MANETTI, Latino Giovenale
Nacque a Roma nel 1485 o 1486, figlio unico di Porzia e Tommaso "de Juvenalibus". Nulla si conosce sugli studi e sui suoi primi passi nella Curia romana. Nel 1507 ottenne un canonicato di S. Giovanni in Laterano.
Con il pontificato di Leone X ebbe avvio la carriera di emissario pontificio e di diplomatico del M., in conseguenza della posizione preminente raggiunta dal cardinale Bernardo Dovizi, detto il Bibbiena, al cui servizio il M. operò come segretario probabilmente fin dalla fine del primo decennio del secolo.
Nel 1513 il M. fu inviato a Reggio Emilia per portare le bolle pontificie di conferma del governatore, del podestà e del luogotenente. Il 22 marzo 1514 fu a Ferrara come commissario apostolico per l'esazione di una vigesima dagli ebrei della comunità locale, con la facoltà di procedere alla revisione dei libri dei loro banchi e di indagare ogni violazione della normativa antigiudaica; in ottobre vi tornò per presenziare, a nome del papa, al battesimo di Ercole, figlio del duca Alfonso I d'Este e di Lucrezia Borgia. Nel maggio 1515 prese possesso del governo di Modena a nome di Giuliano de' Medici, fratello del papa e comandante generale dell'esercito pontificio, presso il quale aveva funzioni di segretario forse già da alcuni anni. Trattò un accordo tra il duca di Milano Massimiliano Sforza e il doge di Genova Ottaviano Fregoso, recandosi tra il maggio e il giugno nelle due capitali, con l'obiettivo tuttavia di appurare le disposizioni dello Sforza verso Parma e Piacenza. Fu accreditato, inoltre, come oratore presso i Cantoni svizzeri per comporre i dissidi sorti dopo un tentativo di questi di muovere contro la Repubblica di Genova, conservatasi neutrale nello scontro tra la Francia e l'Impero.
Nel febbraio del 1517 il M. fu designato internunzio presso la Repubblica di Venezia, dove giunse in marzo, per esortare il Senato a trattenere le navi di proprietà del duca di Urbino Francesco Maria I Della Rovere che, espropriato del dominio da Lorenzo de' Medici, meditava una spedizione contro Fano. Nel corso della permanenza veneziana, prolungatasi fino a settembre, ebbe anche modo di informare la Signoria dell'arresto, avvenuto in maggio, dei cardinali Alfonso Petrucci, detto di Siena, e Bandinello Sauli, cui seguì quello del cardinale Raffaello Riario, accusati a diverso titolo di una macchinazione per avvelenare il papa. Di nuovo a Venezia nel marzo 1518, in aprile il M. accompagnò il cardinale Bibbiena in Francia e vi si trattenne almeno fino al 15 giugno.
Alla morte del Bibbiena, nel novembre 1520, il M. pronunciò l'orazione funebre in S. Maria all'Aracoeli; fu nominato rettore di S. Salvatore in Iulia e nel marzo 1521 si recò a Milano per perorare la pace. Durante il pontificato di Adriano VI soggiornò in Francia, forse a Montpellier. Dal 1523 fu al servizio del cardinale Alessandro Farnese, operando come segretario fino al 1529.
Nel 1526 il M. rinunciò al canonicato di S. Giovanni e a quello di S. Pietro (concessogli all'inizio del 1517), con l'intento di prendere moglie: sposò nel 1527 Silvia di Antonio de Alexandrinis, dalla quale ebbe Cesare, Alessandro, Sigismonda e Lavinia. In quel periodo gli incarichi diplomatici si diradarono, purtuttavia compì alcuni viaggi: alla fine del 1527 partì per l'Inghilterra, dove giunse in gennaio con la notizia della liberazione di Clemente VII dopo il sacco di Roma; nel maggio 1529 fu incaricato dal papa e dal cardinale Farnese di una missione presso il governatore di Parma.
Alla carriera in Curia s'accompagnò quella nell'amministrazione capitolina, almeno dal 1527: il 1 ott. 1533 il M. fu eletto priore dei caporioni e fu inviato a Clemente VII per perorare il ritorno del pontefice, allora in Francia per le nozze della nipote Caterina, e il suo sostegno alla città nella difficile congiuntura della crisi alimentare, di cui erano diretti responsabili i banchieri fiorentini Strozzi.
Con l'ascesa al soglio pontificio del Farnese (Paolo III), il M. passò segretario papale e ricevette immediata considerazione, come dimostra la partecipazione ai festeggiamenti pubblici per l'elezione del papa, durante i quali egli stesso gettò al popolo monete d'oro e d'argento; il 23 ott. 1534 fu nominato alla Tesoreria di Piacenza, con un'entrata di 500 ducati. Pochi mesi dopo, nel riconoscere la generosità del papa nei suoi riguardi, si descriveva come "un ricco villano" (Letters and papers, VIII, n. 622).
L'8 novembre fu creato dal papa commissario generale alle antichità romane: si trattava di un ufficio di nuova istituzione che lo impegnò anche sotto Giulio III come custode della salvaguardia dei monumenti antichi, supervisore delle attività di scavo e responsabile delle esportazioni di reperti. In seguito fu anche incaricato della Zecca romana.
A testimoniare la passione e la competenza di erudito e archeologo del M., ma forse anche i vantaggi della sua posizione, rimase la collezione di statue che ornava la casa nei pressi di Campo de' Fiori: una raccolta intrapresa fin dal secondo decennio del Cinquecento, probabilmente, che contava tra l'altro sessanta busti di imperatori e imperatrici e di uomini illustri, secondo quanto riporta la descrizione lasciata da U. Aldrovandi nel 1550 (cfr. Mauro), e verosimilmente anche materiali epigrafici e numismatici.
Con Paolo III la carriera diplomatica del M. conobbe un nuovo slancio. Già nel dicembre 1534 fu inviato a Venezia per sondare la posizione della Repubblica circa le iniziative pontificie relative alla successione di Camerino, il cui signore, Giovanni Maria da Varano, era morto nel 1527 senza eredi maschi diretti. Nell'aprile 1535 fu inviato al re francese Francesco I per trattare la medesima questione e spiegare l'attribuzione del Ducato a Ercole da Varano, ma anche per esortare i Francesi a non ostacolare l'impresa di Tunisi; egli stesso d'altronde doveva passare da Genova per vedere i preparativi contro Khair ad-Dhîn il Barbarossa.
I viaggi diplomatici si sovrapposero agli incarichi municipali. Il M. fu maestro delle Strade nel triennio 1535-37, di nuovo nel 1541-43 e ancora fino al 1551, e gli si devono l'allargamento e il prolungamento di via dei Baullari nel 1536, che schiudeva la prospettiva dal palazzo Farnese verso piazza Navona, e un ulteriore intervento riguardante il tratto viario tra questa piazza e la chiesa di S. Apollinare, nel 1541. Oltre a rivestire cariche rionali, fu conservatore nel 1536, 1546 e 1549, e nel 1537 fu uno dei quattro ufficiali incaricati di sovrintendere alla costruzione del palazzo dei Conservatori; nel 1540 fu chiamato tra i riformatori dell'Università, ma sembra che l'incarico sia stato solo nominale.
Il contributo di maggior rilievo del M. come funzionario capitolino e come uomo di cultura, fu l'ideazione del programma per le celebrazioni del carnevale del 1536, per cui inventò il grande corteo di Agone del 24 febbraio dedicato ai trionfi di Paolo Emilio. Ma l'impresa memorabile fu l'allestimento dell'ingresso trionfale di Carlo V, sbarcato in Italia reduce dai successi di Tunisi e atteso a Roma il 5 aprile. I preparativi erano stati avviati fin dal dicembre precedente e prevedevano un intervento urbanistico finalizzato a liberare il tracciato dalla porta S. Sebastiano lungo il Foro fino al congiungimento con la via papale in prossimità di S. Marco, dove avrebbe transitato il corteo. La cerimonia, i cui apparati furono preparati da Antonio Cordini (Antonio da Sangallo il Giovane), ebbe un valore emblematico per la città, di cui segnò una sorta di rifondazione dopo le devastazioni del sacco di Roma, e fu un grande successo, cui il M. prese parte illustrando di persona all'imperatore i monumenti antichi.
Alla fine di agosto 1536 il M. fu inviato a Francesco I per condolersi a nome del papa della morte del delfino di Francia, Francesco, e per perorare la pace tra il sovrano e l'imperatore, i quali avevano ripreso le ostilità; venute meno le speranze di pacificazione, tornò a Roma il 10 ott. 1536. Nel maggio 1538, mentre fervevano le trattative che avrebbero condotto alla pace di Nizza, il M. si recò in staffetta presso Francesco I. Alla fine dell'anno fu incaricato di una nuova missione in Francia con l'istruzione, tra l'altro, di sollecitare il re al progetto di concilio e di indurlo a pubblicare la bolla contro il re d'Inghilterra Enrico VIII. Già nel primo incontro, avvenuto il 21 genn. 1539, il sovrano antepose alla convocazione del concilio la pace con Carlo V e, come illustrò il M. al ritorno dalla missione, in ogni caso voleva la partecipazione dei luterani, sicché rifiutò la sede italiana di Vicenza e ogni altra che fosse in Germania, proponendo piuttosto Lione o un altro centro francese. Secondo le istruzioni, dalla Francia il M. avrebbe dovuto portarsi in Scozia, ufficialmente per consegnare la berretta cardinalizia a D. Beaton, vescovo di Saint Andrews e, dal 1537, di Mirepoix, ma questa seconda parte del viaggio non fu effettuata e pertanto il M. tornò a Roma in maggio.
Nel gennaio 1540 il M. fu a Parigi con il cardinale Alessandro Farnese e lo seguì nel viaggio in Fiandra, fino al ritorno in giugno; un'altra missione gli fu affidata tra la seconda metà di settembre e l'inizio del novembre dello stesso anno per concordare il matrimonio tra la nipote di Paolo III, Vittoria Farnese, e Francesco di Lorena, il duca di Aumale poi di Guisa, un progetto che sembrò prossimo a realizzarsi anche se fu lasciato cadere - come d'altronde altre trattative matrimoniali che riguardavano la Farnese (tra cui quella con il duca di Vendôme, prospettata dallo stesso M. al sovrano francese nel gennaio 1539) -, e la responsabilità del fallimento fu diplomaticamente attribuita al M. stesso.
Dopo il 1540 il M. si allontanò dall'attività diplomatica, forse per volontà del papa, forse per proprio desiderio: questa presa di distanza è stata messa in relazione con la posizione filoinglese assunta dal M. almeno fin dal 1534, nell'ottica di un bilanciamento dell'influenza imperiale, ma divenuta inopportuna dopo la rottura nelle relazioni diplomatiche con l'Inghilterra; anche la stretta parentela del M. con gli ambasciatori a Roma di Enrico VIII, Gregorio e Francesco Casali, risultava a quel punto sfavorevole, se non addirittura sospetta.
Nel 1544 prese possesso a nome del figlio Cesare del monastero cistercense di Noirlac (Bourges), un beneficio promessogli dal re di Francia nel maggio del 1541, che tuttavia il figlio resignò nel 1548. Nel 1547-49 fu consigliere nel Senato romano e nel 1549 ebbe modo di intervenire con un discorso pacificatore in occasione di un tumulto popolare antifarnesiano, ricordando l'identità romana del papa; nello stesso anno fu preferito a Paolo Giovio nella concessione di una pensione di 400 scudi da parte di Paolo III. Nel 1550 fu conclavista per il cardinale Tiberio Crispi.
Il M. morì a Roma il 28 genn. 1553 e fu sepolto in S. Maria sopra Minerva, dove lo ricorda la lapide apposta dai figli nella cappella di S. Vincenzo.
"Homo molto fattivo", secondo la definizione dell'Alberini (Orano, p. 466), il M. è stato descritto come una tipica figura di umanista e cortigiano, capace di combinare cultura classica, passione artistica, doti diplomatiche e attività amministrative con sensibilità ed efficienza. Ben introdotto nel mondo letterario ed erudito della sua epoca, come dimostrano i contatti, tra gli altri, con L. Ariosto, P. Bembo (che il M. spronò a pubblicare le lettere scritte per conto di Leone X), B. Castiglione, B. Cellini, G. Dati, I. Sadoleto e la celebre cortigiana e poetessa Tullia d'Aragona, fu apprezzato soprattutto come oratore; della produzione letteraria, sono sopravvissuti solo nove sonetti. Accreditato dal biografo di s. Gaetano Thiene, Antonio Caracciolo nel 1612 come uno dei fondatori della Congregazione romana di S. Dorotea, all'origine dell'Oratorio del Divino Amore, il nome del M. non risulta tuttavia nell'elenco superstite dei confratelli, di recente edito (Solfaroli Camillocci).
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