzo del 1970, Morghen intrattenne rapporti amichevoli e solidali, benché non si nascondesse gli elementi di distinzione e di differenza nel rispettivo modo di affrontare il ‘mestiere di storico’: distinzione e differenza che però trovavano un fondo comune, al di là dei pur importanti aspetti personali e psicologici, nella tensione morale operante nella loro attività di ricerca, ovvero nel sentire impellente il «compito di dare un significato alla storia». Lo stesso Morghen però era ben consapevole, ad altro livello, che «l’opera di storico di Frugoni si concretava in una revisione critica della storiografia antecedente e in una nuova e puntuale lettura dei testi, alla luce dei nuovi indirizzi storiografici» (Per un senso della storia, cit., p. 159). Perciò non è un caso che sia Arnaldo da Brescia nelle fonti del XII secolo (1954; rist. 1989) l’opera frugoniana che ha suscitato e mantiene maggiore interesse, nella quale sono vivissimi i temi di ermeneutica storica e le questioni di esegesi delle fonti, tra cui l’innovativa critica del metodo ‘filologico-combinatorio’.
Il terzo ‘allievo’ di Morghen è Raoul Manselli, nato a Napoli nel 1917 e morto a Roma nel 1984: dei tre sicuramente il più operoso e dinamico sia nell’attività di ricerca, sia nella direzione di enti culturali, come il Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo di Spoleto, la Società internazionale di studi francescani di Assisi e il Centro gioachimitico di San Giovanni in Fiore. Studioso delle eresie, della ‘religione popolare’ medievale e della prima crociata, senza disdegnare temi di storia generale, ha lasciato il segno più rilevante nelle ricerche intorno a san Francesco d’Assisi e al francescanesimo, muovendo dalle iniziali e originali indagini su La “Lectura super Apocalipsim” di Pietro di Giovanni Olivi (1955) e su Spirituali e Beghini in Provenza (1959).
Per completezza di discorso occorrerebbe aggiungere un quarto nome, Ovidio Capitani, nato a Il Cairo nel 1930 e deceduto a Bologna nel 2012, il quale, pur essendo propriamente ‘allievo’ di Morghen sin dagli anni universitari e avendo con lui collaborato precocemente, sottopose a critica serrata e penetrante le convinzioni del maestro, che forse non la gradì o non accettò di tenerne conto: tanto che, tracciando nel 1973 un bilancio de Gli studi sul Medioevo nell’ultimo cinquantennio, Morghen non fece riferimento alcuno all’innovativo saggio di Capitani, meditatissimo e informatissimo, Dove va la storiografia medievale italiana?, comparso in «Studi medievali» ben sei anni prima.