ZACCHIA, Lanfranco.
– Figlio illegittimo di Lorenzo, nacque a Roma in una famiglia di agiati professionisti, probabilmente di origine ebraica, intorno al 1624. Nessuna notizia si conserva della madre, Un fratello del padre, Paolo (v. la voce in questo Dizionario), annoverato tra gli antesignani della medicina legale, fu medico personale di Innocenzo X; un altro, Silvestro, fu invece un apprezzato giureconsulto, uditore di rota a Siena, Lucca e Firenze.
Sollecitato da un contesto tanto stimolante, al quale non erano estranee neppure la poesia, la pittura e la musica, Zacchia si addottorò in utroque iure nell’ateneo romano. Dedicatosi subito all’esercizio dell’avvocatura, riscosse un ampio successo patrocinando cause sia nel settore del diritto canonico sia in quello del diritto civile. L’esercizio della professione segnò il suo inserimento in quel circuito di istituzioni dove emergevano, oltre al Collegio degli avvocati concistoriali, la Confraternita di S. Girolamo della Carità e quella dell’Immacolata e di S. Ivo, le quali contemplavano tra le proprie finalità statutarie il gratuito patrocinio dei non abbienti.
Appena ventitreenne, curò un’edizione del De obligatione camerali (Romae 1647), la principale fatica dello zio giudice che egli corredò di proprie Adnotationes. Per guadagnarsi una fama consolidata Zacchia dovette attendere la pubblicazione del suo De salario seu operariorum mercede (Romae 1656), trattato che, grazie all’interesse suscitato dalla materia affrontata, segnò la differenza tra lui e i pratici che gremivano le aule dei tribunali capitolini.
Inoltrandosi in un campo ancora poco esplorato, sebbene di grande rilievo per la risoluzione di frequenti controversie, egli distribuì i contenuti dell’opera, articolata in 110 quaestiones, in tre parti. Nella prima espose le teorie concernenti la natura del salario e le sue varie tipologie; nella seconda enumerò le categorie alle quali esso sarebbe destinato, senza escludere, indulgendo all’inclinazione barocca per la stravaganza, soggetti ai margini del costume e della morale quali lenoni e prostitute; nella terza passò in rassegna gli aspetti processuali della disciplina, guidando il lettore nei labirinti dei termini di prescrizione, della scelta del foro competente e delle azioni più consone alla natura della controversia da decidere. Testimoniano l’ampio respiro della sua preparazione alcune quaestiones come la XVI, dove l’adeguatezza del salario, tema squisitamente giuridico, si trova opportunamente congiunto con quello dell’inflazione, di natura più prettamente economica.
Avvocato presso la Confraternita dell’Immacolata Concezione e di S. Ivo, che assisteva i poveri nel contenzioso civile, nel 1661 fu eletto primo assistente, carica in cui fu confermato anche l’anno successivo. È noto che in questo periodo il sodalizio gli affidò non meno di tre cause, così come è noto l’uso da parte dei patrocinanti presso le due confraternite romane di redigere manuali e altre opere di taglio operativo. Proprio perché ancorato agli agguerriti ambienti delle professioni legali, il trattato di Zacchia era destinato non solo al frequente utilizzo, e pertanto a sostanziale apprezzamento, ma anche ad attirare gli strali della critica.
Tra le voci di dissenso più autorevoli vi fu quella di Giovanni Battista De Luca, il quale tacciava di ingenuità alcune opinioni concernenti l’onorario degli avvocati e la prescrittibilità dell’azione per la sua riscossione. Si trattò comunque di riserve che non misero in discussione il valore complessivo dell’opera, alla quale Zacchia diede per così dire continuazione con la Centuria decisionum ad materiam Tractatus de salario (Venetiis 1664), dove i punti nevralgici da lui già affrontati venivano illustrati alla luce della prestigiosa giurisprudenza della Rota romana.
A dimostrazione dello stretto legame tra le due opere vi è non solo l’esplicito riferimento alla prima contenuto nel titolo della seconda, ma anche la presenza di 150 decisiones nell’edizione romana del trattato, realizzata per volontà di Innocenzo XI nel 1679. Tale fu l’autorevolezza del trattato di Zacchia che si conformarono ai suoi contenuti persino le decisioni dei tribunali veneziani, sebbene il diritto comune fosse escluso dalle fonti di quello vigente nella Serenissima.
Nel 1680, chiamato a esprimere il proprio parere in una congregazione per la riforma del diritto successorio, Zacchia non esitò, al pari di De Luca e del senese Flaminio del Taja, a caldeggiare l’esclusione dalla successione ab intestato delle donne e degli ecclesiastici, così come previsto da alcune norme statutarie che miravano all’integrità dei patrimoni familiari.
Dando esecuzione alle volontà manifestate dallo zio medico in punto di morte, egli promosse la ripubblicazione, a Lione nel 1661, delle sue Quaestiones medico-legales, arricchendole di addizioni, di una seconda parte formata da 85 consilia resi dallo scienziato al termine della propria carriera, e di una raccolta di 100 decisiones rotali che vanno dal 1569 al 1657. Proprio al nipote Lanfranco Paolo aveva destinato con proprio testamento una compagnia di uffici di cui era titolare assieme con il Collegio dei medici al quale apparteneva.
L’improvvisa scomparsa, avvenuta a Roma nel 1685, non consentì a Zacchia di dare alle stampe due trattati ai quali aveva lavorato: il De assistentia Judiciali e un altro sul signum crucis, ovvero sulle modalità di sottoscrizione degli analfabeti.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico del Vicariato, Confraternita dell’Immacolata Concezione e di S. Ivo avvocato dei poveri, vol. I, p. 8.
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