MALOCELLO, Lanfranco
Nacque probabilmente tra il 1224 e il 1229 da Guglielmo di Enrico, console del Comune di Genova nel 1207. Apparteneva al ramo della potente famiglia di parte guelfa, una delle più influenti nella politica comunale, che deteneva la signoria su Varazze, Celle e Albisola; era probabilmente fratello minore dell'ammiraglio Jacopo, nonché di Enrico e Tommaso. La prima menzione nelle fonti riferibile con una certa sicurezza al M. lo segnala membro dell'ambasceria inviata a Firenze nel 1254 per le trattative di pace con Pisa. Ciò indica che doveva allora essere un uomo di almeno 25 o 30 anni dotato di esperienza politica.
La ricostruzione della vita del M. è complicata dalla presenza di due omonimi coevi. Nelle fonti risulta infatti un Lanfranco maior - membro dello stesso consortile, più anziano, già attivo nel 1211 e presumibilmente almeno fino al 1251, morto prima del 1276 - e il nipote del M., Lanfranco detto Lanfranchino quondam Tommasi, di cui non sempre è specificata la paternità, e che quindi si può confondere talvolta con lo zio.
Dopo il brusco arresto della carriera del fratello Jacopo - per le sue responsabilità nella disfatta inflitta nel 1241 dalla squadra pisano-imperiale a quella genovese da lui comandata nella battaglia del Giglio - il M. era l'esponente del gruppo familiare maggiormente orientato per l'attività politica e diplomatica, frutto presumibilmente di una formazione giuridica, indicano i suoi successivi incarichi di podestà a Lucca, Savona e Bologna.
Di questa capacità diede prova negli anni successivi: nel 1256 fu membro della commissione di nove nobili che affiancarono il podestà di Genova nelle trattative per la sottomissione del borgo fortificato di Lerici, fondamentale punto di controllo dell'estremo Levante strappato ai Pisani. Nello stesso anno fu inserito nell'ambasceria del Comune a papa Alessandro IV per riconoscere il ruolo del papa come arbitro delle controversie sorte in Terrasanta con i Veneziani.
L'avvento nel 1257 del regime popolare, guidato dal capitano del Popolo Guglielmo Boccanegra, comportò però una inevitabile battuta d'arresto nella carriera politica del M., che fu bruscamente escluso, come gli altri nobili, dalle cariche di governo. Quando si attenuò la iniziale rigidità dei provvedimenti antimagnatizi, il M. rientrò ai vertici dell'attività politica e nel 1262 fu chiamato, quale membro della principale magistratura del Comune, il Consiglio degli anziani, a ratificare le convenzioni privilegiate concesse agli abitanti di Monaco.
Dalla caduta di Boccanegra, sempre nel 1262, con il ritorno al potere dell'antica nobiltà, la carriera politica del M. ebbe una significativa accelerazione: nel 1265 fu membro del consiglio degli octo nobiles, che affiancava il podestà in particolare nell'amministrazione finanziaria, del quale anche il fratello Jacopo era già stato più volte membro, e in tal veste accompagnò il podestà ad Asti per avviare trattative diplomatiche tra i due Comuni.
Nello stesso anno concluse con i fratelli Jacopo ed Enrico e il nipote Lanfranchino la divisione dei consistenti beni fondiari nell'area fra Genova, il passo dei Giovi e Cogoleto, a ovest della città, e fra Genova e Quinto, a est, fino a quel momento tenuti in possesso indiviso fra i membri del consortile, atto che - oltre a definire in maniera più chiara i diritti patrimoniali dei vari membri del consortile - quasi segnava simbolicamente il suo progressivo distacco da una fase di partecipazione attiva alla politica interna di Genova a favore di una sempre più intensa attività fuori della città.
Già nel 1266 il M. fu podestà di Lucca, tradizionale alleata di Genova e bastione guelfo nella lotta antipisana, dove non a caso fu inviato anche l'anno dopo come ambasciatore di Genova proprio per trattare questioni relative alla guerra contro Pisa, ultima roccaforte irriducibile del ghibellinismo italiano dopo la caduta di Manfredi di Svevia e l'avvento del nuovo astro del guelfismo, Carlo I d'Angiò re di Sicilia.
I legami stabiliti dai guelfi genovesi col nuovo arbitro della politica italiana ebbero un ruolo decisivo negli sviluppi dell'attività politica e della carriera del M., che nel frattempo aveva anche provveduto a ulteriori interventi sul patrimonio fondiario ancora detenuto insieme con i fratelli attraverso la vendita a Ogerio, abate del monastero benedettino genovese di S. Siro, di alcune terre nella zona di Campi, nella Val Polcevera, immediatamente a ovest di Genova, nel marzo 1268, per la cospicua cifra di 250 lire. Nel 1269 - quando fu mallevadore del noleggio di una nave da parte degli ambasciatori di Luigi IX di Francia, impegnati a organizzare la nuova crociata progettata dal re - il M. fu infatti uno dei protagonisti delle trattative svoltesi a Napoli, sotto l'occhio vigile di Carlo, per la composizione del dissidio tra guelfi al potere in Genova ed esuli ghibellini, che avrebbe dovuto assicurare a Carlo lo stabile inserimento della città pacificata nel suo disegno di dominio della penisola. A simboleggiare la ritrovata concordia fra le parti, il M. sposò la figlia di Oberto Spinola, uno dei capi della fazione avversa, e ciò molto probabilmente ebbe peso determinante nella sua nomina nel 1270 a podestà di Savona, da sempre roccaforte ghibellina.
L'equilibrio politico interno genovese rimaneva tuttavia precario, e l'atteggiamento di Carlo - che pareva intenzionato a considerare i Genovesi come sudditi e a non rinnovare, se non in parte, i privilegi di cui avevano goduto nel Regno fin dal tempo dei re Normanni - contribuiva certamente a esasperare le tensioni; il disastro della crociata tunisina di Luigi IX e il saccheggio di navi genovesi naufragate sulle coste siciliane sulla via del ritorno, autorizzato da Carlo, fecero quindi solo precipitare eventi che da tempo si andavano preparando. Il colpo di Stato che nell'ottobre 1270 portò al potere i ghibellini sotto la guida di Oberto Spinola e Oberto Doria, proclamati capitani del Popolo, estromise i guelfi dal governo e, se anche non causò un danno diretto al M., tutelato dalla parentela con il nuovo uomo forte del governo genovese, dovette però persuaderlo della necessità di allontanarsi ancora dalla politica cittadina, dove si profilava il riaccendersi di violenti scontri tra le fazioni.
Nel 1271 infatti il M. accettò la carica di podestà di Bologna, che gli dava modo di allontanarsi dagli ambienti politici genovesi senza mettersi in urto con nessuna delle fazioni in lotta, e soprattutto senza urtare la suscettibilità del potente suocero.
L'attività del M. durante l'esercizio di questo incarico è ben documentata dalle fonti bolognesi, che testimoniano come egli abbia operato in modo incisivo sia sul versante interno dell'amministrazione della città, sia nel campo della diplomazia e in quello militare: nel primo settore va soprattutto ricordata l'approvazione dei nuovi statuti sui malfattori, con l'istituzione del magistrato della Pace, mentre nell'ambito della politica esterna il M. si trovò a dover gestire situazioni di grande delicatezza. La turbolenta situazione dell'area lo portò infatti a occuparsi sia delle operazioni di demolizione del castello di Savignano, che i Modenesi avevano dovuto concedere ai Bolognesi nel quadro del trattato di pace stipulato tra le due città, sia del tentativo, rivelatosi fallimentare, di spostare i confini fissati fra i districta dei due Comuni; fu inoltre coinvolto nell'avvio di quelle operazioni militari contro Venezia lungo il corso del Po che, nonostante l'iniziale vittoria delle forze bolognesi nella battaglia di Primaro il 1( sett. 1271, avrebbero segnato l'inizio di una logorante catena di ostilità il cui effetto a lungo termine sarebbe stato il crollo del sistema politico bolognese.
Durante il mandato del M., attraversò la città il corteo con il quale il nuovo re di Francia, Filippo III, accompagnava in patria i resti del padre Luigi IX, morto durante la fallita crociata di Tunisi, evento importante da un punto di vista politico e diplomatico. L'accoglienza solenne alle "reliquie" di re Luigi, "martire della fede" e già in via di santificazione nel comune sentire, rappresentò un momento di alta partecipazione popolare e una preziosa occasione di incontri diplomatici tra il nuovo re, i rappresentanti di suo zio Carlo che lo accompagnavano numerosi e gli esponenti del guelfismo italiano trionfante, al quale, oltre all'isolata Pisa, si opponeva la sola Genova; pertanto il M., esponente della fazione guelfa genovese, dovette avere certamente in questa occasione numerosi colloqui politici.
Forse proprio in quel frangente si cercò di coinvolgere anche il M., che sicuramente era considerato uno dei più influenti capi della fazione guelfa, nella trama politica che l'Angiò già intesseva contro la città che aveva osato sfidarlo, ma a dispetto delle pressioni che sicuramente furono esercitate su di lui sia da parte degli emissari di Carlo sia dagli esuli genovesi, egli non sembra aver aderito ai progetti che lo avrebbero condotto a prendere le armi contro la madrepatria e contro il parentado della moglie, al contrario di quanto fece invece il nipote Lanfranchino, che nel 1273 si fece persuadere dal vicario angioino in Lombardia a organizzare una spedizione armata di fuorusciti contro Savona, per fare della città la base delle operazioni contro Genova da terra e dal mare, conclusasi in un sanguinoso fallimento a causa della tenace resistenza delle forze genovesi.
Proprio per il clima di guerra civile che si era creato, il M., legato a entrambe le fazioni in lotta da vincoli personali, dovette decidere di ritirarsi dall'attività politica, ed è verosimilmente per questo che dopo il suo mandato podestarile a Bologna non è più possibile reperire nelle fonti notizie su di lui.
Anche la data di morte del M. è problematica, perché ancora una volta nelle fonti la sua figura e quella di Lanfranco maior tendono a sovrapporsi. Ritenendo però che Lanfranco maior sia da identificare col cognato del marchese Jacopo Del Carretto e che, quindi, se ne debba fissare la morte prima del 1276, in quanto pienamente compatibile con un'attività documentata già nel 1211, è possibile identificare il M. col personaggio che risulta già defunto in un documento del 24 apr. 1290.
In questo atto, che consente di avere un'idea più chiara della discendenza dei quattro fratelli, è infatti registrato l'accordo raggiunto tra i numerosi esponenti della successiva generazione della famiglia (Nicolò, Tedisio, Antonio e Giorgio, figli di Jacopo, Tommaso, figlio di Enrico, e Albertino e Luchino, figli del M., ai quali ultimi si affianca Costantino Lercari in qualità di tutore di Albertino, figlio del loro defunto fratello Egidio) per la suddivisione con il Comune di Genova, rappresentato nell'occasione da Ansaldo Doria, dei beni mobili e immobili posti in Varazze e Albisola, provenienti dall'eredità di Jacopo, che lo stesso Comune aveva acquistato il 10 febbr. 1290, per il notevole prezzo di 3200 lire, da Giacomo e Bonifacio, figli di Lanfranco maior.
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