Alighieri, Lapo
Figlio di Cione del Bello; uomo fazioso e proclive alla violenza, il 23 gennaio 1295 fu con le armi alla mano ad assaltare il Palazzo del comune e a saccheggiare e a tentar di metter fuoco a quell'edificio. Nella sommossa, vennero portate via cose appartenenti al podestà Giovanni de Lucino e ai suoi familiari. Perciò L. venne condannato alla distruzione dei suoi beni consistenti nella sedicesima parte di una casa e nella metà di un'altra, esistenti entrambe nel popolo di S. Martino del Vescovo. Come voleva la legge, questi edifici non furono distrutti, ma fu costretto a riscattarli suo padre Cione, proprietario, con il nipote Bellino, di beni attigui a queste case, secondo la stima fattane dagli stimatori del comune, cioè lire 19 e soldi 13, nonché denari 11 di fiorini piccoli, somma che Cione pagò al cassiere del comune Filippo Cialuffi il 17 maggio 1295.
Ritroviamo L. undici anni dopo, nell'ottobre-novembre 1306, come stipendiario del comune di Piacenza e in condizioni finanziarie piuttosto precarie; infatti il 19 ottobre prese in prestito dallo sbirro podestarile Oberto Bagaroto 4 fiorini d'oro per quattro giorni dando in pegno un cavallo di pelo baio di sua proprietà. Di poi, il 19 novembre, comperò da Petraccio e Frederico dei Pallastrelli un cavallo bruno del valore di 10 lire di piacentini con pagamento a un mese.
Non è facile capacitarsi come mai un figlio del ricco Cione del Bello fosse ridotto così male da esser costretto a un mestiere da disperati come quello dell'armigero al soldo di comuni dell'Italia settentrionale. Tutto ciò si può spiegare col bando e la confisca dei beni in cui erano incorsi i figli di Cione in seguito alla vendetta per la violenta morte dello zio Geri. Questa vendetta fu presa dai o da un figlio di Bello, e in conseguenza del bando, essi eran dovuti andare raminghi nell'Emilia, dov'erano altri Alighieri del ramo del Bello. Non è affatto certo che il vendicatore di Geri fosse proprio L.; d'altra parte non abbiamo elementi per attribuire questo compito al fratello Bambo, per quanto questa possa ritenersi un'ipotesi suggestiva.
Nessuno dei figli di Cione, maschio o femmina, rientrò mai più in Firenze, perché erano rimasti esclusi dalla cosiddetta Riforma di Baldo d'Aguglione del 2 settembre 1311.
Bibl. - Piattoli, Codice 52, 100, 101, 106.