latifondo
Terreno agricolo di grandi dimensioni, solitamente mal coltivato e adibito a colture estensive, spesso alternate a pascoli, che ha come caratteristica principale l’assenteismo del proprietario. Il fenomeno del latifondismo ha avuto un grande rilievo in passato e continua a essere un tema importante in alcuni Paesi in via di sviluppo. Infatti, in generale, i terreni dei l. sono stati storicamente sottoutilizzati, rispetto alla proprie potenzialità, perché – al di là di alcune virtuose eccezioni – la proprietà si accontentava di una dignitosa rendita e non era eccessivamente interessata all’innovazione agronomica e tecnica. Per questo motivo l’agricoltura praticata nei l. è stata spesso caratterizzata da una certa arretratezza, e in molti casi si accompagnava a un ordinamento istituzionale ostile alle istanze progressiste.
L’origine del l. si ritrova nelle grandi civiltà dell’epoca antica, in particolare in quella romana, in cui si ebbe una sua espansione, nel corso del 2° sec. d. Cristo. Ma è in età medievale che il l. divenne un fondamento dell’economia curtense e del sistema istituzionale feudale. Infatti, la generale insicurezza, che aveva accompagnato il declino dell’Impero romano, aveva promosso l’attribuzione di funzioni politiche ai proprietari terrieri, e ciò aveva innescato un meccanismo di polarizzazione per cui i piccoli detentori rinunciavano al pieno possesso fondiario, ponendo sé stessi e i propri beni sotto la tutela del grande proprietario, che così estendeva ulteriormente il proprio dominio. Anche se il l. fu progressivamente superato, tra il 18° e il 19° sec., sull’onda della diffusione del capitalismo (➔ p) nelle campagne, rimase a lungo radicato in quelle aree dell’Europa mediterranea e orientale, che erano rimaste ai margini dello sviluppo economico. Contemporaneamente, il l. aveva trovato nuova diffusione attraverso il colonialismo (➔), in particolare in America Latina, dove le dominazioni spagnola e portoghese avevano instaurato un sistema politico-sociale di ispirazione feudale. Nel corso del 20° sec., il termine l. assunse definitivamente un significato negativo, e il problema della sua abolizione, o del suo ridimensionamento, fu avvertito come urgente e primario da parte di vari gruppi riformatori. Studiosi di diversa formazione – marxisti, cattolici, liberali – individuarono nello strumento della riforma agraria (➔ agraria, riforma) uno dei mezzi per eliminare il l. e innescare uno sviluppo economico che si accompagnasse a un progresso sociale.
Il l. in Italia era regredito spontaneamente nelle aree centro-settentrionali, in conseguenza del fatto che la decomposizione del regime feudale si era sviluppata, generalmente, a vantaggio dei fittavoli. Per cui già in Età moderna il numero delle grandi proprietà era fortemente diminuito, per azzerarsi nel corso del 19° secolo. Nel Mezzogiorno, invece, il processo fu più tardivo, e la scomparsa del l. fu anche legata a una serie di interventi legislativi, che presero corpo nel corso del periodo unitario, fino alla riforma agraria del secondo dopoguerra. In particolare, le grandi proprietà terriere avevano avuto una certa importanza in Sicilia, e sono considerate uno degli elementi strutturali all’origine del fenomeno della mafia.