LAMPADÎ
La sola valva superstite di un dittico (v.) nel Museo Civico dell'Età Cristiana di Brescia (proveniente dalla collezione del càrd. Querini, in cui si trovava nel 1750), reca l'iscrizione [l] ampadiorvm (Lampadiorum Dignitas, secondo l'integrazione suggerita dall'Alföldi).
La famiglia romana dei L. ebbe nel 355 d. C. un praefectus praetorio Italiae, che divenne, dieci anni dopo, praefectus urbis Romae; ancora un praefectus urbis, forse per pochi mesi, verso il 358; infine un senatore, che è ricordato (Zosim., v, 29, 51) per aver respinto con fierezza la pace stipulata da Stilicone con Manco: non est illa pax sed pactio servitutis.
Non ebbe nessun console, e, d'altra parte, l'iscrizione con il genitivo plurale del nome di famiglia non è quella di un dittico consolare e ricorda piuttosto quella dei Simmachi e dei Nicomachi nel famoso dittico delle due famiglie (v. nicomachi).
Nel tribunal del circo siede in trono il magistrato, che indossa il costume trionfale e ha ai suoi lati due assistenti, di proporzioni notevolmente minori. Intorno alla spina, su cui si innalza, tra l'altro, l'obelisco (v. circo), si inseguono quattro quadrighe.
Tutti i particolari sono accuratamente descritti, i cavalli mostrano addirittura i marchi segnati sulla pelle; un insolito rilievo ha nella composizione l'obelisco, con l'iscrizione in evidenza (cfr. invece la rappresentazione sul dittico di Basilio, vol. ii, fig. 31). Poiché nessuno dei L. fu console, la scena non ha probabilmente l'aspetto ufficiale che avrebbe su un dittico consolare, e acquista quindi maggiore risalto il significato cosmologico ed eterno della corsa delle quattro fazioni intorno all'obelisco solare. Anche per questa allusione a una religiosità non precisamente cristiana il dittico sembra collegarsi al gruppo, già ricordato, dei Simmachi e dei Nicomachi.
A questo gruppo, e specialmente al dittico di Probiano, esso è stato avvicinato anche stilisticamente, ma un fare più duro e scandito, una certa asprezza dei movimenti e un'inconsapevolezza improvvisatrice nell'impostazione spaziale segnano già un allontanamento dalla intensa concentrazione spirituale degli avorî intorno al 400, senza peraltro sostituirvi ancora la calma presentazione del dittico di Felice (425).
Il Graeven, che datava il dittico circa il 355, suppose che sull'altra valva fosse l'iscrizione Lollianorum, per il console Lolliano (v.) cui i L. erano imparentati.
Bibl.: C. I. L., V, 8120, 5. Per la bibl. più antica v. R. Delbrück, Die Consularidptychen, Berlino 1929, n. 56, p. 218, tav. 56; v. anche: H. Graeven, Heidnische Diptychen, in Röm. Mitt., XXVIII, 1913, p. 198; E. B. Smith, Early Christ. Iconogr. and a School of Ivory Carvers in Provence, Princeton 1918, p. 187; E. Capps, in Art. Bull., 1927, p. 64, fig. 22; E. Weigand, in Kritische Berichte, 1930-31, p. 47; A. C. Soper, in Art. Bull., 1938, p. 154, fig. 12; K. Wessel, in Jahrbuch, LXIII-LXIV, 1948-49, p. 111, fig. i; A. Alföldi, Die Spätantike in der Ausstellung "Kunsthscätze der Lombardei", in Atlantis, XXI, 1949, p. 61; E. de Loos-Dietz, Vroeg-Cristelije ivoren, Assen 1947, p. 210; F. W. Volbach, Elfenbeinarbeiten der Spätantike u. des frühen Mittelalt2, Magonza 1952, n. 54, p. 39, tav. 18; J. Natason, Early Christian Ivories, Londra 1953, tav. 11 e passim; J. Bechwith, The Andrews Diptych, Londra 1958, p. 34.