lasciare (lassare)
Il verbo è abbastanza frequente nelle opere di D., soprattutto nella Commedia, sia come transitivo che come reggente di altri verbi (all'infinito o con ‛ di ' e l'infinito).
Si deve segnalare la presenza di due varianti, una con lasc-, l'altra con lass-, delle quali la prima è di gran lunga più frequente (lass- figura soltanto in alcuni casi grammaticali, e cioè nelle tre persone singolari del pres. indic., nel gerundio, nel partic. pass. e in qualche altro caso; nella Commedia solo in rima; inoltre nelle forme con -e- dopo lasc- si trovano varianti con i-, ma anche senza). Il pres. indic. è l'unico tempo per il quale figurano tutte le persone; del pass. rem. manca la II plur. (si noti lasciar, in Pg III 10). Del futuro semplice abbiamo soltanto le tre prime persone (cfr. lascieròe, Fiore CCXIX 3); dell'imperf. indic. solo la III singol. e la I plurale. L'imperativo è largamente rappresentato: una volta si trova anche l'infinito usato come imperativo negativo (Fiore XCV 5). Il cong. pres. è spesso usato con valore esortativo (lascisi stare quanto contra esse Salomone... grida, Cv IV XII 8; cfr. anche lasciànlo, If XXXI 79). Gli esempi del cong. imperf. sono praticamente limitati al solo Purgatorio. Del condizionale si trovano solo la I e la III singolare. Frequente è l'infinito e il gerundio lasciando (la variante lassando figura una sola volta, in Vn XXVI 8). Il partic. pass. (lassate, in Vn XXXI 10 17) si trova tanto nelle forme composte attive (pass. e trapass. rem.) che passive e in uso assoluto (cfr. Pg XXXII 95).
Non figurano in D. esempi dell'uso proprio e concreto di l. (" cessar di tenere ", " posare " un oggetto), se non accompagnati dall'infinito di un verbo come ‛ cadere ' (lf XIII 44 io lasciai la cima / cadere; XXI 86 e' si lasciò cascar l'uncino a' piedi); un solo esempio senza l'infinito ha il complemento oggetto di persona, e vale " l. andare ", " l. liberi " (If XXII 85 Danar si tolse e lasciolli di piano).
Come estensione del senso precedente, l. usato da solo si riferisce genericamente all'allontanamento da persone, cose oppure luoghi, con varie specificazioni secondarie. Indica separazione da un oggetto, anche astratto (l'aguglia che lasciò le penne al carro, Pg XXXIII 38; cfr. anche Fiore CLXIX 5). Frequente l'accenno al distacco del corpo sopravvenuto con la morte (If X 12 qui torneranno / coi corpi che là sù hanno lasciati; XV 114, XX 87, XXX 75, Pg I 74). Vale propriamente " separarsi da una persona ", quindi " far restare una persona in un luogo, non portarla con sé ": If VIII 108 i' non ti lascerò nel mondo basso; Pg XXIII 96 la Barbagia di Sardigna assai / ... più è pudica / che la Barbagia dov'io la lasciai; Cv I I 10 conosco la misera vita di quelli che dietro m'ho lasciati; IV XXVI 11, Rime LXI 12, XXXIII 1, XCI 22. La separazione può avere carattere definitivo: If VIII 64 Quivi il lasciammo, che più non ne narro; XVIII 94 Lasciolla quivi, gravida, soletta; Pg XII 4, Vn XXXI 10 17, Fiore XXXVI 6, CLXI 9, CLXV 3, CXCIII 12.
Un uso speciale è quello rappresentato da If XXVII 39 'n palese nessuna [guerra] or vi lasciai, e Pd XIV 81 Bëatrice sì bella e ridente / mi si mostrò, che tra quelle vedute / si vuol lasciar che non seguir la mente.
Spesso l. indica l'allontanamento da un luogo: If XXVI 110-111 da la man destra mi lasciai Sibilia, / da l'altra già m'avea lasciata Setta; X 134, XI 18, XXII 116, Pg I 3, XXVIII 4, Pd XXXII 101, Rime L 5. Più generico, per " staccarsi da qualcosa ", può prendere varie connotazioni: in senso proprio si trova in Pd XVII 55 Tu lascerai ogne cosa diletta; If XVI 61, Vn XXVI 8; altrove col valore figurato di " abbandonare ", in If III 9 Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate, e 14; XX 34 Anfïarao... perché lasci la guerra?, e 121 le triste... lasciaron l'ago; XXXI 49, Pd XXI 104, XXIII 135 Babillòn, ove si lasciò l'oro; Cv I X 5, IV Le dolci rime 3, II 3, Fiore CXXXIII 7, CLXI 13, CCXIX 3.
Tipica in questo caso è l'antitesi costruita sul motivo di ‛ l.-prendere ', che compare in Cv I VIII 1 pronta liberalitate mi fece questo eleggere e l'altro lasciare, con allusione al comento volgare e latino; così in II XV 6, IV XXX 4, Fiore CIII 5 e CVIII 10.
Caratteristico è pure l'uso metaforico per suggerire la rinuncia ad atti e comportamenti (Pd V 82 agnel che lascia il latte / de la sua madre; Pg XI 105 anzi che tu lasciassi il ‛ pappo ' e 'l ' dindi '), oppure per illustrare il modo di un'azione (li piedi suoi lasciar la fretta / che l'onestade... dismaga, Pg III 10). Una variante di quest'ultimo uso assume il valore di " interrompere ", " sospendere " (If IV 64 Non lasciavam l'andar, e V 18; Vn XXIII 18 13 e 30; Pg II 131 vid'io quella masnada fresca / lasciar lo canto; XXVIII 15; Pd VIII 26, detto degli spiriti che si appressano a D., lasciando il giro [" la danza "] pria cominciato in li alti Serafini); ed è regolarmente accompagnata da un infinito verbale (Né lascerò di dir perch'altri m'oda, Pg XIV 55; Fiore XCV 5, Cv I II 6, IV XIII 14).
Frequente è l. con il valore di " omettere ", " tralasciare ", " trascurare ", con complemento esplicito o indeterminato (Cv III Amor che ne la mente 9 e' mi conven lasciare in pria... ciò che lo mio intelletto non comprende (ripreso in II 1), IV 2, IV XXIII 14, XXIV 3 e 9, Pd XIV 107, Vn V 4). Con quest'uso si ricollegano alcuni casi particolari, come quelli implicanti l'esaltazione di Aristotele (Cv IV XVII 3) o dell'imperatore (X 6). L. figura anche come termine tecnico della grammatica col senso di " trascurare ", " non usare " certe parole (le parole... si deono molto discretamente sostenere e lasciare, Cv IV II 8; uno verbo molto lasciato da l'uso, VI 3).
In un notevole gruppo di esempi si trova l. col senso di " far rimanere ", indicando lo stato o condizione in cui l'oggetto rimane. Tale oggetto può essere una persona, come in If VIII 100 non mi lasciar... così disfatto; XXII 151 noi lasciammo lor così 'mpacciati; I 27, XXXIII 145, Pg XXX 49, XXXII 95 (nel participio passato), Pd IX 121, XXX 50 (talvolta la ‛ condizione ' è indicata solo in modo indiretto: If XXXIV 89 credetti vedere / Lucifero com'io l'avea lasciato, e Pg XII 54); altri esempi in Vn XXXI 9 14, Fiore XXVII 7 e CLXXXIV 14, Rime dubbie XXX 18; oppure può essere una cosa inanimata, come in Pg XXIX 74 vidi le fiammelle andar davante, / lasciando dietro a sé l'aere dipinto; If XXXIV 125 l'emisperio nostro... / per fuggir lui [Lucifero] lasciò qui loco vòto; Pg XIV 65, XXIV 87, XXXII 51 e 126, Pd XXIV 21. Talvolta metaforicamente, con oggetto di cosa astratta: Se cagion altra... credesti, / lasciala per non vera, Pg XXI 128; si pruova... cosa che dinanzi è toccata e lasciata non provata, Cv IV XIX 2.
Si trova pure l. con oggetto di persona o cosa e con riferimento al segno che rimane o all'effetto o conseguenza dell'azione (cioè all'opinione o desiderio che resta di qualcuno che sia partito o morto). Così in If VIII 51 qui staranno come porci in brago, / di sé lasciando orribili dispregi; Pd XXXI 81 O donna... che soffristi... / in inferno lasciar le tue vestige; ancora If XXIV 50, Pg XXVI 106, Pd XIX 16 in terra lasciai la mia memoria, Cv IV VII 7 (due volte, di cui una nella forma del participio passato: li vestigi lasciati). Da questo caso poco si distingue l. usato nel senso di " consegnare, trasmettere qualcosa allontanandosi ": la voce tua... vital nodrimento / lascerà, Pd XVII 132; Vn XL 1, Fiore CLXVIII 9, CXCVII 2. Questo senso può estendersi ulteriormente per indicare " trasmettere in eredità " (in senso proprio o figurato): Pd XXXIII 72 fa la lingua mia tanto possente, / ch'una favilla sol... possa lasciare; Pg XVIII 69, Pd XXV 15; O luce etterna... / a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, XXIV 35; Cv IV XXIV 17; cfr. anche Pg XXV 3 'l sole avëa il cerchio di merigge / lasciato al Tauro; Cv II XIV 19 (due volte), I IX 5. Col valore di " affidare a qualcuno ": con lei ti lascerò nel mio partire (If I 123), e Fiore XCVIII 14. Un'altra variazione ha il senso di " riservare ad altri ": Li altri due punti... a lui lasc'io, Pd XXV 61; lascio cotale trattato ad altro chiosatore, Vn XXVIII 2; Pd XXX 34 e Cv III V 20.
L. è usato spesso come verbo reggente un altro verbo all'infinito (vedi anche gli esempi all'inizio). Il senso generale è quello di " permettere ", " consentire ", che viene specificato dall'infinito dipendente: If XXVI 73 Lascia parlare a me; XXXIII 94 Lo pianto stesso lì pianger non lascia; e ancora If III 49, Pg IX 56, XVI 35, XXIV 73, Pd III 33, XVII 129, XXVI 131; [Ercole] sanza lasciarlo a la terra ricongiungere... lo vinse, Cv III III 8; XI 12, I IV 6, IV VII 3, Rime CXIV 6, CII 54; Vn XXXVIII 2 che pensero è questo, che... non mi lascia quasi altro pensare; 9 8 altro penser non lascia star con nui).
Accompagnato da ‛ fare ', in Fiore LXIX 3 A te sì non convien far disfidaglia / ... Lasciala far a gran signor di terra; CLVII 9 Agli uomini lasciam far la larghezza. Col valore di un'aspettazione per il futuro, in Pd IX 4 Taci e lascia muover li anni.
Col valore causativo di " far sì che ", in If XX 19 Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto / di tua lezione, Pg XXVIII 33. In particolare, con ‛ esser manifesto ' e simili: Pg II 123 lo scoglio / ch'esser non lascia a voi Dio manifesto; XXX 69. Con il valore affine di " lasciar vedere ", cioè " render visibile ": If VIII 56 Avante che la proda / ti si lasci veder; Cv III VII 4.
In particolare, come reggente del verbo ‛ andare ' o di verbi analoghi (‛ ire ', ‛ passare ', ecc.) l. prende il senso di " non trattenere ", o, in frase negativa, di " trattenere ": Pg I 82 Lasciane andar per li tuoi sette regni; If I 95 questa bestia... / non lascia altrui passar per la sua via; XXI 83, Pg IV 128, VI 65 e anche Fiore LXXI 4. Lo stesso uso, ma con valore metaforico, in Pg XXXIII 141 non mi lascia più ir lo fren de l'arte, e Pd II 87. Sempre con ‛ andare ', ma con accentuazione del valore di " distaccarsi ", gli esempi di If XV 33 (Brunetto Latino... lascia andar la traccia) e di Pg XXIV 71 (l'uom che di trottare è lasso, / lascia andar li compagni), i quali segnano il passaggio al senso di " non curare ", " non badare " di If XXI 134 lasciali digrignar pur a lor senno. In quest'uso si trova soprattutto come reggente di ‛ dire ' e ‛ stare ': Lasciànlo stare e non parliamo a vòto, If XXXI 79; Vien dietro a me, e lascia dir le genti, Pg V 13, e XXVI 119. Sempre con ‛ stare ', prende il valore proprio di " cessar di tenere ", in Pg II 128 subitamente lasciano star l'esca; Vn XIX 22 a me non dispiace se la mi lascia stare. Infine talvolta ‛ l. stare ' ha valore affine a " omettere ", " tralasciare " (per cui si veda anche sopra), come in Cv IV XXII 4 Lasciando dunque stare l'oppinione che..., e II 11, XII 8, XXII 6, XXIV 9 (due volte).
Per indicare un cedimento, una concessione, che può anche far supporre una certa resistenza, si trova l. in Pg VI 92 Ahi gente che dovresti esser devota / e lasciar seder Cesare; più spesso con verbo riflessivo, come in Vn XXXIX 2 lo mio cuore cominciò... a pentere de lo desiderio a cui sì vilmente s'avea lasciato possedere; anche Pd XIX 15 e 142, Cv IV XXII 12, Fiore XCI 13.
Un caso particolare è rappresentato da l. usato assolutamente col senso di " interrompersi " (Non lasciò, per l'andar che fosse rotto, / lo dolce padre, Pg XXV 16; e qui lasciando, torno al proposito, Cv I XII 12), o di " fare a meno ": può... passarsi / per qualunque lasciasse, Pg XVI 119; cfr. anche Fiore XXXVII 4. Il verbo dipendente da l. può essere facilmente sottinteso, in Pg XXI 64.
Due soli esempi col verbo l. possono dar luogo a qualche discussione: in Pd XXVII 138 di quel ch'apporta mane e lascia sera, il verso (che conclude una terzina piuttosto oscura) indica certamente con una perifrasi il " sole " (perciò lascia ha il valore di " far rimanere allontanandosi "). Più difficile l'esempio di Vn XXII 15 9 e 17, dove, se si accoglie il testo dell'edizione Moore (Lascia piangere a noi, e triste andare), il verbo significa " riserbare ", mentre una lezione poco diversa darebbe a l. il senso di " permettere ": Lascia piangere noi..., come nell'ediz. del '21.