LARARIO (lat. lararium)
Con questo termine, che s'incontra la prima volta negli Scriptores Historiae Augustae, s'intende comunemente il posto riservato nella casa romana al culto domestico. Più propriamente si diceva sacrarium, se tutto un ambiente era destinato a quel culto, come avviene a Pompei nella casa di M. Epidio Rufo; sacellum, se si trattava di locus dis sacratus sine tecto. Il larario poteva avere forma di aedicula, nella quale si riponevano, e talora si rinchiudevano, i sacra privata. La parte più importante del larario è, senza dubbio, il dipinto sacro, al quale si limitava talvolta, per ragione di economia, l'espressione del culto. Costante, almeno per una parte, è lo schema che ricorre in questi dipinti. Nel mezzo è il Genio familiare, ammantato e in atto di sacrificare; ai lati i due Lari giovinetti, vestiti di corta tunica e di alti calzari, si muovono a passo di danza, versando dal corno potorio, che tengono sollevato in alto, un rivolo di vino, che va a finire nel secchiello che reggono con l'altra mano. La rappresentazione artistica dei Lares ludentes, ricordati in un frammento di Nevio, rimonterebbe al secolo III a. C. Nella parte inferiore dei dipinti lararî troviamo spesso rappresentata l'ara domestica, alla quale si avvicinano dagli opposti lati due serpenti, talora anche uno, per divorarne le offerte, fra le quali spiccano la pigna e l'uovo. Nel larario accanto ai Lari figurano talvolta i Penati, fra i quali vanno segnalate, a Pompei, divinità locali, quali la Venus fisica pompeiana, il Sarnus, il Vesevus. Per rappresentare queste tre divinità il pittore pompeiano ha messo a profitto, non senza rielaborarli, gli elementi che la grande arte gli offriva negli schemi della divinità poliade, della divinità fluviale e di Bacco con la pantera. In un dipinto larario pompeiano ricorre come Penate Epona col bambino in grembo, sul dorso di un asino gradiente. In qualche altro il sacrificio fatto dal Genio familiare si amplia e si arricchisce di nuovi elementi: così in uno di essi, accanto al Genio, sacrificante sull'ara domestica, sono rappresentati il piccolo sacrista (camillus) con le offerte, il suonatore di doppia tibia, e il victimarius che conduce al sacrificio la scrofa, che era l'offerta rituale. Al qual proposito giova ricordare che i commestibili, che ricorrono spesso nei dipinti lararî, hanno valore di offerta simbolica, non diversamente dagli animali rappresentati, fra i quali il più comune è il gallo.
Oltre al dipinto, nel larario trovava posto la suppellettile sacra, consistente in statuette e in offerte votive. Le statuette potevano rappresentare il Genio, i Lari, Vesta e, come Penati, le divinità più diverse, anche estranee al pantheon greco-romano. In qualche caso accanto agli dei e agli eroi trovavano posto nel larario anche quegli uomini che per le loro preclare virtù si erano procurato presso i posteri onori divini. Dell'imperatore Alessandro Severo sappiamo che aveva due lararî; nell'uno, il maior, onorava Apollonio di Tiana, Orfeo, Abramo e Cristo; nell'altro, il minor, Virgilio, Cicerone e altri grandi. La suppellettile conservata nel larario poteva essere di bronzo, d'argento, d'oro, oppure di legno, di terracotta, di marmo.
Nei giorni festivi, oltre alle calende, le none e le idi di ciascun mele, l'edicola e l'ara erano adornate di ghirlande di fiori freschi e il capo di famiglia offriva sacrifici. Almeno una volta al mese si offriva l'incenso; più frequenti erano le offerte di frutta e le libazioni di vino. Soltanto per eccezione s'immolavano animali: scrofe o agnelli. Altri donativi ai Lari potevano essere grappoli d'uva, spighe di grano, favi di miele, focacce di frumento, ecc. L'offerta perenne era costituita dalla fiamma inestinguibile del focolare.
Tra le offerte votive che trovavano posto nel larario meritano di essere ricordate la bulla, che il giovinetto consacrava ai Lari domestici al momento d' indossare la toga virile, e i crepundia che la sposa deponeva poco prima di prendere il velo. Nel larario dovevano trovare posto le tavolette votive che lo scampato a un pericolo faceva dipingere a devozione. Nel larario di Cecilio Giocondo a Pompei sono stati trovati due rilievi marmorei, rappresentanti scene del terremoto del 63 d. C. e il relativo sacrificio propiziatorio, i quali evidentemente il noto banchiere consacrò per essere uscito salvo da tanto pericolo.
Oltre che a Pompei, lararî si sono rinvenuti nelle case di Ostia, e a Roma, nella casa sotto la chiesa di S. Cecilia in Trastevere.
Il larario era anche nelle case di campagna. Il suo posto fu da principio l'atrio, che rappresentò per un certo tempo la parte principale della casa, in seguito passò al seguito della cucina; lo troviamo pure nel peristilio, nel viridario e persino nei cubiculi.
La cura del larario era affidata in massima parte alla servitù: le iscrizioni dedicatorie ai Lari sono quasi sempre poste da servi o liberti. Infine è utile avvertire che i sacrarî domestici in genere non erano di consacrazione ufficiale. Vale per essi la norma che dà Festo (321): quod privati suae religionis causa deo dedicent id pontifices non existimare sacrum. Di qui proviene che la legge romana considerava i ladri di oggetti sacri privati amplius quam fures, minus quam sacrilegi (Dig., 48, 13, 11).
Bibl.: Hug, s. v. Lararium, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., con bibliografia. Sono da aggiungersi: A. De Marchi, Il culto privato di Roma antica, I, Milano 1896, p. 79 segg.; P. Gusman, Les autels domestiques de Pompei, in Revue de l'art ancien et moderne, III (1898), p. 13 segg.; M. Bulard, La religion domestique dans la colonie italienne de Délos d'après les peintures murales et les autels historiés, Parigi 1926, passim.