LARISA sull'Hermos (Λάρισα)
Città dell'Eolide asiatica, presso l'odierno villaggio di Buruncuk, a 30-40 km circa a N di Smirne, posta su una stretta e piatta striscia collinosa che domina la strada che unisce Smirne a Pergamo.
Menzionata già in Omero (Il., ii, 841 e xvii, 301), dove appare alleata di Troia nella lotta contro i Greci, è ricordata successivamente da Erodoto (i, 149), Tucidide, Plinio (Nat. hist., v, 30), da Elio Aristide (1, 534 D e 1, 468 D = ed. Keil), Senofonte, Stefano di Bisanzio e altri. Ai tempi della visita di Strabonè (xiii, 3, 3), L. era già una ἐρήμη πόλις. Gli scavi eseguiti dagli Svedesi e dai Tedeschi a partire dal 1902, e successivamente tra il 1932 e 1934, portarono alla sicura localizzazione della città, che apparve abitata per lunghissimo tempo, a cominciare dal III millennio.
Al primo strato, databile in base ai ritrovamenti ceramici a cominciare dalla prima metà del Il millennio, segue il secondo strato della città pregreca, che abbraccia l'epoca tra il 1500 e il 700 circa a. C., durante il quale è testimoniata l'esistenza di un luogo di culto e di una solida fortificazione provvista di torri che circondava l'abitato, rinforzata successivamente in periodo tardo-arcaico. Il luogo, così fortificato, dovette opporsi con lunga resistenza alla penetrazione greca nell'interno dell'Asia Minore (cfr. i passi di Omero citati sopra), ma intorno all'anno 700 avvenne la conquista da parte dei Greci, alla quale seguì per L. una epoca di grande sviluppo economico, documentato dal rinvenimento cospicuo di vasi dipinti e piccole statue. Nessun edificio di questo periodo può essere ricostruito con una certa approssimazione.
Durante il VI sec. a. C. L., governata da tiranni ionici, è in condizioni di assoluta floridezza; al primo venticinquennio del secolo sono databili i resti di un complesso di edifici cultuali posti nella parte più elevata della collina su cui sorge la città, nella stessa zona in cui anche per le epoche precedenti sono attestati edifici di carattere probabilmente sacro: si tratta di un altare, una stoà e un tempio che, esistente già in forma di semplice rettangolo elevato su alto podio, fu poi ampliato mediante l'aggiunta di un peristilio, con profondità maggiore sul lato della faccia O. Il numero delle colonne su ciascun lato è incerto (4 × 6; o 6 × 9 ?); è probabile che sulla fronte la fila di colonne fosse doppia. L'unico capitello superstite, ora nel museo di Istanbul, databile al 575-570, è del tipo protoionico (meno propriamente detto anche "eolico").
Alla fine del VI sec. appartiene un grandioso complesso di tre palazzi (v. casa), nelle cui tipiche forme e strutture architettoniche sono chiaramente avvertibili gli influssi orientali, accolti sia dalla Persia che dalla Lidia. A questi o ad altri edifici contemporanei sono riferibili i numerosi frammenti rinvenuti di lastre fittili in rilievo policromo, rivestimento delle pareti in mattoni crudi elevate su zoccolo di pietra. La maggior parte delle terrecotte restituite dagli scavi, conservate parte a Istanbul e parte a Stoccolma (queste ultime pubblicate solo recentemente), facevano parte di fregi e cimase laterali; i soggetti più comunemente rappresentati sono teorie di centauri, di Gorgoni, sfilate di aurighi su carri (scene di caccia?), scene di banchetto, semplici motivi geometrici e vegetali. Le figure, in leggero rilievo, sono risparmiate dal fondo nero e dipinte in colori chiari, con dettagli in color rosso. Stilisticamente appartengono all'ambiente ionico dell'ultimo venticinquennio del VI sec., e presentano strette affinità con contemporanei prodotti di Clazomene e di Taso. È a questo periodo che deve esser fatto risalire il parziale rifacimento delle mura in bellissima opera poligonale.
Alla metà circa del secolo successivo (intorno al 450) il dominio ateniese sulla città è avvertibile nelle sostanziali modifiche apportate ai palazzi già esistenti (v. casa).
Nel 401 L., dopo un'alleanza con Sparta durante le guerre peloponnesiache e la distruzione subita per opera degli Ateniesi, passa sotto il dominio persiano.
Nel IV sec. una grande attività edilizia è documentabile a Larisa. Una nuova cinta di mura viene ricostruita ed è riedificato un palazzo di dimensioni maggiori, sul luogo dei precedenti. Accanto ne viene eretto un altro, molto più grandioso e fastoso, costituito da quattro ambienti a forma di mègaron situati intorno a un cortile, singolare contaminazione del tipo di casa a mègaron col tipo peristiliato. L'ultimo colpo venne inflitto a L. dai Celti che invasero l'Anatolia nel 279 a. C. La città rimase per molti secoli una rovina (cfr. Strab., xlii, 3, 3) e fu riportata alla luce solo dagli scavi recenti.
Bibl.: La pubblicazione degli scavi non è ancora stata ultimata: Larisa am Hermos (Die Ergebnisse der Ausgrabungen 1902-1934), I, Die Bauten (J. Boehlau-K. Schefold), Berlino 1940; II, Die architektonischen Terrakotten (L. Kjellberg-A. Åkerström), Stoccolma 1940; III, Die Kleinfunde (J. Boehlau-K. Schefold), Berlino 1942; R. Naumann, in Gnomon, XVIII, 1942, p. 311 ss.; id., Zum Kabiren-Tempel in Larisa am Hermos, in Röm. Mitt., LIX, 1944, p. 183 ss.; A. Akerström, Architektonische Terrakottaplatten in Stockholm, in Acta Inst. Ath. Regni Sueciae, S, IV, I, 1951; Ch. Picard, in Revue Arch., N. S., 43-44, 1954, p. 220 ss.; W. B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, Londra 1950, passim; R. Martin, l'Urbanisme dans la Grèce antique, Parigi 1956; A. W. Lawrence, Greek Architecture, Harmondsworth 1957, passim.