Lano
Senese, posto da D. nel secondo girone del settimo cerchio dell'Inferno (XIII 115-123) fra gli scialacquatori. L'incontro di D. con L. e un altro compagno di pena, Giacomo da Sant'Andrea, dà luogo a un'episodio di vigoroso rilievo realistico (v. SCIALACQUATORI): i due dannati sono inseguiti da una cagna; mentre Giacomo cade sfinito ed è lacerato dalle cagne, L. riesce ad allontanarsi. Nella fuga invoca la morte: quasi per il desiderio di una fine totale onde sfuggire alle pene infernali (in tal senso infatti è stata interpretata da I. Sanesi l'esclamazione di L., trovando in essa conferma di quanto enunciato in If I 117, cioè che la seconda morte invocata dai dannati sarebbe un modo per sfuggire alle pene cui son sottoposti; cfr. " Bull. " X 184); ma a lui risponde solo l'imprecazione ironica del compagno di pena: Lano, sì non furo accorte / le gambe tue a le giostre del Toppo.
Sulla base di questo passo alcuni antichi commentatori hanno arguito che L. avesse cercato volontariamente la morte durante la battaglia della Pieve al Toppo per sfuggire alla vita che lo attendeva, avendo dissipato tutte le sue sostanze; ma tale tesi non è sostenibile con argomenti validi. La presenza di L. nella selva dei suicidi, tuttavia, si può giustificare col fatto che la pena degli scialacquatori è collegata con quella dei suicidi " per la violenta radicalità dell'atto distruttivo dei propri averi... per la ragione realistica e verificabile che spesso il suicidio è la conseguenza tanto tragica quanto inevitabile della dilapidazione operata per questa via... e per una ragione dottrinale... che fa capo al IV dell'Etica aristotelica o al suo commento tomistico, dove la dilapidazione è assimilata a una sorta di autodistruzione della personalità nel suo complesso sociale... " (Mattalia).
L., secondo la maggioranza dei commentatori, va identificato con Arcolano di Squarcia Maconi. Uomo assai dotato di mezzi finanziari, si pensa facesse parte di una brigata di buontemponi e scialacquatori detta ‛ brigata spendereccia ', e le sue mani bucate fecero scorrere rivi di danaro; ma egli doveva esserne così ben fornito che alla morte non aveva ancora visto il fondo delle risorse, secondo il Buti; secondo il Boccaccio invece " ricordandosi del suo misero stato... si mise in fra' nemici, fra' quali... fu ucciso ".
Non conosciamo l'anno della sua nascita: nel 1276 era ancora sotto la tutela della madre Scanna, ma nel 1281 era già emancipato. Nel 1283, o poco dopo, prese per moglie Mina di messer Niccolò Malavolti, e lo stesso anno e poi nel 1288 fece parte del consiglio generale per il Terzo di S. Martino. Partecipò a varie spedizioni nel 1285 e a quella contro Arcidosso nel 1287. Infine, nel 1288, partecipò alla spedizione senese contro Arezzo, le cui forze vennero sgominate il 28 giugno in un agguato al valico della Pieve al Toppo. L., con i resti delle schiere senesi, cercò scampo nella fuga. Ma non riuscì perché, dice D., le sue gambe non furo accorte e rimase morto sul campo.
Sembra che diretti a questo L. siano i sonetti Dugento scodelline e Giùgiale di quaresima (attribuiti dal Marti, Poeti giocosi 289 ss., a Muscia da Siena; il secondo è dato invece a Cecco Angiolieri in Contini, Poeti II 394).
Bibl. - S. Borghesi, Spogli genealogici di famiglie senesi, cod. P III 2 Famiglia Maconi; G. Maconi, Raccolta di documenti storici, Livorno 1876, 91-114; I. Sanesi, Per l'interpretazione della Commedia, Torino 1902 (recens. in " Bull. " X [1902-1903] 182-186).