LAPINA da Firenze
Fiorentina del "popolo" di S. Lorenzo, fu moglie di Lapo, deceduto prima del 1327. Non si hanno notizie di L. prima della sua condanna per eresia, avvenuta nel 1327.
Nel settembre di quell'anno l'inquisitore francescano nella provincia di Tuscia, fra Accursio di Ghinuccio Bonfantini da Firenze, inquisiva L. e la condannava per eresia; dopo il suo pentimento, le rilasciava lettere patenti che testimoniavano abiura, assoluzione dalla scomunica incorsa, riammissione in seno alla Chiesa, giuramento e pene (Arch. di Stato di Firenze, Dipl. S. Maria Novella, 31 ott. 1327).
Tra le disposizioni inquisitoriali subite da L., era annoverata la confisca della casa, sita nel popolo di S. Lorenzo, nel borgo della Noce, confinante con via della Noce e via della Stufa. L. traslocò provvisoriamente in abitazione periferica, nel popolo di S. Lucia al Prato; ebbe modo tuttavia, tramite molteplici trapassi di rivendita, di riscattare in tempi brevi la sua casa di borgo Noce e di rientrarne in pieno possesso. Vendite e rivendite di comodo, come fa credere la disparità dei prezzi, costituivano un espediente per ripulire la casa da ogni vizio o ipoteca inquisitoriale. In tale circostanza funse da intermediario e da prestanome il figlio fra Filippo.
Questi aveva vestito nel 1318 l'abito domenicano nel convento fiorentino di S. Maria Novella ed ebbe in seguito una carriera di un certo rilievo all'interno dell'Ordine: sacerdote, predicatore, cantore; conventuale in Pistoia nel 1328, studente in filosofia a Lucca e Siena nel 1331-33, studente in teologia a Firenze nel 1338; baccelliere in San Miniato nel 1341, lettore a Bevagna nel 1344; sottopriore in San Miniato; morì il 7 luglio 1348 nell'ospizio conventuale d'Incisa Val d'Arno (cfr. "Necrologio" di S. Maria Novella, a cura di S. Orlandi, I, Firenze 1955, pp. 79, 424).
Il 18 nov. 1327, a Firenze, ser Antonio di Gano, notaio, sindaco e procuratore del Comune fiorentino, vendeva a fra Filippo la casa con tutte le pertinenze, già proprietà di L., al prezzo di 13 fiorini d'oro (Arch. di Stato di Firenze, Dipl. S. Maria Novella, 19 nov. 1327). Il 15 giugno dell'anno successivo, sempre a Firenze, Filippo, in qualità di sindaco e procuratore del locale capitolo e convento rivendeva a L. la medesima casa, con tutte le sue pertinenze, al prezzo di lire 500 di moneta argentea (Arch. di Stato di Firenze, Dipl. S. Maria Novella, 15 giugno 1328), pari a 125 fiorini.
L'ufficio dell'inquisizione, come risulta dal libro di contabilità di Accursio Bonfantini, nel novembre 1327 aveva incamerato dalla vendita dei beni confiscati a L. (indistinti nella registrazione) 8 fiorini d'oro e 44 soldi piccoli (Arch. segr. Vat., Collectorie, 250, c. 98r). La somma risulta pari a due terzi dell'intero importo ricavato dalla vendita della casa di L. in data 18 nov. 1327: un terzo per lo stesso ufficio inquisitoriale e un terzo da devolvere alla Camera apostolica (l'altro terzo era di spettanza del Comune fiorentino); si hanno pochi dubbi quindi che l'entrata registrata non sia frutto di confisca d'altri beni sequestrati a Lapina. La registrazione dell'entrata nel libro dei conti dell'inquisitore suppone pertanto il 18 nov. 1327 come data della condanna di L., indicazione che ben si accorda alla registrazione immediatamente precedente di Cecco d'Ascoli (Francesco Stabili), mandato al rogo il 16 sett. 1327, e alla registrazione successiva a L. datata 23 nov. 1327.
L'eresia cui L. aveva aderito a partire dal 1319 è precisamente identificabile: la concisa formulazione dell'inquisitore ricalca in parte la costituzione Ad nostrum (6 maggio 1312, costituzione in seguito inserita nella raccolta di decretali, promulgata da Clemente V il 25 ott. 1317 e nota come Clementinae; cfr. c. 3, Clem., V, 3) che condannava le posizioni "de spiritu libertatis", infiltratesi tra le beghine e i begardi di Germania.
Le origini dell'eresia denominata del "libero spirito" si riallacciano ai fermenti dell'evangelismo laico pauperistico del XII secolo, che si qualificarono nel corso del XIII e raggiunsero massima fioritura nel secolo successivo. Non si trattava di una setta vera e propria, ma di un moto spirituale che si propagava per diffrazione, contagiando altri più definiti movimenti e istituti religiosi - dalle fraternite laiche dell'Ordine della penitenza, ai beghinaggi e alle comunità laiche ruotanti intorno agli ordini mendicanti -, riversandosi negli apostolici di Gerardo Segarelli da Parma e nei seguaci di fra Dolcino, incrociandosi talvolta perfino con gli spirituali francescani e i fraticelli. Il testo più diffuso all'interno del movimento era il Miroir des simples âmes di Marguerite Porete il quale, attraverso la descrizione delle sei tappe ("degrez" o "estaz") del cammino dell'anima de libero spiritu, proponeva un percorso spirituale che, innestato sul tema biblico della libertà del cristiano, giungeva a una teopatia diretta e liberante. A questa condizione spirituale, teorizzata nel quinto stato, "non poteva non seguire una mistica quiete (apatheia) che dichiara superati ogni pratica delle virtù cristiane, ogni frequentazione dei sacramenti e preghiera liturgica, ogni esercizio delle opere spirituali" (Panella, 1986, p. 163).
L. dovette perciò subire pene che, sebbene in parte convenzionali, "sembrano ben rispondere al principio terapeutico dell'antidoto. Due dande a croce (lunghezza due palmi, larghezza quattro dita) color zafferano, una al petto l'altra alle spalle, da esibire in pubblico quale segno visibile di ritrattazione, fino ad eventuale dispensa; digiuno a pane e acqua tutti i venerdì per lo spazio d'un anno; attendere nei giorni festivi messa e predicazione; confessarsi, per il resto della vita, almeno due volte l'anno e ricevere il sacramento dell'eucaristia; recitare quotidianamente per cinque anni venticinque Pater noster e altrettante Ave Maria; tempi e luogo della carcerazione a discrezione degli inquisitori; interdizione inoltre d'indossare l'abito di qualsiasi ordine religioso" (ibid.).
L'adesione di L. al movimento del libero spirito non fu del resto cosa superficiale e fugace, visti sia la qualità dell'errore contestatole - l'atto inquisitoriale si rivela infatti particolarmente attento nell'accennare non solo alla costituzione Ad nostrum, ma anche nel rievocare la dottrina del libero spirito espressa nell'opera di M. Porete - sia il tempo trascorso nell'eresia: ben otto anni, dunque dal 1319. È quindi opportuno sottolineare come "nel processo di degradazione dell'ufficio inquisitoriale fiorentino - dove "eresia" diviene pretesto per estorcere fiorini - processo avviato dallo stesso Accursio Bonfantini da Firenze e consumato nei decenni successivi dagli inquisitori fra Mino da San Quirico e fra Pietro dall'Aquila, a loro volta inquisiti e condannati dalla sede apostolica per malversazioni e concussioni, la vicenda di L. è pressoché l'unica - se ignoriamo Spirituali e Fraticelli - a documentare reali conflittualità e divaricazioni di tradizioni spirituali; e a offrire inoltre contenuti di qualche valore per la storia della dissidenza dottrinale nella Firenze di quegli anni" (ibid.).
L'intera vicenda di L. si rivela quindi particolarmente interessante perché suggerisce nuovi percorsi di indagine nonché dà "nome ad esperienze spirituali alternative in ambienti affini, laddove le fonti ufficiali tacessero gli specifici contenuti della devianza ereticale. Certamente la corrente del libero spirito […] refrattaria per natura a costringere il proprio corso in setta organizzata, beneficiò d'una penetrazione fluida, a corsa sotterranea e trasversale, capace di sedurre anche ambienti che l'ombra degli Ordini Mendicanti - dalla spiritualità rigorosamente ortodossa - presumeva di serbare indenni dal contagio. "Carte domine Lapine matris fratris Philippi Lapi modicum utiles" (Arch. di Stato di Firenze, Dipl. S. Maria Novella, 31 ott. 1327, cfr. supra). Non utile a testimoniare a favore dell'avente diritto? In tal senso non utile al convento fiorentino di Santa Maria Novella, che non compare in nessuno dei tre atti; eppure l'archivio conventuale custodiva decine di pergamene che non implicavano il convento tra i soggetti della transazione. Utilissima era a Lapina, e in subordine a fra Filippo, cui garantiva legittimo recupero della casa rimovendo in radice l'ipoteca di condanna per eresia. Perché allora "modicum utiles"? Non tradisce, il buon frate che ha vergato la nota, un mal dissimulato fastidio per una vicenda ereticale che raggiungeva, sia pur trasversalmente, un membro del proprio convento?" (ibid., p. 170).
La data di morte di L. non è nota.
Fonti e Bibl.: F. Tocco, Due documenti intorno ai beghini d'Italia, in Arch. stor. italiano, s. 5, 1888, t. 1, pp. 417-423; Id., Studi francescani, Napoli 1909, pp. 336-338; R. Davidsohn, Un libro di entrate e spese dell'inquisitore fiorentino (1322-1329), in Arch. stor. italiano, s. 5, 1901, t. 27, pp. 346-355; G. Biscaro, Inquisitori ed eretici a Firenze (1319-1334), in Studi medievali, n.s., III (1930), pp. 279 s.; L. Oliger, De secta spiritus libertatis in Umbria saec. XIV, Roma 1943, pp. 80 s.; E. Ragni, Bonfantini, Accursio, in Diz. biogr. degli Italiani, XII, Roma 1970, pp. 10 s.; C. Piana, La facoltà teologica dell'Università di Firenze nel Quattro e Cinquecento, Grottaferrata 1977, pp. 74-76, 506a; L. Thier - A. Calufetti, Il libro della beata Angela da Foligno, Grottaferrata 1985, pp. 93 s.; E. Panella, L. da F., eretica del libero spirito, madre di fr. Filippo di Lapo O.P, in Archivum Franciscanum historicum, LXXIX (1986), pp. 153-178; Id., Alla ricerca di Ubaldo da Lucca, in Archivum fratrum praedicatorum, LXIV (1994), pp. 19-74 (per ulteriori indagini sulla dissidenza religiosa nel Trecento all'interno degli ordini mendicanti).