FERRETTI, Lando
Nato a Pontedera (Pisa) il 2 maggio 1895 e figlio unico di Vittorio, industriale tessile, e di Clotilde Ricci, iniziò gli studi liceali nel 1909 a Pisa, al termine dei quali partecipò al concorso di ammissione alla Scuola normale superiore della stessa città, risultando primo. Frequentò la Normale dal 1912 fino allo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1915, quando fu richiamato e mandato a Modena, alla Scuola militare, per il corso di guerra per ufficiali di complemento. Interventista, partecipò al conflitto in qualità di ufficiale comandante di plotone (tenente) presso il 42º reggimento fanteria sull'alto Isonzo.
Ferito durante i combattimenti sul Carso il 29 sett. 1916, cosa che gli valse il conferimento della croce di guerra, ebbe modo, nel corso della convalescenza, di recarsi a Pisa e portare a termine gli studi, laureandosi (con lode) nel 1917 in lettere, con una tesi su "Giosuè Carducci e la letteratura inglese". In seguito, tra il 1929 e il 1931, conseguì una seconda laurea in giurisprudenza presso l'università di Pavia, con una tesi sulla "Genesi dei costituti pisani".
Dopo un periodo alla scuola allievi ufficiali di Caserta, fu promosso capitano e destinato al 1ºreggimento mitraglieri, operante nella zona di Verona. La fine del conflitto trovò il F. a Trento, presso il Governatorato militare della Venezia Tridentina, formato da ufficiali della 1ª armata.
Tornato alla vita civile affrontò con successo, nel 1919, il concorso per accedere all'insegnamento negli istituti classici e tecnici, ma preferì rinunciarvi per dedicarsi alla professione giornalistica, in modo tale da poter coltivare la sua passione per lo sport. Su segnalazione di U. Toffaletti, sempre nel 1919, cominciò a lavorare per la Gazzetta dello sport, occupandosi prevalentemente di motori e dirigendo le relative pagine. Due anni più tardi divenne redattore.
L'impegno giornalistico sportivo non lodistolse completamente dagli interessi letterari. Infatti, il 21 apr. 1921, tenne un discorso commemorativo in occasione del VI centenario della morte di Dante al teatro Condominio diGallarate, su invito della locale sezione della Società Dante Alighieri. Fu questo un tipo di impegno che si ripeterà nel corso degli anni. Ebbe modo, così, di celebrare a Pisa nel 1927 il ritrovamento delle reliquie del beato Giordano da Rivalto, di tenere una conferenza sull'Ariosto, il 15 dic. 1929, nel castello Estense di Ferrara e, tra l'altro, di organizzare le celebrazioni del IV centenario di Francesco Ferrucci, in qualità di presidente del Comitato nazionale per le onoranze. In questa veste parlò nel gennaio del 1930 a palazzo Vecchio a Firenze e promosse l'istituzione, nello stesso anno, del Museo Ferrucciano a Gavinana.
Frattanto, nel 1920, il F. si era unito in matrimonio con Elsa Massara.
Nel dopoguerra il F. aderì al movimento fascista (al Partito nazionale fascista [PNF] si iscrisse il 1ºluglio del 1922) e partecipò alla marcia su Roma come aiutante maggiore nella colonna Lamarmora. Squadrista, militò nel movimento giovanile fascista, divenendo nel 1923-24, ispettore generale dei Balilla e, nella Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, prima console addetto all'ispettorato delle avanguardie, poi consigliere generale e infine luogotenente generale.
Conquistato il potere, il fascismo si occupò della stampa cercando di renderla organica al regime, fino alla promulgazione delle leggi "fascistissime" del 1925, con le quali se ne soppresse la libertà, e rivolse il suo interesse anche verso i quotidiani sportivi come la Gazzetta dello sport. In questo quadro il F. rappresentò in seno alla redazione uno dei punti di riferimento del fascismo: nel 1923 entrò nel comitato di direzione incaricato di dirigere la testata in luogo del direttore unico E. Colombo, che rimase comunque nel comitato.
Nel nuovo organismo entrarono anche A. Cotronei, A. Cougnet, E. Della Guardia e P. Petroselli. Quest'ultimo divenne in seguito direttore, ma gli impegni accademici erano tali da non permettergli di dirigere effettivamente il giornale, cosa che fece il F., sia pure con la carica di vicedirettore.
Nel maggio 1924 il F. fu eletto per la prima volta deputato nel collegio elettorale di Pontedera, per essere riconfermato per altre due legislature, fino al 1939. Nel corso della sua attività parlamentare fu membro della giunta del Bilancio, occupandosi del bilancio della Pubblica Istruzione. L'11 dic. 1924 intervenne in occasione della presentazione del bilancio della guerra.
Nel suo discorso il F. espresse l'esigenza di preparare fisicamente e moralmente la nazione all'esercito e in tale contesto difese il ruolo della Milizia e auspicò l'incentivazione della attività sportiva mediante un sostegno attivo dello Stato. Adducendo analoghe ragioni, parlò, il 6 febbr. 1926, in favore dell'Opera nazionale Balilla, capace di inquadrare e fascistizzare la gioventù, coniugando insegnamento morale e fisico.
Lasciò la Gazzetta nel 1925 e proseguì l'attività giornalistica a capo della redazione sportiva del Secolo, dove rimase circa due anni, fino a quando non fu eletto dai presidenti delle federazioni sportive, con 20 voti su 22, presidente del CONI (Comitato olimpico nazionale italiano). Divenne così non più se non solamente il responsabile della politica sportiva del regime, ma anche uno dei teorici della dottrina fascista dello sport, considerato fattore essenziale nella formazione dell'italiano nuovo.
Lo sport, nel momento in cui il F. assunse tale responsabilità, era articolato in diverse organizzazioni, nuove e vecchie, senza che fossero ben chiare le reciproche responsabilità e competenze. Accanto al CONI esistevano l'ENEF (Ente nazionale per la educazione fascista) e la neonata ONB (Opera nazionale Balilla). Proprio per la volontà di ricondurre sotto una unica direzione lo sport italiano il 28 sett. 1927 il Consiglio dei ministri decretò il passaggio dell'ENEF alla ONB. In un quadro di complessiva riorganizzazione in chiave accentratrice il CONI divenne l'organismo con l'incarico di sovraintendere alla organizzazione della educazione fisica.
Il F. pensò di risolvere il problema di come conciliare le vecchie organizzazioni sportive, ormai allineate al regime, come il CONI e le federazioni, con le nuove, come la ONB, valorizzando le tradizioni delle vecchie società. Nel 1926, per porre fine alla diarchia esistente nel settore calcio, diviso fra due federazioni, ne assunse la direzione e procedette alla elaborazione e delibera del nuovo statuto, noto come "carta di Viareggio". Il primo frutto della riorganizzazione fu la creazione del campionato di calcio a girone unico. Sotto la direzione del F. si procedette, in seguito al discorso di Mussolini del 3 genn. 1925, alla riforma degli ordinamenti e degli statuti del Comitato olimpico, affidando, tra l'altro, al capo del governo il potere di nomina del presidente del CONI e di quelli delle federazioni.
Contemporaneamente, un accordo tra CONI e Dopolavoro sancì la priorità politica dei vecchi ordinamenti e del Comitato olimpico nel settore sportivo, favorita dalla "svolta" del regime che tendeva a marginalizzare o a riconvertire altrimenti le organizzazioni squadristiche, con la volontà di abbandonare il movimentismo e porre le fondamenta di uno Stato fascista.
Il F. restò alla guida del CONI fino al 1928, anno delle Olimpiadi di Amsterdam (26 luglio-13 agosto), alle quali si recò accompagnando gli atleti italiani, per divenire successivamente, nel settembre di quell'anno, capo dell'ufficio stampa del capo del governo, incarico che svolse fino al dicembre del 1931.
Contemporaneamente al suo incarico presso il CONI, il F. divenne, dal 1926 al 1929, segretario del Sindacato fascista dei giornalisti lombardi e come tale intervenne, l'8 genn. 1928, presso l'Istituto fascista di cultura a Brescia, sui rapporti tra stampa e regime. Compito principale della stampa avrebbe dovuto essere, per il F., la propaganda, l'illustrazione delle conquiste del nuovo Stato fascista, l'appoggio alla politica del regime, sostenendo, ad esempio, l'esigenza di una espansione coloniale.
Sempre nel 1928 vide la luce a Roma una sua opera dal titolo Illibro dello sport. Proseguì, inoltre, la sua attività giornalistica, dirigendo dal 1928 Lo Sport fascista e, dall'anno successivo, Lo Schermo, entrambi fino alla fine del fascismo (1943).
Per tutto il 1929 il F. fece parte del Gran Consiglio del fascismo. Istituito nel 1930 il Consiglio delle corporazioni, per dare uno sbocco istituzionale alla "Carta del lavoro", fece parte di tale organismo per tutta la sua durata.
Non trascurò, però, i suoi interessi letterari, presiedendo per nove anni, dall'istituzione del 1931 al 1939, il premio letterario Viareggio, e ricoprì la massima carica dell'Istituto italiano del libro. Nello stesso periodo avviò la collaborazione con l'Enciclopedia Italiana, della quale diresse la sezione sport.
Nel 1938 venne riconosciuto al F. il titolo di nobile, nel 1941 il titolo comitale, titolo al quale si aggiungerà il predicato di Val d'Era (nel 1943), concessogli da Vittorio Emanuele III. Intanto la posizione del F. sul regime si era fatta critica. Egli riteneva si fosse in presenza di uno scadimento del personale politico e di un allontanamento dal programma iniziale del fascismo. Pertanto gli fu ritirata la tessera nel febbraio del 1939, ma la sospensione durò poco più di un anno e la tessera gli venne riconsegnata nel dicembre dell'anno successivo.
Dall'aprile 1942 al luglio dell'anno seguente il F. rappresentò, inoltre, i giornalisti nella Corporazione professioni e arti e nello stesso periodo entrò nel Consiglio nazionale del PNF. All'impegno nella Corporazione seguì quello di rettore dell'Accademia della Gioventù italiana del littorio, che nelle sue intenzioni avrebbe potuto permettergli di mettere in pratica le sue idee sull'educazione. Partecipò anche al secondo conflitto mondiale con il grado di tenente colonnello sul fronte francese, ottenendo una ulteriore ricompensa al valore. La già citata nomina nel Consiglio nazionale del PNF lo fece rientrare, per essere impiegato nell'azione di propaganda del regime. Richiamato nuovamente dopo il 25 luglio del 1943, venne mandato a Firenze presso il comando della 5ª armata. Con otto campagne di guerra raggiunse, nel dopoguerra, il grado di generale di complemento.
Al momento della caduta del fascismo il F. aderì alla Repubblica sociale italiana (RSI), e dall'8 sett. 1943 fino al 25 luglio del 1945 fu editorialista del Corriere della sera e collaboratore della radio della RSI. Nel dopoguerra riprese l'attività giornalistica al Popolo di Roma e al Popolo italiano. Aderì inoltre al Movimento sociale italiano, nel quale ricoprì l'incarico di responsabile della stampa e propaganda per circa venti anni e divenne membro dell'esecutivo nazionale. Fu eletto a senatore del Parlamento della Repubblica, per la prima volta nel 1953 e di nuovo nella III e IV legislatura, per la circoscrizione del Lazio. Dal 1959 al 1969 fece parte della delegazione italiana al Parlamento europeo. Ancora nel dopoguerra pubblicò alcuni volumi: Lo sport (Roma 1949), che ripercorre le vicende dello sport italiano con particolare riferimento agli anni del fascismo, interessante per i vari riferimenti autobiografici, Angelo Mosso apostolo dello sport (Milano 1951) e Olimpiadi (ibid. 1952).
Fu, inoltre, nel dopoguerra, membro dell'Istituto Nastro azzurro di Roma, del Jockey Club, presidente del Panathlon Club d'Italia, gran croce magistrale con fascia del Sovrano Militare Ordine di Malta, nonché conosciuto collezionista di armi antiche africane.
Il F. morì a Roma l'8 genn. 1977.
Oltre agli scritti già citati va ricordato Esempi e idee per l'italiano nuovo, Roma 1930: raccolta di scritti e discorsi ciascuno dei quali è preceduto da una nota che indica le circostanze e la data in cui si è svolto.
Bibl.: R. Piermarini, La nascita del giornalismo sportivo in Italia, Trieste 1963, p. 20; R. De Felice, Mussolini il fascista, Torino 1968, pp. 351 s.; Id., Mussolini il duce, Torino 1974, pp. 27 n., 265 n.; M. Missori, Gerarchie e statuti dei PNF, Roma 1986, p. 206.