FONTANA, Lanfranco
Nato a Modena intorno al 1530 da ricca e potente famiglia, fu tra i protagonisti di una lunga faida tra alcune eminenti famiglie cittadine.
Un odio secolare contrapponeva, in particolare, i Bellincini ai Fontana: entrambe le famiglie erano note in città per la loro lunga tradizione di violenze e prevaricazioni. Nel 1546 i Beffincini aggredirono il F. e i cugini Galeazzo, Giacomo e Giovanni Stefano infierendo in particolare su quest'ultimo. La vendetta dei Fontana non si fece attendere; il 20maggio 1546 Giovanni Stefano, spalleggiato dal F., pugnalò a morte Annibale Bellincini. Gli autori del delitto trovarono rifugio a Mantova, sempre incalzati dai Bellincini, che non risparmiarono neppure gli amici e gli affiliati della famiglia rivale.
Gli animi erano sempre più inaspriti, tanto da costringere il governatore F. Trotti a dar conto dettagliato. della situazione al duca Ercole Il d'Este. Il F. era il più odiato dai Bellincini, che lo ritenevano l'ispiratore dell'assassinio di Annibale. A lui si attribuivano anche altri omicidi: quelli di tal Pietro Antonio Lisnardo da Carpi, ritenuto spia dei suoi nemici, e di tal Baldissera Santagata. Il Trotti riuscì con molto sforzo a stipulare una tregua, estesa a tutti i membri delle due famiglie fin al quarto grado, che tuttavia non fu rispettata.
Il F. con i suoi accoliti dovette restare lungo lontano da Modena. Nel 1556 offrì i suoi servigi al duca Ercole: egli fece ricordare al duca come gia altre volte gli avesse prestato la sua opera, accompagnandolo in Francia e servendo per più mesi il duca di Guisa. La risposta di Ercole non dovette essergli favorevole, se l'anno dopo da Sassuolo supplicava nuovamente il duca di concedergli un salvacondotto. Sempre del 1557 è un'altra supplica del F. e del cugino Galeazzo per chiedere di essere graziati dall'accusa di omicidio nei confronti del Bellincini, dei Lisnardo e del Santagata. Infine Ercole II, dovendo fronteggiare Ottavio Farnese duca di Parma, richiamò nelle file dell'esercito il F. e i suoi familiari, che combatterono per gli Este nel Reggiano.
Alla conclusione delle operazioni militari, tornato anche il F. a Modena, ripresero le ostilità tra le famiglie. Nel 1558 il F. fu sfidato a duello dal capitano C. Forni, che l'accusava di aver attentato alla sua vita.
Dovette temere fortemente per la sua incolumità, se cercò riparo a Venezia; tornato successivamente a Modena, si riaccese la rivalità. Le autorità civili ed ecclesiastiche intervennero per placare gli animi: "Per il duello di messer Lanfranco Fontana e di messer Camillo Forni il reverendo padre predicatore pregò li Signori Conservatori che vogliono mandare un ambasciatore a S. E. il duca di Ferrara et supplicarla ad intromettersi per far pace alli predetti... acciocché vivono queti li animi de lor parenti et acciò non succedano scandali in la città" (Sandonnini, 1886, pp. 441 s.).
Ma invano i Conservatori inviarono un ambasciatore a Ferrara e lettere al F. e al Forni con l'invito a rappacificarsi. Il duello ebbe luogo in territorio mantovano, i due contendenti riportarono leggere ferite e Guglielmo Gonzaga, signore del campo, indusse il F. e il Forni a rappacificarsi, cosa che in un primo momento avvenne, come è testimoniato dalle lettere di Margherita e Ludovico Gonzaga ai Conservatori di Modena. Il F. e il Forni furono banditi da Modena per sei mesi, in seguito al duello avvenuto contro le leggi del Ducato estense. Ritornati in città ricominciarono le faide familiari: una nuova rissa lasciò sul campo cinque morti e numerosi feriti. Il duca d'Este fece bandire da Modena i Bellincini, che si erano opposti violentemente agli ufficiali di Giustizia.
Nonostante il bando comminato ai Bellincini, le violenze continuarono da parte dei loro fautori e affiliati. Il F. si accordò quindi con un cavaliere di Udine, Marzio Colloredo, col quale ai primi del 1562 si ritirò in Castelnuovo, feudo di P. Rangoni, dove i due misero a punto un ordigno micidiale, una scatola contenente polvere da sparo, dotata di un meccanismo che assicurava l'esplosione al momento dell'apertura. Realizzati vari esemplari della bomba, il F. ne inviò uno a Parma, a Giovanni Battista e Ippolito Bellincini; a Comelio Bellincini, canonico della cattedrale di Modena; a Giovanni Forni, che viveva molto protetto in una torre a Gorzano, e ad altri suoi nemici.
Un caso salvò la vita a Giovan Francesco Forni di Firenze: un gabelliere alle porte della città volle esaminare la scatola, che scoppiò uccidendo il portatore e il gabelliere e ferendo nove persone. Aurelio Bellincini di Modena perse un occhio e i suoi nipoti Cesare, Ludovico, Camillo e Costanzo furono feriti più o meno gravemente. A Reggio Emilia il F. fece una strage della famiglia Cambi, che aveva per lungo tempo abitato a Modena, parteggiando per i Bellincini. Così il Tassoni descrive la scatola: "Misit quasdarn capsulas ad instar timpanuli pulchre depictas cum litera unicuique alligata et sigillata... erat littera capsulac alligata, pilla aenea capsulae inclusa (mirabille dictu) subito in mille frusta cum maximo fragore et fumo cum igne erupit" (p. 348). L'invenzione fece epoca: G. Orologi, nei suoi Commenti alle Metamorfosi di Ovidio ridotte in ottava rima da G.A. Anguillara (Venetia 1578), così la descrive, dove tratta del tradimento di Medea e della morte di Creusa "oltre il foco hanno rinchiusi in una palla di metallo con fuochi artificiali alcuni piccoli scoppietti, che feriscono da tutte le parti" (p. 130).
A questo punto la reazione del duca Alfonso II d'Este (succeduto ad Ercole II nel 1559) non poteva non essere delle più decise: il 29 giugno 1562 fu pubblicato a Modena un bando che prometteva una ricompensa di 1.000 scudi a chi avesse consegnato il F. vivo e 500 se morto. L'anno successivo sulla facciata di casa Fontana a Modena, posta di fronte alla chiesa dei servi, fu murata una scultura raffigurante il F. impiccato, rimossa solo nel secolo successivo. Il F. fu costretto a fuggire nel Ducato di Milano, dove trovò rifugio presso T. Marino, facoltoso mercante e finanziere genovese, trasferitosi a Milano, dove fece erigere l'omonimo palazzo. Il F. trovò in palazzo Marino protezione contro le ricerche e i bandi del duca di Ferrara e l'amicizia e la connivenza di Andrea, figlio del Marino. Dopo qualche mese però il governatore di Milano, G. Fernández de Cordoba, duca di Sessa, consigliò T. Marino di liberarsi del Fontana. Questi pensò quindi di recarsi in Francia per cercare protezione in quella corte dove già aveva servito al seguito del duca d'Este. Durante il viaggio si fermò a Dolzago presso Nizza nel castello di Stefano Doria. Non dovette però trovare presso la corte di Parigi buona accoglienza, se poco dopo si ritirò in Lunigiana, a Tresana, presso il marchese Guglielino Malaspina, dove morì alla fine di settembre o ai primi di ottobre del 1563.
Fonti e Bibl.: A. Tassoni, Cronache modenesi, a cura di L. Vischi - T. Sandonnini - O. Raselli, Modena 1888, p. 348; T. Sandonnini, T. Marino, mercante genovese, in Arch. stor. lomb., X (1883), p. 59; Id., Un famoso bandito modenese, in Atti e mem. delle R. Deputaz. di storia patria per le prov. modenesi e parmensi, s. 3, IV (1886), pp. 427-457; S. Peyronel Rambaldi, Speranze e crisi nel Cinquecento modenese, Milano 1979, p. 173e nota.