LANDOLFO
Primogenito del più illustre esponente della dinastia capuana, Pandolfo (I) Capodiferro, e di Aloara, figlia di un certo conte Pietro, L. divenne principe di Capua e Benevento e marchese di Spoleto, quarto del suo nome, nel 968, in associazione con il padre.
Secondo il principio della coreggenza, Pandolfo (I) Capodiferro aveva già associato al trono il fratello minore Landolfo (III) fin dal 959. Alla morte di quest'ultimo però, nel 968 (o 969), durante le campagne di Ottone I in Puglia e Calabria, il sovrano longobardo si rifiutò di riconoscere come legittimo erede al trono il nipote Pandolfo, figlio del fratello defunto, ma scelse invece di associare al trono il proprio figlio, Landolfo. Poche sono le notizie tramandateci dalle fonti circa il giovane sovrano, la cui figura e il cui operato furono messi in ombra dalle gesta del ben più illustre genitore.
Dopo la sconfitta di Bovino (969), a seguito della quale Pandolfo (I) fu mandato prigioniero a Costantinopoli, lo stratega bizantino Eugenio invase il territorio longobardo, occupando Avellino e stringendo d'assedio prima Capua e poi Benevento. La resistenza delle due città venne organizzata rispettivamente dalla principessa Aloara e dal giovane figlio L., coadiuvato dall'arcivescovo Landolfo di Benevento. Le truppe imperiali sassoni, giunte in aiuto dei Longobardi, ristabilirono gli equilibri politici precedenti la battaglia di Bovino. Recatesi poi a Benevento, ricevettero la benedizione dell'arcivescovo Landolfo, dopo essere state a quanto pare accolte dal giovane principe.
A partire dall'anno successivo, con il ritorno in Italia di Pandolfo (I), si interrompono nuovamente le notizie dirette relative a Landolfo. Stanco di una lunga guerra i cui esiti rimanevano incerti, Ottone I decise di affidare al fedele alleato Capodiferro la ripresa delle trattative con l'Impero bizantino interrotte a Capua nel 967. Risale allo stesso periodo il nuovo avvicinamento fra i due Principati longobardi di Capua-Benevento e di Salerno, che porterà nel 974 all'adozione da parte di Gisulfo (I), privo di eredi, del secondogenito del Capodiferro, l'omonimo Pandolfo. Nel 978, alla morte di Gisulfo, Pandolfo (I) si dichiarò collega del proprio figlio, riuscendo a riunire per la prima volta dalla morte di Sicardo (839) l'antico Ducato longobardo di Benevento.
Il vasto Stato si appoggiava però sul valore personale di colui che lo aveva creato e così alla morte di Pandolfo (I), nel marzo 981, l'artificiosa unione dinastica si spezzò. Secondo il principio ereditario longobardo il patrimonio paterno fu diviso fra i figli e Pandolfo rimase a capo del Principato di Salerno, mentre il primogenito L. ereditò tutto il restante vasto dominio.
Negli stessi mesi Ottone II, succeduto al padre, preparava da Roma una campagna in Meridione con lo scopo ufficiale di respingere le incursioni arabe che dalla Sicilia avevano ripreso a infestare le coste della Puglia e della Calabria, ma in realtà con l'obiettivo di espellere i Bizantini dall'Italia. La morte di Pandolfo (I) rese la situazione ancora più instabile e il giovane imperatore sassone si trovò a dovere affrontare nuovi e non previsti equilibri politici. Nell'ottobre 981, non appena le truppe imperiali si furono allontanate dalle terre longobarde per recarsi in Puglia, a Salerno una insurrezione locale, alla cui guida si trovava il duca di Amalfi Mansone, destituì il giovane e omonimo figlio del Capodiferro.
L'esempio dato da Salerno venne ben presto seguito anche dai Beneventani, i quali scacciarono L. e gli sostituirono il cugino Pandolfo (II), figlio di Landolfo (III), precedentemente esautorato dallo zio Pandolfo (I). È possibile riconoscere in tali avvenimenti l'esistenza di una sorta di legame privilegiato fra il ramo cadetto della dinastia capuana e l'antica capitale Benevento, legame che di fatto si manterrà fino alla fine del Principato.
Gli avvenimenti indussero Ottone II a interrompere la campagna di Puglia e a rientrare nelle due capitali longobarde, dove però di fatto non poté fare altro che accettare quanto accaduto e riconoscere i nuovi principi, da cui si fece prestare giuramento di fedeltà. Agli inizi del 982 l'imperatore riprese la campagna militare interrotta: nuove truppe si aggiunsero ai contingenti imperiali e fra queste anche quelle di L., principe di Capua e marchese di Spoleto, e di suo fratello Pandolfo.
Il 13 luglio 982 l'esercito di Ottone II subì una disastrosa sconfitta a Stilo, in Calabria, a opera delle truppe saracene dell'emiro Abul-Kasem e fra i tanti guerrieri caduti in battaglia vi furono anche L. e il fratello Pandolfo.
Nei mesi successivi l'imperatore si ritirò a Capua, dove rimase fino a novembre. Elesse a successore di L. il fratello di questo, Landenolfo (982-993), che privò però della Marca di Spoleto, assegnata a Trasemondo (III) conte di Penne, figlio del conte di Chieti. Si chiudeva così l'unione geopolitica ristabilita da Pandolfo (I): il Regno longobardo tornava a spezzarsi in tre Stati, separati fra loro dalla Marca franca di Spoleto.
I brevi anni di governo di L. al fianco del padre corrispondono al periodo di massima espansione del Principato di Capua e Benevento ma anche, al contempo, all'inizio di un rapido declino dell'autorità principesca, minata dalla crescente acquisizione di potere da parte delle signorie locali di conti e gastaldi. Per limitare le conseguenze della dispersione del potere i principi longobardi ricorsero a rimedi che non risultarono però né efficaci né radicali, fra cui l'attribuzione a membri della loro vasta parentela della giurisdizione comitale o delle più alte cariche monastiche. In altri casi Pandolfo (I) e il figlio L. intervennero contro alcuni degli aggressivi signori a capo dei comitati più vasti, come quando nel 977 scacciarono il conte Bernardo di Alife dalle terre di proprietà dell'abbazia di Montecassino da lui invase.
In linea con i suoi predecessori, anche L. favorì il cenobio cassinese: di lui si conservano vari diplomi, alcuni dei quali emessi insieme col padre e altri emessi successivamente, in cui confermava privilegi e beni dell'abbazia. A L. è attribuita anche la fondazione del monastero di S. Croce a Caiazzo, databile al 981: sono questi gli anni della riforma cluniacense ed è probabile che il principe avesse fatto propri i nuovi ideali religiosi, con cui sicuramente era venuto in contatto in occasione della permanenza nel 979 dell'eremita Nilo da Rossano presso la corte principesca longobarda.
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