LAMPADARIO
La necessità di moltiplicare le luci per meglio illuminare gli ambienti, portò all'uso dei lampadarî, supporti mobili, formati da un fusto con varî bracci ai quali si appendevano le lampade, o pensili, formati da un apparecchio a sospensione.
I lampadarî ebbero, nell'arte romana imperiale, forme assai varie, disorganiche o armoniose, semplici o complesse: ora riprodussero in bronzo il piccolo albero con rami, ora colonne scanalate e pilastri con bracci mobili e fissi a uno o più ordini. Nei primi secoli dell'era cristiana si distinsero i canthara, lampadarî per l'illuminazione a olio, e i phara, lampadarî per illuminazione a candele e vi erano anche i phara-canthara, per ambedue i sistemi d'illuminazione. Resta ricordo dei magnifici lampadarî donati da Costantino e da Leone III alla basilica di S. Pietro. Erano a forma di cerchio o di corona, e questa foggia, che univa allo scopo pratico dell'illuminazione anche il significato simbolico, ebbe favore per tutto il Medioevo: ne sono esempî insigni il lampadario del vescovo Hezilo (1054-1077) nel duomo di Hildesheim, e quello del Barbarossa nella cattedrale di Aquisgrana (sec. XII). Altri furono in forma di croce, disposta orizzontalmente; è verticale la grande croce a lampade della Basilica di S. Marco. Singolare per materia è il lampadario di piombo, per lampadine di vetro a olio, del duomo di Barletta, attribuito dal Toesca al sec. XII. L'arte gotica rinnovò oltralpe il modello dei lampadarî costituito da un fusto rigido e liscio dal quale si dipartono molti bracci a due o tre ordini, riccamente ornati da foglie di cardo. La diversità della materia usata - ferro, bronzo, ottone (come nei lampadarî di Dinant, importati dappertutto) - non mutò quella semplice struttura. Particolari alla Germania (sec. XVI) furono i lampadarî a forma di corna di cervo con figure sovrapposte (museo germanico di Norimberga). L'arte del Rinascimento diede ai lampadarî - molto spesso a una sola luce - varietà di forma: ora furono costituiti da una coppa di vetro sospesa mediante un cerchio metallico alle catenelle, ora di coppe argentee o bronzee con superficie ondulata, ora ebbero fusto e bracci alla maniera nord ica.
Alla fine del '500 si introdussero i lampadarî in cristallo e in vetro per i quali tanto la Boemia, quanto Murano divennero instancabili officine, mentre quelli in legno e in bronzo si adattavano anch'essi a tutti gli effetti scenografici del gusto barocco, e poi a quelli più semplici del gusto neoclassico. Furono anche in uso, nel sec. XVIII, i lampadarî a bracci e a tralci metallici ornati da fiori di porcellana dipinta.
La sostituzione dell'illuminazione a gas all'illuminazione a candele, come poi l'introduzione di quella elettrica, portò una grande varietà di tipi nei lampadarî per le case private. Oggidì, cercando di dare nuovo valore all'illuminazione degl'interni, s' insiste nel rinnovare tutti i tipi dei lampadarî, così nelle forme come nella materia. Il vetro soffiato, che nel sec. XVII aveva dato, per opera degli artisti muranesi, capolavori di lampadarî delicatamente ornati di fiori e foglie anche commisti con il ferro battuto, continua a essere usato per l'illuminazione moderna. I lampadarî di vetro sono senza fiorettature e preziosismi tecnici, a piani lisci semplici, ricercati nella forma volumetrica e nella trasparenza e limpidità del vetro; ora a forma di ombrello capovolto per ottenere effetti di luce riflessa, spesso a grandi palle, spesso a forma cilindrica per adattarsi agli elementi decorativi della sala; altre volte al cristallo si sostituisce l'ottone sbalzato e dorato oppure verniciato con forme di estrema semplicità (lampadarî di Max Kruger); come anche il ferro battuto (Roma, palazzo del Parlamento, lampadarî di Ernesto Basile).
Il continuo studio della diffusione della luce nell'ambiente ha anche portato, recentemente, all'abolizione dei lampadarî e alla preferenza della luce diffusa, mediante sorgenti luminose opportunamente nascoste nelle incorniciature delle sale.
V. tavv. LIX-LXII.
Bibl.: Viollet-le-Duc, Dictionnaire du mobilier français, Parigi 1858; H. R. D'Allemagne, Histoire du luminaire depuis l'époque romaine jusqu'au XIXe siècle, Parigi 1891; Daremberg e Saglio, Dictionn. des antiquités grecques et romaines, III, ii, s. v. lucerna, Parigi 1904; M. Tinti, La moderna arte del ferro, in Dedalo, IV (1923-24), pp. 512-30; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927, p. 1104; P. Marconi, La rinascita nelle arti applicate e la recente produzione dei vetri di Murano, in Architttura ed arti decorative, VIII (1928-29), p. 394-404; G. Jellinek, Luce e architettura, ibid., IX (1929-30), pp. 61-72; R. Papini, Le arti d'oggi. Architettura e arti decorative in Europa, Milano-Roma s. a.