Aldo, Lapide di
Lastra tombale in marmo, iscritta e decorata, attribuita al sec. 7° e conservata nelle Civ. Raccolte di Arte Antica del Castello Sforzesco di Milano. Rinvenuta nel 1884 durante la demolizione del campanile di S. Giovanni in Conca a Milano, consta di due frammenti che evidenziano come la lapide sia stata ritagliata in antico per un reimpiego che non è più possibile precisare. I frammenti (cm. 8 x 180 x 22; cm. 8 x 185 x 23), in parte combacianti, consentono di ricostruire con sicurezza le dimensioni originarie del campo entro cui si disponeva l'iscrizione con la fascia a incavi geometrizzanti (cm. 190 x 74), mentre non si può risalire con certezza alle misure complessive della lastra in quanto esiste il sospetto che la parte iscritta fosse delimitata da una seconda bordura, come nella lapide di Cumiano nell'abbaziale di Bobbio (Lusuardi Siena, 1990).
La lastra è caratterizzata, oltre che dalla fascia alveolata, da una grande croce latina a estremità patenti che occupa il campo centrale della lapide e ai lati della quale si sviluppa l'iscrizione. La bordura si compone di quattro diversi motivi geometrici complessi, giocati sull'alternanza di alveoli cuoriformi, triangolari, circolari, gigliati e quadrati variamente combinati. Il fondo degli alveoli, come quello della croce (profondità cm. 1,5-0,8) presenta un trattamento grezzo funzionale a una migliore adesione dello stucco o degli elementi a intarsio in marmo o pasta vitrea che dovevano completare in origine la decorazione della lapide, splendido esempio della traduzione in pietra della tecnica del cloisonné (Romanini, 1969; 1971).
Il testo dell'iscrizione si sviluppa su ventisei righe ed è inciso in caratteri capitali entro tracciati graffiti ancora in parte visibili, distanti fra loro cm. 5; le lettere sono alte in media cm. 1 e le parole non sono spaziate. Sul contenuto dell'iscrizione, lacunosa in varie parti, si è soffermato per primo Bognetti (1948, p. 457, n. 655), propenso a riconoscere nel nobile A. un discendente del mitico re Gûdeoc - ricordato nel prologo dell'editto di Rotari - e del duca di Trento Egwino, convertito dall'arianesimo al cattolicesimo, probabilmente in seguito all'azione missionaria del vescovo Agrippino o di Colombano, durante il regno di Teodolinda. Recentemente un nuovo esame della lastra (Lusuardi Siena, 1990) ha consentito di apportare alcune modifiche alle integrazioni di Bognetti e di proporre una nuova ipotesi di lettura secondo la quale il testo si comporrebbe di un esordio, dove sarebbe specificato che i destinatari del sepolcro sono il nobile A. e la consorte premortagli; di un elogio, in cui è ricordata l'opera di committente del longobardo, la nobilità della sua stirpe, le sue doti morali esaltate dall'abbandono dell'arianesimo e dalla conseguente speranza di vita eterna. A conclusione dello scritto la consueta formula relativa agli anni di vita del defunto e l'immagine suggestiva dell'anima che si avvia esultante verso il Cristo.
Riguardo alla cronologia del manufatto, già riportato all'età teodolindea (Bognetti, 1948; Romanini, 1971; D'Angela, 1986), elementi convergenti di carattere paleografico, tipologico, stilistico e storico inducono ad abbassarla alla seconda metà del sec. 7°, quando Ariperto I (653-661) decretò l'abolizione dell'arianesimo e la Arii perfidia è polemicamente ricordata in un testo milanese attribuito a un certo Massimiano e riferito all'età di Grimoaldo (662-671). Tale orizzonte cronologico risulta confermato anche dal fatto che solo nell'inoltrato sec. 7° l'aristocrazia longobarda, seguendo il modello dei sovrani, cominciò ad abbandonare le necropoli 'a file' e i tradizionali corredi funebri per farsi seppellire all'interno delle chiese, affidando a lastre marmoree monumentali, lasciate a vista sul piano pavimentale, il compito di esprimere quell'ideale di aulica imitatio a cui neppure essi si sottrassero (Peroni, 1972, p. 82).
Per la collocazione originaria della lastra non si dispone di elementi probanti; è tuttavia molto verosimile che costituisse il segnacolo a vista di una tomba terragna interna alla chiesa di S. Giovanni, dove non mancano altre testimonianze di tombe privilegiate altomedievali, o ubicata in un attiguo sacello funerario (Lusuardi Siena, 1990).
Dal punto di vista stilistico e formale sono stati più volte ribaditi i legami specifici con l'oreficeria cloisonnée e più in generale con l'artigianato del metallo e dell'avorio; quasi fosse una grande copertura di libro o una valva di dittico, la lapide di A. esprime pienamente quella tendenza allo scambio di modelli e soluzioni tecniche tra materiali diversi che è stata riconosciuta come tipica delle espressioni artistiche tra Tarda Antichità e Alto Medioevo (Peroni, 1984, pp. 262, 279; Cassanelli, 1987). Sull'esistenza e sulla natura di materiali inseriti negli alveoli della bordura e nella grande croce a pieno campo non esistono opinioni unanimi. Nel complesso, però, la presenza originaria di materiali colorati all'interno degli alveoli (smalti, paste vitree, pietre semipreziose, stucchi) resta la più verosimile. In questo senso il confronto con la lastra sepolcrale del vescovo Boethius a Notre-Dame de Vic a Venasque in Provenza (Romanini, 1971) resta uno dei più convincenti, come quello - in ambito lombardo - con i frammenti recuperati negli scavi dell'ex chiesa di S. Tommaso di Pavia (Civ. Mus.).
Bibliografia
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