LANDOLFO
Figlio di un Gaiderisio, non ne conosciamo la data di nascita, da collocare presumibilmente verso la metà dell'XI secolo.
L'8 nov. 1108 succedette come arcivescovo di Benevento a Roffredo, morto il 9 sett. 1107. Secondo Klewitz (1936) L. prima di essere consacrato arcivescovo di Benevento era cardinale prete del titolo di S. Lorenzo in Lucina. Della sua elezione arcivescovile parlano sia il cronista Falcone di Benevento nel Chronicon Beneventanum sia gli Annales Beneventani. Entrambe le fonti ricordano che la consacrazione di L., secondo arcivescovo beneventano di tal nome, avvenne in occasione della andata a Benevento del pontefice Pasquale II il quale tenne un sinodo nell'ottobre-novembre 1108.
Il fatto che Pasquale II avesse scelto un cardinale per la sede arcivescovile beneventana è perfettamente coerente con le linee della sua politica di riforma ecclesiastica e amministrativa dell'Italia meridionale. A partire dalla seconda metà dell'XI secolo in coincidenza con la fine del Principato longobardo di Benevento e con il passaggio della città sotto il controllo della Chiesa di Roma, anche per la sede beneventana si registra una ripresa dell'iniziativa vescovile all'interno del movimento di riforma che coinvolse le altre sedi vescovili del Meridione. Dopo una prima fase che dalla metà dell'XI secolo aveva visto protagonisti vescovi di formazione spirituale monastica, sullo scorcio del secolo con i pontificati di Urbano II e poi di Pasquale II fino al terzo decennio del XII secolo, le sedi vescovili dell'Italia meridionale vennero affidate a un gruppo di vescovi con una formazione spirituale omogenea in quanto gravitanti intorno alla Curia pontificia. Tra questi oltre a L. - ma già il suo predecessore aveva intrattenuto stretti legami con la Curia romana - possono essere citati Alberto di Piacenza, già cardinale prete di S. Sabina e in seguito vescovo di Siponto, e Romualdo (I) cardinale diacono di S. Maria in Via Lata arcivescovo di Salerno dal 1121. La scelta di questo tipo di prelati sembra testimoniare una nuova e precisa volontà del Papato rispetto al controllo ecclesiastico e politico del territorio nel tentativo di arginare le opposizioni locali.
Dal punto di vista dell'amministrazione ecclesiastica L. si adoperò per ristrutturare la rete diocesana e la distrettuazione ecclesiastica minore, costituita da pievi e parrocchie. Una testimonianza in tal senso è offerta da documenti che riguardano rivendicazioni di L. sulla parrocchia di Castro Biccari (Kehr, IX, pp. 62 s.). I tentativi di organizzazione territoriale di L., come del resto degli altri prelati, dovettero fare i conti con la sempre più pressante presenza dell'insediamento normanno.
L. svolse un ruolo di primissimo piano anche all'interno della vita politica della sua città, sulla quale la principale e spesso quasi unica fonte è costituita dal Chronicon Beneventanum. Non si hanno molte notizie sui primi anni dell'arcivescovado di L.; a partire dal 1112 la documentazione mette in evidenza il ruolo essenziale svolto da L. nel quadro delle mutevoli e intricate lotte per la nomina del rettore pontificio.
Un partito aristocratico filopontificio si contrappose a uno collegato con i potenti baroni normanni del circondario provocando violenti disordini all'interno della città. La sempre più serrata morsa normanna intorno a Benevento provocò ulteriori schieramenti e la cittadinanza si divise in due fazioni: una, popolare, che riteneva possibile una conciliazione con i Normanni e si raccolse intorno a L. e un'altra alla cui testa si pose l'aristocratico Landolfo di Greca scelto come connestabile da papa Pasquale II. G. Vergineo ha osservato come una spiegazione plausibile dell'atteggiamento conciliante di L. nei confronti dei Normanni sia riconducibile al fatto che la sua diocesi era in buona parte compresa all'interno dei feudi normanni. Landolfo di Greca fu invece fautore di una politica intransigente e aggressiva verso i Normanni e la sua condotta, che rifletteva le esigenze e le direttive della Sede romana, provocò la dura reazione dei feudatari normanni che si tradusse in una situazione di conflitto e instabilità con conseguenze gravi per l'economia beneventana fondata sui commerci.
Agli inizi del 1114 L. si recò a Roma da Pasquale II a capo di una legazione beneventana per tentare di trovare soluzioni alla situazione di discordia all'interno della città. Il pontefice rinviò L. a Benevento accompagnato da Romualdo cardinale diacono di S. Maria in Via Lata e Pietro cardinale vescovo di Porto che avevano il compito di mediare tra le fazioni cittadine. La situazione però ben presto degenerò e, nonostante i tentativi di conciliazione operati dai messi papali, il connestabile Landolfo di Greca fu costretto da un'insurrezione del partito popolare ad abbandonare la carica e a riparare fuori dalla città, presso Montefusco.
L'eccessiva preponderanza acquisita dal partito popolare non poteva essere accettata dalla Sede romana e si ritorse contro il suo capo, L., che fu ritenuto da Pasquale II responsabile dell'insurrezione contro il connestabile nominato dal pontefice stesso e del forzato esilio cui Landolfo di Greca era stato costretto. Pasquale II - fortemente adirato per la rimozione e l'allontanamento coatto del connestabile a lui fedele - decise di deporre pubblicamente L. da tutte le cariche che aveva ricevuto dalla Chiesa di Roma e inviò a Benevento "Anastasium et Albanensem episcopum cardinales Romanae Sedis idoneos" (Falcone di Benevento, p. 22), con il compito di appurare dai Beneventani come si erano svolti i fatti relativi alle discordie tra la fazione dell'arcivescovo L. e quella di Landolfo di Greca.
Dopo il ritorno a Roma dei due cardinali, nell'ottobre 1114 Pasquale II convocò un concilio a Ceprano nel corso del quale depose L. dalla sua carica.
Con ogni probabilità al concilio dovette assistere anche Falcone che, mantenendo una posizione distaccata, nella sua cronaca riporta con dovizia di particolari l'episodio della deposizione e la sua drammatica conclusione: "O qualem, si interesses, lector, fletum videres et Landulphi illius pallidum aspiceres vultum, cum ex ore tantorum iudicum, qui decoratus Beneventana sede et prae aliis gloriosus ubique fuerat, deponebatur. Quid dicam? Subsellio eius levato, metuendum illud concilium, ut mente captus, dereliquit" (p. 30).
Dopo appena due anni, grazie anche all'intercessione dell'influente abbazia di Montecassino, l'11 ag. 1116 il papa reintegrò L. nella sua carica arcivescovile. Superata la crisi con la Sede pontificia, l'arcivescovo tornò a essere l'elemento più importante nel governo di Benevento.
Il 10 marzo 1118 L. fu presente a Gaeta alla consacrazione di Gelasio II (Kehr, VIII, p. 30; IX, p. 64).
Il 10 marzo 1119 L. convocò un sinodo per porre un freno alle continue violenze che funestavano la città al punto che anche le chiese della sua diocesi erano continuamente oggetto di furti e vessazioni. Falcone narra che a esso furono presenti Giovanni, cardinale vescovo di Tuscolo, Ugone, cardinale prete dei Ss. Apostoli, un altro cardinale, venti vescovi suffraganei della sede beneventana e sei abati.
L. provvide anche ad avviare i lavori per la costruzione del nuovo episcopio. Con ogni probabilità sono da porre in collegamento a quest'opera di risistemazione edilizia anche le solenni riesumazioni delle reliquie di una serie di santi beneventani ricordate da Falcone. Il cronista descrive precisamente le modalità della solenne traslazione organizzata da L. il 15 maggio 1119 dei corpi dei santi Marziano, Doro, Potito, Prospero, Felice, Cervolo e Stefano. L'attenzione di L. per l'edilizia sacra e la promozione dei culti si inserisce in un programma religioso di ampio respiro che trova testimonianza anche nel fatto che durante il suo episcopato si registra una fase di ripresa della produzione agiografica beneventana, sia mediante la committenza arcivescovile di testi agiografici sia mediante la diretta composizione da parte di L. di opere agiografiche.
L. risulta infatti dedicatario di una serie di testi agiografici ed egli stesso è l'autore di una Passione in versi in onore di s. Mercurio (in V. Giovardi, Acta passionis et translationes sanctorum martyrum Mercurii ac duodecim fratrum, Romae 1730, pp. 32-45; cfr. Bibliotheca hagiographica Latina), e anche di un Sermo in vigiliis Ss. XII Fratrum; tale testo, generalmente ritenuto anonimo, è stato recentemente attribuito a L. da A. Vuolo sulla base del fascicolo VII del codice Fondo Ebdomadari, Misc., 1, cc. 45v-47, dell'Archivio storico diocesano di Napoli datato al XII secolo, che riporta il testo indicandolo come: "sermo venerabilis Landulfi beneventani archiepiscopi" (c. 45v).
L. morì, secondo quanto riporta Falcone di Benevento, il 4 ag. 1119.
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