Trier, Lars von (propr. Trier, Lars)
Regista cinematografico danese, nato a Copenaghen il 30 aprile 1956. Cineasta tra i più discussi, accusato di ambiguità, indicato come uno dei rappresentanti più in vista di un cinema ricattatorio, falsamente sentimentale e in realtà gratuito, può anche essere considerato, all'opposto, l'esponente di punta di un cinema postmoderno, che fa dell'indecidibilità la sua norma e che oscilla di continuo tra verità e menzogna, tra reale e rappresentazione, tra attrazione e repulsione, con un risultato al tempo stesso duramente crudele e amaramente indecifrabile. Nella sua carriera si possono distinguere due periodi: il primo, che va dagli esordi fino a Europa (1991), caratterizzato da un'impostazione visiva e narrativa ostentatamente espressionista; il secondo, che inizia con Riget (1994; The Kingdom ‒ Il Regno), segnato dalle imposizioni di Dogme 95. Con Breaking the waves (Le onde del destino) ha vinto nel 1996 il Gran premio della giuria al Festival di Cannes, dove nel 2000 si è aggiudicato la Palma d'oro con Dancer in the dark.
Ricevuta un'educazione ricca di sollecitazioni, girò i primi piccoli film all'età di dieci anni. Appena conseguito il diploma si iscrisse all'università di Copenaghen. Nel 1982 si diplomò alla Danske Filmskole con Befrielsesbilleder (1982, Immagini di una liberazione), un mediometraggio che ricostruisce un episodio del maggio 1945 dal punto di vista dei nazisti sconfitti, con uno stile esaltato, tra il religioso e il patetico. Esordì nel lungometraggio con Forbrydelsens element (1984; L'elemento del crimine), la cui sceneggiatura è firmata con l'amico e abituale collaboratore Niels Vørsel; cupo thriller 'metafisico', in cui un detective indaga sotto ipnosi su un serial killer, il film inaugura una trilogia sul tema dell'Europa, terra d'Occidente, luogo del tramonto e della decadenza, qui rappresentata come un terreno acquitrinoso e malsano. La trilogia proseguì con Epidemic (1987), opera costruita su due livelli: l'uno, propriamente narrativo, imperniato sulla storia dell'idealista dottor Mesmer (interpretato dallo stesso T.), che pensa di curare la peste mentre in realtà la diffonde; l'altro, di carattere metanarrativo, in cui T. e Vørsel raccontano, in maniera derisoria e grottesca, come hanno costruito la sceneggiatura. Il ciclo si è quindi concluso nel 1991 con Europa, film sul ritorno in Germania, nel 1945, di un giovane tedesco, idealista e desideroso di aiutare la propria patria a rinascere; un'opera volutamente manieristica e ridondante ‒ prodotta dalla Zentropa, la società fondata dal regista con Peter Aalbæk Jensen e Bo Christensen ‒ in cui T. esaspera la sua tendenza alle complesse rielaborazioni visive delle immagini, con l'uso di retroproiezioni e di frequenti sovrapposizioni del bianco e nero e del colore.
Con Riget, realizzato per la televisione danese e diviso in quattro parti, cui si aggiungeranno nel 1997 le tre nuove puntate di Riget 2 (The Kingdom 2), T. ha impresso una decisa svolta al proprio percorso artistico, abbandonando le ricercatezze stilistiche a favore di un cinema inelegante, sporco, slabbrato. Il serial, ambientato in un grande ospedale, oscilla tra l'horror e il film comico; le immagini, riprese in buona parte con la macchina a mano, sono instabili, montate in modo frammentario, senza preoccupazioni di continuità. Le ragioni della svolta sono emerse un anno dopo, quando T. ha sottoscritto e lanciato, con il regista Thomas Vinterberg, l'austero manifesto programmatico detto Dogme 95, che sostiene la necessità di opporsi alla "cosmetizzazione" del cinema contemporaneo sulla base di un "voto di castità".
A tali indicazioni T. si è rigorosamente attenuto in Breaking the waves, film girato in Scozia e ambientato in una piccola comunità di ferrea fede calvinista, che racconta, grazie anche alla superba interpretazione di Emily Watson, una storia di amour fou estremo, spinto fino al misticismo e all'autodegradazione. Ma è stato soprattutto con Dogme 2 ‒ Idioterne (1998; Gli idioti) che il cinema di T. ha raggiunto il punto di massima tensione: qui, infatti, i personaggi vivono in una comune, giocano a fare gli idioti e fingono di vivere una malattia che porta in superficie la loro reale angoscia, determinando una situazione paradossale, in cui appare impossibile discernere, in ogni immagine, tra realtà e messinscena.
Il "voto di castità", che impone tra l'altro di non usare alcuna musica di commento, sembrerebbe invece sconfessato da Dancer in the dark (2000), film drammatico con la cantante islandese Björk nel ruolo di un'operaia cecoslovacca immigrata negli Stati Uniti, che sta per diventare cieca e cade vittima di un poliziotto. La violazione però è giustificata dallo stretto rapporto che il regista istituisce con il mondo interiore della protagonista, che trasfigura la realtà, in sé spietata, sotto forma di musical. Melodramma esasperato, in cui le scene realistiche sono girate con il consueto stile grezzo ed estemporaneo, mentre quelle musicali sono accuratamente costruite e montate, il film ha diviso ancora una volta la critica e il pubblico, ottenendo un discreto successo in alcuni Paesi, ma rivelandosi un fallimento commerciale in altri, segnatamente in Inghilterra e negli Stati Uniti.
Non meno provocatoria è suonata l'operazione condotta dal regista in Dogville (2003), film concepito come una dura critica alla società nordamericana, nonché al suo cinema, tanto a livello dei contenuti ‒ la storia si snoda intorno a una giovane donna, interpretata da Nicole Kidman, che arriva in un piccolo villaggio, dove la sua presenza innesca una sorta di gioco al massacro, in cui ogni persona tira fuori il peggio di sé ‒ quanto sul piano stilistico; il film infatti è girato interamente in studio, in perfetto 'stile Dogme' con una scenografia teatrale, completamente antirealistica, che ha fatto parlare i critici di messa in scena brechtiana.
La paura mangia l'anima, a cura di L. Sandrini e A. Scandola, Verona 1997.
Lars von Trier, a cura di G. Lucantonio, Roma 1998.
Lars von Trier, il cinema reinventato, a cura di P. Giroldini, Parma 1999.
Tina Porcelli, Lars von Trier, Milano 2002.