Lassana Bathily
Un eroe dei nostri giorni
La Francia premia con la cittadinanza l’immigrato del Mali che a rischio della vita ha salvato 7 ostaggi ebrei e ha permesso alle forze dell’ordine di intervenire. Lui, però, rifiuta il termine ‘eroe’.
Che per lo Stato Islamico è l’attentatore.
«La gente mi prende per un eroe. Ma non sono un eroe. Sono Lassana. Il mio cuore mi ha parlato e mi ha obbligato ad agire». Così ha detto Lassana Bathily alla cerimonia in cui gli è stata conferita la cittadinanza francese.
Lassana è un ragazzo del Mali di 24 anni, dal 2006 viveva di permessi di soggiorno. Sono parole semplici, le sue. A tanta semplicità verrebbe da rispondere: certo Lassana, il tuo cuore ti ha parlato, ma ti ha parlato bene. Non a tutti il cuore parla così bene, ed è per questo che non tutti sono eroi. A volte il cuore non parla affatto, a volte parla male.
Il cuore, di certo, non ha parlato d’amore ad Amedy Coulibaly, il terrorista musulmano che ha preso d’assalto l’Hyper Casher, un supermercato frequentato principalmente da ebrei. Ad Amedy il cuore ha detto di ammazzare, e 4 persone sono rimaste freddate in quel maledetto gennaio dell’attentato a Charlie Hebdo.
Ma invece tu, Lassana, musulmano come lui, come lui vittima dei confini del mondo che dividono i ricchi dai poveri, vittima di ingiustizie storiche di cui sarebbe troppo lungo fare qui l’elenco, non hai esitato un secondo. Hai capito la gravità della situazione. Hai aperto la cella frigorifera, hai spento il refrigeratore e le luci per non destare sospetti, e hai dato riparo a 6 ostaggi, più un bebè. Rischiando la tua vita, hai salvato le vite degli altri. E poi sei fuggito, uscendo grazie al montacarichi. Hai chiamato la polizia e hai fornito le chiavi della saracinesca che hanno permesso alla successiva irruzione di avere successo.
Mentre tu salvavi delle vite, Amedy Coulibaly arringava: «Devono smetterla di attaccare lo Stato Islamico, devono smetterla di togliere il velo alle nostre donne, devono smetterla di mettere i nostri fratelli in prigione per nulla».
A un certo punto si è rivolto ai suoi ostaggi: «Fate delle manifestazioni e dite di lasciare i musulmani tranquilli». E ancora: «Mai e poi mai riusciranno a sconfiggerci. Non ci sono mai riusciti. Allah è dalla nostra parte».
Ascoltando queste parole viene da chiedersi il perché della loro tetraggine, come si possa accettare un credo così tetro. Un credo, sia chiaro, che nello specifico è quello musulmano, ma che è simile a qualunque credo che diventa fanatismo, dimenticando che la religione è dell’uomo, non l’uomo della religione. Ma purtroppo l’odio è comprensibile, forse perfino di più dell’eroismo. Le sue ragioni affondano in un passato di soprusi, in scelte politiche sbagliate e nell’antropologia umana che, come sappiamo sulla scorta di Goldhagen, spinge al genocidio. La differenza è una antica forma d’esclusione, che esiste da quando esiste l’uomo, e distingue alcuni uomini dagli altri uomini: uomini che possono essere uccisi. Anzi, che devono essere uccisi. Gli altri. I nemici. Forse Amedy, freddato durante l’irruzione della polizia, nella logica della suo credo fanatico è a sua volta un eroe.
C’eravate voi due, lì, in quel supermercato kasher: due eroi. Due forme di umanità. Entrambe comprensibili, entrambe possibili. L’istinto alla solidarietà, alla cooperazione, la catena umana che ci tiene tutti quanti uniti, che cerca di salvare. E l’istinto a escludere e dividere, a conquistare, a uccidere. Forse ogni seme negativo crea un seme positivo. Forse, in una logica orientale, la natura cerca l’equilibrio, e quando si fa tanto male bisogna correggere la scena con tanto bene. Fatto sta che tu c’eri, e ci hai ricordato cosa è un uomo quando il cuore gli parla ad alta voce, e l’uomo sa ascoltare le parole che vengono dal cuore. E ci hai ricordato che nel mondo non ci sono solo gli Amedy. Ci hai ricordato che, anche se tutto sembra spingere nella direzione della violenza, c’è sempre un’altra possibilità, che è limpida e umana e parla un linguaggio comprensibile a ogni uomo.
Ed è giusto chiudere con altre tue parole, sempre tratte dal discorso tenuto durante il conferimento della cittadinanza francese. Hai ricordato il tuo amico ebreo Yohan Cohen che purtroppo quel giorno è stato ucciso, e hai detto di volere tornare in Africa per rivedere i tuoi parenti, per guardarli negli occhi. Avevi bisogno della loro benedizione.
E poi, di benedizioni, ne hai data una a tutti noi: «Viva la libertà, viva l’amicizia, viva la solidarietà, viva la Francia».
L’anti-eroe
Amedy Coulibaly, nato nel 1982, era originario di Juvisy-sur-Orge, un piccolo comune a sud di Parigi, in una famiglia di immigrati musulmani del Mali con 10 figli: lui era l’unico maschio. Ha iniziato presto la carriera criminale: a 17 anni ha già 5 condanne per rapina a mano armata e una per spaccio di droga. Un referto psichiatrico del tribunale di Parigi lo definisce «con una personalità immatura e psicopatica» e «povero di capacità introspettiva». Nel 2005 la ‘svolta’: incontra Cherif Kouachi, uno dei massacratori di Charlie Hebdo, nella prigione di Fleury-Merogis, dove erano entrambi detenuti. In questa fase, Coulibaly abbraccia l’Islam radicale e la jihad. Dopo aver scontato le condanne, si trasferisce a Grigny, 20 chilometri a sudest di Parigi. Nel 2010 viene arrestato dall'antiterrorismo perché sospettato di complicità nel piano per far evadere dal carcere Smait Ali Belkacem, l’autore dell'attentato del 1995 alla stazione di Saint-Michel a Parigi. Uscito dal carcere nel marzo 2014, muore nel blitz delle forze speciali per liberare gli ostaggi nel negozio kosher di Parigi. In una pagina Facebook legata a Hamas i Kouachi e Coulibaly sono definiti «eroi e martiri».