LAOCOONTE (Λαοκόων, Laocŏon)
Secondo la tradizione più antica doveva essere sacerdote di Apollo, secondo la più recente sacerdote di Nettuno o nominato a far le veci del vero e proprio sacerdote di Nettuno, ucciso dai Troiani dopo l'arrivo dei Greci, che egli non era stato capace d'impedire mediante i suoi sacrifizî. Le linee generali della vicenda di L. e dei suoi figli sono ben note attraverso il secondo libro dell'Eneide. L. ammonisce i Troiani a diffidare del cavallo di legno che dev'essere frutto di qualche macchinazione dei nemici e scaglia contro di esso la propria lancia, sicché per poco non avviene che la frode greca sia scoperta. Ma ecco che in quel momento si trascina prigioniero Sinone, il quale fa il suo fallace racconto, finito il quale giungono da Tenedo due enormi serpenti che assalgono i figli di L. e li uccidono: L. tenta di portar loro aiuto e subisce la stessa sorte dei figlioli. I serpenti vanno quindi al tempio di Atena sull'acropoli troiana, dove si nascondono ai piedi della dea. I Troiani naturalmente credono che la fine di L. e dei suoi figlioli sia avvenuta per l'offesa da L. recata al cavallo e trascinano questo in città, preparando così la propria rovina. L'episodio di L. è anche diffusamente narrato da Quinto Smirneo (poeta del sec. II-IV d. C.) che nel canto XI delle sue Postomeriche narra come, all'ammonizione da L. rivolta ai Troiani di guardarsi dal cavallo e all'esortazione sua ad incendiarlo, Atena mandi un terremoto e colpisca L. di cecità; credono allora i Troiani alla verità delle parole di Sinone e trascinano il cavallo in città. L. non. cessa tuttavia di esortare a incendiare il mostro di legno, il che provoca nuovo sdegno in Atena la quale manda dall'isola di Calidno due serpenti che divorano i figli di L. e poi scompaiono nel tempio di Apollo sull'acropoli. I Troiani erigono ai figli di L. un cenotafio sul quale L. e la sua misera consorte si recano a piangere le loro creature.
Ma la più antica menzione di L. ricorre nel poema ciclico 'Ιλίου πέρσις, di cui abbiamo riassunti di Proclo. Di qui si ricava che i Troiani sono dapprima esitanti sulla sorte da far toccare al cavallo di legno: o arderlo, o precipitarlo giù o dedicarlo invece ad Atena. Si decidono per quest'ultimo caso; ed ecco che allora appaiono due serpenti che uccidono L. e uno dei suoi figli; dal quale funesto segno atterrito Enea con i suoi se ne va, poiché prevede imminente la caduta d'Ilio. Qui dunque la morte di L. e del figlio suo non è dovuta all'ira d'Atena che vede in pericolo la caduta dell'odiata città, ma all'amore di Apollo per una parte della popolazione d'Ilio, che trova così modo di salvarsi. La stessa versione era seguita da Sofocle nel Laocoonte, dove la vicenda si complicava con una presunta colpa di L. verso Apollo, alla quale avrebbe accennato, secondo uno scoliaste virgiliano, anche Bacchilide in un carme.
Anche le arti figurative s' impadronirono del soggetto: Agesandro, Polidoro e Atenodoro di Rodi furono autori nell'età alessandrina di un magnifico gruppo di cui nel 1506, sotto papa Giulio II, venne rinvenuta presso l'Esquilino una copia d'età non bene precisata (sec. II a. C.- I d. C.), della quale si adorna il Museo Vaticano. Non priva di valore è anche una pittura parietale pompeiana.
Bibl.: Engelmann-Höfer, in Roscher, Lexikon der griech. u. röm. Mythologie, II, ii, Lipsia 1894-97, col. 1833 segg.; E. Bethe, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XII, col. 736 seg.