CRIVELLI, Landolfo
Nacque a Milano alla fine del XII secolo; era figlio di Danese, che ebbe tanta parte attiva nella vita politica e militare della città lombarda durante l'affermazione egernonica di quel Comune nella Valle Padana.
La sua famiglia era considerata nella prima metà del XIII secolo la più potente e la più ricca di Milano, e vantava tra i suoi antenati il papa Urbano III (1185-1187) ed alcuni arcivescovi della Chiesa ambrosiana. Il nome di battesimo del C. fu Landolfo e non Lodrisio, come sostennero l'Argelati ed il Muratori, mal interpretando l'abbreviazione dei nome, inserita nell'intestazione di alcune lettere dell'anno 1251, indirizzate al podestà di Mantova, Bonifacio da Canossa. Infatti già l'Odorici, fondandosi sull'autorità del Liber Poteris di Brescia, ebbe modo di correggere l'errore, dimostrando che il podestà della città nel 1251 si chiamava Landolfo Crivelli; pertanto le lettere attribuite dall'Argelati e dal Muratori a Lodrisio sono state scritte da Landolfo tra il marzo ed il maggio dell'anno 1251 (Epistolae Landrisii Cribelli de negotiis politicis suorum temporum (1251), in Antiq. Ital., IV).
La prima notizia sul C. risale al 10 genn. 1231, giorno in cui egli, assistito dal padre Danese e dallo zio Rizardo, che abitavano in una casa posta nelle vicinanze della chiesa milanese di S. Nazzaro alla pietra santa, rilasciò a Guido da Colleone una quietanza per una notevole somma di danaro, data in pegno da Guido, a nome dei Crivelli, al Comune di Milano. Quattro mesi più tardi il C., stando nella canonica di S. Giorgio a Bernate (una fondazione ecclesiastica dell'avo Uberto Crivelli, divenuto papa con il nome di Urbano III) acquistò dal consanguineo ser Lantelmo vaste proprietà nel luogo e nel castello di Cuggiono, uno dei centri di potere della famiglia.
Nell'ottobre 1239 il C. fu preso prigioniero, con suo figlio Danese, dalle truppe imperiali di Federico II, che avevano attaccato i territori lombardi, e al termine delle operazioni militari fu condotto con l'imperatore a Pisa. Da questa città Federico II scrisse il 25 dicembre dello stesso anno a Riccardo di Montenegro. suo funzionario nel Regno di Sicilia, affinché si recasse a Napoli a ricevere i prigionieri lombardi, che vi sarebbero stati trasferiti con galee pisane, per essere trattenuti nelle carceri di alcuni vassalli meridionali. La lettera specificava che il C. doveva essere direttamente affidato a Giacomo da Morra, un castellano residente nel Principato, entro la giurisdizione di Tommaso da Montenegro, funzionario imperiale. Tuttavia il 1° aprile 1240 l'imperatore scrisse da Orte a Tommaso da Montenegro affinché inviasse al campo imperiale, sotto fida custodia, alcuni prigionieri lombardi, fra cui il C., forse con l'intento di iniziare le trattative del riscatto. La comitiva dei prigionieri raggiunse l'imperatore ad Ascoli, ma non sappiamo se essi furono subito liberati o se intercorsero lunghe trattative. In ogni caso il 3 nov. 1245 il C. era ad Albairate, sul Ticino, con i soldati dell'esercito milanese, schierati contro Federico II.
Lo stesso giorno il C., che ricopriva la carica di sapiente del Consiglio di credenza del Comune di Milano, acconsentì, insieme con i suoi colleghi, che il podestà Uberto di Vialta rilasciasse una ricevuta all'arciprete di Monza, Arderico da Soresina, per un calice d'oro, con gemme, del peso di 170 once. La Chiesa di Monza, con l'approvazione anche del legato, papale, Gregorio da Montelongo, prestava al Comune una parte del suo tesoro, affinché il podestà lo impegnasse per ottenere danaro utile a continuare le operazioni militari contro l'imperatore. Le clausole dell'impegno prevedevano che entro il 25 dicembre il calice fosse restituito, pena la scomunica, ma ciò non avvenne, a causa del precario stato finanziario del Comune; l'episodio procurò pertanto il 21 apr. 1254 - ben nove anni dopo - una sentenza di scomunica al Crivelli. Quel giorno i sapienti dei Comune di Milano, fra i quali il C., furono convocati dall'arcidiacono di Como, Leone, a cui era stata affidata dal pontefice la causa della restituzione dei calice alla Chiesa di Monza. Essi non sipresentarono in giudizio e pertanto furono singolarmente scomunicati in quanto contumaci.
Proprio in rapporto alla grave situazione finanziaria in cui si dibatteva il Comune di Milano per sovvenzionare la guerra contro Federico II, nel maggio 1246 si decise un nuovo estimo dei beni in modo di ripartire con maggiore equità il carico fiscale nei confronti degli enti ecclesiastici e dei nobili, appartenenti al gruppo dei capitanei e dei valvassori. Contro queste decisioni, dovute alla precarietà dei tempi, il C. insorse il 13 sett. 1247; insieme con altri nobili egli sosteneva che il Comune di Milano non potesse imporre alcuna tassazione sui beni della Chiesa, che erano in larga misura goduti dalle famiglie dalla feudalità ecclesiastica. Il C. si distinse in questa vivace discussione, giacché impedì che fossero operate esazioni nei confronti delle proprietà del Monastero Maggiore.
Dopo la morte di Federico II il C. favorì la politica milanese di egemonia sull'Italia settentrionale, che si realizzò attraverso l'eliminazione dei centri di potere dell'Impero. Nel 1251 fu eletto podestà della città di Brescia e due furono le finalità da lui perseguite: togliere Bergamo e Lodi dall'alleanza imperiale ed insistere presso Bonifacio da Canossa, podestà di Mantova, affinché si impegnasse contro i Cremonesi di Buoso da Dovara e le truppe di Ezzelino da Romano.
Le lettere, di cui si è già parlato e che furono pubblicate dall'Argelati e dal Muratori, riguardano appunto l'azione politica del Crivelli. Dapprima i suoi sforzi vennero tutti rivolti nei confronti di Bergamo, una città allontanatasi dall'alleanza milanese nel 1236. Nel maggio del 1251 Innocenzo IV ritornò in Italia dalla Francia e ciò dovette favorire le trattative di pace tra Brescia e Bergamo: il 4 maggio infatti il C., assistito dal Consiglio dei sapienti di Brescia e da due suoi diretti funzionari, il miles Manfredo Crivelli ed il giudice Gerardo Cagapisto, ricevette nel palazzo del podestà i rappresentanti di Bergamo per espletare i preliminari della pace, che fu conclusa entro lo stesso mese. Forte dell'appoggio bergamasco, tra l'agosto ed il settembre il C. poté intraprendere, anche con l'ausilio di Milano, la guerra contro Lodi, che si concluse il 4 ottobre con la conquista della città. Le azioni militari intraprese dal C. sono ampiamente illustrate nelle lettere a Bonifacio da Panossa, che nel frattempo era impegnato contro i Cremonesi.
La discesa in Italia di Corrado IV nell'ottobre del 1251 portò ad un ulteriore vincolo di alleanza tra Milano, Brescia e Mantova, culminato, al termine della podestaria del C., con il rinnovamento della lega delle città guelfe, voluto anche dal nuovo legato papale, Ottaviano degli Ubaldini. Dopo l'episodio della scomunica, il C. partecipò alle lotte politiche e sociali della città di Milano, culminate nella pace di S. Ambrogio del 1258. Allo scadere della signoria su Milano del marchese Lancia, nel 1256, i Crivelli, i da Soresina, i Visconti e i da Monza si schierarono contro i Torriani, fautori del popolo, e furono cacciati dalla città. Non molto tempo dopo però il C. e suo figlio Danese abbandonarono il partito dei capitanei e dei valvassori e si allearono con Martino Della Torre, ma sul finire del 1257. con il prevalere del partito nobiliare, furono posti al bando ed ebbero i loro beni confiscati. Solo dopo il 4 apr. 1258, giorno in cui fu sottoscritta la pace di S. Ambrogio, fu loro concesso di rientrare in città, di recuperare le proprietà sequestrate e riebbero il diritto di ricoprire cariche politiche, a patto che si sottoponessero al pagamento dei carichi fiscali imposti dal Comune ai nobili.
Subito dopo il ritorno a Milano il C. morì, probabilmente nel medesimo 1259 o nei primi mesi del 1259: lasciava al figlio Danese un vasto patrimonio fondiario ed una ampia disponibilità finanziaria, ma una precaria posizione politica.
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