LASA
Il nome Lasa si trova inciso su alcuni specchi bronzei etruschi, appartenenti al IV e III sec. a. C., o anche più tardi, e su un anello-sigillo proveniente da una tomba di Todi. Tale nome sta a designare una figura, di regola femminile, che, nelle varie rappresentazioni, presenta caratteristiche iconografiche abbastanza simili nel complesso, ma piuttosto diverse nei particolari: la donna, sempre di aspetto giovanile, talvolta è alata, talvolta no; ora ha le ali chiuse, ora spiegate (la figura però non è mai intesa come volante). In alcuni casi è completamente nuda, in altri veste una leggera tunica; porta sempre dei ricchi calzari di foggia etrusca; la chioma, variamente acconciata, è cinta da una benda o da un diadema, oppure coperta da un copricapo. Anche gli attributi (non sempre presenti) sono numerosi e variano da una figurazione all'altra: la L. dello specchio di Villa Giulia tiene in mano un ramoscello, quella dello specchio di Viterbo un oggetto interpretabile come una collana a grosse bulle; più spesso compaiono l'alàbastron (recipiente tipico per unguenti e profumi) e un grosso spillone per capelli, il discerniculum dei Romani: oggetti cioè appartenenti al mundus femminile. Infatti non è raro che la L. compaia in relazione con Turan (l'etrusca Afrodite) o con Helinai (Elena); però si trova associata anche con divinità completamente diverse, come Menrva (Minerva) e Tinia (lo Zeus etrusco).
Nella maggior parte di queste rappresentazioni la L. occupa una posizione del tutto secondaria e non sembra avere una funzione molto ben determinata: così, per esempio, in uno specchio del Cabinet des Médailles, nella metà inferiore dove, in una scena ricca di figure, è rappresentata Elena che accoglie Menelao nell'Isola dei Beati, la L. occupa a destra l'ultimo posto vicino al bordo. Così pure nello specchio di Vetulonia la L., designata dall'iscrizione, è una delle due figure secondarie ai lati della coppia centrale Tinia-Turan. Ha invece maggior rilievo nello specchio di Villa Giulia, in quanto le figure rappresentate sono solo due: Minerva, seduta su un rialzo del terreno, e la L. stante dinnanzi a lei in un atteggiamento che si potrebbe dire quello di una messaggera. Nello specchio di Perugia il ruolo di primo piano della L. che fa coppia con Atunis (Adone) è derivato, con ogni probabilità, da un errore materiale: l'artista, volendo semplificare la scena (comunissima nel repertorio figurativo degli specchi) dell'amore di Turan e Adone, dove spesso compare la L. tra le figure secondarie, ha eliminato proprio la figura centrale di Turan, sostituendo ad essa la Lasa. Simili errori ed incongruenze sono in Etruria tutt'altro che rari su specchi e oggetti del genere (esiste uno specchio dove il nome Eros indica una figura femminile e il nome Psyche una maschile).
Sotto questa luce è facile spiegare come mai una volta o due il nome L. si trovi riferito a figura maschile (cfr. Gerhard, Etr. Sp., i, tav. cxv; e forse anche v, tav. xxiv).
Anche in molti altri specchi, ciste, scrigni e sostegni di candelabri si trovano rappresentate figure che sembrano corrispondere come tipologia e come attributi alla L. e che, probabilmente, sono tali; è tuttavia ovvio che un tentativo di definire il significato e la funzione della L. nel mondo religioso e artistico degli Etruschi può essere basato solo sull'esame di quel ristretto numero di pezzi in cui la figura, accompagnata dall'iscrizione, è certamente una Lasa.
Molto spesso gli archeologi dànno, invece, genericamente, quanto impropriamente, il nome di L. a tutte le figure femminili alate che abbiano un qualche rapporto con la morte e l'Oltretomba: così sono chiamate Lase i dèmoni dell'urna famosa dell'Ipogeo dei Volumnî (v. perugia) e Lase le Parche sedute a fianco del defunto adagiato a banchetto su sarcofagi del IV sec. (cfr. per esempio quello di Chianciano al Museo Archeologico di Firenze); si parla di Lase per tutte le Furie dei sarcofagi e delle urne tarde chiusine e volterrane. Questa estensione del termine L. implica una interpretazione della figura come divinità della morte, o del destino, interpretazione che non trova conferma in nessuno degli oggetti dove la figura è accompagnata dall'iscrizione, se non, forse, nello specchio del British Museum. In esso la L. occupa il centro della scena, fra Aiace e Anfiarao, e tiene spiegato un rotolo su cui sono scritti i nomi etruschi dei due eroi e il nome Lasa: è generalmente intesa come una specie di Parca.
Coloro che hanno scritto di religione etrusca, benché non concordi sul significato esatto della L., ne hanno mostrato di solito un concetto più accettabile: la considerano o come una divinità ornatrix, parallela all'incirca alle Horai e alle Cariti greche, o come una specie di genius o divinità gentilizia, intendendo come gentilizi gli epiteti che spesso accompagnano il nome Lasa. Fa eccezione la Enking (seguita poi in parte dallo Herbig) che interpreta la L. come una grande divinità, in stretta relazione con Tinia (collegando con L. il genitivo Lasl, che compare nel fegato di Piacenza, piuttosto vicino a Tinia), e le attribuisce due funzioni fondamentali, quella di protettrice dell'amore nuziale, e quella di dea del destino, assimilata poi alla Fortuna Primigenia dei Romani. Ma, lasciandosi fuorviare da una serie di considerazioni linguistiche, arriva a basare la sua argomentazione su figure per le quali non esiste alcuna prova che siano Lase, il che infirma irrimediabilmente la validità della teoria.
In realtà molti errori possono essere derivati dal fatto che l'attenzione degli studiosi si è rivolta prevalentemente al lato linguistico della questione (il termine è inteso di solito collegato al lat. Lares, arcaico Lases) mentre il problema non è stato finora mai affrontato da un punto di vista strettamente archeologico e iconografico, che potrebbe offrire invece molte considerazioni interessanti. Infatti, data la genericità delle figure indicate con certezza dall'iscrizione come Lase e la notevole diversità dei loro atteggiamenti e attributi, è probabile che la L. (anche se come divinità occupa effettivamente una qualche posizione nel confuso pantheon etrusco), nelle rappresentazioni figurate non abbia alcun significato preciso, e che sia usata, almeno nella maggior pàrte dei casi, con un valore esclusivamente ornamentale. Del resto lo stesso fenomeno si verifica nella ceramica greca, dove, per esempio, molte delle figure alate (tipologicamente tanto vicine alle Lase etrusche), alle quali si dà comunemente il nome di Nikai, non hanno certo alcun significato come tali, ma costituiscono soltanto un elemento decorativo di primissimo ordine.
Monumenti considerati. Anello-sigillo di Todi: Röm. Mitt., i, 1886, p. 230-31; ibid., lvii, 1942, fig. 1. Specchio di Villa Giulia: Gerhard-Körte, Etr. Sp., i, tav. xxxvii. Specchio di Viterbo: id., op. cit., v, tav. xxiii. Specchio del Cabinet des Médailles: id., op. cit., ii, tav. clxxxi. Specchio di Vetulonia: St. Etr., v, 1931, p. 521, tav. xxv. Specchio di Perugia: Not. Sc., 1900, p. 557, fig. 5. Urna dell'Ipogeo dei Volumnî: G. Q. Giglioli, Arte etr., tav. ccccxvii. Sarcofago di Chianciano: P. Ducati, Arte Etrusca, fig. 353. Specchio del British Museum: Gerhard-Körte, op. cit., iv, tav. ccclix.
Bibl.: Il materiale iconografico è raccolto sostanzialmente in Gerhard-Körte, Etr. Sp., Berlino 1884 (oltre i casi citati sopra vedi: I, tav. CXI; IV, tav. CCXC; V, tav. XXIV, tav. I e p. 142, n. 107a), che dà anche la bibl. prec. dei singoli esemplari; J. Martha, in Dict. Ant., III, parte 2, s. v.; W. Deecke, in Roscher, II, col. 1902, s. v. Lasa; E. Fiesel, in Pauly-Wissowa, XII, 1924, col. 882, 1894-97, s. v.; F. de Ruyt, Charun, démon étrusque de la mort, Bruxelles 1934, p. 210; P. Ducati, Etruria Antica, Torino 1927, pp. 104 e 107; A. Neppi Modona, in Enc. Ital., XX, s. v.; R. Enking, Lasa, in Röm. Mitt., LVII, 1942, p. i ss.; G. Q. Giglioli, La religione degli Etruschi, Torino 1944, pp. 787 e 789; R. Herbig, Der Kunstspiegel. Götter und Dämonen der Etrusker, Heidelberg 1948, pp. 13, 14, 25 ss.; A. Grenier, Les réligions étrusque et romaine, Parigi 1948, pp. 27, 37, 46, 54, 60; M. Pallottino, Etruscologia, Milano 1957, p. 203.
Per l'uso improprio e generico del termine L.: P. Ducati, Arte Etrusca, Firenze 1927, pp. 319, 356, 386, 413, 418, 425, 427, 430, 456, 476, 483, 484, 488, 490, 493, 495, 501, 505, 507, ecc.
(S. De Marinis)