DEL TOVAGLIA, Lapo
Nacque a Firenze il 1ºfebbr. 1481 da Bartolomeo. Partigiano dei Medici, durante l'ultimo periodo della Repubblica ebbe a subire la tortura e la prigionia per dieci mesi (dal 13 ott. 1529 al 10 ag. 1530), scampando una pena più grave per non aver confessato altro se non "che aveva veduto Baccio Valori e messer Francesco Guicciardini scrivere una lettera col sugo di limone, il contenuto del quale egli non sapeva" (Varchi, II, pp. 197 s.). Il Busini (lett. IX, p. 85) lo dice "laricia di Baccio Valori" ed indubbiamente l'essere in stretti rapporti con il Valori stesso e la sua fedeltà al regime mediceo ebbero la loro importanza per il D. dal momento che, dopo la caduta della Repubblica, egli ricoprì numerose cariche pubbliche.
Nel 1530 fu tra gli oarroti" alla Balia. Dopo la caduta della Repubblica, la capitolazione di Firenze ed il rientro dei Medici era stato organizzato un Parlamento e creata una Balia ristretta di dodici cittadini, di cui facevano parte i più accesi palleschi (Matteo Niccolini, Luigi Della Stufa, Ottaviano de' Medici, lo stesso Baccio Valori, commissario pontificio), con l'incarico di eleggere la Signoria, i Collegi, gli Otto di guardia e balia, gli Otto di pratica, nonché di assumere, nella Balia medesima, quel numero di cittadini che fosse loro sembrato opportuno per governare lo Stato.
Con deliberazione dell'8 nov. 1530 i Dodici elevarono a centoquarantasei il numero dei membri della Balia. L'allargamento di quest'ultima ed il nome di quelli da assumere in essa erano stati discussi da Filippo Strozzi, insieme a Iacopo Salviati ed a Roberto Pucci, con il pontefice, nell'ottobre del 1530: in queste discussioni era stata esaminata una rosa di nominativi in cui gli Otto di pratica avrebbero dovuto scegliere, in via definitiva, i nomi degli aggiunti alla Balia. Vi furono assunti rappresentanti per ciascuna delle famiglie sostenitrici dei Medici che avevano avuto grande parte negli avvenimenti politici di quegli anni. Secondo la definizione dei Varchi (II, p.587), "l'ufficio di questi arroti o Balia grande o Senato, il quale soddisfece bene all'ambizione di molti cittadini minori, ma non empie già l'ingordigia di pochi maggiori, è ragunarsi a palazzo ogni qualvolta la campagna gli chiamasse, e quivi, con tanta autorità, quant'aveva prima tutto il consiglio maggiore, fare leggi, passare provvisioni e provvedere alle altre occorrenze dello Stato, secondoché da chi aveva la mente del Papa".
Nel periodo intercorrente tra la caduta della Repubblica e la riforma dello Stato del 1532 il D. tenne altre cariche: nell'aprile del 1531 fu nominato, per cinque anni, provveditore delle fortezze. Sempre il Varchi sostiene che tale magistratura era di nuova istituzione, essendo stata creata per vigilare sulle fortificazioni dello Stato quando, dopo la morte dei Petrucci, l'esercito spagnolo era acquartierato presso Siena, e che godeva di grandissima autorità, essendole stata affidata anche la facoltà di imporre una tassa sulle case, i cui proventi avrebbero dovuto essere utilizzati per il mantenimento e il restauro delle fortezze.
Sempre nel 1531, nel gennaio, il D. era stato nominato uno dei cinque ufficiali per imporre i balzelli.
All'indomani dell'assedio e della capitolazione della Repubblica, le finanze pubbliche erano stremate e dopo aver fatto fronte agli impegni più urgenti era necessario procedere al riordino economico dello. Stato. Già nell'ottobre e nel novembre del 1530 erano stati presi provvedimenti volti a diminuire il numero degli uffici pubblici ed i salari di taluni ufficiali. Inoltre erano stati liberati dalle gravezze, per tre anni, i contadini, tenuto conto dello stato di estrema miseria in cui versavano. Tuttavia, le entrate ordinarie dello Stato erano assai scarse e dovevano essere rimborsati anche i cittadini che avevano prestato ingenti somme al momento della resa. Per questo motivo venne stabilito un balzello, che avrebbe consentito un introito calcolato tra gli 80.000 e gli 84.000 fiorini, da porsi in due volte, in un periodo di tempo determinato.
Con l'avvento di Alessandro de' Medici e dopo la riforma dello Stato del 27 aprile la fortuna del D. non venne meno.
Nel 1534 fu degli Otto di pratica, carica che coprì anche successivamente nel 1537 e nel 1548. La magistratura era stata istituita fin dal 1480 dalla Balia ispirata dai Medici, e ai suoi componenti, eletti semestralmente al Consiglio dei settanta tra i propri membri, erano affidati il disbrigo delle relazioni diplomatiche, il mantenimento della pace cittadina, la difesa del territorio e la sorveglianza sulle fortezze. Con la riforma dello Stato del 27 apr. 1532 le competenze della magistratura vennero mutate radicalmente: agli Otto venne affidata la risoluzione delle dispute relative all'autorità dei magistrati o le querele contro di essi, di quelle relative a privilegi ed esenzioni e, in particolare, la risoluzione di controversie tra Comunità o tra privati e Comunità. Per queste ultime competenze la magistratura divenne complementare a quella dei Cinque conservatori del contado e del distretto, a cui pure fu eletto il D. per un anno a partire dal marzo 1548.
Fin dal sec. XV il magistrato dei Cinque conservatori aveva esercitato un forte controllo sulla vita economica delle Comunità ad esso sottoposte: ì Cinque rivedevano infatti i conti di tutti i ministri che avevano il maneggio di denari, davano il benestare per le spese straordinarie, potevano porre limiti alle spese dei Comuni; mantenevano inoltre una ampia giurisdizione sul contenzioso di tutto ciò che riguardava la vita economica delle Comunità. La magistratura ebbe grande importanza durante il principato ed in particolare con l'affermarsi del centralismo di Cosimo I. Attraverso l'ufficio dei Conservatori il duca entrava in diretto contatto con l'amministrazione periferica dello Stato: ogni deliberazione dei Cinque veniva infatti sottoposta alla sua approvazione e nessuna risoluzione poteva essere presa senza la sua partecipazione.
Indubbiamente il prestigio del D. non venne meno neppure dopo l'ascesa di Cosimo I, ché anzi fu proprio quest'ultimo che lo insignì del titolo di senatore, spettante agli eletti nel Consiglio dei quarantotto. Fu nominato a tale carica il 17 dic. 1546 insieme a Bernardo di Andrea Carnesecchi, Iacopo di Chiarissimo de' Medici e Donato di Vincenzo Ridolfi. È vero tuttavia che il Senato dei quarantotto, nonostante il lustro che conferiva ai suoi membri, era stato privato, al tempo di Cosimo, di una reale rilevanza politica e si limitava a dare il crisma di legalità alle leggi, già per altro compiutamente elaborate dagli Auditori, cioè dai più stretti collaboratori del duca.
La sorte del D. non si differenzia dunque da quella dei membri di numerose famiglie patrizie che, rimasti fedeli ai Medici al tempo della Repubblica, furono ampiamente gratificati sul piano del prestigio, ma in realtà esautorati di ogni concreto potere politico. Negli anni successivi all'affermazione del principato ed all'ascesa di Cosimo I il D. godette, infatti, di numerose cariche tra quelle pubbliche a rotazione che spettavano ai rappresentanti delle più cospicue famiglie fiorentine. Nel 1533-34 era stato uno degli ufficiali di Decima, cioè uno dei quattro cittadini, nominati dal principe per sei mesi, preposti all'ufficio della Decima ducale, l'imposta che gravava sui beni immobili dei cittadini fiorentini, degli abitanti del contado, dei luoghi pii e di tutti coloro che possedevano beni non sottoposti ad imposta ordinaria in Firenze. Sempre nel 1534 era stato nominato tra i quattro ufficiali dei Beni dei ribelli, istituiti per vigilare sui beni di coloro che erano stati dichiarati ribelli dello Stato e che, pertanto, erano destinati alla confisca: in particolare era loro compito verificare che non fossero state commesse frodi per sottrarre tali beni al sequestro.
Nel 1536 fu, per un anno, uno dei cinque ufficiali delle Carni e, nel maggio del 1537, fu nominato fra gli Otto conservatori di leggi, che, già incaricati in epoca repubblicana di controllare l'operato di coloro che ricoprivano cariche pubbliche sia in Firenze sia nel dominio, avevano acquisito particolare giurisdizione nelle cause dei poveri e in quelle tra parenti. La stessa carica coprì anche nel 1547. Nel 1538 fu per un anno provveditore della Gabella delle porte e nel 1539 - e poi nel 1549 - fu uno degli Otto di guardia e balia. Sempre nel 1539 tenne la carica di accoppiatore, che gli venne poi riconfermata nel 1547, nel 1548 e nel 1549, e quella di maestro dei contratti.
Tra gli ufficiali dei Pupilli nel 1545, era stato nominato nel 1544 podestà di Prato, carica che egli aveva tenuto per un anno.
Morì a Firenze il 25 nov. 1549. Aveva sposato nel 1503 Alessandra di Clemente di Michele Bacci da Lamole.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Sebregondi 5274;Ibid., Carte dell'Ancisa, NN, c. 523;Firenze, Bibl. nazionale, E.B. 14.1: Priorista Ricci; G. B. Busini, Lettere a B. Varchi sopra l'assedio di Firenze, Firenze 1860, pp. 85 s.; B. Varchi, Storie fiorentine, a cura di I. Arbib, Firenze 1838-1841, II, pp. 197 s., 586; F. Nerli, Commentari dei fatti civili occorsi dentro la città di Firenze dall'anno MCCXV al MDXXXVII, Augusta 1728, p. 487;D.M. Manni, IlSenato fiorentino, Bologna 1975 (rist. anast.), p. 131.