LANFREDINI, Lanfredino
Nacque a Firenze l'11 nov. 1456 da Iacopo di Orsino e da Ginevra di Bardo Antinori, morta nel 1458, il cui ritratto eseguito da Piero del Pollaiolo è conservato in palazzo Lanfredini.
La famiglia, abitante ab antiquo nel quartiere di S. Spirito e nel "gonfalone" del Drago, era titolare di una delle maggiori case mercantili e bancarie di Firenze, con interessi anche a Ferrara, dove aveva in appalto la riscossione delle gabelle, e a Venezia. Membri della famiglia risultano presenti dal 1334 nel governo del Comune di Firenze, ma aveva acquisito particolare influenza soprattutto grazie al costante appoggio e alla stretta collaborazione stabilita da Giovanni Lanfredini, zio paterno del L., e in misura minore dal padre, con Lorenzo de' Medici; entrambi furono infatti titolari di importanti cariche pubbliche durante il periodo laurenziano e in particolare Giovanni Lanfredini fu quasi ininterrottamente ambasciatore fiorentino, prima a Napoli e poi a Roma, dove morì in servizio nel gennaio 1490.
Dopo gli studi letterari condotti, e probabilmente non conclusi, presso lo Studio fiorentino, dove ebbe tra i principali maestri Giorgio Antonio Vespucci, il L. fu avviato alla politica e alla diplomazia dallo zio Giovanni, presso il quale trascorse un periodo nel 1484-85 a Napoli; sembra che anche durante l'ambasceria dello zio a Roma il L. lo avesse accompagnato, dal momento che fu lui a dare la notizia della morte dell'ambasciatore a Lorenzo il Magnifico con lettera scritta da Roma in data 5 genn. 1490 (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo avanti il principato, 41, n. 9, con data 1489, secondo lo stile fiorentino).
Ai primi di aprile 1487 il L. fu incaricato di una missione esterna di modesto rilievo: fu inviato dai Dieci di balia a Milano in appoggio all'ambasciatore ufficiale Piero Alamanni per occuparsi di una controversia tra mercanti fiorentini e milanesi per una fornitura di seta. Ben presto gli fu assegnato un altro compito: l'esazione da Ludovico il Moro di denaro pattuito per l'assoldamento in comune di truppe mercenarie, cui il L. accenna in due lettere inviate da Milano a Lorenzo il Magnifico in data 19 e 20 maggio 1487 (ibid., 40, 46, 48).
Il 7 marzo 1489 segnò l'ingresso del L. nelle cariche di governo, con un ufficio minore, quello di camarlingo della gabella dei contratti, cui fecero seguito uffici di maggiore importanza, come quello di membro degli Otto di guardia e balia dal novembre 1490, mentre al bimestre settembre-ottobre 1492 risale la sua prima elezione al priorato. Appena scaduto il suo primo priorato, il 9 nov. 1494 la famiglia Medici fu cacciata da Firenze e fu instaurato un nuovo regime, fortemente influenzato dalla personalità di Girolamo Savonarola, di cui il L. divenne uno dei più strenui sostenitori.
Il nuovo regime si fondava sul Consiglio maggiore, composto da più di 3500 membri, e un Consiglio ristretto, denominato Consiglio degli ottanta. Il L. fu membro a vita del primo, mentre a partire dal 30 apr. 1496 fu più volte eletto nel secondo, ma la sua influenza nella vita pubblica è visibile soprattutto attraverso i verbali delle consulte e pratiche, i consigli segreti convocati dal governo per avere pareri sulle principali questioni politiche e formati dai cittadini più influenti. A questi consigli il L. partecipò frequentemente, sia quando era membro di importanti magistrature, sia, in qualità di "arroto", quando era libero da incarichi di governo.
La seconda estrazione al priorato fu nel bimestre marzo-aprile 1498 e coincise con l'ultima fase, quella più drammatica, della parabola savonaroliana. Il frate, già protagonista della vita religiosa e politica cittadina, era uscito perdente dallo scontro con il papa, che nell'aprile 1497 gli aveva proibito la predicazione. Sotto la minaccia dell'interdetto papale, la maggior parte del ceto dirigente fiorentino aveva voltato le spalle al Savonarola, che presto sarebbe stato imprigionato e condannato a morte. Non così il L., che aveva firmato la petizione in favore del frate e nel bimestre del suo priorato, benché in minoranza (i membri della Signoria favorevoli al frate erano due su nove) cercò di adoperarsi affinché non fosse messo ai voti il bando che imponeva a Savonarola di lasciare Firenze entro poche ore. Il provvedimento fu invece approvato il 7 aprile. In occasione del processo contro il frate, l'accusato confessò di essere stato incoraggiato dal L. e dal fratello di questo, Antonio, a sottoporsi alla prova del fuoco; il L., interrogato come testimone, cercò in ogni modo di difenderlo, rischiando la scomunica e mettendo a repentaglio la sua stessa vita. Ma la sorte di Savonarola era ormai segnata e il 23 maggio 1498, pochi giorni dopo la scadenza del mandato del L. come priore, subì l'estremo supplizio.
Terminata la parentesi savonaroliana, il governo fiorentino rimase tuttavia ancora per alcuni anni con la struttura che gli era stata impressa dalle riforme del dicembre 1494. Durante questo periodo il L. fu varie volte membro dei Dieci di balia, l'organo che presiedeva alle relazioni esterne e nel febbraio 1500 fu inviato a Pistoia come commissario di quella magistratura, insieme con Luca degli Albizzi, per reprimere la recrudescenza della faida secolare che opponeva le fazioni dei Cancellieri e dei Panciatichi. Nel bimestre novembre-dicembre 1501 assurse alla più alta carica del governo fiorentino, il gonfaloniere di Giustizia, oggetto di lì a un anno di un'importante riforma che l'avrebbe resa vitalizia e l'avrebbe affidata a Piero Soderini. Nel maggio 1503 il L. fu per sei mesi degli Ufficiali del Monte, la magistratura che governava il debito pubblico della Repubblica fiorentina. L'8 sett. 1504 fu tratto per il gonfalone del Drago S. Spirito a far parte dei Sedici gonfalonieri, uno dei due Collegi che coadiuvavano la Signoria e il 15 dic. 1511 fu tratto membro del secondo collegio, quello dei Dodici buonuomini.
Durante il periodo del Soderini, il L. continuò a essere una delle personalità più rappresentative della Repubblica e uno dei consiglieri più assidui nelle consulte, dove si trovò non di rado a opporsi al gonfaloniere: nel 1504 fu tra i pochi a opporsi alla spedizione militare contro Pisa, sottrattasi al dominio fiorentino fin dal 1494 e, nonostante molteplici tentativi militari e diplomatici, non più ripresa fino al 1508. La spedizione ebbe ugualmente luogo e, come il L. aveva previsto, fallì.
Nel gennaio 1508, in vista della discesa in Italia di Massimiliano I d'Asburgo, il L. partecipò alla discussione dei Dieci di balia sul sostegno all'imperatore, cosa che avrebbe destato i sospetti del re di Francia, tradizionale alleato di Firenze: benché favorevole ai buoni rapporti con l'imperatore, il L. tentò una mediazione tra gli opposti punti di vista e infine gli ambasciatori furono eletti, ma la loro partenza fu dilazionata. Benché continuasse a collaborare lealmente con il gonfaloniere, il L., vedendo naufragare a poco a poco il regime, sostituito da un sistema di governo sempre più rigidamente oligarchico, cominciò ad auspicare il ritorno dei Medici. Quando, nell'agosto 1512, il governo del Soderini fu liquidato sotto l'incalzare degli avvenimenti, il L. prese parte attiva ai rivolgimenti che di lì a poco portarono alla restaurazione dei Medici.
Da una lettera del 5 sett. 1512 a Francesco Guicciardini, ambasciatore in Francia, risulta il ruolo-chiave sostenuto dal L. in questi avvenimenti: fu tra i primi a irrompere nel palazzo della Signoria e a indurre Pier Soderini a fuggire, a scortarlo fino al quartiere di Oltrarno, dove i fratelli Francesco e Paolo Vettori, su commissione del L., gli avevano preparato i cavalli e organizzato la fuga. Nei giorni successivi il L. fece passi concreti per riavvicinarsi ai Medici: ai primi di settembre 1512, con il cardinale Giovanni de' Medici quasi alle porte di Firenze (in cui non sarebbe potuto entrare fino alla revoca del bando comminato contro la famiglia nel novembre 1494), il L. fu tra quegli autorevoli cittadini che andarono a incontrare lui e poi anche Giuliano de' Medici. Il L. fu dunque designato membro della Balia istituita il 16 settembre di quell'anno con il compito di richiamare i Medici dall'esilio e riformare le istituzioni. Nel novembre-dicembre 1512 fu estratto per la terza volta al priorato. Dette consigli al cardinale Giovanni sul modo migliore di governare Firenze, prima che questi lasciasse la città per partecipare al conclave da cui sarebbe uscito papa. Il consiglio del L. consisteva nel "reggerla civilmente", restaurando il sistema di governo di Lorenzo il Magnifico, ma arretrando piuttosto che avanzando dalle posizioni di potere personale da questo raggiunte. L'adesione del L. ai Medici trovò la consacrazione nella designazione per l'ambasciata di obbedienza a Leone X, capeggiata dal fratello del papa, Giuliano de' Medici. Il L. non faceva parte dell'ambasceria, ma la morte di Cosimo de' Pazzi, arcivescovo di Firenze che doveva tenere l'orazione ufficiale, e la grave malattia di Bernardo Rucellai, cognato del papa, comportarono la loro sostituzione con Iacopo Gianfigliazzi e il Lanfredini. L'ambasciata, composta di dodici membri, partì da Firenze il 27 marzo 1513.
Fu presumibilmente al ritorno dall'ambasciata che il L. commissionò un frontone di pietra graffita, opera dello scultore Andrea di Cosimo da Feltre, raffigurante un bambino che conduce un leone (evidente allegoria di Leone X), poi murato sulla facciata del palazzo che lui e il fratello Antonio avevano fatto costruire nei primi anni del secolo XVI sulla riva sinistra dell'Arno, nel luogo dove i Lanfredini abitavano fino dal secolo XIV. Il 31 marzo 1513 il L. fu eletto membro dei Diciassette riformatori dello Stato, mentre il 14 ott. 1514 entrò a far parte di una commissione formata dai cittadini più rappresentativi e incaricata di formare le nuove liste elettorali. Il 18 febbr. 1516 fu designato tra i cinque membri di una commissione per lo sgravio dei debiti d'imposta ai cittadini.
Finché la guida in seno ai Medici fu tenuta da Giuliano, il duca di Nemours, le vecchie famiglie dell'oligarchia che avevano sostenuto il regime di Lorenzo il Magnifico, tra cui i Lanfredini, mantennero inalterato prestigio e potere, ma quando a Giuliano successe il nipote Lorenzo di Piero la situazione subì un deciso, anche se graduale, cambiamento. Lorenzo de' Medici amava circondarsi, piuttosto che dei vecchi notabili ereditati dal padre e dallo zio, che mal tolleravano i modi pomposi e autocratici del giovane Medici, di persone più giovani e legate direttamente a lui; tuttavia ancora nel maggio 1515 il L. era tra i favoriti di Lorenzo, insieme con Iacopo Salviati, Matteo Strozzi e pochi altri, con i quali costituiva il nucleo dei consiglieri fidati. Francesco Guicciardini invece ne era rimasto fuori e fece al L. e agli altri reiterate richieste di intercessione, finché infine vi fu ammesso.
La rottura tra il L. e Lorenzo de' Medici avvenne in occasione delle trattative matrimoniali di questo con Maddalena de la Tour d'Auvergne, di famiglia principesca francese, iniziate nell'ottobre 1515. Già il rango della sposa aveva destato i malumori dei vecchi notabili, ma quando Lorenzo, sulla via del ritorno a Firenze con la sposa, aveva esplicitamente richiesto che il governo fiorentino mandasse degli ambasciatori d'onore a incontrarlo, la loro indignazione crebbe e trovò espressione, soprattutto per bocca del L., nelle consulte convocate per discutere la questione. Al ritorno del Medici, il L. fu trattato molto freddamente e ben presto emarginato: rimase membro del Consiglio dei settanta, per il quale la nomina era vitalizia, e nel bimestre marzo-aprile 1517 ricoprì ancora una volta la carica di gonfaloniere di Giustizia, ma fu definitivamente estromesso, insieme con Iacopo Salviati, dall'informale quanto potente circolo ristretto dei consiglieri di Lorenzo de' Medici. Secondo l'Ammirato la delusione per l'allontanamento forzato dai circoli politici più esclusivi gli provocò una grave malattia che in pochi mesi lo avrebbe condotto alla morte.
Parallelamente alla politica, che rimase il principale interesse della sua vita, il L. continuò l'attività bancaria e commerciale ereditata dal padre e dallo zio; tra i suoi clienti più famosi vi fu Michelangelo, che era solito appoggiare le sue lettere di cambio sul banco Lanfredini.
Il L. morì a Firenze il 20 ott. 1520.
Si era sposato due volte: la prima, nel 1485 con Selvaggia Tornaquinci, da cui ebbe il figlio Bartolomeo, nato nel 1495; la seconda nel 1500 con Francesca Bartolini, da cui ebbe Giovanni, nato nel 1503.
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