INCANTADAS, Las
Con questo nome gli Ebrei spagnoli residenti a Salonicco indicavano i resti di un monumento architettonico di periodo romano, visibili ancora nel secolo scorso nel quartiere giudaico della città. I Greci invece lo chiamavano γοητειᾒα (= l'incanto): entrambe le suggestive denominazioni derivano da una tarda favola popolare connessa col monumento.
Le colonne superstiti sarebbero appartenute a una galleria che metteva in comunicazione il palazzo di Alessandro Magno con quello dove era ospitato, nell'imminenza della spedizione in Persia, il re di Tracia con la sposa "... principessa di grande bellezza. Alessandro, giovane, poco avvezzo a signoreggiare le sue passioni e nulla sapendo rifiutare all'amore come alla gloria, fu colpito dalla leggiadria di questa principessa, e, violando le leggi dell'ospitalità, riuscì a sedurla. Per mezzo della galleria di comunicazione, ei faceva alla regina frequenti visite, ma non con bastante segretezza, perché questo colpevole commercio sfuggisse agli occhi del marito, il quale, dopo aver chiariti i suoi sospetti, risolvette di fare una terribile vendetta del seduttore. Egli aveva al suo seguito un esperto mago del Ponto. Questi avendo scoperto, colla sua arte, l'istante preciso in cui Alessandro doveva portarsi all'appartamento della regina, sparse lungo la galleria i suoi scongiuri ed i suoi incantesimi. Il loro potere era tale che chiunque ad una data ora ne tentasse il passaggio dovesse inevitabilmente essere cangiato in pietra. Aristotile, altro mago, al servizio di Alessandro, e di gran lunga più valente di quello del Ponto, scoprì il pericolo abbastanza in tempo per prevenirlo, ed ottenne colle sue istanze dal suo padrone che per quella volta mancasse all'appuntamento. Dopo un lungo aspettare la regina, impaziente, manda nella galleria una delle sue damigelle di confidenza per vedere se venisse il suo amante, e subito dopo le tiene dietro ella stessa. In questo momento il re della Tracia, supponendo che l'incanto avesse prodotto il suo effetto, entra all'improvviso accompagnato dal suo mago per godere dello spettacolo della sua vendetta: tutto a un tratto, cosa inaudita, gli uni e gli altri sono cangiati in pietra, ed in questo stato attestano anche al presente lo sdegno di uno sposo oltraggiato ed il giusto castigo di una moglie infedele". Questa la leggenda, come è stata raccolta e trasmessa da Stuart e Revett.
Il monumento si componeva di una fila di colonne lisce di marmo cipollino, sormontate da capitelli corinzî e da un'alta trabeazione; questa reggeva, in corrispondenza delle colonne, dei pilastri di base quadrata, decorati su due facce opposte con figure ad alto rilievo e sormontati anch'essi da una trabeazione. Le figure che decoravano i pilastri simulavano da lontano statue a tutto tondo con ufficio di cariatidi. Sull'architrave a tre fasce appartenente alla trabeazione inferiore, si conservava un'iscrizione frammentaria, copiata nel disegno d'insieme della pubblicazione della Società dei Dilettanti: si leggeva ΝΓΕΓΕΜΗΝΟΝ ΥΠΟ ..... (C. I. G., 1996). Disegnato nel 1686 dal Gravier d'Otières e successivamente dal Cousinéry e dallo Stuart e Revett, descritto (talvolta in termini altamente entusiastici) dal Leake, De Villoison e da altri viaggiatori del XVIII e XIX sec., il monumento fu in parte trasportato nel 1865 dal Miller, per ordine del governo francese, a Parigi, e successivamente entrò a far parte delle collezioni di antichità del Museo del Louvre. Qui in un primo tempo si procedette a una ricostruzione parziale del monumento; più tardi vennero esposti isolatamente i quattro pilastri decorati (attualmente visibili nella sala dei mosaici di Antiochia) e altrove − e solo in parte − i capitelli e alcuni frammenti della trabeazione inferiore. Le figure ad altorilievo dei pilastri rappresentano, da una parte, una baccante che suona il doppio flauto, Dioniso, Arianna e Leda; dall'altra sono rappresentati una Nike alata, una figura di Aura (?), un Dioscuro e Ganimede. Nessun frammento ci è conservato né delle colonne, lasciate dal Miller a Salonicco, né dell'architrave iscritto.
Tipologicamente il monumento è riconducibile al tipo della στοαᾕ περσικηᾒ (portico persiano) descrittaci da Vitruvio (De arch., i, 1, 6) e da Pausania (iii, 11, 3) e testimoniata da pochi monumenti di periodo romano. Più difficile è stabilire la sua destinazione, considerato che doveva essere ugualmente visibile da due parti opposte, come indicato dalla doppia decorazione dei pilastri. È certo comunque che si trattava di un monumento strettamente connesso con l'agorà romana di Salonicco, come si può stabilire confrontando l'ubicazione indicata dal Leake coi risultati degli studi topografici della città. Nessun significato simbolico o narrativo lega tra loro le singole figure rappresentate, la cui scelta sembrerebbe dettata esclusivamente da un criterio decorativo. La datazione che si ottiene dall'esame dei capitelli, dei resti della trabeazione e soprattutto dei rilievi è all'incirca la metà del II sec. d. C.
Bibl.: M. E. Cousinéry, Voyage dans la Macédonie, I, Parigi 1831; J. Stuart-N. Revett, Le antichità di Atene (trad. ital.), III, Milano 1837; O. Tafrali, Topographie de Thessalonique, Parigi 1913; W. Froehner, Sculpture antique du Louvre, I, Parigi 1869, p. 52 ss.; S. Reinach, Rép. Rel., I, 395; R. Perdrizert, L'"Incantada" de Salonique, in Mon. Piot, XXXI, 1930, p. 51 ss.; Encycl. phot. de l'art, III, 1938, p. 312; G. Becatti, Attikà, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, VII, 1940, p. 92.